Holbox: il crepuscolo delle spie
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Holbox è un'isoletta messicana, un luogo ideale per un incontro fuori dal mondo, un luogo dove è ancora possibile, perfino a una spia, recuperare il senso delle cose che contano, delle cose che valgono. A Holbox si ritrovano – forse per una imprudenza, forse per una trappola, forse per una estrema offerta di amicizia – due antichi colleghi dei servizi segreti italiani. I fatti affermano che uno dei due sta dando la caccia all'altro, ma nell'isola le vecchie regole non valgono, i fatti acquistano significati diversi: la partita tra il cacciatore e la sua preda si giocherà secondo norme di dignità che nel mondo lontano da lì, nel nostro mondo quotidiano – quello del potere e della violenza, del terrorismo e della guerra -, appaiono obsolete e persino un po' ridicole, ma a Holbox...
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Arrivò a Holbox con l'ultimo traghetto, quello delle sei di sera, a sole già tramontato ma con il cielo ancora colmo di un crepuscolo clamoroso, i rosa violenti delle nuvole colpite dai raggi dell'astro scomparso, i grigi soffusi delle zone superiori, l'azzurro intenso che annunciava il cobalto e già mostrava la luna, un primo ammiccamento di stelle. Questo, pensò confusamente, è da tempo che non... Poi c'era la sensazione di sollievo della terraferma, perché non aveva mai avuto attitudini marinare e il pilota aveva attraversato il braccio da Chiquilá a Holbox a una velocità evidentemente non regolamentare, il muso della lancia alto sull'acqua sicché ai finestrini la linea dell'orizzonte appariva fortemente obliqua, e di tanto in tanto grandi panciate della chiglia quando si abbatteva nel vuoto tra due onde, con gli strilli entusiasti di un bambino in braccio a sua madre e i sorrisi istupiditi di quattro turisti, una coppia poco più che adolescente e due ragazzoni nordici carichi di attrezzatura subacquea. I viaggiatori locali - la madre col bambino, un uomo con un sacco di plastica trasparente pieno di pezzi di pane, una donna anziana afferrata a una cesta - scesero per primi e subito si avviarono a piedi, scomparvero tra le case del villaggio, gli altri rimasero in attesa. Il suo bagaglio era stato caricato per ultimo e lo ricevette per primo, ma fece segno di no con la testa al vecchio che lo invitava al suo taxi elettrico, una automobilina di quelle usate sui campi da golf. A qué hotel? insistette l'altro, ma lui fece ancora di no. Espero a un amigo, disse. Si spostò a un lato del molo, vicino alla tettoia sotto la quale una ragazza vendeva i biglietti per il percorso inverso, ma ancora non c'erano clienti. Il marinaio terminò di passare i bagagli ai passeggeri, le grandi borse nere dei subacquei, la valigia a rotelle della coppia, salirono tutti sul veicolo elettrico che si avviò snodandosi lentamente tra i soprassalti della strada sterrata e le grandi pozzanghere di un acquazzone recente. Attese. Arrivarono due turisti di mezza età, lui grasso con una gran barba grigia e bianca, lei angolosa ma con una pancetta prominente, come un sacchetto appeso alla spina dorsale, fecero i biglietti e affidarono al marinaio una gran borsa variopinta di colori fosforescenti, rossa la borsa, rosa i manici, poi si voltarono a guardare il villaggio, scossero la testa, dissero qualche parola in tono sprezzante, d'la merde e salauds, di tanto in tanto guardavano impazienti l'orologio, e finalmente si imbarcarono. La lancia incominciò la manovra per mettere la prua al sud, si avviò placidamente nell'acqua oleosa e poi alzò il muso in una brusca accelerata e incominciò a tracciare una gran scia spumosa e ribollente. La ragazza chiuse il suo ufficio, che era poi la borsa che portava a tracolla, e si alzò per uscire da sotto la tettoia. Le si avvicinò. Era l'ultima? le chiese. Sí, señor, disse lei. Sicura che non ne partono più? le chiese. Domattina alle cinque, rispose la ragazza. E se uno volesse andarsene prima? Affitta un fuoribordo, ma nessuno esce col buio in una barca così piccola e senza luci. Le diede una moneta da dieci pesos e lei la prese con naturalezza, si allontanò muovendosi con grazia e rispondendo con un gesto scherzoso ai complimenti di un gruppo di