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Autore: Roberto Cocchis
A qualunque costo
Thriller Noir
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A qualunque costo
Layla continuò a sbraitare anche mentre lui passava per la cucina a bere e per il bagno del primo piano, due cose di cui aveva un urgente bisogno, poi tacque di colpo mentre Giacomo tornava al piano di sotto.
- Che succede? - le chiese, vedendola intenta a guardare fuori da dietro una tenda.
- C'è una macchina qui fuori. - rispose lei - E, ora, chi cazzo può essere? -
Giacomo la raggiunse e guardò fuori anche lui. Una BMW era parcheggiata davanti al cancello, due figure ne erano appena scese. Le riconobbe entrambe: erano una donna e un uomo, Mara Di Polito e il tipo dalla mascella prominente che stava nell'ufficio della Cercasa. Senza provare nessuna particolare agitazione, si rese conto che, se prima era semplicemente in un grosso guaio, adesso si trovava in un guaio enorme.
Il citofono bussò quattro, cinque, sei volte. Il tipo afferrò il cancello e cominciò a scuoterlo, senza risultato.
- Perdio, aprite! - gridò all'improvviso - Lo sappiamo che siete là dentro! -
- Che facciamo? - gemette Layla, accanto a Giacomo - Ma sai almeno chi sono? -
- Sono la convivente di Amedeo, Mara, e il suo socio. -
- E ti hanno visto? Ti sei fatto vedere da loro? - il tono di Layla, adesso, esprimeva un vero terrore.
- Lei sì, lei mi ha visto. -
- Allora siamo fottuti. Hai visto perché non dovevi andartene in giro? -
- Sì, ma che sono venuti a fare, qui? -
- Non lo so, ma so che siamo nei casini. -
Il tipo aveva tirato fuori un oggetto scuro da una tasca interna. Con un tuffo al cuore, Giacomo riconobbe una pistola: non ne vedeva una dai tempi in cui accompagnava il padre al poligono di tiro, tanti anni prima. A prima vista, il tipo non sembrava maneggiarla come un esperto. Layla aveva tutte le ragioni per spaventarsi.
- Fatti in là. - ordinò il tipo a Mara.
Vuole sparare contro la serratura del cancello, e lo stesso farà contro quella della porta, che non è nemmeno blindata, pensò Giacomo. Se non gli rimbalza un proiettile addosso, poi entrerà e magari farà lo stesso anche con noi.
- Ma sei matto! - gridò istericamente Mara - Ma scavalca, invece! -
Il tipo sembrò pensarci un attimo, poi rimise la pistola in tasca, si sfilò il cappotto e si issò sul cancello.
- Filiamocela. - disse a Layla - Andiamo da dietro, dalla finestra della cucina. Usciamo dall'altro lato del cortile, scavalchiamo la recinzione e, qualsiasi cosa ci sia dietro, va bene, purché ci troviamo presto lontano da qui. -
Layla non disse nulla, prese solo la giacca a vento dal divano e se la rimise. La finestra della cucina era abbastanza larga e bassa da permettere a entrambi di scendere senza problemi. Mentre Giacomo era già sceso, e Layla stava scivolando giù udirono le voci dei due nel cortile. Corsero alla recinzione, attraversando il giardino pieno di erbacce; era composta da un muretto dal quale si alzavano delle sbarre di ferro verticali fino a oltre due metri di altezza; altre due sbarre di ferro, orizzontali, correvano lungo tutto il perimetro, una in basso e una in alto: potevano essere usate per arrampicarsi da un lato e ridiscendere dall'altro. Ma, appena si avvicinò, Giacomo capì che non sarebbero riusciti a fuggire da lì. Al di là della recinzione, c'era il vuoto. Scendendo dall'altro lato, si poteva solo andare a cadere in uno strapiombo di almeno una ventina di metri, in mezzo alla vegetazione incolta. Dal lato corrispondente alla collina, le pendici erano meno a picco, ma per andare di lì avrebbero dovuto passare dove quei due li avrebbero sicuramente visti.
