Ulla Gustavson guarda distrattamente le notizie del telegiornale che le entrano nel soggiorno minimalistico, rimuginando su quanto vede e sente. Dopo una carrellata di avvenimenti oltreoceano o in Medio Oriente ecco qualcosa di nostrano e casalingo: lo Stadio di Odense e la coda alla biglietteria. Stasera non è in programma la solita partita dell'OB con qualche club danese, ma il concerto della più grande star del regno di Amleto: Leo Rex. Polizia e coda alle biglietterie. Fan, specialmente ragazze e donne. Buon divertimento amiche, sbavate pure per il bel fustacchione rockeggiante. Per Ulla è soltanto un cliente, il cliente, per essere precisi, il pane di lusso. La scena cambia dal profano al sacro e sempre nelle vicinanze: la chiesa cattolica di Sant'Albano. Una ripresa al panorama circostante. La statua di San Canuto poco lontana come per ricordare il monarca ucciso proprio in quella chiesa, nel Medioevo da dei rivoltosi e beatificato dal Papa. E, dall'altra parte della strada, la Cattedrale a lui dedicata. Qualche centinaio di metri separano le due chiese, l'una cattolica, l'altra protestante luterana. A fianco del re immortalato con la spada in mano, sullo stesso marciapiede, il Municipio. L'immagine ritorna alla chiesa di Sant'Albano e riprende gli interni. Se non fosse perché l'imminente concerto di Leo Rex adombra ogni altra cosa, la notizia sarebbe storica: entro un mese, ospiti della minoranza cattolica, ebrei e musulmani si ritroveranno ad assistere a una messa. Un calcio al mito dell'inimicizia tra le tre fedi. Interviste tra immigrati e responsi positivi da ambo le parti. A Ulla non fa né caldo né freddo. Sorride tra sé e sé ogni volta che la voce fuori campo ripete la parola “immigrati” citando solo quelli venuti da lontano e dalla pelle olivastra. Sembra che gli svedesi come lei non appartengano alla categoria. E neppure i norvegesi. Ma certo, a prima vista nessuno la distinguerebbe da una danese: bionda, occhi blu. Solo quando apre la bocca la cadenza canterina del suo paese d'origine la tradisce, anche se il suo danese è impeccabile. Eppure lei è a tutti gli effetti un'immigrata. E se proprio ci si attiene ai pregiudizi danesi che mettono in risalto la minoranza rumorosa di quelli dediti alla criminalità lei farebbe impallidire il piccolo spacciatore mediorientale. Nel giro la chiamano Den svenske pige, la Ragazza Svedese
Risveglio. Dove? Leo si guarda intorno alla ricerca di una risposta mentre scava nei meandri della memoria. Spezzoni di un film passano in rivista. Musica a tutto volume e pubblico visto dall'alto di un palco; scrosci di applausi. Poi una festa. Donne e coca. Il climax, una pastiglia, regalo di una bionda. Buio. Vago ricordo del corpo nudo della stessa bionda. Il suo profumo. Buio. Una stanza che dondola. Cannonate cardiache, proporzioni sconnesse, vertigine, silenzio. E di nuovo buio, senza spiragli di luce. Il suo subconscio lotta per uscire da quel baratro. Eccola! Benvenuta, luce! Una finestra. Sbarre. Cime di pini. Nuvolette. Il passaggio di un aereo. Sbarre? Prigione. Beccato in possesso dell'illegale passaporto per il paradiso artificiale? È in vita, se non altro. Pagherà la cauzione. Leo Rex, il Re del rock danese esportato nel mondo, se la può ben che permettere. Gli introiti delle sue produzioni musicali hanno arricchito sia lui che il fisco del Regno di Amleto. Risposta danese a ciò che erano stati un tempo i Beatles in quel d'Albione. Uno come lui in galera ci resta mezz'ora, altrimenti i fan ti assaltano la prigione peggio che i parigini la Bastiglia. Leo Rex è tra l'Uomo e Dio. Guadagna una fortuna in diritti d'autore, vendite, apparizioni, sponsor (sono stati pure coniati i Biscotti alla Leo Rex). Idolatrato da tutti, uomini e donne, queste soprattutto. La sua musica ha incantato, surclassando le varie Lady Gaga, Justin Bieber e Jackson anche dopo che aveva lasciato la vita. Mettere Leo Rex in gabbia è come imprigionare Gesù. Nessuno corre un rischio simile. La Storia sbaglia una sola volta
