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Autore: Riccardo Oliverio
Elvira
Storico Sentimentale
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Elvira
Bergamo una fredda mattina d'autunno del 1969, Elvira e Sebastiano si incontrano.
È l'alba di quell'Italia sessantottina in cui era forte il desiderio di cambiare, ma anche quello di conservare.
Tra loro si instaura, da subito, un profondo sentimento.
Lei è una ragazza impegnata politicamente, contrastata dalla sua ricca famiglia borghese.
Lui approva le sue idee, ama la musica, ma non quanto ami Elvira. E proprio mentre decidono di vivere insieme lei scompare misteriosamente.

Si fanno progetti, per il nostro futuro e poi, non teniamo conto della imprevedibilità della vita, capita così, qualche volta, che esistere, diventa speranza del miracolo atteso.

14 maggio 2014
Lei si fermò, per lasciarlo solo...
Lo accompagnò con lo sguardo fino all'ingresso. Poi lui, reggendo il mazzo di rose rosse a stelo lungo, varcò la soglia ricambiandole una tenera occhiata d'intesa.

1969

Autunno
Più che un autunno caldo, definito così per le tensioni di quei giorni, la stagione si manifestò, al contrario, tra le più fredde degli ultimi dieci anni.
La nebbia, già da quasi un mese, si era impadronita della città e la impacchettava con un'atmosfera lattiginosa dai toni grigiastri.
Gli abitanti, rattrappiti dal rigore della temperatura, indossavano, prima del tempo, gli indumenti invernali, tirati fuori dai guardaroba con l'inconfondibile indizio di naftalina.
Lungo viale Roma gli ippocastani erano vestiti dalle ultime foglie, rosse e gialle rimaste tra i rami ormai quasi spogli.
L'inverno annunciava con questa scenografia il suo imminente approdo.
Al teatro Rubini, platea e galleria erano gremite di centinaia di giovani, affluiti numerosi sin dal primo mattino, per prendere parte all'assemblea gene- rale organizzata dal Movimento studentesco.
All'interno, il fumo delle sigarette, dei cilum e degli spinelli, era tangibile, anzi impenetrabile, denso come la nebbia fuori. Sul palco era stato predi- sposto un lungo tavolo dove gli organizzatori si stavano radunando. Qualcuno dialogava gesticolando animatamente, qualcun altro, con aria assorta, leggeva il Manifesto, la rivista mensile più a sinistra del partito comunista.
Dopo qualche feedback acustico, innescato tra gli altoparlanti e i microfoni, una voce decisa fece zittire tutti, poi un giovane dai capelli lunghi e la barba fluente, presentò i temi del dibattito: la rivendicazione del diritto allo studio e il rinnovo dei contratti di lavoro.
Seduti attorno al tavolo si alternarono a parlare i rappresentanti dei vari istituti scolastici, per approfondire e analizzare gli argomenti. Qualche stu- dente era salito sul palco per esprimere il proprio concetto.
Sebastiano e il suo inseparabile amico Ennio, stravaccati sulle poltrone, ascoltavano dalla galleria con moderato interesse.
Infine toccò a lei concludere il dibattito, una ra- gazza seduta in fondo alla destra della grande tavolata e rimasta, fino ad allora, appartata e taciturna.
Dalle prime parole, articolate con voce suadente, in piedi, di fronte alla platea, riuscì a richiamare immediatamente l'interesse di tutti i partecipanti che, durante i precedenti interventi, avevano perso l'attenzione iniziale.
Indossava un abitino corto con disegni geometrici, bianco e nero, che pennellava le sue morbide forme. Calzava stivali di pelle nera che le arrivavano appena sotto il ginocchio, legati davanti da lunghe stringhe.
Un abbigliamento inconsueto, molto difforme
rispetto a quello omologato, in voga tra la maggior parte delle altre ragazze.
Sebastiano rialzatosi istintivamente dalla sua posizione scomposta, fu letteralmente attratto dalla raffinatezza e dalla bellezza ricercata che la studentessa sprigionava.
Applaudì con esuberante e vistoso entusiasmo quando lei, cogliendo abilmente gli elementi essenziali di tutte le questioni all'ordine del giorno e dimostrando una sviluppata capacità di sintesi, prete- se di approvare la mozione per lo sciopero generale.

