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Autore: Claudia Calisti
Nidi di rondine
Narrativa
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Nidi di rondine
Era nata tre ore dopo la mezzanotte. Moretta di capelli e chiara di pelle, suo padre le aveva scelto un nome che richiamava questi due caratteri fisici: Mokira.

Sessantaquattro anni dopo Mokira era una donna realizzata e appagata alla quale il successo stava finalmente strizzando l'occhio.

All' improvviso il suo nome e i titoli dei suoi libri rimbalzavano su tutti i media di comunicazione. La fortuna economica, solo all' inizio, prometteva bene, tuttavia, quello che la riempiva di gioia non erano le vendite dei suoi libri ma la volontà dell'acquisto di essi da parte dei lettori: un punto di vista opposto a quello corrente di molti suoi colleghi, sebbene non escludesse affatto l'interesse per il raggiungimento di un maggiore benessere.

Con una attività costante e tenace di anni, pur non febbrile, alla fine aveva tagliato il traguardo sognato.

Consapevole di non essere un premio Nobel per la Scienza, ma solamente una scrittrice di successo, manteneva un atteggiamento garbato e disponibile con chi la riconosceva per la strada e le chiedeva di autografare uno dei suoi libri o semplicemente la pagina di un taccuino. Le piaceva l'idea che una persona estranea si prendesse la briga di acquistare un suo lavoro, di leggerlo e magari di volerla incontrare, anche solo per stringerle la mano.

Per questa ragione aveva scelto di mantenere la sua iscrizione ad un popolare social network dove a qualche settimana dalla sua presentazione al tempio, si scatenarono messaggi di ogni provenienza, inviati da sconosciuti e non.

Maeve sbuffò infastidita-Anche oggi la solita lista di fancazzisti, cosa devo farne? -

-Non essere così categorica con i miei fans, magari fra di loro potrebbe celarsi l'uomo della mia vita! - disse falsamente risentita Mokira alla sua amica e preziosa collaboratrice che le faceva da manager.

-Fosse la volta buona che tu lo trovassi, così la smetterebbero di malignare su noi due! -

-Se anche quel gossip fosse vero, non avrei nessun problema! -

-Tu no, ma io sì! Non ho mai smesso di apprezzare le attenzioni maschili -

-Quand' è così non perdere altro tempo e pesca nel mucchio dei miei ammiratori: chissà mai ci trovassi qualcuno che ne valga la pena, te lo cedo volentieri, lo sai come la penso. -

Maeve sospirò. Roteando gli occhi ripeté stancamente il mantra spesso recitato dalla sua amica -L'Amore esiste ma una su mille ce la fa, quindi, meglio ingegnarsi a vivere d'altro. -

Mokira scoppiò a ridere - Prima o poi te ne convincerai anche tu. Nel frattempo regolati così: estrai solo nomi di provenienza del mio paese d'origine. E' un filtro valido. -

-Lo farò con rigore, come mia abitudine, ma la lista la vuoi anche in ordine di età?- rispose ironicamente Maeve guardando l'amica da sopra gli occhiali.

Mokira non colse il tono e invece assentì -Buona idea, così il filtro sarà doppio, però basati sulla mia data di nascita, anno più, anno meno. -

-Non so cosa tu abbia in mente, ma spero di trovare un numero sufficiente di tuoi coetanei ancora in vita da poterci fare una lista. - ridacchiò Maeve, più giovane di una decina d'anni.

-Hai ragione: oppure molti di loro potrebbero non essere più in grado di leggere e/o di scrivere. - Scherzò Mokira.

-Ci proverò, contaci. Mi metto subito al lavoro. -

-Ok, intanto io vado a cambiarmi così poi ce ne andiamo a cena fuori. -



Al momento del dessert, all' improvviso Maeve si ricordò della lista, la tirò fuori dalla sua capace borsa, la consegnò a Mokira e si accese una sigaretta.

-Lawrence Taylors, cuoco, 1946, Mel Rockstein, 1949, ingegnere informatico, Eli Lowdrop, 1950, impiegato statale, Alex Littlehammer, 1952, imprenditore abiti confezionati. Ottimo lavoro Mavy, ma l'ordine d'arrivo è diverso -

-Se è per questo i loro messaggi sono tutti degli ultimi tre giorni e ho pensato che questo fattore non fosse importante -

-Hai ragione, intendevo il loro ingresso nella mia vita -

-Li conosci? -

-Tutti e quattro. Ed è strano che si siano fatti vivi quasi in sequenza! -

-Quale sequenza? -

-Quella delle storie che ho avuto con loro. Non ce ne sono altri delle mie parti, anche allargando la data di nascita? -