La sicumera precipita non appena cerca di muoversi. Rigide cinghie lo tengono fissato al letto in posizione supina. Il concetto "galera" lascia il posto a quello di "manicomio". Gliel'ha sempre ripetuto Katrine, l'angelo custode, la manager, la produttrice: Un giorno quella roba ti brucerà il cervello. Facile a dirsi. All'Inferno si entra, si legge il cartellino Lasciate ogni speranza... eccetera, ma per uscire ci vuole Virgilio o un carattere di ferro. A lui son sempre mancati entrambi. Via dalla scena in qualche clinica per disintossicarsi? Qualche mese fuori dal mondo col rischio di finire nel dimenticatoio? Qui termina Leo Rex e ricomincia Leopold Hansen, comune mortale dal nome sfigato e la sicurezza in se stesso pari a quella di un lombrico. La fatica di dover sedurre le donne come tutti i mediocri anziché vedersele servite sul piatto d'argento. Anzi: di platino, come il disco vinto l'anno prima. I diritti sarebbero un vitalizio di lusso, ma l'essere il centro dell'attenzione gli mancherebbe come... Trema per l'astinenza. Quanto è stato in coma? Gli serve una dose. Adesso. Dannazione! Qualcuno mi dia la roba! Forse sta urlando, perché la porta si sta aprendo. Una figura in bianco entra. Un altro angelo? Focalizza un camice addosso a un corpo di donna. Riconosce il viso. L'ultima volta che l'ha vista, giaceva orizzontale, era nuda e si chiamava Jenny, nome tipico danese. Da groupie. Sempre a scimmiottare gli anglo. Gli altri, naturalmente. Lo pseudonimo Leo Rex non è inglese, bensì latino, anche se ha l'assonanza giusta per il successo. Ma che cazzo ci fa, Jenny, la bionda dell'ultima notte brava, in piedi, vestita da infermiera? Prima di poter porre domande su tutta la metafisica del momento, appare la risposta nella figura di un uomo, alto e brizzolato. Anche senza il camice sarebbe lo stereotipo del medico. Questi non dice nulla, ma estrae dalla tasca un sacchetto trasparente e lo esibisce davanti al naso di Leo. Il paradiso in polvere bianca è ben visibile, tanto vicino quanto irraggiungibile, causa le cinghie, la plastica e soprattutto le intenzioni di quel medico. Il Dottor Mistero e Jenny l'infermiera fatale devono avere piani per lui. Un medico con rispetto di se stesso che ha intenzione di traghettarti nel mondo dei no drug comincia a farti la paternale come Katrine, non ti sottopone al supplizio di Tantalo piazzandotela davanti come un pusher da strapazzo nell'atto di torturare psicologicamente il junkie di turno che gli deve soldi
Anche l'ipotesi di manicomio od ospedale scompare. – Non mi dilungherò in inutili spiegazioni – dice il Dottor von Pusher. – Sequestrare un miliardario qualunque o un politico richiede un'armata. Per te è bastata una donna che ti offrisse il corpo e il paradiso artificiale bagaglio appresso. Finto, questa volta, un intruglio che provoca un coma momentaneo, ma che ti ha fatto sicuramente credere tu stessi morendo. Finto panico di Janne, al secolo Jenny; telefonata, e sirena spiegata, arriva la finta ambulanza, accompagnata dai finti sbirri con finti distintivi. Le guardie del corpo si sottomettono alla posticcia autorità costituita, anche per evitare scandali. – Sono stato via un bel po'. Katrine Madsen si starà sicuramente dando da fare... – Ho già avvisato quella lesbicona della Madsen. La mia credibilità è indiscussa. Vedi, Leo, nel tuo mondo c'è solo posto per donne, droga e rock and roll. Ma in quello vero, del quale anche la Madsen fa parte, il mio viso è abbastanza noto in un ambiente meno colorato. Non firmo autografi, non mi faccio tre donne al giorno. Sono un medico. Knudsen, dottor Carl Knudsen. La mia specialità è tirare fuori dalla merda gente come te. Benvenuto nella mia nuova clinica. Nessuno sa ancora dove si trovi, neppure Katrine. Anche lei ha il voto della discrezione. Ma sarai tu a confermare via mail che ti sei volontariamente sottoposto a una bella cura per disintossicarti. – Lei non può costringermi! Non può tenermi qui contro la mia volontà. Devo preparare il nuovo album, ho talk show in mezzo mondo.
Paolo Ninzatti
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