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Autore: Ivana Tomasetti
Identità alla sbarra
Romance a clef
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Identità alla sbarra
Liberamente ispirato
alla vita di Teresinha Gomes
alias Tito Gomes
(1933 – 2007)

Nella stanza aveva spalancato la finestra. Faceva caldo. Faceva molto caldo. I vestiti sparpagliati sul pavimento erano un arcobaleno. Saltellò tra uno e l'altro. Un'allegria di movimenti e di colori.
- Quale ti piace di più? -
- Questo è il più vivace! -
- Troppo sgargiante per una brava ragazza! I giovanotti ti guarderebbero troppo! -
Lo strappò di lato, facendogli un buco irregolare, dalle maniche all'orlo della gonna. Sorrise al rumore secco della tela che si fendeva.
- Guarda cosa ho fatto! - sbottò in una risata nervosa. Sollevò il pezzo di tela leggera. Si coprì la testa.
- È una bandiera! La bandiera della libertà! Oppure una tenda dove ripararsi. Vieni anche tu! Qui nessuno ci vede. Possiamo avere le ali come gli uccelli. Il vestito sarà le nostre ali. -
Piroettava in tondo sul pavimento, il vestito rotto si allargava come una girandola. Si avvicinò alla finestra. Si sedette un momento. Respirò l'aria tenera di Madeira, la sua dolcezza, la sua mitezza. Poi si alzò. Vide lo spazio e si sentì un inutile urlo nel pomeriggio afoso. Un tonfo.

Tornò dai campi come sempre. La testa bassa, il passo stanco. Aveva fame e prese la via di casa senza fermarsi a bere con gli amici. Entrò dal cancello. Non vide luci alle finestre, era ancora presto. Maria risparmiava. Si avvicinò alla porta sul retro e non fece caso al mucchio di panni colorati in terra poco distanti. - Donna disordinata! - brontolò.
Non era abituato a palesare la sua presenza, era la moglie che di solito si accorgeva del suo ritorno e gli diceva che la cena era pronta. Non la vide e andò a lavarsi senza aspettare. Con calma si cambiò e andò in cucina. Il tavolo era vuoto, il focolare spento. Che stava succedendo? Dov'era quella femmina pigrona?
- Maria! - gridò e già montava la rabbia. Ma nessuno rispose. Perlustrò le stanze e non trovò nessuno. Guardò dalla finestra, nessuno. Si decise infine a salire le scale e mise la mano sulla maniglia. Quanto tempo era che non entrava in quella stanza? Quello che vide lo lasciò senza parole: armadio aperto, vestiti sul pavimento, sul letto, quaderni, gomitoli di lana sparsi ovunque, sembrava essere passata una tempesta. Si domandò dove potesse essere. Cosa era accaduto lì dentro? Perché tanto disordine? Era tornata Teresa? Forse di nascosto?
- Maria! - chiamò di nuovo.
Si avvicinò alla finestra. Sotto, il cumulo di vesti colorate che aveva visto entrando in casa. Spuntavano delle scarpe.
- Disgraziata, cosa è successo? -
Si precipitò, la vide sotto la tela leggera insanguinata, la testa ferita su una pietra, gli occhi spalancati, senza sguardo.
- È stata pazza tutta la vita... Lo sapevo. Non poteva finire che così. - Si sentì liberato da un peso.
Chiamò i vicini al di là della strada. Donne pietose la composero sul letto con i suoi vestiti puliti. Il parroco dispose per il funerale. Era stato un incidente, un'imprevedibile disgrazia. Il gendarme volle sapere come fosse successo ed Erminio raccontò la verità. Lui non lo sapeva, era fuori. L'aveva trovata, così, morta, al suo ritorno a casa. Un grande dolore...
Non ebbe fastidi. Fece una faccia di circostanza. Tutti gli furono intorno. Era solo la morte di una contadina. Dopo le esequie si trovò una donna giovane e capace che veniva a servizio da lui. Doveva pur mangiare e avere qualcuno che gli tenesse in ordine la casa. Alle volte si fermava anche la notte.