- Non della zona di ricerca. Ma qualcuno potrebbe essersi spostato. -

-Sono curiosa. Li contatterò. Vedi se ti danno un recapito telefonico. Non dare il nostro. Per ora. -

-Vuoi incontrarli? -

-Perché no? Sono curiosa, te l'ho detto. -

-Anche io lo sono, quale è l'ordine di comparizione? -

Mokira sbottò a ridere -Detto così suona allarmante! Comunque il primo fu Lawrence, il cuoco, poi ci fu Eli, allora studente, quindi Alex, anch'egli studente e quindi Mel, allora tecnico informatico. -

-Bene: per ora sappiamo solo che sono viventi e che si ricordano di te. Per il resto indagheremo. -

-Non hai guardato lo stato civile? -

-Non particolarmente ma mi pare di ricordare che fossero tutti sposati. -

-Saranno nonni ormai-

-Vedremo, intanto si son fatti vivi loro per primi, e hanno richiesto l'amicizia, quindi sono autorizzata a far loro domande. Al posto tuo, s'intende-

-Restringendo a questi quattro, domani fammi sapere altri dati e soprattutto il recapito telefonico.

Mi raccomando sii gentile e mostrati lusingata: gli uomini sono tutti delle civette inguaribili, sensibili ai complimenti come vecchie zitelle. Tanto più che neanche loro sono dei giovincelli. -

-Non dubitare. Me li lavorerò per benino. Ci sarà da divertirsi! . -







A casa si fecero un drink prima e una tisana dopo, per tacitare i sensi di colpa e poi Maeve si ritirò nella sua stanza, morta di sonno, mentre Mokira si attardò a leggere, anzi a tentare. Come in un vecchio film, i volti dei quattro, le tornavano in mente e con essi mille particolari. Si chiese come potessero essere adesso. Che aspetto avessero. Rimuginò parecchio con la sua mente da romanziera e poi finalmente scivolò nel sonno.



Mentre facevano colazione Mokira posò la sua tazza di cappuccino al latte di soya, bevanda francamente detestata da Maeve, fedele al suo mate -Mi sono svegliata verso le cinque in preda a un impulso irrefrenabile. Ho buttato giù l'architettura di un nuovo libro. -

-Lasciami indovinare: un raduno degli ex?- Maeve si accese la prima sigaretta del mattino, disponendosi ad ascoltare.

-Esatto. Quindi ho preso il mio portatile e ho indagato sui soggetti della lista. E ho cambiato idea. -

-Vuoi occupartene personalmente mentre io revisiono - Anche di sera - ? -

-Esatto. Questo mi sembra un lavoro più utile che stare dietro a un mio capriccio. -

-Se hai intenzione di cavarne una storia, anche l'indagine su probabili futuri personaggi ha senso.-

-Vero. Ma la revisione non posso farla mai bene come la fai tu e figuriamoci la traduzione nella tua lingua, mentre con le indagini me la cavo bene anche io. -

-Sta bene querida, a patto che non mi interrompi ogni dieci minuti con qualcosa che non puoi aspettare a comunicarmi. -

-Uh, tranquilla, stavolta credo proprio di no. - Mokira sogghignò pregustando i risultati e gli sviluppi delle sue indagini. -

Con un sospiro Maeve si alzò da tavola poco convinta e portandosi dietro il suo mate con la bombilla*, si diresse nello studio.

Mokira aprì il portatile. Entrò nel social network dove era iscritta.

Per un caso mirabilmente incredibile tre su quattro erano online: la stavano aspettando? Dopotutto erano solo le dieci del mattino, orario normalmente di lavoro di un giorno feriale.

Andò per ordine. Aveva già le informazioni base su ognuno di loro, trovate qualche ora prima dalle rispettive pagine. Uno solo aveva messo la foto nel profilo. Il primo della lista era Lawrence Taylors, che era stato anche il suo primo amore, quando lei aveva solo 13 anni e lui già 18. Un'estate al mare in una località scelta dal padre. Come ogni anno. Era stato amore a prima vista. Entrò in chat.

-Salve! Sono Mokira

-Ciao, sono Fabien

-Fabien?

-Sì, sono il figlio di Lawrence

-Tuo padre mi ha cercato e ho pensato di rispondergli

-Si, lo so, so chi è lei

-Bene, allora salutamelo tu

-No, aspetti, è mio padre che mi ha detto di chattare per lui

-Non capisco

-Un mese fa ha avuto un leggero malore con conseguenze alla vista e adesso non può stare molto al computer, però ci teneva a comunicare con lei.

-Ah, va bene, ma cosa è stato?

- Mio padre lavora troppo, io e mia sorella glielo diciamo sempre ma lui è fatto così. Non può stare senza andare ogni giorno al negozio. Vuole sorvegliare tutto di persona.

