Questo è il primo capitolo del racconto che apre la raccolta di cinque storie.
Annella e il mare
Terra del Salento, splendido panorama, sole e mare da incanto. Una donna dal fascino mediterraneo, vive nell'angoscia la lontananza forzata dal marito, operatore umanitario rapito in Afganistan, vede stravolgere le sue giornate a causa di un susseguirsi di menzogne. La figlia adolescente e un'amica, innescano un meccanismo doloroso, implicando persone ignare mentre altre, false e ambigue, ne faranno parte. Spesso la fretta di crescere attraverso esperienze discutibili, conduce a esiti nefasti. Da se stessi i giovani devono salvaguardarsi, mettendo in moto il buon senso. Questa magnifica terra del sud e i suoi profumi, saranno la scenografia che accoglierà il percorso degli avvenimenti. Un vortice di indagini, ricerche nella disperazione, immersi in questo paesaggio da sogno dove, inaspettata, verrà alla luce una verità amara e sconcertante.
Annella, seduta davanti alla porta di casa, fumava nervosamente facendo i conti con se stessa e con la giornata. Da mamma, sentiva l'obbligo di dare un esempio positivo: ma quanto era difficile! Il diverbio nato con la figlia l'aveva spiazzata. Com'era possibile che, da madre attenta e premurosa, avesse cresciuto una figlia tanto vuota e ribelle? Per la prima volta ne prendeva atto. Doveva forse rimproverarsi qualche mancanza? L'unico suo vizio era quello del fumo. Il marito, operatore umanitario, era stato rapito in Afganistan da un manipolo di terroristi fanatici. Ormai erano trascorsi tre anni e le notizie si erano sempre più diradate. L'ultima, la settimana prima di Natale, lasciava purtroppo pochissime speranze a una risoluzione immediata. Annella era forte, aveva pianto di nascosto le sue lacrime, percorrendo tutte le strade possibili per far sì che le autorità competenti si muovessero celermente, in modo efficace. Le risposte sinora pervenute non lasciavano spazio a nulla di veramente concreto. Illusioni, solamente quelle. Il silenzio e la lontananza la stavano distruggendo. Ora, di botto, questa ragazzina, a soli sedici anni, stava peggiorando le cose. - Dove sei stata? Alla tua età non si rientra alle tre di notte! - l'aveva ammonita la nottata precedente. Poi aveva taciuto, rendendosi conto che la figlia portava addosso i segni di una serata pesante. Barcollava, pareva ubriaca, si reggeva in piedi a malapena, lo guardo perso nel vuoto. - Giovanna, cos'hai fatto? devi essere impazzita, vuoi farmi morire di dolore? - le aveva domandato poco prima. Sì, perché la sua bambina, a causa degli effetti della sbornia, era rimasta a dormire tutto il santo giorno. Ora, sul nascere dell'imbrunire, quando le nuvole assumono quel colore rossastro tanto spettacolare e, da lontano si intravede la linea marina incontrare l'orizzonte, Annella aveva ricevuto un'altra stilettata in pieno petto. - Che vuoi da me, ma'? devo stare ad aspettare come te, tutta la vita? Me ne fotto io, faccio il cazzo che mi pare: capito? - La sua Giovanna doveva essere uscita di senno. Una risposta del genere avrebbe fatto morire suo padre, ammesso che fosse ancora in vita. Non se ne capacitava. - Eh no, ragazzina! Non permetto ti rivolga a me in questo modo: chiaro? - Offesa, le stava urlando dietro queste parole, dopo averle regalato il primo ceffone della sua vita. Giovanna, furibonda, guardò la madre esprimendo insieme all'odio, la sorpresa di quel gesto, incapace di replicare. Infine, imboccò risoluta il vicolo che portava al paese, sbattendo la porta. Annella non aveva trovato la forza di fermarla, preferendo evitare che la figlia vedesse il suo