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Autore: Alice Kindl
La rosa del lago
Romance Storico
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La rosa del lago
Menta afferrò il batocchio e bussò con insistenza, sotto lo sguardo infuriato del leone. I colpi sembrarono percuotere l'intera villa, riecheggiando al suo interno con un'eco profonda.
Menta attese. Attese pregando che ci fosse qualcuno, anche un mostro, purché le aprisse. Attese invano. Strinse di nuovo l'anello e bussò ancora, più forte e insistente. Disperata. Ciocche sfuggite alla curata acconciatura le si incollavano al volto. Il cappotto ormai intriso le pesava sulle spalle come cemento ghiacciato. Il fango le impastava viscido i piedi.
Quando ormai Menta si era arresa e stava per abbandonare la villa, un chiavistello scattò. L'enorme portone cominciò ad aprirsi lento ma inesorabile, con un soave suono di cardini ruotanti. Comparve un ragazzo in livrea a spiarla dallo spiraglio del battente aperto, con grandi occhi neri anche più sbarrati di quelli del leone.
- Vogliate s-scusarmi, - disse Menta con la massima e sperò convincente cortesia che le consentivano le labbra congelate. - La mia carrozza è stata d-danneggiata da una frana e sono impossibilitata a raggiungere la mia casa. I miei servitori sono tornati al paese a chiedere aiuto, posso domandare asilo per me e questo cavallo fino al loro ritorno? Si tratterà s-solo di una manciata di ore. -
Il domestico restava immobile come davanti a un'apparizione. Eppure Menta, con il mantello da uomo, l'abito infangato, il volto stanco e i capelli scomposti non si riteneva l'angelo che quello pareva vedere.
All'improvviso il ragazzo scattò. Contrariamente alla più elementare accoglienza la piantò in asso e scomparve nel maniero oscuro. La porta sbatté rumorosamente, spalancata. Rifiutandosi di pensare troppo, Menta entrò.
Fioche luci di un lampadario dondolante rivelavano dal soffitto un ampio atrio e statue di leoni accovacciati che parevano respirare alla luce tremolante. Gli animali di marmo riposavano alla base di due imponenti rampe di scale che salivano in alto nell'ombra, coperte da un infinito tappeto spagnolo, verso quello che pareva essere un salone dalle chiare volte a ventaglio e illuminato molto più di quanto riuscisse a fare nell'atrio il povero lampadario sottostante. Povero tuttavia non era il termine appropriato, dato che l'intrico di bracci di metallo era visibilmente frutto del lavoro di un raffinatissimo artigiano.
A bocca aperta Menta abbassò il cappuccio fradicio sulle spalle. Fece qualche passo curioso e reverenziale nell'atrio. Lì vicino, proprio sotto al salone che irradiava luce, pareva potersi raggiungere attraverso un rotondo arco rinascimentale un altro salone immerso nel buio. C'erano splendidi quadri alle pareti, stucchi dorati in ogni angolo, eppure il più totale buio silenzioso impediva di godere della più semplice di quelle meraviglie.
D'improvviso un vociare indistinto, grida e passi affrettati, e delle figure comparvero da ogni parte: dal salone buio dietro l'arco, da quello illuminato in alto e dalle gallerie che da esso si allungavano. Domestici. Increduli e inebetiti quanto lei, si tenevano accuratamente nell'ombra, pochi si sporgevano dalla balaustra in alto per meglio scorgere l'inatteso ospite. Tutti si erano fatti muti.
Menta ripeté fiduciosa ciò che aveva detto già al servitore che le aveva aperto la porta, ma proprio come il primo non le risposero. Iniziava a spazientirsi. - Sapete almeno parlare? -
Una figura si staccò dalle altre, percorse la galleria di sinistra e scese le scale con passo risoluto. Era un domestico in camicia bianca e livrea nera, anziano, impettito, con sopracciglia canute sopra chiari occhi di gufo che scrutarono impassibili la ragazza gocciolante, senza che una sola ruga del volto simile a una maschera di creta si muovesse.
- Sapete dove vi trovate? -
Menta replicò un po' sorpresa:
- A Villa delle Rose - .
- Non sapete che fu fatto divieto a chiunque non autorizzato di entrare qui? -
- Ritengo la tempesta che impervia là fuori un motivo sufficiente per infrangere tale divieto. -
L'uomo spalancò la bocca a tanta testardaggine.