-Negozio?

-Abbiamo una pasticceria in centro città che va alla grande ma è un grosso impegno.

-Ci lavorate tutti?

-No, io sono musicista, mia sorella cantante lirica e mia madre casalinga: mio padre non ha mai voluto che lei lavorasse

-Capisco. Vivete in città?

-Oh no, abbiamo una villa in collina, un posto meraviglioso, lontano dal fracasso e dagli scocciatori

-Scocciatori?

-Oh sì, all'inizio vivevamo in città, quando eravamo piccoli ma gli inquilini del condominio facevano sempre questione ogni volta che mio padre si esercitava al piano

-Sì, ricordo che mentre si preparava alla sua professione continuava con la passione e per la musica, anzi soprattutto amava cantare e accompagnarsi con la chitarra

-E la suona ancora. Fa pure delle serate. Ormai è in pensione, l'attività l'ha data in gestione, anche se va ogni mattina a controllare. Dice che in sostanza il nome è sempre il nostro. Poi però si è stancato troppo, la sera fa tardi, la mattina va fare la sua ispezione e al pomeriggio organizza spettacoli di beneficienza

-Una vita piena

-Sì, anche troppo, mia madre glielo rimproverava spesso

-Rimproverava?

-Da quando mia sorella ha avuto due gemelli, non si lamenta più, adesso ha fin troppo da fare! Kira va a fare concerti e lei fa la nonna

-Posso chiederti quanti anni hai?

-27! Mokira 29.

-Come va la tua carriera di musicista?

-Sono soddisfatto, ho un ingaggio fisso con la televisione e faccio concerti in giro anche all'estero, sono compositore

-Wow, complimenti per il tuo successo!

-Complimenti a lei, ho letto alcuni suoi libri bellissimi

-Quale ti è piaciuto di più?

-Pescatore di donne, senza dubbio, ma anche Life Slavery.

-Bene, ti ringrazio per la conversazione e salutami tanto tuo padre.

-Lui s'impicca con la tecnologia e si può dire che la sua pagina gliela gestisco io, lui mi dice cosa vuole e io scrivo, pubblico e tutto il resto: anzi se le fa piacere le mando qualche foto.

-Ti ringrazio, ok!

-Gliela mando subito, anzi già che ci sono ci metto anche il numero di telefono.

-Va bene. Ciao!

Seguirono alcune foto e il numero di un fisso.

Lawrence era irriconoscibile. Un uomo di 69 anni rimpicciolito rispetto al marcantonio che era a 18 e anche dopo, quando lo rivide a qualche anno di distanza. Il volto asciutto come una meluccia. Nella foto di famiglia il figlio lo ricordava nel volto esattamente come lui era allora, anche se non con la stessa prestanza fisica. La ragazza invece era bellissima. Stranamente la moglie non compariva in quelle foto. Erano state scattate ai concerti di Fabien e alle serate di Lawrence. In tutte si mostrava elegantissimo con impeccabili smoking. C'era anche una foto della pasticceria, un esterno liberty molto raffinato.

Si alzò con l'irreprimibile intento di parlare con Maeve. Mokira era una che non fumava e poteva fare a meno di superalcolici se era necessario, ma accidenti, non rinunciava mai a non condividere le emozioni con la sua ombra. Per tenere fede alla sua promessa, però, prima di interrompere il lavoro di Maeve passò in cucina e si versò un Mohito analcolico.

Fu Maeve a raggiungerla.

-Novità?- chiese mentre era intenta a cebar mate*.

Mokira riferì l'esito della chat in tutti i dettagli.

-Non ti resta che chiamarlo stasera orario cena. Se è un tipo routinario ce lo troverai. -

-Non so se ho voglia di farlo, sai -

-Perché non mi racconti tutta la storia che ci fu fra di voi? -

-Che non ci fu- più esattamente.

-Insomma deciditi a parlare di questa faccenda perché almeno cambierai l'espressione che hai adesso in faccia e che non mi piace per niente. -

