Un incontro inaspettato.
Sferragliando e rombando, quasi con rabbia orgogliosa, la vecchia automobile sta per affrontare, intrepida, la leggera salita che porta al paese vicino. In lontananza la vetta innevata del Gran Paradiso è lievemente offuscata da nuvole basse. La temperatura è fresca ma gradevole. Il maresciallo Antinori è stato puntualissimo, anzi in leggero anticipo. Indossa un sobrio completo grigio e ha con sé una cartelletta con alcuni documenti. Anche il maestro è già pronto, seduto al volante e col motore acceso, ha deposto, a sua volta, sul sedile posteriore dell'auto un suo inseparabile quadernetto, quasi completamente ricoperto da appunti e pensieri vari, che immancabilmente trascrive con la sua nitida e minuscola scrittura, ogni qual volta ritiene che le sue riflessioni o le sue considerazioni possano risultare utili per futuri approfondimenti. Il viaggio è breve, dopo poco più di quaranta minuti la meta è raggiunta. Seguendo le indicazioni del maresciallo, il maestro ferma la macchina nel punto esatto in cui, anni addietro, era solito parcheggiare lo scuolabus che raccoglieva i bambini per condurli a scuola. Mentre il maresciallo districa a fatica le sue lunghe gambe dallo spazio angusto dell'auto, Marchesini è già velocemente disceso, ha tratto di tasca il suo antiquato ma precisissimo cronometro e raccolto il suo quadernetto lo sta consultando. - Poldino, siamo molto distanti dalla casa? - - No, professore, saranno circa due o trecento metri. Vede? La casa è quella villetta a due piani che si scorge là in fondo. È praticamente isolata e solitaria. - - Bene! Avviamoci con passo svelto. - Marchesini fa scattare il cronometro e lo controlla non appena giunge al cancello della villetta. - Circa tre minuti. Perfetto. A me risulta che la donna sia uscita dalla casa alle 8:16 per accompagnare il figlio maggiore allo scuolabus che era già pronto a partire. Ovviamente all'andata sarà andata più piano, per adeguarsi al passo di un bimbo di poco più di sei anni. Diciamo che avrà impiegato poco più di quattro minuti per andare e poco più di tre per tornare. Quindi è plausibile che sia rientrata in casa verso le 8:24. Appare chiaro anche a te? Coincide con tue indagini? - - Sì, professore è esatto. Noi carabinieri abbiamo controllato accuratamente i tempi e verificato anche con l'autista dello scuolabus. Tutto coincide. Su questo non abbiamo dubbi. - - La casa è disabitata... vedi? Il giardino è invaso da erbacce e c'è anche un cartello attaccato a un paletto tutto storto. Che cosa dice? Non riesco a leggerlo. - - Dice: - In vendita - , e c'è anche un numero di telefono mezzo cancellato. È evidente che ormai da qualche tempo, fin da quando la casa è stata dissequestrata, qui non viene più nessuno... sarà veramente difficile che si trovi qualcuno disposto a comprarla dopo quanto è accaduto. - - Che ne pensi? Vogliamo entrare? Hai le chiavi per caso? - - Io? No, professore. Perché mai dovrei averle? E, comunque, non possiamo entrare. Mai. Sarebbe illegale. Vuole vedere qualche altra cosa qui fuori? Così poi ritorniamo. - - No, aspetta un momento, solo un momento. Per favore dai un'occhiata sul retro se vedi qualcosa, io intanto voglio dare uno sguardo a quella scala. - Mentre il maresciallo girava l'angolo, Marchesini sorrise; salì velocemente una scaletta che conduceva alla porta d'ingresso, trasse di tasca un tesserino di plastica e, con l'abilità di un perfetto scassinatore, fece funzionare la serratura a scatto della porta. Poi, con angelica aria innocente, attese il ritorno dell'amico. - Vieni, Poldino. Vedi? La porta era solo accostata, entriamo... - Il carabiniere scrutò, perplesso e sospettoso il maestro che ricambiò lo sguardo con fare ingenuo. - Professore, accostata o meno, non possiamo entrare. Sarebbe comunque una violazione di domicilio! Non è assolutamente possibile. - - Ma no, che problema c'è? La casa è in vendita, no? E mi sembra naturale darle un'occhiata giacché la porta non è chiusa. E poi? Se fosse entrato qualche ladro? Non è nostro dovere controllare? - Antinori scosse il capo con un gesto di disperazione. Sapeva che quando il maestro si metteva in testa una cosa non