Il cervello di Giacomo lavorava a tutta velocità. Potevano farlo mentre quelli erano in casa, avrebbero avuto poco tempo ma era una possibilità. Spinse Layla per terra, in mezzo all'erba alta, e si distese bocconi accanto a lei, proprio mentre si sentiva il rumore di una finestra che andava in frantumi.
Giacomo prese a strisciare in mezzo alla vegetazione. Se si fossero affacciati, avrebbero potuto vederlo o no, il suo giaccone era beige e si mimetizzava bene; la giacca a vento di Layla era grigia e forse nemmeno si vedeva. Sentì le voci dentro casa e capì che era il momento. Scattò in piedi e corse fino all'inferriata, poi si issò su di questa. Layla lo stava seguendo e lui allungò un braccio per aiutarla, quando udirono una voce alle loro spalle.
- Ehi, fermi! - Giacomo alzò lo sguardo, ben sapendo cosa avrebbe visto.
Il tipo stava venendo avanti, con la pistola puntata verso di loro. La teneva come i cowboys nei film western: se avesse provato a sparare, gli sarebbe saltata di mano; ma era talmente vicino che poteva colpirli comunque. Disse: - Vi faccio fuori tutti e due. Scendete subito da lì. - Aveva una voce gutturale, da meridionale che aveva frequentato poco le città e parlava l'Italiano come si parla una lingua straniera.
Layla era già scesa e teneva le mani in alto. Non si poteva fare più nulla. Scese anche Giacomo.
- Dentro! Dentro! - sbraitò il tipo agitando l'arma.
Mara Di Polito stava assistendo alla scena da dietro: - Hai visto, - disse - te l'ho detto, è uguale a lui. -
- Ora ci facciamo dire tutto. - disse il tipo.


Nelle tasche del cappotto, il tipo non teneva solo una pistola, ma anche un rotolo di nastro adesivo da pacchi. Una volta che furono tornati all'interno della villa, mentre lui teneva sotto controllo la situazione con la pistola spianata, Mara usò il nastro per legare le mani dietro la schiena a entrambi. Poi li spinse a sedere sul divano.
- Ora voglio sapere la verità. - disse il tipo - Tutta. E' meglio per voi se me la dite subito, perché tanto me la direte lo stesso. -
In un certo senso, per Giacomo era un miglioramento. Poteva spiegare che lui, con tutti gli affari di Amedeo, non c'entrava nulla. Ma dubitava che questo sarebbe bastato a salvarlo. Era molto improbabile che, sentita la sua versione, il tipo gli dicesse: va bene, vattene e dimenticati di tutto quello che è successo qui. Per un motivo o per un altro, tutte le possibilità che gli venivano in mente finivano allo stesso punto: quello in cui gli chiudevano la bocca per sempre.
Layla lo precedette e raccontò di essere una domestica. Amedeo l'aveva ingaggiata per pulire la casa e poi le aveva offerto altri soldi per intrattenere suo cugino mentre stava lì. Siccome lei aveva davvero bisogno di quei soldi, aveva accettato.
Ora toccava a lui: raccontò la sua storia, partendo dalla telefonata di zio Sabatino. Spiegò perché era lì, ma non disse che era stato alla Camera di Commercio e che sapeva di tutto ciò che stava dietro la Cercasa. Le due visure stavano in una delle sue due borse, ma non era detto che le avrebbero trovate, almeno non subito, e magari nel frattempo lui avrebbe trovato una via d'uscita. Giustificò la sua presenza a Novate spiegando di aver preso dalla macchina di Amedeo i depliant e di averci trovato in mezzo la busta indirizzata a Mara. Temeva che Amedeo non lo avrebbe fatto più lavorare se nella busta ci fosse stato qualcosa di importante, perciò si era deciso a rimetterla nella cassetta postale.