Sebastiano novembre 1969
Sebastiano viveva con la mamma Nives, in un modesto appartamento al secondo piano di via Pignolo, addossato al campanile della chiesa di Santo Spirito.
Suo papà, Osvaldo Bolis, lo aveva acquistato con il denaro della liquidazione, un anno prima di morire.
Li aveva lasciati soli già da sette anni, conseguenza delle ferite riportate nell'ultima guerra.
Dopo l'8 settembre del '43 era stato deportato in Germania, internato a Münster, nella Renania settentrionale.
Ogni giorno, insieme a tanti altri soldati italiani, ricopriva di terra le buche che si creavano sulla pista dell'aeroporto militare, a seguito dei quotidiani bombardamenti dell'aviazione inglese. Un giorno non fece in tempo a mettersi al riparo, l'esplosione vicina gli conficcò nel corpo una miriade di schegge che con il tempo divennero fatali.
Aveva dieci anni, Sebastiano, quando suo padre si spense.
Soffriva per la sua mancanza, ma provava molta più pena per sua madre che non aveva, fino a quel momento, trovato rassegnazione.
Rimasta vedova ancora giovane, si era ritrovata a
risolvere tutto da sola, senza alcun conforto e aiuto. La crudele e silenziosa angoscia la si poteva notare nel suo portamento dimesso, spesso scialbo e che la faceva apparire più vecchia di quello che era, nono- stante fosse ancora una bella cinquantatreenne.
Per integrare la pensione di suo marito, si adoperava a prestare servizio presso alcune famiglie del borgo in cui vivevano e, certamente, anche questo sforzo le impediva di essere quella donna curata, che avrebbe preferito suo figlio.
Ancora due anni e Seb, come tutti lo chiamava- no, si sarebbe diplomato come perito meccanico; allora, con ogni probabilità, Nives avrebbe potuto finalmente affaticarsi meno.
Era orgogliosa di suo figlio; non poteva certo lamentarsi e, anche per questo, i suoi sacrifici non le erano di troppo peso. Sebastiano non le dava preoccupazioni, non aveva cattive abitudini o idee sballate, come tanti ragazzi della sua età.
Lui aveva solo una grande passione, quella per la musica e per la sua chitarra che suonava con stile e doti artistiche notevoli.

Elvira 28 novembre 1969
Il suono delle campane che proveniva dalla guglia, pochi metri sopra la sua camera, fece vibrare il letto e l'intero edificio.
Si svegliò agli ultimi due rintocchi delle otto. La finestra diffondeva una luce sbiadita, al di là del ve- tro, la visione era opalescente.
Anche per quella mattina il sole non era riuscito a trapassare la densa coltre di nubi e nebbia.
La manifestazione sarebbe iniziata di lì a poco.
Sebastiano si entusiasmò alla possibilità di ri- vedere quella ragazza che, qualche giorno prima, aveva animato l'assemblea del teatro. Avrebbe fatto di tutto, quel mattino, per cercarla tra la folla, che immaginava sicuramente numerosa.
Gli era entrata nell'anima per quell'insieme di emozioni positive che era riuscita a trasmettergli e anche, o forse soprattutto, per quanto la trovasse bella.
Si preparò con cura, stillando due gocce di Patchouli ai polsi e dietro le orecchie, poi senza pet- tinarsi scese velocemente le scale, non prima di aver dato un bacio a sua mamma.
Percorse tutta via Tasso frettoloso, come era solito fare; non era capace di camminare regolar- mente, sentiva sempre l'esigenza di correre. Era
più forte di lui e, quella mattina, voleva bruciare le tappe.
Le notò subito quelle camionette, parcheggiate in lunga fila indiana dietro il teatro Donizetti.
Dopo la morte di Annarumma, il giovane agente di polizia deceduto a Milano durante la manifestazione indetta dall'Unione comunisti italiani e il Movimento studentesco, la polizia aveva preso abbondanti precauzioni.
Reparti del corpo speciale celere erano giunti da Padova con numerosi mezzi, a rinforzo degli agenti della città.
A Milano la dinamica non fu chiara. Ci furono versioni contrastanti, ma quel fatto, sensibilmente strumentalizzato dal governo e dalla stampa nazionale, aveva innescato una scintilla pericolosa di estremizzazione, la tensione era diventata incandescente.
- Ciao Ennio. -
- Ciao Seb, mi sembri sconvolto. Tutto a posto? - disse Ennio sollevando appena lo sguardo dalla rivi- sta musicale Ciao 2001, che stava sfogliando.
Ennio era suo amico dall'infanzia, cresciuto con lui, nello stesso borgo, erano come due fratelli con la stessa passione: la musica. Suonava l'organo elet- tronico.
Da tempo, si ritrovavano insieme per arrangiare nuove sonorità. In quel periodo stavano allestendo una vera sala prove nello scantinato dello zio di En- nio, un tempo magazzino della sua attività commerciale, che poi aveva trasferito fuori città.