c'era la possibilità di fargli cambiare idea. Sapeva anche di correre un grave rischio e di mettere quanto meno in forse la propria futura carriera. - Mi spiace, professore, ma non posso e non voglio assolutamente entrare. Sarebbe un reato, non posso, proprio io, venir meno ai miei doveri! - - Peccato, Poldino. Mi spiace. Vuol dire che entrerò da solo. Veramente peccato però. Speravo proprio che mi facessi da guida e che mi aiutassi a verificare alcune cose... ma se davvero ti preoccupi o ti fa impressione... lascia stare, resta fuori. - Il maresciallo si guardò intorno sconsolato. In giro non si vedeva un'anima viva e, d'altra parte, con evidente disagio, si rendeva conto di avere un grosso debito di riconoscenza, oltre che di affetto, nei riguardi del suo vecchio maestro. Salì a sua volta rapidamente la scaletta ed entrò nella villa, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle. L'ambiente era quasi del tutto buio, solo qualche traccia di luce filtrava dalle imposte chiuse. Un lieve velo di polvere dimostrava che i locali erano ormai disabitati da anni. Un odore acidulo di muffa e di chiuso aleggiava nell'aria. Dopo qualche istante, gli occhi si abituarono a quella tetra penombra e Antinori guidò Marchesini in un locale. - Ecco, professore, questa è la stanza da letto matrimoniale nella quale è avvenuta la tragedia. - Il maestro si avvicinò lestamente a una finestra e la spalancò. Un fiotto di aria fresca, dal profumo di bosco, penetrò all'interno disperdendo il lieve sentore di chiuso dell'ambiente. Un grande letto, disordinato e maculato da macchie nerastre, occupava gran parte della stanza. Ai lati della testiera di legno, due comodini erano sormontati da paralumi polverosi. Evidentemente, cosa non del tutto strana, non si era trovata nessuna persona disponibile a mettere ordine o a fare pulizie. La casa era rimasta nelle identiche condizioni in cui l'avevano lasciata gli investigatori anni prima. Dalla finestra lo sguardo si perdeva sul mare verde dei prati e dei boschi sui quali incombevano solenni i picchi scintillanti delle montagne. Marchesini si affacciò alla finestra, chiuse gli occhi e respirò a lungo quell'aria vivificatrice che sembrava scacciare l'atmosfera cupa della casa, poi si passò una mano sulla fronte, prese una sedia e si sedette vicino al comodino del letto. Contemplò con tristezza le macchie nerastre di sangue che lo costellavano e che facevano mostra di sé anche su di un piumone avvoltolato in disordine vicino al capezzale. Poi, inforcò gli occhiali, trasse di tasca il suo quadernetto e fece cenno al maresciallo, che, intimidito, restava in piedi in silenzio, di sedersi vicino a lui. - Scusami, Poldino, ma vorrei controllare con te alcuni fatti e alcuni orari. Intanto, la notte, di quel maledetto 30 gennaio, la madre del bimbo aveva dormito male e si destò verso le 5:30 svegliando anche il marito perché afflitta da nausea e da forti dolori di stomaco. È così? - Il maresciallo aprì la sua cartelletta e consultò alcune carte. - Sì, professore, è così. Il marito, preoccupato, si premurò di chiamare una dottoressa che arrivò verso le sei del mattino e diagnosticò alla donna un incipiente stato influenzale. Nulla di grave comunque, infatti non prescrisse alcun farmaco. - - I bambini dormivano con i genitori? - - No. Dormivano entrambi nella loro cameretta nei loro lettini. - - Ho capito. La donna, certamente, avrà accolto il medico in pigiama, non credo che si sarebbe vestita in attesa di una visita medica... - - Non saprei, ma mi sembra logico. - - Bene. Ora ragioniamo. La donna e il marito si sono tranquillizzati, la visita medica è stata scrupolosa e ha preso un po' di tempo, il marito deve comunque sbrigarsi per arrivare in orario al posto di lavoro, che si trova in una città vicina che dovrà raggiungere in macchina. Penso che la donna si sarà precipitata in cucina per preparare la colazione per il marito e, probabilmente, anche per il figlio maggiore che, tra breve, dovrà andare a scuola. Probabilmente si saranno fatte le sette... ti risulta? - - Beh, professore, è stato accertato e verificato che il marito, alle 7:30 precise, è salito in macchina ed è partito. Su