volto mascherato dalla delusione e dal pianto. Decise di rientrare, sistemando i piatti del pranzo, rimasti dentro la lavastoviglie. Movimenti meccanici, con una ferita grondante di dolore. - Giovanna, ormai è buio, dove sarà andata a sfogare la sua rabbia? - si chiedeva. La tivù chiacchierava a vanvera, Annella nemmeno l'ascoltava, ma quel vociare la faceva sentire meno sola. - Signora, Giovanna è in casa? - chiese un ragazzo sul motorino nuovo di zecca. - Tu non l'hai vista Michele? È uscita da un pezzo, non è alla piazzetta? - spense la sigaretta, l'ultima di quella strana giornata, promise a se stessa. - Sicuro di non averla incrociata? era a piedi, non si era ancora fatto buio! - gli gridò dal balcone, chiaramente agitata. - Ha pure dimenticato il cellulare qui sul tavolo - aggiunse, investita dal dubbio che l'avesse fatto di proposito. - Sarà andata da Alessia, la vado a chiamare io, stia tranquilla signora! - Partì sul motorino smanettando, mentre il grazie di Annella si perdeva dentro quel rumore rimbombante. Restò a guardare nel vuoto con il cuore che le rimbalzava nel petto. Dentro solamente la luce della televisione, che continuava a blaterare priva di considerazione. Le pareti della case intorno sembravano illuminare la notte, candide com'erano. Una visione suggestiva. Si percepiva l'odore del mare raggiungere il paese, nonostante si trovasse abbastanza lontano. La brezza marina aveva rinfrescato l'aria, mentre nel silenzio traspirava un che di melodioso: pareva un suono delicato, un arpeggio. - Disgraziata di figlia, mi deve far morire - pensava la donna nel muto silenzio circostante. I bianchi vicoli si perdevano tra il sali e scendi delle scalinate. Improvvisamente le venne voglia di mare, di spiaggia, in quell'istante avrebbe desiderato camminare dentro l'acqua, lungo la battigia, o immersa sino a dove le fosse possibile respirare l'aria salmastra, quella che faceva ondeggiare il pelo dell'acqua. Percepire il contatto con il mare equivaleva a una carezza, a sentirsi viva e amata, desiderata. Da troppo tempo ormai, le mani del suo uomo non l'avevano più fatta fremere. La sua calda bellezza mediterranea, viveva sopita nei tormenti delle ricerche, nell'ansia delle risposte, che non giungevano mai. E ora si trovava a un punto fermo. L'orologio della chiesa, batteva l'una di notte e intorno nient'altro che quiete. - Michele mi doveva far sapere notizie:, dov'è finito? L'avrà trovata dall'amica? - D'un tratto fu assalita dall'ansia, si rese conto dell'anomalia di quel silenzio, sentì il panico attraversarle lo stomaco attorcigliandolo, mentre assurde vampate di calore le facevano perdere la lucidità. Si sentiva tutt'altro che bene, faticava anche a compiere il gesto più semplice. Si avvicinò al cellulare della figlia e aprì la rubrica. - Ci sarà il numero di Michele segnato, no? - Sperava dentro di sé. Nella confusione più totale fece scorrere i nomi: Alessia, Angelo, Arianna, A.©©© - Chi è questo? Che vuol dire? - Si chiese, convinta che quei simboli avessero un significato importante, per Giovanna almeno. Le palpitazioni acceleravano il ritmo, mano a mano che altri nomi scorrevano sul display. Ohhh, finalmente!... Michele. Decise di chiamarlo, nonostante l'ora. - Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile... - Odiava quel messaggio, ogni volta che lo sentiva le si accapponava la pelle. Nelle sue ricerche, significava ore di tentativi, di attese allucinanti. Come primo impatto assolutamente sconcertante. - Si tratta di mia figlia, se dormono che importa: devo sapere cosa fare! - Decise di infischiarsene delle buone maniere e