-Ok, sediamoci-

-Per anni ogni estate siamo andati al mare nello stesso posto. Lui ci viveva. Ci innamorammo. Per me era la prima volta che provavo questo sentimento. La cosa andò avanti a occhiate furtive dapprima e poi sempre più appassionate. Di sera era il momento più fresco della giornata e si stava tutti o in veranda o sulle panchine della passeggiata a godersi il vento e il cielo stellato. In vacanza andavamo sempre con gli zii e i miei cugini. Quella sera chiedemmo il permesso di fare un giro e insieme a una mia cugina e al suo fidanzatino ci avviammo lungo il viale alberato che faceva da perimetro alla cittadina. A metà strada fummo raggiunti da Lawrence che era stato avvertito del nostro programma. Non so dire come accadde ma o ci staccammo dal gruppo inconsapevolmente persi uno negli occhi dell'altra, mano nella mano, o fu il gruppo a staccarsi da noi per farci uno scherzo, sta di fatto che camminammo a lungo incantati da quel momento magico, inoltrandoci lungo la provinciale completamente dimentichi del mondo intorno. Intanto il tempo era passato e accortici che gli altri non ci seguivano più, ci fermammo ad aspettarli seduti su un muricciolo, la sola cosa bianca in quello scenario completamente nero a parte le stelle in cielo, gli occhi luminosi di Lawrence e la medaglietta con la Madonna che portava al collo. Ricordo che anche i suoi abiti erano neri: una polo, jeans e scarpe. Stavamo parlando. Lui mi disse che mi aveva dedicato una canzone: Libera al sole. Io gli chiesi di farmela sentire. Lui iniziò a cantarmela. D'improvviso due fari ci accecarono e un'auto inchiodò a poca distanza da noi e udimmo una voce urlare il mio nome, seguito da insulti feroci. Mio padre mi piombò addosso prendendomi per i capelli e picchiandomi con calci e pugni con una violenza disumana. Caddi a terra ma lui continuò a infierire su di me con i fatti e con le parole. -

-E Lawrence?-

Mokira fu presa da un riso isterico. Le ci volle un poco per calmarsi.

-Lawrence se la diede coraggiosamente a gambe scappando come una lepre giù per i campi e credo abbia continuato a correre terrorizzato fino al mattino dopo. So solo che non lo rividi mai più neanche alla fine della vacanza e cioè una settimana dopo. Successivamente venni a sapere che non era nemmeno uscito da casa per tutto quel tempo, sotto shock. -

-Non lo rivedesti mai più? -

-Cinque anni dopo gli tornò il coraggio e un settembre me lo ritrovai nel giardino dell'Università, venuto appositamente per chiedermi di sposarlo, accompagnato dal fidanzato di mia cugina.-

-Ma nel frattempo, le estati successive, non tornaste più in quella località?-

-Sicuro, ma lui puntualmente spariva di circolazione non appena sapeva del nostro arrivo. Il solo segno di vita da parte sua fu un 45 giri che aveva inciso con la canzone a me dedicata, che mi fece avere da mia cugina, cosa che presi con molta freddezza. -

-E quale fu la tua reazione a quella proposta d'amore benché tardiva? -

-Tardiva, appunto, e come tale priva di pregio. Soprattutto perché non potevo perdonarlo. Mi aveva lasciato nelle grinfie di un pazzo senza muovere un dito e pensando solo a salvarsi le chiappe. No, non potevo accettarlo. E cinque anni dopo ancora meno: non potevo. -

-E oggi?-

-Nemmeno: sebbene l'aspetto più devastante di quella esperienza fosse stato ed è la violenza di mio padre, non è da sottovalutarsi il vissuto di abbandono e di abbandono in una situazione come quella. Dove era l'amore? Pur comprendendo oggi, che un uomo a diciotto anni è un bambino mentre una donna a tredici è una donna e io lo ero, e dando la percentuale di colpa più al comportamento di mio padre che al suo, tuttavia quella fuga in quel momento non l'ho mai dimenticata: un abbandono che non si è mai rimarginato, insanabile ancora oggi, a ripensarci. Se fossi un giudice, darei il massimo della pena al genitore che ha il dovere di amare e proteggere i figli, e comunque una pena esemplare pure a lui. -

-Puoi dargliela oggi... -

-Non lo chiamerò-

-Al contrario. Secondo me, mentre tuo padre ha continuato a vivere come niente fosse accaduto, lui deve esserselo rimproverato tutta la vita. La vergogna per quell'e pisodio deve averlo travolto. Altrimenti non sarebbe tornato dopo così tanto tempo. Pensa quanto ci ha messo a superare la vergogna e la paura. -

-Non hai idea di quante volte ho continuato a sognare quella scena maledetta e quanto ha condizionato le mie scelte future partire con quel piede sbagliato: proprio per quella sua reazione di fuga e di abbandono! Il punto è che anche l'occasione per una mia revanche verso di lui, con il mio no gelido, è arrivata troppo tardi. Intanto altre storie c'erano state, disgraziatamente condizionate da quell' episodio, a causa sia della reazione di mio padre sia della sua. -

-Sai cosa penso? Che anche adesso abbia mandato avanti il figlio per paura di essere ancora respinto. Probabilmente si porta ancora dentro tutto. Anche se poi si è sposato e ha avuto figli, una famiglia, successo professionale e via dicendo, tuttavia prova ne è che ha chiamato la sua prima figlia come te. -