- Ieri da Borroni ho trovato lo spartito dell'ultimo album dei Family e ho provato tutto il pomeriggio Mellowing Grey. Non è male, la possiamo fare. -
- Bene, ok! - rispose distrattamente e spiccio Seb. Il suo sguardo attento scrutava la moltitudine di bandiere rosse alla ricerca della ragazza.
La sfilata si era messa in moto. In testa, dietro un enorme striscione bianco con le scritte che inneggiavano la rivendicazione del rinnovo dei contratti di lavoro, le tre confederazioni sindacali marcia- vano insieme per esprimere, emblematicamente, il senso del nuovo soggetto unitario.
A ridosso, la marea di bandiere rosse sventolate dagli operai, il pugno alzato e gli striscioni con il nome delle loro fabbriche.
Il suono dei fischietti, dei campanacci, delle sire- ne e dei tamburi improvvisati, costruiti con bidoni di latta, era assordante.
I megafoni amplificavano messaggi di rabbia, aspettative e coraggio.
Al centro del corteo, i partecipanti più giovani.
Dagli altoparlanti montati sul tetto di una Fiat 600, venivano diffuse canzoni della resistenza. Gli studenti, che seguivano subito dopo, le cantavano in coro, sovrapponendo slogan contro la guerra del Vietnam e la protervia dell'imperialismo statunitense.
La numerosa fazione del Movimento studentesco era prudentemente scortata dal servizio d'ordine.
Subito dopo, volutamente in disparte, si erano
disposti i simpatizzanti dei gruppi extraparlamentari di Potere operaio e Lotta continua, un gruppo, quest'ultimo, appena nato dalla scissione con il Movimento studentesco; i suoi militanti, tra cori scanditi con fervore, mostravano il pugno chiuso, sollevando il braccio in alto.
Poi, leggermente più arretrati, i maoisti esibiva- no il libretto rosso di Mao e sventolavano enormi stendardi rossi.
Infine, per ultimi, gli anarchici, con i loro drappi neri, tallonati dai poliziotti con caschi e scudi di protezione.
Sebastiano non aveva mai preso parte a una manifestazione con un così alto numero di partecipanti. Quella protesta fece emergere un nuovo aspetto: in piazza erano scesi insieme studenti e lavoratori uniti per contestare i contenuti arretrati dell'istruzione e le rivendicazioni salariali degli operai.
Finalmente la notò. Era in prima fila, capeggiava un nutrito gruppo di ragazze al centro dei dimostranti del Movimento studentesco; sui loro cartelli i messaggi erano molto espliciti, alcuni anche parecchio provocatori: contro le disuguaglianze tra uomo e donna, a favore dell'emancipazione femminile e la parità dei diritti.
Erano scatenatissime, scandivano messaggi spudorati e aggressivi in un crescendo di assordante rumore.
Si soffermò a osservarla compiaciuto procedendo, timidamente, appena in disparte. La trovava bellissima e radiosa, con un sorriso acceso in volto nonostante la tensione della manifestazione.
Il gruppo delle femministe aveva quasi raggiunto il Sentierone. Sul palco allestito nella piazza antistante i leader delle tre confederazioni sindacali avevano già iniziato il comizio.
Prese coraggio e le si accostò, scegliendo la migliore espressione del viso che potesse offrire.
- Ciao sono Sebastiano, Seb per gli amici. Volevo complimentarmi con te - pronunciò molto banalmente.
Lei rimase un attimo sorpresa e confusa, fra tutto il trambusto non riusciva a comprendere cosa mai volesse dire quel ragazzo dal sorriso inebetito.
- Scusa non ho capito, c'è una tale confusione! -
Per un momento si sentì paralizzato, stordito da quella bellezza che gli stava di fronte e dai suoi oc- chi color del mare. La sua vicinanza gli procurava un'emozione viscerale, così forte da bloccargli le parole sul nascere.
Fu un attimo, due boati, un fischio e poi tutto venne avviluppato da una nuvola bianca.
La folla si mise a correre in più direzioni, la poli- zia, in formazione da combattimento, protetta dagli scudi antisommossa, stava caricando i manifestanti, agitando in aria lunghi manganelli neri.
Li vide muoversi con un sincronismo studiato, evidentemente preparato, e poi colpire, senza distinzione e con estrema violenza, chiunque si trovasse davanti. Volevano accerchiare e caricare gli studenti, proteggendo le retrovie con le camionette, stracariche di altri agenti armati di fucili. Una scena raccapricciante, che evidenziava la rabbia repressa dei poliziotti.
Tutto intorno dense nuvole giallognole rendevano l'aria irrespirabile.
L'odore acre dei lacrimogeni si percepì immediatamente. Era il caos.
Ci fu l'immediato fuggi fuggi dei manifestanti, la gente comune, che si trovava lì come semplice spettatrice, veniva confusa dai poliziotti che picchiava- no con veemenza chiunque si trovasse davanti.
Sebastiano afferrò istintivamente per un braccio la ragazza e la trascinò con forza, correndo verso i portici di piazza Vittorio Veneto.
Da lì, ancora di corsa, imboccarono le scale che davano accesso al Diurno, il vecchio rifugio antiaereo riconvertito in albergo e sale giochi.
Oltrepassata la pesante porta a vetri scesero qualche gradino, al riparo e con il fiato grosso per la corsa. Osservarono sbigottiti e preoccupati le per- sone che fuggivano spaventate.
- Bastardi celerini, ci hanno attaccato senza ragione - disse la ragazza arrabbiata, che a quel punto non sorrideva più.
- I soliti anarchici, c'era da saperlo! -
- Hanno iniziato loro? -
- Penso proprio di sì, ma la polizia ha i nervi a fior di pelle. -