uomini. Raccolse da terra la sua borsa e si incamminò lungo il molo, però accettò l'invito di un ragazzino che spingeva un trabiccolo a pedali sufficiente per trasportare un paio di persone e i loro bagagli, si sistemò sulla panchetta. Tiene hotel? chiese il ragazzo. Che cosa mi consigli? gli chiese lui. In questa stagione c'è posto dappertutto, vuole una stanza o un bungalow? Si strinse nelle spalle: Scegli tu, pulito e con un buon bagno. Il ragazzo arrancò tra dossi e pozzanghere. Como te llamas? gli chiese. Carlos, disse quello. Sto cercando un amico, gli disse, parla bene lo spagnolo ma si capisce che è straniero, come me, un europeo, del mio paese, mi ha scritto di venire a trovarlo e credevo che sarebbe stato ad aspettarmi sul molo, ma non c'era. Qui, disse Carlos, vengono moltissimi stranieri. Ma non restano a lungo, io credo, disse lui. Qualcuno resta, disse Carlos alzandosi sui pedali per superare un dosso. Per esempio? C'è un tedesco che ha aperto una posada, e un italiano che ha un ristorante. Ma il mio amico, disse lui, non è qui da tanto tempo, forse tre mesi, forse due, ma non meno di un mese perché mi ha scritto un mese fa. È più basso di me, ha i capelli neri, è magro, ha trent'anni. La strada era costeggiata da edifici bassi, facciate bianche con vivaci scritte pubblicitarie, birra Sol e Superior, mini supermarket Lupita, affitto di veicoli elettrici, mini supermarket Conchita, affitto di camere, mini supermarket Paquita, e un bar, un altro bar, un altro bar, sullo scalino d'entrata di uno di essi sedeva un vecchio con una folta zazzera grigia e una faccia millerughe che lo guardò. Che diavolo sei venuto a fare sembra che mi dica, pensò, in questo posto da dove non sono mai riuscito ad andarmene. Bar e negozi e posadas e mini supermarket alternati alle case fatte di tronchi d'albero, tetti di foglie di palma, dalle finestre e dalle porte aperte si vedevano le amache tese all'interno, qualcuna già occupata, e cani ovunque, di ogni colore, di ogni incrocio, di ogni dimensione, quasi tutti sdraiati al suolo, qualcuno attraversando la strada esattamente nel momento in cui sopravveniva il triciclo. Eccolo, pensò, ed era come se avesse visto proprio lui, statura media, capelli neri, magro, trent'anni, ma erano la porta e le finestre aperte di un locale illuminato con luce bassa, soffusa, nella quale brillavano di luce assai più intensa gli schermi di una decina di computer. Eccolo, pensò. Sulla facciata, in colonna alla destra della porta, il locale offriva affitto di club cars, escursioni in barca per osservare lo squalo-balena, money change, servizio di telefono, di fax e internet. Lo ha inviato da qui, pensò. L'unica mossa falsa in due anni e dopo quasi due anni. Intanto avevano pedalato oltre, case di tronchi e negozi sulla sinistra, sulla destra un grande spiazzo cementato con i cesti della pallacanestro, case di tronchi e foglie di palma sulla destra, sulla sinistra i tavoli e le sedie di plastica del restaurante grill Villa Nueva, rossi con scritte pubblicitarie bianche (Coca Cola), bianchi con scritte pubblicitarie blu (Corona Extra). Poi, con lo spiazzo di un'altra trattoria a destra (tavoli e sedie bianche, Corona Extra) e un edificio a sinistra (Hotel El Faro Viejo), la strada finiva, incominciava la spiaggia, e il triciclo si fermò. Scese e diede al ragazzo una moneta da dieci pesos, prese la borsa. Non te ne andare, disse, ho ancora bisogno di te, fra dieci minuti torno e voglio trovarti qui, non voglio che ti muova, hai capito? L'altro fece segno di sì. Entendido, disse, e lui ne fu sicuro. Contrattò la stanza con un giovane sorridente e remissivo, assai poco professionale nella sua maglietta vecchia sporca e berretto con visiera nuovissimo. Acqua calda e fredda, condizionatore d'aria o ventilatore a scelta, 500 pesos prima colazione inclusa, 400 pesos se si fermava più notti. Una sola notte, disse, 400 pesos. Il giovane sorrise e gli diede un modulo che lui riempì sommariamente, dati di fantasia, nessun numero di documento, ma l'altro non obiettò, prese la borsa e lo precedette per una scala che portava a un corridoio aperto su un cortile, all'altro lato le stanze, il giovane si fermò davanti alla numero quattro e cercò la chiave nel mazzo che