Menta addolcì in fretta il tono. Ricordò le buone maniere, si presentò e aggiunse:
- Posso chiedere al vostro signore di ospitarmi qualche ora finché i miei famigli verranno a prendermi? -
Il domestico la soppesò ancora, austero, girò sui tacchi e risalì le scale. Scomparve nella galleria di destra. Menta inspirò a fondo, maledicendosi per la propria impazienza, e si preparò a una lunga ma sperava fruttuosa attesa.

Ugo bussò tre volte con rispettosa delicatezza. Una voce concesse il permesso di entrare e il maggiordomo aprì rapido la porta, per chiudersela accuratamente alle spalle.
- Cos'era tutto quel chiasso, Ugo? -
- Una signorina chiede ospitalità a Sua Signoria. -
Sul davanzale interno della vetrata grigia, la figura accoccolata ebbe un fremito. - Ospitalità? -
- Pare abbia avuto un guasto alla sua vettura. Impiegheranno qualche ora a venirla a prendere. -
- È entrata nella villa? - gridò l'ombra nera, scattando nel buio.
- Temo che Domenico abbia dimenticato di chiudere il cancello stamane, quando sono arrivate le merci che Sua Signoria aveva ordinato da Venezia. -
- Quel maledetto impiastro, verrà il giorno che lo caccerò via. E tu perché non hai cacciato via questa ragazza? -
Ugo riconobbe il tono irritato, tentò di giustificarsi. - Non ne ho avuto cuore, Vossignoria. Così inzuppata e malconcia, non pare nemmeno una baronessa. -
- Una baronessa? -
Ugo si morse la lingua. - Non l'ha dichiarato, credo io che lo sia, vedete, il suo nome... -
- Quindi non hai il coraggio di cacciarla - tagliò corto l'ombra. Si mosse, oscura e scocciata. - Ebbene, lo farò io. -

La pioggia batteva sulle vetrate nere, si udì un tuono lontano. La servitù di Villa delle Rose seguitava a studiarla incuriosita e muta. Menta, ancora nell'atrio, si era ormai convinta di essere finita in qualche manicomio, o in uno scherzo di pessimo gusto, ma a diletto di chi ancora non le era chiaro.
Finalmente dei passi, e si aprì un varco tra i domestici appoggiati alla balaustra. Affiancata da quella che riconobbe dell'anziano domestico con cui aveva parlato, comparve una sagoma in controluce, di cui Menta non poté distinguere nulla se non la forma. Immaginò a ragione che si trattasse alla buon'ora del padrone di casa. Menta si aspettava che rispondesse alla sua richiesta, o le chiedesse di ripetere la domanda, che le rivolgesse insomma una parola in nome della più basilare educazione, ma quello non aprì bocca. Se ne stava immobile lassù dietro la balaustra, con la luce fioca alle spalle, a guardarla con snervante attenzione. Menta si trovava proprio sotto il lampadario oscillante, il punto più illuminato dell'atrio, involontariamente accecata dalla sua luce che al tempo stesso permetteva all'ombra di esaminarla.
Decise che avrebbe parlato per prima, stanca di quell'assurda attesa. - Buonasera, signore, perdonate la mia intrusione. Come il vostro domestico vi avrà riferito, vi chiedo un breve asilo: una frana ha bloccato la strada per Riva e ha danneggiato la carrozza su cui viaggiavo. Ho mandato i miei servi a chiedere aiuto al paese, saranno qui in poche ore. -
Un infinito minuto di silenzio. Poi l'ombra parlò. - Siete coraggiosa, signora. Perché non siete andata con loro? -
Menta trasalì alla scortesia nella voce bassa, baritonale e stanca e si trovò a farfugliare confusa. - Perché il cocchiere si era ferito nell'incidente e un solo cavallo poteva tornare indietro. -
- Dunque siete coraggiosa e generosa, signora - si corresse l'ombra. Eppure Menta ebbe la certezza che si stesse prendendo gioco di lei. - Non avrete l'ospitalità che chiedete, andatevene. -
Menta si sentì come schiaffeggiata. Nel suo cuore la stanchezza, il freddo e la paura si mescolarono in una miscela pericolosa. Racimolò tutto il proprio autocontrollo dopodiché, garbata ma secca, chiarì:
- Non vi sto chiedendo vitto e alloggio per mesi interi, signore, ma solo un tetto per poche ore - .
L'ombra non si era aspettata una risposta al rifiuto perché aveva già girato sui tacchi. Tornò a esaminare Menta dall'alto della sua posizione.