I celerini avevano un atteggiamento di massima attenzione. Erano all'erta sicuramente per quanto accaduto la settimana prima nei disordini di Milano.
Alla prima esplosione di una bomba carta, e chissà che non aspettassero che quello, si mossero caricando i manifestanti. Furono sparati, ad altezza d'uomo, almeno cinque candelotti di lacrimogeni. Per fortuna la folla si stava disperdendo rapida- mente senza reagire all'incalzare delle squadre di polizia.
In piazza rimasero solo i gruppi degli extraparlamentari che si proteggevano dai lacrimogeni con il fazzoletto sul volto, fronteggiando, minacciosi e im- mobili, gli agenti pronti a respingere ogni ulteriore tentativo di attacco.
- Non mi era mai capitato di essere in mezzo a una carica così violenta. -
- La polizia è irrequieta oggi sembra bramosa di vendetta. -
- Ma hanno provocato loro, hai visto? Era andato tutto tranquillo... Hai sentito gli spari? Ora attaccano anche da dietro. Li accerchiano! Sono gli anarchici, il loro obiettivo. -
Seb era più interessato alla ragazza, ne osserva- va ogni movenza attratto, magneticamente, da ogni suo gesto.
- Me li immagino, con quei manganelli vorranno spezzare la schiena a tutti quelli che incontrano. Infami! Che cattiveria, ma qua siamo al sicuro, stai tranquilla. -
- Ma... Dove siamo esattamente? Ah, scusa, mi chiamo Elvira - .
- Sono sempre Sebastiano, quello di prima, pia- cere di fare la tua conoscenza... Non conosci questo posto? -
- No, davvero. Non sapevo neanche esistesse... Sento solo un forte odore di muffa! -
- Un tempo, devi sapere, era un vecchio rifugio antiaereo, utilizzato durante l'ultima guerra, praticamente si trova sotto piazza Dante, l'odore di muffa è causato dall'umidità che trasuda la fontana sopra di noi. Dopo la guerra è stato trasformato in albergo diurno con bagni pubblici, parrucchiere, fiorista e tutto quello che può servire a un visita- tore di passaggio nella nostra città, per chi avesse avuto necessità di ritemprarsi e ripulirsi. Al centro invece, proprio sotto la fontana c'è una grande sala circolare, con i biliardi, frequentatissima. Mio papà mi ci portava, quando ero piccolo. - Ma non sei di Bergamo tu? - -
- Ma certo che sono di Bergamo, solo che non lo conoscevo proprio e non ne avevo mai sentito par- lare. Mio padre non mi ci ha mai portata - concluse con una smorfia ironica.
- Infatti è un postaccio per proletari veri, non puoi conoscerlo! -
Sorrise Seb prima di essere interrotto da un'altra esplosione seguita da un paio di sibili e poi, ancora quel fumo denso e irritante.
Un gruppo di quattro giovani scese precipitosamente le scale quasi ruzzolando ed entrò richiudendo rapidamente la porta a vetri alle spalle.
Avevano ancora il viso coperto dai fazzoletti, i loro occhi erano arrossati e lacrimanti, sotto i loro eskimo si vedevano spuntare lunghi manici di legno da piccone.
Sebastiano ed Elvira si diedero un'occhiata men- tre si abbassavano ancora di qualche gradino.
- Non scenderanno anche quaggiù adesso? Ho paura! - pronunciò quelle parole avvicinandosi a Seb come a cercare protezione.
Seb ne approfittò all'istante stringendola vicino a sé. Avrebbe voluto baciarla per quanta ebbrezza gli provocava quella ragazza, ma si trattenne. Poi, camuffando la voce rotta dall'emozione di quel mo- mento, la rassicurò.
La polizia non sarebbe sicuramente scesa.
I reparti della celere avevano caricato ancora, rispondendo a una fitta sassaiola organizzata da un gruppo omogeneo di irriducibili estremisti.
Seb ed Elvira rimasero a girovagare nei locali per quasi un'ora finché non si resero conto che gli scontri si erano spostati più lontano.
La battaglia, ancora durissima, si era trasferita davanti alla sede del Movimento Sociale.
- Si sono spostati in via Locatelli davanti alla sede dei fascisti. -
- Mannaggia, dovrei proprio passare da lì, per andare a casa. -
- Abiti in via Locatelli? -
- No, abito in viale Vittorio Emanuele, nella zona in alto, ho la strada bloccata! -
- Passiamo da viale Roma, allora, è un po' più lunga ma, sicuramente, senza intralci. Vuoi che ti accompagni? -
- Grazie sì, sei gentile. -
Poi, conficcando i suoi occhi da oceano in burrasca sul viso di lui aggiunse: - Mi farebbe piacere davvero - .
A quelle parole, il cervello di Seb si volatilizzò, librandosi tra i sentieri più fantasiosi e mai esplorati della sua immaginazione, allontanando così ogni ri- ferimento alla realtà circostante.
Rinvenutosi, dopo quella emozione, prese Elvira per mano, con un movimento istintivo e protettivo, avviandosi in direzione del viale.
Quello fu, per lui, il giorno più bello della sua vita.
Sebastiano si sentì pervadere da una sensazione mai conosciuta prima. Il calore che gli scaturiva dal petto, si diffondeva in tutto il corpo, con lei vicina si sentiva leggero e felice, ma assolutamente inconsapevole nell'interpretare quell'emozione.
E con quella euforia nell'animo gli venne d'istinto stringere più forte la mano di Elvira, lei rispose allo stesso modo, come fosse un gioco, un accordo o un segnale. Sebastiano si fermò e la guardò in volto, poi scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
Intuì che anche lei stesse, probabilmente, provando identiche emozioni, anzi, ne fu convinto.
In effetti, anche Elvira fu subito catturata da quel ragazzo, che si era manifestato così tenero e premuroso ma, diversamente da lui, seppe interpretare puntualmente la sua emozione. Da quell'istante provarono il desiderio di raccontarsi di tutto: della loro vita, delle aspirazioni, di come vedevano il mondo, dei loro progetti. Volevano parlare guardandosi in volto, conoscersi, lasciandosi trasportare dalle emozioni.
Erano stati realmente catturati da una reciproca attrazione, improvvisa, immediata ed esplosiva, quel- la che si esprimeva nel cosiddetto: colpo di fulmine.
La polizia aveva respinto i manifestanti costringendoli, infine, a disperdersi, formando un cordone, a sud della piazza all'incrocio con il Sentierone, per scoraggiare ogni eventuale altra offensiva.
In terra rimanevano i segni, evidenti, degli scontri: bottiglie, sassi e bastoni erano disseminati un po' ovunque.
L'odore penetrante dei lacrimogeni ristagnava nell'aria e in quello scenario così desolato, dopo tanta concitazione, tutto appariva senza più vita.
Con passo deciso, sempre mano nella mano, risalirono la via superando il ristorante Manarini dove, per precauzione, avevano abbassato le saracinesche delle vetrine, poi proseguendo oltre l'hotel S. Mar- co furono decisamente fuori da ogni pericolo.
- A cosa stai pensando? - chiese alla ragazza che era all'improvviso diventata taciturna
- Che non ho capito una tua battuta. - - Quale battuta, scusa? -
- Ho notato dell'ironia quando mi hai detto che, il Diurno era un postaccio da proletari veri! Forse non sono l'icona della proletaria che intendevi, ma questo non mi impedisce di credere e lottare per una società equanime per tutti. So cosa pensi, ma essermi trovata tra gli agi di una famiglia benestante non mi fa detestare chi soffre per le ingiustizie, anzi, io mi batto per il superamento delle disuguaglianze sociali e per l'abolizione della società di classe. -
Si espresse con calma e con lucidità decisa- mente assertiva, fissando, con i suoi occhi liquidi come il mare, lo sguardo interdetto di Sebastiano.
Lui si rese conto d'essere stato molto sciocco e superficiale, Elvira, al contrario gli aveva fornito una lezione nell'interpretazione di un ruolo diverso della società, un concetto che si stava affermando attraverso vari movimenti, soprattutto tra i giovani come loro.
- Scusa, ti ho giudicata gratuitamente e banalmente. Scusa ancora, non volevo, è stata proprio una battuta infelice. -
Lei gli sorrise, non era per nulla arrabbiata, era il suo carattere, determinato che le imponeva di fare chiarezza.
- Scuse accettate. -
Poi, come fossero vecchi amici, gli raccontò che da tempo frequentava un circolo a Milano dove si affrontavano tematiche sociali. Gli parlò della sua convinzione pacifista e della lotta di classe per le riforme di sostegno sociale.