Ci faceva una figura da stupido, ma la storia filava e il tipo sembrava credergli; ma Mara disse all'improvviso: - Te lo dico io cosa qual era il suo lavoro. Fare la parte dell'Amedeo da qualche parte lontana mentre l'Amedeo tornava di nascosto e mi ammazzava. Io lo so come ragiona, quello. Già ha fottuto tutti una volta con quella storia del Panti, ora ha in mente lo stesso piano. -
- Sarà come dici tu, - rispose il tipo - ma adesso non posso decidere nulla. Devo sentire mio zio e gli altri. Ci troviamo questi due in mano e non possiamo farli sparire come niente. Se qualcuno si mette a cercarli, finiamo nella merda. Non posso decidere io da solo. Devono darmi una mano. -
- E allora? -
- Questa cazzo di casa non ha nemmeno un telefono. - disse il tipo - Vado a cercarne uno e li chiamo. Intanto, tienili d'occhio tu. -
- Ma mi lasci sola? -
- Sono legati, cazzo, di che hai paura? -
Mara non era molto convinta. Il tipo tirò di nuovo fuori il nastro adesivo e legò loro anche le caviglie. - Ecco, - disse - ora voglio vedere come non ce la fai a guardarli. -
- Sì, ma spicciati. - disse Mara - Questa situazione non mi piace per niente. -


Dopo l'uscita del tipo, nella villa scese un silenzio irreale. Si vedeva che Mara era molto nervosa: andava su e giù per l'open space, si torceva le mani, ogni tanto emetteva versi simili a gemiti. Giacomo pensò che, per quanto fosse rischioso, doveva provare a giocarsi il tutto per tutto, facendo leva sul fatto che lei probabilmente era ai margini dell'organizzazione, se non del tutto estranea. Da come parlava, si capiva benissimo che Mara era una settentrionale vissuta sempre a Nord, che non aveva nulla a che fare con personaggi del genere di Sebastiano Tammaro o dei suoi soci.
Quando lei tornò verso il divano, Giacomo disse: - Ma che c'entra una come te in questa storia? -
- In questa storia che? - Mara si fermò e lo guardò. La sua voce era sempre stridula, il tono isterico.
Giacomo si rese conto di essere stato imprudente. - In questa storia di terroni. - precisò - Amedeo è un terrone, pure questo è un terrone, si può sapere tu che c'entri? -
- Perché - strillò Mara - tu non sei un cazzo di terrone? -
- Ma io sono stato coinvolto. Mio cugino mi ha chiamato e mi ha promesso un buon lavoro. Se no, col cazzo che venivo fin qui. -
- Sei solo una stupida troia. - intervenne, improvvisamente, Layla - Non lo hai capito che prima fanno fuori noi e poi fanno fuori te? -
- Sentite un po' - disse la donna, sempre sul limite della crisi isterica - io non ho nessuna voglia di perdere il tempo parlando con voi. E' chiaro? - Andò al grosso tavolo centrale e prese il pesante posacenere in pietra lavica che stava al centro, poi tornò verso di loro - Se era per me, io vi spaccavo la testa a tutti e due, con questo. Non ci perdevo nemmeno una pallottola, per due merde come voi. Ma Salvio ha sempre bisogno che qualcuno gli dica cosa deve fare. Solo per questo, siete ancora vivi. E ora chiudete il cesso, se no la testa ve la spacco davvero, per me siete già morti, e non me ne frega un cazzo di quello che dice Salvio. -
- Puttana, la pagherai. - disse Layla. Per un istante, in cui a Mara uscirono quasi gli occhi fuori dalla testa, sembrò che stesse per accadere l'irreparabile. Poi Mara tirò un lungo sospiro e se ne tornò verso il centro della sala.
Giacomo tacque. Dubitava che lei potesse disubbidire al tipo con la pistola, ma era meglio non farle perdere la testa. Quindi, con ogni probabilità, il tipo era davvero il Salvatore Binfari di cui parlava la visura; e quelli cui stava telefonando adesso, sicuramente, non erano educande delle Orsoline o Figlie di Maria. A prima vista, le alternative erano solo due: o li faceva fuori subito, appena tornato lì, o più tardi, al massimo il giorno dopo se doveva aspettare l'arrivo di qualcuno. Ma, intanto, in serata, doveva arrivare Amedeo, no? E una cosa era certa: quei due e Amedeo non stavano dalla stessa parte. Questo era chiaro. Mara temeva addirittura che Amedeo volesse ammazzarla, lo accusava di essere l'assassino di Pantinetti.