compose il numero di Alessia. Se il messaggio della segreteria l'aveva infastidita, il suono della chiamata che insisteva a lungo e a vuoto, l'aveva innervosita in modo incontrollabile. - Mannaggia sti ragazzi! Dove si saranno cacciati? - Si affacciò al terrazzino e accese un'altra sigaretta; a quel punto non le importava nient'altro. Passeggiò qualche minuto nervosamente, mentre il silenzio circostante le era diventato insopportabile. S'infilò i sabot e scese in strada. La pietra dello stradone pareva di specchio, tanto il riverbero candido delle case vi si rifletteva. Lucida, quasi l'avessero incerata di fresco. La donna si guardò intorno, non vi era un anima viva. Teneva stretto sulle spalle un golfino leggero per ripararsi dall'umidità della notte. Non era ancora estate piena e l'agitazione le faceva sentire sulla pelle lunghi brividi, quasi le fosse improvvisamente salita la febbre. Si avvicinava a passo lesto verso la piazzetta, dove i ragazzi erano soliti a radunarsi per chiacchierare o magari decidere di spostarsi sino al mare. Si augurava fosse rimasto qualcuno, a rassicurarla. Raggiunta la meta, trovò una coppietta appoggiata a un muretto laterale, intenta a scambiarsi effusioni tanto lascive da metterla in imbarazzo. Nemmeno i ripetuti colpi di tosse li avevano distolti da quegli abbracci indecenti. - Ehi, voi due, non vi sembra di esagerare? Siete in piazza, mica a letto! - Gridò per essere sicura di essere ascoltata. I due si ricomposero velocemente. - Che c'è signora, si sente disturbata? - L'aria arrogante della giovane, invitava a un bel ceffone, da fare compagnia a quello dato a Giovanna qualche ora prima. - Piccirì, vedi che non è aria; se preferisci parlo con tua madre, che ne dici? - La frase ebbe l'effetto voluto e la ragazza si scusò abbassando lo sguardo. - Per caso Giovanna è stata qui stasera? - Si guardarono i due giovani, con l'espressione di chi non ne sa nulla. - Nemmeno Michele avete visto? - Chiese con l'affanno che le stringeva la gola. - Lui sì, l'ho visto passare un paio d'ore fa: chiedeva di Alessia, però! - Rispose il ragazzo, assumendo un'aria più preoccupata. - È successo qualcosa signora? - s'informò ancora vedendo l'ansia mutare l'espressione della donna. - Stasera abbiamo litigato. S'è n'è scappata che pareva un diavolo. - Confessò Annella, più che altro per liberarsi dalla tensione. - Tranquilla, come le passa torna: è normale! - tentò di consolarla il giovane. - Normale? che dici? a sedici anni non è normale affatto. - sottolineò. - Andate a casa tutti e due, è meglio! I vostri genitori saranno in ansia. Vi siete già strusciati abbastanza per oggi. - Lo sguardo severo, scrutava Monica quasi con disgusto. Affrontò la strada del ritorno, mestamente provata. - Che diavolo hanno per la testa?Ancora bambini, si strusciano a quel modo in pubblico! - Come avrebbe potuto dormire con quell'ansia che le stringeva la gola? Neppure l'acqua riusciva ad andarle giù: dovette sforzarsi per finire il bicchiere. Annella, si mise a guardare la televisione. A notte fonda oramai trasmettevano solo film vecchissimi o repliche di programmi d'intrattenimento. Lo zapping la infastidiva, discuteva sempre con la figlia per quel vizio, ereditato dal padre, tra l'altro. - Accidenti a te Vincenzo, potevi trovarti un lavoro normale? Mi avete lasciata sola tutti e due stanotte. Ti rivedrò ancora? Mi manchi! - Pensò amareggiata Quindi iniziò a giocherellare con i tasti, saltando da un programma all'altro. Le palpebre cominciarono ad appesantirsi, sino a che non si appisolò.
Luisa Cagnassi
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