Videro l'auto arrivare da lontano. Un polverone sulla strada sterrata, si potevano vedere i sobbalzi che le ruote producevano prima di sollevare una nuvola bianca. Il mezzo procedeva sostenuto, incurante di buche e scossoni. Si fermarono davanti alla veranda. L'autista scese per primo e aprì gli sportelli. Non serviva mostrare alcun tesserino.
Gli uomini avevano avvistato la polvere già in lontananza e si erano passati parola. Era necessario tenersi pronti e con i nervi saldi. Alvaro, intento alla tosatura, fu preso da un gran nervosismo. Una frazione di secondo e si decise. - Scusate, devo andarmene. Non devono prendermi. Devo essere svelto, prima che la macchina arrivi fin qui. -
Gli altri si guardarono, ma non fiatarono. Cercarono di coprire il suo lavoro, perché fosse finito prima dell'arrivo dei poliziotti e non si accorgessero che qualcuno mancava.
Alvaro corse senza fiato alla baracca. Non aveva tempo di pensare. Qualcuno lo aiutava sempre. Era nelle loro mani. Raccolse la sua roba per non lasciare tracce e partì verso il retro della fattoria, là verso il sole che tramontava. Era la sua destinazione. Cercò di tenersi sotto i boschi di querce che coprivano la serra. Arrivò su un'altura che gli permetteva di vedere ciò che succedeva sulla spianata. Vide la macchina fermarsi e il padrone farsi avanti per salutare. Gli uomini scesero e entrarono nella casa. Lontano, la tosatura continuava. Alvaro rimase riparato tra i cespugli alti, incerto se fuggire o attendere che se ne andassero. Stava guadagnando dei soldi che gli avrebbero permesso di comprare un biglietto per Fatima, sempre che non stessero controllando anche i viaggiatori. Ma lui non veniva da Lisbona. Poteva salire in qualche cittadina collegata con il nord che non avesse destato sospetto. Intanto si arrovellava a pensare come la Pide lo avesse trovato. O forse era solo una coincidenza. Non avevano cani. Forse era un controllo che non era legato a lui. L'autista dell'auto era rimasto a guardia del mezzo e sembrava rilassato, il fucile sulle spalle. Dopo un momento che durò un'eternità, i due uomini in divisa uscirono con passo spedito, si diressero alle stalle, guidati da Pedro. Misero in macchina un involto.
Fu la volta del recinto, dove gli uomini lavoravano. Vollero vedere i documenti di ognuno, ma nessuno fu fermato. Andarono nel dormitorio. Perlustrarono dappertutto. Infine, ripartirono con la loro scia di polvere. Nessuno aveva parlato.
Tutto era andato liscio. Poteva essere? O ancora non doveva fidarsi? Aspettò la notte. Era tutto tranquillo. Ritornò guardingo sui suoi passi. Si fermava in ascolto ad ogni brusio di foglie o alito di vento. Nessun cane violava il silenzio. Grilli lontani si facevano sentire di quando in quando, riprendendo fiato tra una stella ed un'altra. Si avvicinò ancora. Vide la luce alla finestra della cucina del padrone. Piano, con delicatezza batté sui vetri. All'interno, niente. Ritentò e la padrona si accorse di lui mentre tornava dal salotto.
- Passa dalla porta! - Era un ordine, sottovoce.
- Dove ti eri nascosto? Era la Polizia Segreta! -
- Cosa cercavano? -
- Solo un controllo. Almeno così ci hanno detto. -
- Torneranno? -
- Di sicuro! Ogni tanto si fanno vedere, ma senza preavviso, così, quando gli gira. Alle volte cercano qualcuno. Vogliono sapere chi c'è, chi fa questo, chi fa quell'altro. Vogliono vedere i documenti di tutti. -
- Dovrei chiedervi un favore... -
- Parla pure, noi conosciamo tanta gente. -
- Avrei bisogno di nuovi documenti, i miei li ho persi o meglio... non chiedetemi altro, vi prego. -
- Sappiamo cosa vuoi dire. - intervenne la donna. - Meno sappiamo, meglio è per tutti. La Pide non scherza con la tortura, fa parlare anche i sassi. -
- Vieni con me - disse il padrone. Lo portò in cantina.
- Tu non guardare! Siediti sulla sedia. -
Lo vide con in mano una macchina fotografica. Dietro la schiena gli mise una tavola di legno che serviva per appoggiare le forme del formaggio. Gli accese le luci in faccia e scattò.
- Domani sarà pronta! - disse, - Poi decideremo che nome mettere. Adesso torna su, devi mangiare. -
Il piatto era già pronto in tavola.
- Siediti e mangia! - disse la donna - Somigli tanto al nostro ragazzo, ma lui non c'è più. -
Non fece domande, il discorso non continuò. Capì che erano soli, come lui, dentro una vita difficile.

Diventò - Alfredo Raposo - , nato a Sintra nel 1932. Ringiovanì di un anno e cambiò il luogo di nascita, per non creare agganci di nessun genere. Pedro aveva fatto un lavoro perfetto. La carta, il timbro, l'inchiostro, la foto un po' scura, lasciava intendere un volto scavato, magro, abbronzato, un volto di contadino, più che di tipografo.

Ivana Tomasetti

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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