Sebastiano l'ascoltava conquistato dalla sua preparazione, e dall'affabilità comunicativa che lo ave- va già sedotto giorni prima all'assemblea.
Lui non era così preparato politicamente, sebbene la sua convinzione sociale sfociasse in quella corrente politica di sinistra e proletaria.
Quella sua certezza era conseguenza del suo stato sociale, da cui derivava un deciso e netto ri- fiuto ideologico verso la politica opposta, di destra e fascista.
- Il potere agli operai - sparò lì per lì, senza riflettere, uno degli slogan che si gridava nelle manifestazioni, sbalordito dalla competenza ed eloquenza di Elvira; voleva farle capire di essere dalla sua stessa parte e aggiudicarsi maggior simpatia.
Si accorse di aver sparato ancora un'altra cazzata, ma ormai non rifletteva più tanto lucidamente, rapito più che mai dalla sua incantevole presenza.
Per fortuna lei non colse l'infelice battuta, continuando a parlare a profusione dell'attuale situazione politica.
- Tu sei una rivoluzionaria, insomma. -
- Sì tutto sommato penso proprio di sì, ci vorrà del tempo, non si cambia attraverso gli slogan, ma attraverso un rinnovamento culturale, che potrà compiersi con la contestazione dei valori tradizionali istituzionali, abbattendo questo sistema borghese. -
Era seria, le sue convinzioni erano motivate da un forte desiderio di cambiamento e di ribellione.
Poi rimase in silenzio lasciandosi condurre ancora per mano sulla salita di viale Vittorio Emanuele. Per Sebastiano la situazione era abbastanza insolita; Elvira era molto ricca e benestante, eppure quelle sue idee prendevano di mira proprio il capitalismo e la borghesia di cui, la sua famiglia faceva parte.
Suo padre, Alessandro Ottaviani, era proprietario di alcune aziende connesse al mondo religioso. Ereditando il negozio di famiglia, di abbigliamento liturgico e paramenti sacri, era nel tempo riuscito abilmente a sviluppare l'attività. A quel tempo il suo gruppo di aziende comprendeva: una casa editrice, un'industria manifatturiera per il confezionamento di capi esclusivi, destinati a una clientela di raffinati porporati, una fabbrica di arredi sacri e, addirittura, un'agenzia di viaggi di orientamento cattolico.
Le imprese intrattenevano affari con la vicina Curia vescovile della città di Bergamo e con la Santa Sede romana.
Godeva della massima fiducia in molti dicasteri della Chiesa cattolica ed era insignito della presidenza di numerose congregazioni e associazioni connesse.
Sua moglie, Ariela Zevi, era una bellissima donna di origine greca, lo aiutava nel suo lavoro in modo esemplare, in particolare nelle pubbliche relazioni. Era dotata di spiccate capacità comunicative e sape- va muoversi tra i raffinati salotti italiani. Organizza- va e promuoveva, con prestigio, attività culturali e artistiche riconducibili all'occupazione del marito e all'ambiente religioso.