-Può essere. Ma vedi, non posso fare a meno di pensare che lui ha avuto una scelta, quella sera, mentre io no. Lui ha potuto mettersi in salvo, e io no. E cosa è Amore se non condivisione e protezione? Ricordo che mentre mio padre mi picchiava io urlavo: - ...perché? Non mi ha fatto niente! - pensando che si accanisse su di me a causa sua, visto che non aveva smesso di darmele dopo che avevo detto invece: - ...non ho fatto niente - . -

-Ti sarai chiesta chissà quante volte cosa sarebbe accaduto senza l'intervento di tuo padre o perlomeno con un intervento diverso, da genitore equilibrato e amoroso. -

-Certamente. Probabilmente sarei stata io oggi sua moglie. Che da quanto ho capito non se la passa male. La felicità non esiste, lo sai come la penso, ma almeno avrei raggiunto la serenità molto prima, non a questa bella età, ma , soprattutto, probabilmente mi sarei evitata tutte le terribili esperienze successive, una più triste dell'altra. Quella terribile partenza è stata come un marchio. Credimi. -

- A la mierda, hai proprio ragione. -

-Lo chiamerò, stasera. Nel pomeriggio andrò avanti. Sotto a chi tocca. -

-Di chi sarà la volta?-

-Eli Lowdrop-

-Che Dio ci aiuti, se questo è solo l'inizio! - Maeve schiacciò il mozzicone e si accese un'altra sigaretta.

Visto che era quasi mezzogiorno, Mokira andò a farsi un bagno in piscina e dopo aver nuotato placidamente per una mezzoretta vide Maeve che dietro i vetri della finestra si affaccendava ai fornelli. Un buon odore si diffuse poco dopo fino al giardino.

Si avvolse nell'accappatoio e ciabattò in cucina.

-Spaghetti al pesto-

-Senza aglio, spero- bofonchiò Mokira già con l'acquolina

-Ci mancherebbe! Non vorrei uccidere il vampiro che è in te! -

-Mi prendi per la gola! -

-Mi prendi per scema? Piatto unico, amica mia, sennò dopo, chi ti sente a lagnarti per i rotoli di ciccia? -

-Ah se non ci fossi tu, Mavy! Mi scofanerei tutta la dispensa e il frigo in una volta! -

-Ah se non avessimo la piscina nel nostro giardino! -

-Ce la siamo guadagnata ampiamente, col nostro lavoro, non ti pare? -

-Uhm, non riuscirei ad andare in palestra in mezzo a tutta quella gente sudaticcia...-

-Sì, siamo molto fortunate a poter vivere libere. - Beata solitudo, sola beatitudo - concluse Mokira.

-Di tutti i tuoi mantra, questo è quello che mi garba di più. A patto che la solitudo si possa interrompere a mio piacimento...-

-Accomodati! Hai un mucchio di postulanti famelici da passare al setaccio! - Mokira sghignazzò come un ragazzaccio, prima di servirsi un'altra porzione di pasta.

-A proposito: ho finito di revisionare il testo e posso cominciare con la traduzione. Ma prima ho bisogno di una pausa. Così ho effettivamente spulciato diversi nominativi e, per quanto mi riguarda, non ho trovato nessun elemento degno di interesse: solo vedovi ultrasessantenni così affranti da mettersi a fare stucchevoli proposte di matrimonio. Sedicenti ingegneri di vari rami, stranamente britannici, tutti con figli adolescenti-

-Perditempo-

-Peggio: truffatori. -

-Come fai a dirlo?-

-Cosa mai potrebbe spingere un vedovo devoto alla defunta moglie, come molti recitano di essere, a contattare una scrittrice sulla cresta dell'onda per proporle di sposarla? -

-Sono d'accordo. Costoro vanno in cerca di soldi da spillare a sprovvedute disperate o a donne di successo che loro presumono bisognose di compagnia. Merda. -

Qualcuno lanciò un pallone nella piscina.

-Ancora i ragazzi dei vicini- sbottò Mavy irritata.

Mokira scoppiò improvvisamente a ridere.

Mavy la guardò interrogativamente.

-Dovresti vedere Le facce dei nostri vicini quando nuotano a rana. -

-Che facce?-

Mokira ci mise un poco a riprendersi prima di poter parlare, sopraffatta dalla ilarità ogni volta che ricominciava a parlare. Voleva rifare per Mavy le facce che aveva visto ma era difficile riuscirci senza sganasciarsi.

-Lui, il marito, sporge il labbro inferiore talmente in fuori da sembrare una rana vera -

Mavy iniziò ridere anche lei facendo segno di andare avanti.