questo non vi sono dubbi, quindi la sua ricostruzione mi sembra corretta. - - Bene. Nel frattempo la madre deve svegliare, lavare, vestire e preparare il figlio maggiore, dopo avergli fatto mangiare la colazione. Nel trambusto il più piccolo si sveglia e comincia a frignare... vuole la mamma, e vuole anche stare nel letto dei genitori come spesso pretendono i bambini di solo tre anni. Che cosa succede allora? - - Vediamo, succede che... - il maresciallo consulta rapidamente le sue carte - Sì, ecco: secondo le dichiarazioni della madre, mancano solo dieci minuti alle otto. Prende il piccolo, lo porta nel lettone matrimoniale ancora tiepido e lo ricopre bene con il piumone. Poi si veste, indossa una giacca pesante, e alle 8:16 esce da casa e accompagna il figlio maggiore al pulmino scolastico che è appena arrivato e subito riparte. - - Perché? - mormora pensieroso Marchesini, quasi tra di sé, e con lo sguardo fisso nel vuoto. - Perché? Perché che cosa? - il maresciallo è imbarazzato e guarda con stupore il maestro. - Tu non sei sposato e non hai figli, giusto? - - Sì, è vero ma... - - Se fossi sposato, sapresti che d'inverno, in una casa riscaldata e con le finestre chiuse, l'aria della stanza matrimoniale è viziata. Anzi, per dire le cose come stanno: puzza! Ora io ho un quadro davanti agli occhi: una madre che ha fatto tardi e che deve sbrigare tutto in fretta. Fino ad ora è stata in pigiama, ma adesso deve uscire e si veste. Getta il pigiama sul letto, ed ecco per quale motivo ricopre con molta cura il bambino col piumone: affinché non prenda freddo. Secondo me, ora spalanca la finestra per fare passare l'aria. Lo deve anche fare poiché le è stato diagnosticato un principio d'influenza e non vuole che il bimbo respiri un'aria viziata e malsana. Sa bene che, pochi minuti dopo, lei tornerà. Infatti, dopo soli otto minuti è nuovamente in casa. Probabilmente, per prima cosa, chiude automaticamente la finestra e subito dopo sente come un rantolo, o un respiro affannoso, controlla il figlio e lo trova ricoperto di sangue! - - Professore! - - Sì? - - Capisco dove vuole arrivare, ma non è così. Lei pensa che qualcuno sia potuto entrare dalla finestra e che dopo aver commesso il delitto ne sia riuscito; ma non è possibile. Come avrà potuto vedere, la finestra è distante dal suolo, sarebbe stata necessaria una scala e non ve n'è alcuna traccia. È un'ipotesi affascinante ma... mi perdoni, troppo fantasiosa. - - Infatti, non ho detto che sia entrata una persona, ma... ancora una cosa: il movente! Che motivo aveva la madre per uccidere il figlio? Era forse un minorato come ho trovato scritto in qualche giornale? E poi con che cosa l'avrebbe ucciso: un mestolo, una piccozza, uno scarpone? Assurdo. E poi, come mai nessuno è riuscito a trovare l'arma del delitto? Svanita nel nulla? - - No, professore, sul primo punto non vi sono dubbi. Ho visto le foto del bimbo, una creatura bella e normalissima, così come hanno anche confermato tutti quelli che l'hanno conosciuto. Tra l'altro molto affettuoso e legatissimo alla madre. Quanto all'arma... non so quale possa essere stata. Non mi sembra che nessuno degli esperti abbia trovato la soluzione. È un punto sul quale anch'io ho avuto delle grosse perplessità: manca il movente e manca l'arma. Si è anche parlato di uno stato di depressione della donna, ma io non ho le competenze scientifiche necessarie per dubitare della parola degli scienziati... comunque ci sono le prove indiziarie: tracce di sangue sul pigiama della madre e anche dentro e sotto le sue pantofole... - - Poldino, io me ne infischio delle elucubrazioni degli scienziati. Per me non hanno capito nulla e si sono contraddetti a vicenda. Senti, la donna usa scarpe con i tacchi? - - Non saprei, può darsi, mi sembra di sì... - - E allora segui il mio ragionamento: è stanca, ancora sofferente, ha percorso velocemente circa seicento metri con i tacchi. La prima cosa che fa una donna tornando a casa è togliersi le scarpe e infilare le pantofole che stanno vicino al letto del figlio. Il sole era sorto da meno di mezz'ora, la giornata era nuvolosa e la stanza buia. Ovvio che, sul momento, non si sia resa conto degli