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Autore: Milena Cristiana Fin
Sorelle destini
Narrativa
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Sorelle destini
Sto facendo le pulizie di casa, i miei non ci sono. É bello quando sono sola e non sento le urla di mia madre. Quando alza la voce contro di me mi blocco mentalmente, non lo faccio apposta: all'improvviso il mio cervello va in blackout e dimentico tutto quello che devo fare. Ma oggi no, andrà tutto bene. Me lo sento.

Mi chiamo Hiristina, è un nome bulgaro, e ho trent'anni. Già, sono di origine bulgara, adottata: mamma sarda e papà veneto. Abito con loro da quando avevo sei anni e mezzo; la cosa mi piace molto, perché so che ci siamo scelti dal primo giorno che i nostri sguardi si sono incontrati all'istituto. È una vera fortuna averli conosciuti, perché la vita in orfanotrofio sarebbe stata più complicata: al settimo anno sarei stata trasferita in un altro istituto e lì sarebbero stati guai, guai seri.

Sarebbe stato difficile vivere con i bambini più grandi perché sono dei veri e propri bulli, lo so perché mamma, prima di adottare me, era andata a vedere altri ragazzi, e lì c'era da mettersi le mani in testa: i grandi prendevano in giro i più piccoli e li mettevano nei cessi a bere l'acqua del gabinetto, li costringevano a fare prove di coraggio per essere accettati. Non ne conosco i dettagli, ma, da come i miei ne parlavano, sicuramente erano pericolose e da far accapponare la pelle. Io, per il carattere debole e molto ingenuo, non sarei mai resistita; quindi mi ritengo fortunata ad esserne uscita indenne e ad aver trovato una famiglia che mi ama.

Ho sempre festeggiato due compleanni: il primo luglio e il trentuno ottobre.

Il primo luglio perché quel giorno sono rinata, come se avessi tagliato il cordone ombelicale da quel posto schifoso e rivisto la luce per la prima volta. Ricordo che quando ero in aereo ho detto: - Ciao Bulgara! Io vado Italia! -

I miei hanno riso alla battuta fresca e spontanea di una bambina di sei anni. Lì non andavo a scuola, ero sempre rinchiusa in quel luogo malsano e poco accogliente. Altro non posso dire di quel posto perché la mia mente l'ha completamente rimosso; è evidente che odiassi stare là.

Ma una parte di me non sa chi io sia o chi siano i miei genitori.

So solo che sono Hiristina, ma poi? Chi sono veramente? Chi sono i miei genitori?

Domande che mi frullano in testa da una vita. Certo, mamma e papà sono sempre stati corretti con me, mi hanno detto tutto quello che sapevano dove sono stata abbandonata a sei mesi e mezzo davanti a una chiesa dove una suora mi ha visto e portata prima in istituto da lattanti e, successivamente, in un altro orfanatrofio con i bambini della mia stessa età. L'unica cosa che mi hanno detto su chi mi avesse lasciata lì era che si trattava di una giovane ragazza madre.

Festeggio anche il trentuno ottobre, perché è il giorno in cui sono nata. Non odio quella signora, la mia mamma adottiva mi dice sempre che non la devo odiare. Anzi, devo esserle grata perché mi ha messo al mondo, ha deciso di mettermi alla luce, e dato la possibilità di farmi adottare dalla famiglia che mi ha scelto con cuore e con gioia.

Ho dovuto imparare tutto, non conoscevo nulla, per me è stato tutto un mondo da scoprire. Avevo bisogno di stimoli di vario genere; ringrazio il Signore per avermi donato una famiglia paziente, dolce e premurosa. La mia vita con loro è sempre stata molto tranquilla, sì, qualche discussione qua e là, ma tutto sommato c'è sempre stata armonia e un bellissimo legame... fino al suo arrivo.

Hiristina

Già, sino all' arrivo di papà . Premetto che con i miei genitori ho avuto sempre un ottimo rapporto. Sono persone stupende e che mi amano tantissimo. Quindi con loro mi trovo veramente molto bene. Soprattutto con mia mamma, che è la più dolce e comprensiva dei due, anche se è molto apprensiva.

Per me è come una sorella, con lei mi posso confidare; mi sembra, a volte di essere complici in tutto quello che facciamo.
Con mio padre le cose sono molto diverse, perché nonostante non sia un tipo scontroso e scorbutico, delle volte è un po' irascibile. Poi da quando mia sorella se ne è andata via, lo è ancora di più. S'infiamma per niente, ogni mio minimo errore lui mi sgrida. Non fa paura, perché non mi picchia, ma delle volte con lui accanto, non so come comportarmi.

Io ho imparato solo una cosa: quando
sta in quello stato lo evito finché non gli passa l'arrabbiatura. Però devo dire che anche con lui ho passato, e passo tuttora, momenti belli.
Quando ero piccola, mi prendeva in braccio e mi faceva fare l'aereo e io ridevo di gusto.

Oppure ricordo che una volta mi ha preso e mi ha messo sulle sue spalle e correva; era il nostro divertimento. Poi sono cresciuta e molti di quei giochi sono spariti. Ne abbiamo fatti degli altri, ma tutto è cambiato con l'arrivo di Violeta: è rimasta poco con noi, ma tanto da sconvolgere la nostra vita e soprattutto quella di mio padre.
I suoi occhioni dolci, di un verde-azzurro e sempre sorridenti, si sono spenti d'un tratto. Io che in essi mi rispecchiavo e amavo guardarli, ora non lo faccio più perché ci leggo solo tristezza, tanta tristezza. Ogni tanto perde le staffe e si arrabbia per niente.