-La moglie invece, risucchia le guance così tanto da ricordare un tacchino -

Mavy si era piegata in due sulla sedia e dava segni di aver bisogno di un bicchiere d'acqua per ripristinare la respirazione.

-E il figlio invece sporge le labbra a culo di gallina -

-La figlia, infine, ha un naso talmente lungo, che la bocca non si vede e pare un formichiere-

Mavy dovette correre in bagno velocemente mentre Mokira si alzò da tavola per restituire il pallone al vicino, venuto a richiederlo e a scusarsi.

Ancora sogghignando Mokira rigovernò allegramente mentre Mavy tornava nello studio e poco dopo aprì il portatile per chattare con Eli.

Non fece nemmeno in tempo ad aprire la conversazione che lui la precedette.

-Moki

-Salve!

-Come stai?

-Alla grande, e tu?

-Si campicchia

-Problemi?

-Sono bloccato da una sciatalgia terribile

-Oh, oh, mi dispiace!

-Colpa mia, insisto ad andare in moto come avessi ancora 20 anni!

-Non lo so come eri a 20 anni!

-Ah, ah, hai ragione: ci siamo lasciati prima

-Mi, hai, lasciato

-Sai che non ricordo il perché? Ma doveva essere una stupidaggine

-A quel tempo non la pensavi così

-Adesso mi ricordo: fu per quella storia a casa di Nick

-Esatto, una storia molto spiacevole

-C'era stato anche lui con la vecchia bagascia, ah , ah ah, eravamo dei ragazzi-

-Sì, ma lui non era fidanzato

-Che vuol dire? A quella età ti senti i fuochi d'artificio nei pantaloni con o senza fidanzata e se la tua lei non ci sta, in qualche modo devi pur provvedere

-Che ne è stato di Nick?

-Sta bene: ha fatto i soldi

-E tu invece no?

-Non posso lamentarmi. Ho una casa al mare, una in montagna, due figli laureati ben sistemati e una moglie che ancora mi sopporta

-Dove sei adesso?

-Sono in città, qua ho casa di mia madre, l'ho presa io perché mia sorella Adrian ha sposato un tedesco e vive in Germania

-Me la ricordo tua madre: era molto affettuosa, ti chiamava a sedici anni, ancora il mio bambino

- Lei non c'è più, ma lo sai che ti voleva bene?

-Sì, me lo ricordo, certamente più di te

-Ma io ero molto innamorato, solo che tu mi sfuggivi

-Ti sfuggivo?

-Sì, insomma, avevi delle idee tutte tue particolari sul sesso, le ragazze dei miei amici non avevano nessun problema invece. Non ti ricordi come ti chiamavano nella nostra comitiva?

-Eccome! Suor Mokira. Era una colpa?

-No, certo, ma sì, insomma, fu quello il motivo per cui organizzammo quella sera a casa di Nick

-Non potevi pazientare? In fondo io avevo solo 15 anni e un padre padrone, che ti aspettavi?

-Ah sì è vero, mi ricordo di quella volta della fede di fidanzamento

-Me la nascose dentro una saponetta e la ritrovai dopo settimane, quando la saponetta si era consumata, dopo aver pianto tanto, disperando di ritrovarla-

-E io ti dissi che te ne avrei comprata un'altra, di non piangere, e mia madre mi dette i soldi

-Invece poi te ne andasti. E magari con i soldi ci pagasti Anna

- Cristo! Ricordi ancora il suo nome?

-Ricordo anche la sua faccia, i capelli biondo stopposi e gli orecchini pacchiani che indossava, la sola cosa che non aveva tolto prima di ficcarsi a letto con te e Nick

-Pensavo te lo avessero detto, invece ci vedesti proprio!

-Ero venuta cercarti a casa e tua madre mi disse che stavi da Nick a studiare. Volevo farti una sorpresa, era il giorno di S. Valentino, trovai la porta di casa stranamente accostata. Entrai , poi udii dei rumori dalla stanza da letto

-Avevamo lasciato la porta aperta perché doveva raggiungerci Frankie, di lì a poco, ma poi non venne

-Non parliamo più di questa storia. Che ne è di Frankie?

-Sposò la sua Mary e hanno avuto due figli. Lui fa l'artista, lo scultore. I figli hanno aperto una palestra. Anche lui ha la passione per le moto e spesso andiamo ai raduni insieme.

-Si, ricordo Mary. Una ragazza veramente affettuosa e gentile. Una volta mi prestò un paio di scarpe sue per uscire e venire da te, perché mio padre mi aveva messo sotto chiave tutte le mie, pensando di impedirmi di vederti. Ma mi stavano strette: io avevo il 37 e lei il 35

-E mia madre vedendoti i piedi feriti ti regalò un paio delle sue. Ma perché tuo padre non voleva che stessimo insieme?