portava con sé, ne provò inutilmente alcune, scosse la testa e sorrise. Disculpeme un momento, disse, vuelvo ahorita, appoggiò la borsa al suolo e si riavviò per il corridoio, tornò con una sola chiave ed era quella giusta. La stanza era grande e semplice, un buon letto sul quale la cameriera aveva appoggiato gli asciugamani artisticamente drappeggiati in forma di stella, alle pareti i ganci per i nostalgici dell'amaca, da una trave del soffitto di foglie di palma alto e spiovente pendeva la lunga asta di un ventilatore a tre pale, un terrazzino con tavolino e due sedie dava alla spiaggia, tra i tronchi delle palme si vedeva il bagnasciuga e sopra le foglie si vedeva il mare all'orizzonte. Solamente una noche? chiese il giovane, e a lui sembrò che nel sorriso, questa volta, ci fosse un po' d'ironia. Quien sabe, rispose. Avrebbe dovuto sentirsi stanco: il viaggio di dieci ore sul volo charter che gli avevano trovato all'ultimo momento (passaporto falso, nome di fantasia), ore insonni, pensieri mille volte pensati a rendere vano l'antico addestramento (respira, rilassati, dormi, dormi, dormi), l'arrivo che per lui era pomeriggio ma lì era mattina presto, l'affitto della piccola automobile senza aria condizionata, tre ore di guida nella strada sconosciuta, prima la statale da Cancún a Merida, tra i pullman di turisti diretti alle rovine maya, poi la deviazione per Chiquilá, una strada stretta ma in buone condizioni e quasi senza traffico, il parcheggio di un certo don Paco che gli aveva chiesto 30 pesos al giorno, l'attesa delle lance da Holbox, quella delle due, quella delle quattro, seduto sulla sedia di un chiosco all'imbocco del molo, in testa un cappello di paglia che aveva comprato nel mini supermarket (Lupita) del paese, un paio di Corona Extra, un piatto di pesce rifritto ravvivato dal sugo di lima, per essere certo che non gli sfuggisse su una di quelle lance, poi la traversata con l'ultima della sera. Avrebbe dovuto sentirsi stanco ma ciò che sentiva era una sensazione diversa, un'estenuazione senza sonno, una vigile incredulità. Si lavò la faccia con l'esile getto d'acqua tiepida che usciva dal rubinetto del lavabo e uscì. La notte non si era ancora chiusa, un chiarore vago si rifletteva dal cielo alla sabbia, dalla sabbia al cielo, ma la via principale, di arena e pozzanghere, era già illuminata di lampioni e insegne pubblicitarie. Carlos aspettava seduto sul sellino del suo trespolo a ruote, proteso in avanti, le braccia appoggiate al manubrio, e si rizzò quando lo vide, ma lui gli fece segno di aspettare ancora: aveva visto un molo che si inoltrava nel mare, una lunga passerella di legno che al fondo si allargava a formare una T con un lampione ai due estremi della traversa, uno rosso e uno verde, intermittenti, e si avviò verso le luci per restare almeno durante quel breve percorso immerso nel buio, ma un cancelletto di legno lo fermò a metà della passerella. Rimase lì a guardare il cielo, con il quale gli avevano insegnato a orientarsi, ma anche quell'addestramento, come quello del sonno, sembrava essersi cancellato: il cielo era solo uno spettacolo oscuro e luminoso al tempo stesso, la luna piena a metà, stelle che ammiccavano in gruppi poetici, ma indicazioni nessuna, nessun aiuto per dirigersi nel cammino. Tornò indietro e attraversò la spiaggia, si inerpicò sul trabiccolo del ragazzino. Vamos, disse. Carlos pedalò tra pozzanghere e dossi in una linea di sole curve che sfioravano posadas e minimarket, cani indolenti annusandosi il culo o vagando lungo inutili itinerari, veicoli elettrici parcheggiati in attesa di un improbabile affittuario e crocchi di donne sedute all'entrata delle case e dei negozi, lo sguardo rivolto al televisore acceso nell'interno. Oltrepassarono il locale del money change, escursioni in barca, servizio di telefono, fax e internet, davanti a quasi tutti i computer la testa di un giovanissimo, e una di una turista anziana, la faccia nordica, un caschetto di capelli bianchi un po' come quelli del vecchio che stava ancora seduto sulla soglia del bar e che lo guardò come per dirgli che diavolo sei venuto a fare in questo posto, da dove non sono mai riuscito ad andarmene.
Franco Mimmi
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