schizzi di sangue sulle pantofole come anche di quelle sul pigiama che stava sul letto... e poi, ancora una cosa, dalle risultanze delle indagini mediche e dalle perizie, per quanto tempo il bimbo poteva sopravvivere alle ferite ricevute? - - Aspetti, mi faccia controllare. Ah, ecco: un'ora, un'ora e mezza o due ore al massimo. - - È come pensavo. Quindi, nella migliore delle ipotesi, poiché il bimbo è morto alle 9:55, il delitto poteva essere stato commesso solo dopo le 7:55, con il marito già partito da mezz'ora e con il figlio più grande che gioca e gira per casa senza vedere e senza sentire nulla! Poi, commesso il delitto, la donna si lava accuratamente, elimina ogni traccia di sangue, si veste, e, come se nulla fosse, esce e conduce l'altro figlio a scuola! Non so. Mi sembra assurdo, è una situazione che non mi convince. - - Professore, anch'io, quando arrivammo sul posto, rimasi molto perplesso. La madre, scoperto il figlio in quello stato, ricoperto di sangue e con una profonda ferita sulla fronte, iniziò a gridare e a chiedere soccorso. Alle 8:27 chiamò una dottoressa che conosceva e, un minuto dopo, chiese un urgente intervento al 118 che arrivò con un elicottero alle 8:51. Gli infermieri e i medici si resero subito conto che qualcosa non andava e ci chiamarono. Intervenimmo immediatamente, ma nel frattempo la dottoressa, chiamata dalla madre, aveva già lavato e fasciato il bimbo. Così facendo aveva probabilmente cancellato o inquinato alcuni elementi che avrebbero potuto essere utili. Ricordo che era presente anche una vicina di casa, richiamata da tutto quel trambusto. Alle nove giunse anche il padre, che era stato avvertito telefonicamente. L'elicottero ripartì, con il bimbo, alle 9:19 per portarlo all'ospedale in città. Purtroppo non ci fu nulla da fare e alle 9:55 i medici ne certificarono il decesso. Noi eseguimmo ogni controllo possibile, e altri, molto più accurati, furono compiuti in seguito dai nostri colleghi specializzati. Una cosa fu subito evidente: nel momento in cui il piccolo veniva ferito, con diciassette colpi, le uniche persone presenti in casa erano la madre e forse il fratellino. Nessun'altra persona era entrata o sarebbe potuta entrare, nessun segno di effrazione, nessun oggetto di valore mancante. L'ipotesi di un intervento estraneo si dimostrò impossibile. Solo la donna, quindi, aveva avuto la possibilità di commettere il delitto. - - Uhm, così sembrerebbe, ma solo per esclusione. Tu ne sei veramente convinto? - - Io? Non del tutto, professore, ma altre ipotesi, per quanto mi sia sforzato, non ne vedo. - - Capisco. Mi fai vedere dov'è la cameretta dei bambini? - - Certo. Da questa parte... - La stanza era abbastanza grande. Due lettini, dei quali uno più piccolo, una minuscola scrivania, un armadio, delle sedie e poi giocattoli di ogni genere sparsi ovunque in notevole quantità. Un orsacchiotto di peluche giaceva, pancia all'aria, sulle coltri di un lettino, e sembrava contemplare stupito il soffitto con i suoi lucenti occhietti di plastica. Qua e là, alcuni libri scolastici o di favole, dei vestiti e dei pigiamini. - Mi sembra la normale stanza di bambini benvoluti e sereni - mormorò, quasi tra sé, il maestro. Crash! Il rumore di un oggetto che cade, giunse all'improvviso da un altro locale e li fece sobbalzare. Istintivamente la mano del maresciallo corse verso l'inesistente fondina della pistola mentre il suo volto impallidiva. - Qualcuno è entrato in casa! - mormorò con voce strozzata - Stia dietro di me professore! - Con cautela, e silenziosamente, ritornarono verso la stanza matrimoniale dalla quale era giunto il frastuono. Giunto sull'uscio, il maresciallo si fermò di botto, sconvolto. - Mio dio! - sussurrò - Da dove è sbucata quella... bestia? - Uno dei paralumi, poggiato su di un comodino, era caduto in terra fracassandosi e provocando quel rumore. Appollaiata sulla spalliera della sedia dove, fino a pochi minuti prima era seduto il maestro, un'enorme ombra nera si stagliava contro la luce che proveniva dalla finestra aperta e li squadrava con i suoi selvaggi occhi giallastri e minacciosi.
Sergio Bertoni
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