-Mio padre voleva solo vedermi soffrire. Non c'era un altro motivo, non ce l'aveva con te. Non ti ha mai ricevuto in casa, quindi eravamo fidanzati a metà, solo a casa tua, come non ha mai voluto nessuno neanche dopo

-Perché avevi tanta paura del sesso?

-Paura? Terrore. Ma non tanto del fatto in sé: non sapevo nemmeno esattamente in cosa consistesse, temevo la sua punizione

-Non capisco come avrebbe potuto fare a scoprire che l'avessimo fatto

-Guarda, una volta ci vide che eravamo in giardino sotto casa e lui mi chiamò per mandarmi a comprare delle bibite al supermercato. Ci andammo insieme e durante il tragitto ci fermammo per baciarci nell'area di servizio scarico merci per i camion. Ricordi?

-Vagamente

-O perché ci aveva seguito, o qualcuno glielo andò a riferire, era pieno pomeriggio e la cosa avvenne alla luce del giorno, anche perché non era nulla di scandaloso, fatto sta che al mio rientro mi prese per i capelli fin dalla porta e mi ammazzò di botte condite dai peggiori insulti e minacce, senza che io potessi difendermi perché avevo in mano le bottiglie e temevo che se le avessi lasciate cadere avrebbe raddoppiato la dose.

-Cristo!

-Ma alla fine lasciai andare le bottiglie, il cui contenuto gassoso, con tutto quell' agitare, schizzò in alto sulla parete macchiando irrimediabilmente la preziosa carta da parati che restò in quel modo per anni e mia madre ci mise un mobile davanti ma io sapevo che dietro c'erano quelle macchie e questo mi faceva un effetto devastante.

-Giusto, tua madre, ma lei non ti difese?

-Non ricordo in tutta la mia vita un intervento in mia difesa, e nei miei ricordi più lontani non la vedo proprio presente.

-Lo dico perché mia madre ha sempre difeso me e mia sorella da mio padre quando tornava a casa ubriaco e alla fine lo ha cacciato di casa per sempre e dopo ancora siamo andati tutti a vivere da mia nonna.

-Sì ricordo che tua sorella me lo raccontò e ricordo anche tua nonna e il suo cognome che suonava come quello di una principessa. Che ne fu di tuo padre?

-Morì di cirrosi. Ma non ho fatto una lacrima. Per mia nonna invece mi sono disperato.

-Mi dispiace per tua madre. Non l'ho mai dimenticata. Anche perché più avanti ho capito la sua brutta esperienza coniugale

-Adesso ho capito quanto sono stato stupido, dico, con te.

-Cosa dici? Non sei felice con tua moglie?

-Che c'entra? Sono stato un povero idiota. Ma non potevo immaginare che ci potesse essere un altro padre stronzo come il mio. E che a causa mia lui ti facesse del male.

-Non era a causa tua. Lo ha sempre fatto, prima e dopo di te. Ma certo non meritavo il tuo tradimento, dopotutto. Fu una cosa insopportabile per me.

-E per ciliegina me ne andai pure. Che pezzo di merda che sono stato.

- Poi ti sei fatto una famiglia no?

-Sono stato uno stronzo lo stesso.

-Non serve che ti flagelli ora per allora. E non sperare di fregiarti del primato di stronzo nei miei confronti , perché non ce l'hai.

-Questo mi dispiace

-Cosa, non avere il primato?

- Ma dai, che hai sofferto ancora. Come mia madre.

-E' passato, adesso va benone. Sono una donna appagata e non manco di nulla. Ce ne è voluta, d'accordo, ma quel che ho raggiunto adesso solo la morte potrà portarmelo via.

-Lo so, ho visto, sono stato felice per te. Te lo meriti. Leggerò i tuoi libri. Ne ho regalati due a mia figlia. Lei è insegnate di Lingue in un liceo.

-Quali hai scelto?

-Flor e Bienvenidos. Ho scelto bene?

- Per uno scrittore i libri sono come figli. Leggi The Fisher. Chi lo legge fa un omaggio a tutte le donne, non solo a me.

Mokira guardò l'orologio.

-Ti devo lasciare, ora devo fare una telefonata urgente. Fammi sapere dei miei libri, se vuoi.

-Non sparirò. Ti mando una mia foto. In rete non amo metterle.

-D'accordo. Ciao

-Ti abbraccio

Un istante dopo ecco comparire una foto di famiglia con due bei giovani, i figli di Eli, la ragazza, bella, somigliantissima a lui da giovane, il maschio più striminzito, tuttavia interessante, la moglie una donna sfatta, evidentemente molto più anziana di lui. E lui? Irriconoscibile in quel volto circondato da una barba grigiastra, guance cascanti, fronte rugosa, qualche dente rimesso e una pancia esagerata. Niente dello splendido sosia di Mal, il cantante inglese, che era stato ai bei tempi.