- Sono arrivata a casa. È stato piacevole conoscerti, Sebastiano. Mi è piaciuto stare con te, ab- biamo anche un po' di pensieri comuni! - disse tra un misto di rassegnazione e un sorriso di gioia contenuta.
In un momento di imprevista timidezza, lui seppe solo risponderle che sarebbe stato bello potersi rivedere.
Per tutta risposta Elvira, nella sua lucidità e senza nascondere la gioia, gli stampò un bacio sulla guancia, aprì il cancello e, salutandolo, s'incamminò lungo il breve vialetto che conduceva alla scali- nata di casa sua.
Sembrò indugiare, giusto un attimo, prima di oltrepassare l'inferriata, come se si aspettasse che Seb contraccambiasse quel bacio. Invece lui, impacciato e imbambolato, non fece altro che proteggerne il ricordo con il palmo della sua mano.
La salutò alzando il braccio, mentre saliva le scale. Fu allora che si accorse del movimento delle tende, dietro alla finestra vicino all'ingresso; qualcuno, probabilmente sua madre, aveva osservato tutta la scena.
Era già passata l'una, si era fatto tardi, di sicuro mamma Nives si stava preoccupando, ansiosa come era!
S'avviò di corsa, come faceva sempre, salendo per un po', poi prese via Pelabrocco e si diresse veloce verso casa.