Questo a me fa male, perché rivorrei il mio papà di sempre, ma so che per ora non è possibile. Ho pensato di andare via per un po', perché ormai in casa si respira un'aria troppo pesante, non c'è più leggerezza e io mi sento soffocare.

Mi dispiace solo per mamma, che cerca in tutti i modi di tirare avanti la baracca. I suoi occhi, di un castano molto chiaro, il sorriso forzato, ha sempre trovato il modo di aiutare, di trovare un equilibrio tra me e papà. Oggi, però mi sento strana: credo che quando penso al passato, stia per succedere qualcosa.

Guardo l'ora e noto che è mezzogiorno, a breve torneranno e spero che papà sia di buon umore. Ho preparato il pranzo e apparecchiato, cosa che non faccio quasi mai; ma oggi voglio far loro una sorpresa e spero di aver fatto cosa la giusta. Sento una macchina, guardo dalla finestra e ho la conferma che sono arrivati.

Sono felice, ma allo stesso modo nervosa, perché dovrò dire loro che per un po' voglio andare via da qui; chissà come la prenderanno.
Sbuffo, quando sento che papà è arrabbiato. Non coprendo bene il motivo, ma capisco che è meglio aspettare a dir loro la novità. Entrano e lui guarda me, mi sta fulminando con lo sguardo. Sono meravigliata. - E ora che ho combinato? - penso, mentre lui mi si avvicina.
- È stata una giornata pensante. Non si trovava parcheggio nei negozi, ho litigato con un signore di una certa età e, in più, non mi ritrovo le chiavi della macchina piccola. L'ultima volta, Hiristina, le hai messe via tu. Dove sono? - mi chiede urlando.

Cerco di ricordare e mi viene in mente che sono sempre state al loro posto, così glielo faccio notare. - Sono nel portachiavi, papà. Le ho messe lì. - dico, abbozzando un sorriso.
- No! Non è vero. Ho già guardato lì, e non ci sono. Quindi? - mi risponde con un tono che non ammette repliche. Per fortuna papà non è manesco e odia picchiare e quindi non l'ha mai fatto, né quando ero piccola e né ora che sono grande. Stranamente però mi è sembrato che oggi lo volesse fare.

Quasi mi stacco da lui, quando vedo la sua mano alzata su di me. Solo dopo mi accorgo che è per prendere qualcosa dal tavolo della cucina. - Scusami, sono un po' stressato in questi giorni! Ma rimane il fatto che le chiavi non sono lì dove dici di averle messe. - mi dice con più calma.
Mi tranquillizzo e gli faccio notare che il pranzo è pronto.

Mentre stiamo mangiando, richiamo l'attenzione dei miei genitori. Si voltano verso di me e attendono che io parli. - Mamma, papà, ho deciso di andare via per un po'. Sì, lo so che siete tristi per la mia scelta, ma... vedete... ho bisogno di staccare la spina da tutto. - Il mio tono è un po' ansioso, ma era giusto che sapessero della mia decisone.

Gli occhi di papà sono colmi di lacrime. Non me l'aspettavo: lui non esprime mai i suoi sentimenti, neanche una volta, ma oggi lo fa. - È colpa mia! - dice, alzandosi dalla sedia e andando via.
Corro da papà e lo trovo in camera sua, sdraiato, che guarda un punto fermo della stanza. - No, non dirlo nemmeno per scherzo. Semplicemente ho bisogno di andare un po' via da qui. Senti, per ora lasciami fare, poi ti prometto che se mi troverò male, tornerò da voi. Va bene? -

Lui, a quelle parole, istintivamente mi abbraccia e io contraccambio con gioia. A godersi lo spettacolo è mia madre, che ci si avvicina e si unisce a noi due.
- Dove andrai? - Chiede mamma.
Io faccio un lungo sospiro e poi dico: - Vado da Violeta. Sì, lo so, potrei andare dalla mia migliore amica, o dal mio ragazzo. Però... ho pensato che se starò da lei, potrei trovare un modo per farvi fare la pace anche tra di voi. Che ne dite? -
Entrambi mi guardano stupiti, ma, dopo aver insistito tanto, accettano la mia scelta di andare da lei. Mia sorella, non di sangue, no, ma dell'anima sì.

Così diverse, ma unite da un unico destino: quello di incrociarci nuovamente.
Io, bassa, occhi verdi, capelli sul biondo, sono timida e goffa, ma sempre pronta a dare una mano a chi ne ha bisogno. Lei, castana, occhi molto scuri, è... come dire? Una ragazza molto strana: è andata via da noi perché non ci voleva, ma io riuscirò a farla tornare da nostri genitori.

Lascio i miei da soli e mi dirigo nella mia camera. Prima però mando un messaggio a Violeta: "Ciao, Violè! Posso venire a stare da te?"
Dopo vari secondi mi risponde: "Certo, Hiris! Dieci minuti e sono a casa tua."

Sono felice, mi alzo dal letto e preparo la mia roba. Non prendo tante cose, anche perché spero di tornare presto a casa dai miei, e poi perché voglio far in modo che ritorni pure mia sorella.
Ecco, ho tutto pronto.
Sento suonare e immagino che sia Violeta.

Saluto i miei genitori, che mi guardano tristi e poi esco. La vedo, mi sorride, metto le cose in macchina e via, pronta per una nuova avventura: si sa quando inizia, ma non si sa quando finirà, e io cercherò in tutti i modi di gustarmela giorno dopo giorno, cercando di essere me stessa in ogni situazione.
Entrambe siamo consapevoli che dobbiamo conoscerci bene e provare a fidarci l'una dell'altra.

Milena Cristiana Fin

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