Arrestò il portatile e prese il cordless. Fece il numero di casa di Lawrence.

Una voce femminile rispose.

-Buonasera! Sono Mokira Handsome, vorrei salutare Lawrence-

-Buonasera, sono la moglie, Lawrence non c'è, è fuori per una serata, mi dispiace, chissà come ci resterà male quando saprà che non l'ha trovato-

-Non importa signora Taylors, sarà per un'altra volta, grazie, buonasera.-

La signora non chiese il suo recapito e lei non glielo diede. Lui non si fece più vivo. Gli uomini non cambiano.

Cenarono in giardino dopo essersi cosparse di fluido antizanzara: non ce n'erano quasi mai ma le due donne amavano essere prudenti e vestire abiti leggeri che le lasciavano scoperte e libere.

-Che omuncolo: mandare innanzi la moglie-

-Tu credi? E se invece davvero non si trovasse in casa?-

-Ti avrebbe chiesto un recapito per farti richiamare-

-Ci ho pensato anche io. -

Mavy si accese una sigaretta e Moky si versò ancora del vino. Segno che volevano addentrarsi in una analisi dei fatti.

-Pensi di scrivere un romanzo su cosa vuol dire averli perduti o averli ritrovati?-

-Penso di usare i dettagli della mia storia personale come fari per illuminare il senso della mia vita-

-In una sequela di momenti tanto bui, altro che fari ci vorranno-

-A che punto sei con la traduzione di - Anche di sera - ? -

-A buon punto. Voglio far presto per prendermi una pausa. Desidero andare a B. Aires a trovare mio figlio e rivedere i miei nipotini. Tu intanto potresti farti un periodo in beauty farm, invece di rimandare sempre. -

-Uhm, propinano solo schifezze a pranzo e cena e a orari in cui non ho fame. Piuttosto parto per uno stage di percussioni. Se trovo lo stesso gruppo dell'altra volta ci sarà da divertirsi. -

- E magari rimorchi pure-

-Scordatelo. Non ci penso proprio. Sono tutti vecchioni-

-Ah già, dimenticavo, com'è l'altro tuo mantra in proposito?-

- - A gatto vecchio sorcio tenero - -

-Una pantera come te, se li pappa in un sol boccone-

-Ma se non l'ho fatto da giovane! -

-Non per tua scelta, a quanto pare. Ah,sì, bella mano di carte che hai avuto, tra inetti e carajos de mierda-

-Erano solo ragazzi, ammettiamolo.-

-Uomini con la sindrome di Peter Pan-

-Destino-

-Paparino-

-Anche. Ma dopo non sono cambiati. -

- A ver. Ne hai ripescati solo due. -

-Domani tocca ad Alex. -

-Magari lui è diverso. -

-Un incontro al buio? -

- Quién sabe? Magari ti sorprenderà-

In quella partì il gingle del cellulare di Mavy. Era Miguelangel, suo marito.

-Tutto bene?- a Moky non sfuggì l'aria contrariata di Mavy.

-Si è messo in testa di vendere una proprietà intestata a tutti e due per fare non so che investimento vantaggioso e pretende la mia firma per procedere con la vendita. Il punto è che non ci penso nemmeno, io, a vendere. Non puoi mai dire cosa può capitare domani e non intendo sprovvedermi. Dopotutto ho acconsentito a non divorziare perché tanto non ne avrei avuto alcun vantaggio, bastandomi l'accordo di farci ognuno la nostra vita separatamente, e adesso non voglio seccature di nessun genere. Se ne è tornato al paese d'origine per fare la vita che gli piace e mi lasciasse in pace. -

Mavy cercò una sigaretta ma il pacchetto era vuoto. Accettò in cambio un bicchiere di vino chilled dalla caraffa termica.

-Ho sopportato le sue angherie per anni, non avendo la forza di sconvolgere i miei vecchi che non avrebbero capito, ma anche perché non avevo una indipendenza. Adesso che finalmente l'ho conseguita, voglio tutta la mia libertà di spazio e movimento e non mi deve seccare nemmeno con le sue stupide iniziative del cavolo. Posso finalmente permettermi di oppormi ai suoi intrallazzi e mi prendo il lusso di dirgli di no . Entonces, que vaya con Dios! -

-Sì, ma non piangere, però-

-Sono solo stizzita-

-Ci farai l'abitudine. Ad un certo momento non lo ascolterai nemmeno più. -

-Siamo noi, sempre solo noi a dover cambiare, loro non cambiano.-

Claudia Calisti

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