Il vento nuovo 29 novembre 1969
Il giorno seguente, i fatti di quel 28 novembre trovarono spazio tra gli articoli delle testate nazionali.
A parte la prevalente condanna per la violenza degli scontri di piazza, si dava ampio rilievo della altissima partecipazione alla manifestazione.
Era il segnale evidente che affermava una nuova coscienza unitaria.
Per i lavoratori il rinnovo del contratto introduceva le richieste di miglioramento retributivo e la riduzione dell'orario di lavoro, rafforzando la dignità, la libertà e la loro partecipazione nel posto di lavoro.
Gli studenti chiedevano un livellamento delle posizioni verticistiche, una loro maggior partecipazione agli organi decisionali e l'affermazione del diritto allo studio. Operai e studenti, donne e impiegati, si erano mobilitati e alleati contro lo sfruttamento e l'oppressione generati dal sistema capitalista.
I quotidiani cittadini avevano sottaciuto alcuni importanti significati dell'icastico avvenimento.
Bergamo, la città Bianca, si dimostrava, per buona parte, prevedibilmente cauta e bacchettona. La stampa locale evitava, per scelta e consuetudine prudenziale, di analizzare e approfondire argomenti di interesse laico riformista e che fossero in con- trasto con la dottrina della Chiesa.
Sebbene, proprio all'interno di essa, stessero nascendo movimenti attivi alla vita politica collettivi- sta, in linea con il pensiero di quel papa, bergamasco e pontificatore di un mondo cattolico – fatto di uomini di buona volontà –, apprezzato sicuramente dai partiti della sinistra italiana.
Era comunque innegabile, il Paese era a un passo da una svolta epocale; quello stesso giorno, in- fatti, alla Camera dei deputati si discuteva dell'approvazione della legge sul divorzio, l'Italia cattolica iniziava a cedere.
Qualcosa si muove, finalmente, tra questo finto perbenismo conservatore, pensava Seb quella mattina scorrendo i titoli dei quotidiani esposti all'edicola sotto casa.
Lui, sebbene non fosse un attivista politico, non era infatti iscritto a nessun partito e non partecipava a collettivi o comitati sociali, condivideva le idee progressiste e si sentiva, ideologicamente, di sinistra.
Era convinto, tuttavia, che la musica e i testi del- le canzoni avrebbero influenzato i giovani, ancor più della politica.
Ragazzi, come lui, in Europa e negli Stati Uniti, stavano demolendo quelle convenzionalità perbeniste scandalizzando la società con le loro canzoni di protesta.
Sebastiano adorava quest'idea rivoluzionaria,
vigorosamente assordante, globale, enfatizzata soprattutto dai più giovani, come lui, insomma.
Condivideva il pensiero di quel messaggio hippy che proveniva da oltreoceano, così controculturale e anticonformista: Peace & Love, pace e amore.
Ne discusse a lungo, in classe, con i professori che, nelle varie ore di lezione, affrontarono dibattiti aperti sulla manifestazione del giorno prima.
A casa, nel pomeriggio, ripensò alle labbra di El- vira appoggiate sulla sua guancia.
Erano il ricordo più dolce.
Sentì l'impulso irrefrenabile di volerla riabbracciare e si diede dell'idiota per non aver ricambiato il suo bacio.
Un'occasione così, quando la ritrovo?, si diceva.
Trascorse l'intera giornata ad angustiarsi per quella stupidaggine commessa e continuò a ri- fletterci anche durante la quotidiana passeggiata serale.
Si era fatto ormai buio e, dopo aver percorso un paio di vasche sul Sentierone con Ennio, si diresse, costantemente tormentato da quel pensiero, verso i Propilei di Porta Nuova, al vicino posto telefonico pubblico della Sip, la compagnia telefonica nazionale. Fece scorrere l'elenco telefonico della città. Con grande sollievo notò che di Ottaviani ce n'erano solo due a Bergamo, tra l'altro entrambi allo stesso numero civico di viale Vittorio Emanuele.
Uno dei due numeri poteva riferirsi all'attività del padre, si disse, sicuramente il suo ufficio, la casa è così grande da poter ospitare benissimo anche la sede delle sue attività.
Scelse il primo numero in alto e introdusse il gettone nell'apparecchio. Fu fortunato, il numero composto era proprio quello dell'abitazione.
La persona che rispose fu molto gentile e pro- diga di dettagli quando Seb si presentò con il suo nome, dicendo di essere un amico.
- La signorina Elvira è andata a Milano con i suoi genitori, dagli zii; è partita da poco, rientrerà doma- ni in tarda serata, vuole che le riferisca qualcosa? - rispose, con tono di compiaciuta partecipazione, la donna dall'altro capo del telefono, sicuramente una domestica.
Sì! Le dica che, sebbene in ritardo, vorrei ab- bracciarla e baciarla... Le dica che sono stato un cretino, per non averlo fatto ieri!... Avrebbe voluto rispondere così invece, con un po' di timidezza, si limitò a lasciare detto il suo nome e il recapito tele- fonico, assicurandosi che la donna lo avesse scritto correttamente e pregandola, infine, di riferire a El- vira che, se avesse voluto richiamarlo, lo avrebbe trovato la domenica a casa dopo le otto di sera.
Riagganciò sentendosi un po' meno in ansia, poi gli riaffiorò nella mente il bellissimo volto, sorridente, di Elvira.
Fu una domenica impegnativa, Sebastiano ed Ennio stavano terminando i lavori di allestimento dei locali di via San Tomaso, un vecchio magazzino
ubicato tra cadenti e maleodoranti edifici di quel rione.
Dismesso dallo zio di Ennio, lo avevano preso in prestito per farci una sala prove.
Era di generose dimensioni e si sviluppava su due livelli, pianterreno e scantinato. Al pianoterra si erano limitati a imbiancare il soffitto e tappezzare le pareti con pagine di quotidiani ingiallite dal tempo. Le finestre piccole e basse che si affacciavano sul cortile interno lasciavano filtrare a fatica la luce. Alle pareti avevano collocato, qua e là, vecchie applique in ottone dal portalampada a forma di candela, recuperate da qualche rigattiere. Le lampadine a incandescenza diffondevano una luce giallastra e morbida, proiettando sul soffitto ombre suggestive.
Al piano inferiore avevano prestato maggior cura. Una moquette rossa stesa sul pavimento ade- riva in altezza, per oltre un metro, anche sulle pareti perimetrali. In un angolo era stata posizionata una pedana di legno dove trovavano posto, in soprannumero, le prese elettriche e gli strumenti musicali con tutto il loro occorrente.
Sulla sinistra l'amplificatore per la chitarra e a destra il leslie per l'Hammond di Ennio, piazzato al centro della pedana.
Restava ancora lo spazio necessario all'attrezza- tura per un bassista e un batterista; elementi che i due stavano cercando per completare la band.
Avevano rivestito le volte dello scantinato con contenitori di cartone, quelli utilizzati per il trasporto delle uova. Serviva per evitare fastidiose risonanze e migliorare la pulizia del suono durante l'esecuzione dei loro brani.
L'odore della vernice antracite, con cui li avevano dipinti, mitigava quel ristagnante sentore di muffa tipico delle cantine umide e poco aereate delle vecchie abitazioni.
Il grosso dei lavori era ormai completato, rimanevano solo le opere di rifinitura.
Alle quattro del pomeriggio il loro studio musi- cale era pronto.
Festeggiarono intonando le note di Remember a Day, un brano dei Pink Floyd, il gruppo rock che prediligevano in assoluto.
Insieme volevano sperimentare una musica innovativa traendo ispirazione dai generi musicali che stavano diffondendosi, come il - rock progressive - e il - rock psichedelico - .
Ennio, figlio d'arte, studiava al conservatorio pianoforte, organo e composizione organistica e aveva dimostrato, già in tenera età, capacità musi- cali non comuni.
Sebastiano imparò a suonare la chitarra proprio da lui; insieme riuscivano a trovare molta affinità e intesa di stile.
Avevano messo a punto il luogo dove avrebbero potuto sviluppare le loro idee, ma ancora dovevano completare la band.
Quando il telefono di casa squillò, Seb, che era
assorbito da altri pensieri, sobbalzò appena sentì dire da sua madre Nives: - Glielo passo - .
Era proprio lei con quella voce così aggraziata e sensuale.
- Ciao, mi hai cercata? -
- Sì... Scusa, ti ho forse disturbata? Era solo per... Solo per dirti che venerdì, in tua compagnia, sono stato proprio bene. Avevo desiderio di rivederti, non so come spiegarlo, ti sembrerà sciocco, ma è tutto qui. -
Trascorsero quattro interminabili secondi.
- Sono stata bene anch'io, non mi è mai successo prima, ti giuro che se tu non mi avessi cercata, lo avrei fatto io! Non è sciocco quello che hai detto. Oggi ti ho pensato tutto il giorno, ci vediamo domani? -
Seb deglutì disorientato, non aveva mai conosciuto una ragazza così aperta, diversa da tutte le altre che aveva frequentato.
Diretta e trasparente, fuori da ogni schema convenzionale, dimostrava tutta la sua sincerità, ma anche un senso pregnante di emancipazione e volontà di essere una donna libera.
Lei, in sole poche ore, gli aveva fatto provare emozioni sconosciute prima.
Era lì con la cornetta appoggiata all'orecchio, bloccato, e le parole non volevano uscire dalla bocca.
Ci pensò lei.
- Domani sera allora, alle cinque e mezza alla Vedovella, ti auguro una serena nottata... continuerò a pensarti! -