- E io vi sto dicendo che da me non lo riceverete. -
Le guance di Menta si imporporarono di rabbia. - Posso pagarvi. -
- No. -
- Siete assolutamente rude e meschino - esplose Menta. Che senso aveva ormai trattenersi, mostrarsi signorile, garbata e accomodante se le rifiutavano aiuto in quella situazione orribile? - Come potete, pur sapendo che fuori infuria una tempesta, impedirmi di stare anche solo in un angolo di questo atrio? -
L'ombra non rispose, preferendo osservarla ancora, finché Menta fu talmente a disagio da pensare di andarsene davvero dalla villa.
- No - decretò ancora l'ombra, con una fermezza omicida.
I pugni fremettero lungo i fianchi della ragazza. Non c'era da sorprendersi delle voci che circolavano sul padrone di Villa delle Rose. Era un vero e proprio mostro. Con poche falcate raggiunse il portone e fece per aprirlo, poi ricordò che non era sola. Si voltò. La sagoma scura era ancora là.
- Rifiutate di ospitarmi, signore, e non mi ospiterete. Posso però chiedervi di accogliere almeno il mio cavallo? - Il volto indurito di Menta si addolcì. - Si è azzoppato nella frana, ha faticato ad arrivare fino qui e non sopporterebbe altri sforzi. -
Silenzio.
Menta prese fiato in un estremo tentativo di calmarsi e patteggiare al meglio per la sua bestia. - Se... se ve ne faccio dono, non potrete negargli la stalla, vero? - Quel mattino si era informata degli aristocratici viennesi proprietari dei migliori purosangue per dare il via all'allevamento, poi dopo la visita da Nenè si era rassegnata a un breve viaggio consolatorio al mercato equino di Verona, e ora si trovava a regalare uno dei suoi cavalli migliori. Il destino si divertiva a distruggere il suo sogno pezzo per pezzo. - Vi prego, è giovane, e un buon esemplare, abbiatene cura come uno dei vostri animali migliori. Qualche volta morde il freno, ma lo si blandisce facilmente con un po' di fermezza e poco zucchero. Ha un piccolo difetto all'orecchio destro, vedete, nulla di grave, ma lo rende nervoso e lento nei riflessi quindi usatelo su strade conosciute, meglio se insieme a un altro cavallo per trainare carrozze, non per passeggiare in mezzo ai boschi. - Fu interrotta prima di completare le raccomandazioni.
- State intercedendo... per un cavallo, signora? -
- Credo si possa dire così. -
L'ombra scosse le spalle. - E sia. Vi ringrazio per il dono, signora priva di senno. -
Menta tentò di dare un senso all'assurdità della situazione: fallì. Abbassò la maniglia e uscì senza voltarsi indietro, ma quando il solido portone si richiuse inclemente dietro di lei, tremò. Scese con rabbia la scalinata d'ingresso, infuriata dalla pioggia che scrosciava di nuovo su di lei. Il cavallo baio era dove lo aveva lasciato.
- Hai avuto più fortuna di me - mormorò Menta facendo scorrere una mano sul pelo fradicio. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, e Menta non poté evitare di stringere con tutte le sue forze il collo del cavallo, che fece intimorito un passo indietro.
Un dolore acuto la risvegliò dalla disperazione. Il polso sinistro era gonfio e pulsava per la storta che aveva preso nella carrozza. Lo scontro nella villa l'aveva distratta, ma ora non c'era niente che le permettesse di ignorare il male. Menta scosse il capo, per scacciare anche quel dolore. Imboccò spedita il viale di ghiaia determinata a raggiungere il cancello e andarsene da quel luogo orribile il più in fretta possibile.
Il rombo dell'acqua la rendeva sorda ad altri suoni, e come se non bastasse aveva lasciato la lanterna nella villa. Il buio la inghiottiva, Menta cercò di seguire il viale alla luce dei lampi. Udiva passi dietro di lei? Un servo mandato a occuparsi del cavallo. Rallegrata almeno in parte, Menta si ostinava a non chiedersi che cosa sarebbe stato di lei, continuava a camminare.
- Signorina! -
Era la sua immaginazione disperata che le mostrava un domestico correre verso di lei?
- Signorina, aspetti! - Il domestico che le aveva aperto il portone la raggiunse e, appoggiandosi coi palmi sulle ginocchia nel riprendere fiato, annunciò con quanta solennità gli concedessero l'affanno e la pioggia:
- Il Conte accetta la vostra richiesta - .
Menta ringraziò il cielo per aver illuminato il Conte di Villa delle Rose.

Alice Kindl

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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