Rimase ancora, per almeno due secondi, con la mano che stringeva il ricevitore: - Va bene, a... A domani allora - . Concluse, riscoprendosi proprio rincoglionito.
Elvira era davvero una ragazza fuori dal comune. Al di là dell'essere molto bella, era sicuramente molto intelligente e sicura di sé.
Il suo modo di porsi poteva trarre in inganno dando l'impressione di essere snob; sicuramente le persone più invidiose l'avrebbero giudicata così e questo restringeva un bel po' la cerchia di amici che aveva, ma la cosa, in fin dei conti non la preoccupa- va per niente.
Era sensibile, angustiata per le sofferenze dei più deboli e sentiva profondamente l'obbligo morale di dar loro una mano quando le si presentava l'occasione.
Proprio in quel periodo si era presa cura di un bambino di otto anni, Marcello.
Lo aiutava a svolgere i compiti, gratuitamente e con impegno.
Era il figlio di una coppia disagiata, emigrati dal profondo sud, che si erano stabiliti in città da quasi tre anni.
La mamma, pressoché analfabeta, era addetta alle pulizie in un condominio di via Locatelli. Il marito lavorava come aiuto fornaio nel panificio di quello stesso stabile, dalle tre alle otto del mattino e nel pomeriggio. Nel suo tempo libero, prestava servizio al distributore di benzina in piazza Sant'Anna.
Si ammazzava di lavoro quel brav'uomo, lo face- va per garantire dignità e futuro al figlio, sottraendogli, tuttavia, affetto e presenza.
Si infuriava in cuor suo, Elvira, ma non riusciva a biasimarlo, lo riteneva sostanzialmente vittima della sua condizione.
Era la condizione sociale oppure il lavoro a creare genitori che si disinteressavano ai propri figli?
Era il dubbio oscuro al quale Elvira non sapeva dare risposta; anche lei, come Marcello, si sentiva trascurata, nonostante i suoi genitori fossero, contrariamente, molto abbienti. Per la sua famiglia non riusciva a trovare giustificazioni apparentemente valide.
Suo padre, sempre oberato da troppi impegni, e sua madre, così tanto intenta a mettersi in mostra in quella società borghese, tra lusso feste e banalità, non avevano trovato il tempo per starle vicino, per darle quell'affetto di cui avvertiva profondamente la mancanza.
Per sua fortuna, Elvira aveva chi l'amava veramente: era Agnese, la governante assunta quando lei era appena nata, che l'amava ancor più di una mamma vera.
Al di là degli obblighi convenzionali, i suoi genitori la lasciavano comunque abbastanza libera, o meglio la lasciavano fare senza occuparsene molto, in definitiva era una ragazza che non creava loro problemi.
In virtù di questa condizione, Elvira non ebbe ostacoli nel frequentare un collettivo sociale, uno come tanti che a quel tempo promuovevano dibattiti e discussioni culturali su temi di organizzazione e politica sociale.
Tutto ebbe inizio un pomeriggio, l'anno prima, a Milano, dove era solita trascorrere i fine settimana, con i suoi genitori, presso l'abitazione di sua zia.
La sorella di sua mamma viveva in un lussuoso appartamento in centro e li ospitava abitualmente per trascorrere interi weekend.
Così, mentre i genitori si svagavano, compiacendosi, tra le lussuose vie dello shopping milanese, lei preferendo rimanere da sola cominciò a interessarsi a quel circolo culturale. Lì ebbe inizio la sua formazione politica.
Delle sue frequentazioni e delle sue convinzioni i suoi genitori non ne sapevano nulla, era facile intuire che non avrebbero condiviso la sua scelta. Li informò soltanto, ma molto vagamente, che seguiva un gruppo di lettura, presso la vicina biblioteca; su questo, in effetti, non si erano posti né troppi inter- rogativi né, tantomeno, dubbi.
Se avesse raccontato loro la verità, era certa che si sarebbero più che scandalizzati e questo pensiero la divertiva davvero.

La neve di dicembre dicembre 1969
Ben presto, tra Elvira e Sebastiano si stabilì una frequentazione assidua, quotidiana, legata a un rapporto molto affiatato, che si stava costruendo nel rispetto reciproco, tra confidenze e intese. Si rendevano conto di quanto stavano bene ogni volta in cui erano insieme. Trasparivano felicità e gioia di vivere.

Riccardo Oliverio

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