Restava solo da sperare che a Binfari arrivasse l'ordine di non ammazzarli subito.
Passò un tempo che Giacomo non riuscì a quantificare, forse qualche minuto, forse un'ora. Mara aveva rimesso il posacenere sul tavolo e si era seduta su una poltrona di fronte a loro.
All'improvviso, dall'esterno, arrivò il rumore di un'auto che si fermava fuori al cancello. Mara, che stava con la testa tra le mani, si raddrizzò. Giacomo percepì qualcosa di strano. Non era un'auto sola, ne erano almeno due. Mara corse alla finestra e Giacomo non poté seguirla con lo sguardo perché la finestra era alle spalle dei divano e lui, legato com'era, faticava a girarsi. Ma, dopo un istante, Mara gli passò di nuovo davanti, correndo verso la cucina. Giacomo si rese conto che stava scappando, esattamente come avevano fatto lui e Layla poco prima.
Il rumore della porta che veniva aperta dalla chiave. Giacomo non poteva nemmeno guardare verso la porta, ma sapeva già chi si sarebbe presentato.
- Dov'è quella zoccola? - chiese Amedeo, calmo, appena comparso nel suo campo visivo.
- E' andata verso la cucina. - rispose Giacomo - Credo volesse scappare in cortile. -
Amedeo non era solo. Insieme a lui c'erano il biondo e il rapato e un altro ragazzo grasso, con i capelli neri ricci. Il biondo teneva per un braccio, Salvatore Binfari che sembrava molto remissivo e soprattutto sorpreso di quanto stava accadendo. Il rapato gli stava dietro e non lo mollava un attimo. Amedeo fece un cenno al ragazzo grasso, che lo seguì in cucina. Un istante dopo, la voce di Mara cominciò a gridare ogni genere di sconcezze e contumelie. Gridava ancora, quando i due la trascinarono dentro l'open space: il ciccione le teneva le mani, Amedeo la tirava per i capelli. Giacomo restò sorpreso nel vedere come, nonostante tutto, Amedeo e i suoi scagnozzi non la riducessero all'obbedienza a forza di botte.
- Dove sta il nastro? - chiese Amedeo.
- Nastro? - C'era di mezzo pure un nastro? Un nastro registrato? Poi Giacomo capì che la domanda era rivolta a lui, non a Mara o a Binfari.
- Il nastro adesivo. - disse Amedeo, sempre calmo.
Prima che Giacomo potesse rispondere, Layla disse - Ce l'ha lui, nelle tasche del cappotto. -
Meno di cinque minuti dopo, anche Mara e Binfari erano completamente immobilizzati. Non avevano fatto nessuna resistenza. Le pistole che Amedeo e il rapato gli avevano spianato davanti, si erano rivelate un argomento molto convincente.
- Non basta ancora. - disse Amedeo, al biondo - Si deve chiudere anche la bocca. -
Si occupò personalmente di chiuderla a Binfari, facendogli passare il nastro anche dietro la testa. Mara, che si era messa a piagnucolare, fu imbavagliata dal biondo.
- Anche quei due. - disse Amedeo, indicando Giacomo e Layla. Il biondo eseguì.
- Adesso li mettiamo in un posto sicuro e poi andiamo a prendere quello che ci serve per la festa. - disse Amedeo - Sarà una grande festa, una festa col botto. -
Il biondo e il rapato sollevarono Giacomo, tenendolo uno per le spalle e l'altro per le gambe, e lo portarono dietro la cucina, dove c'era una porta seminascosta che Giacomo aveva già visto, ma senza che gli venisse la voglia di aprirla. Amedeo aprì la porta e Giacomo riuscì a vedere che dava in un sotterraneo. Amedeo accese la luce, il biondo e il rapato portarono Giacomo già per una scala. Il sotterraneo era un vano piuttosto ampio, completamente spoglio, con due finestrini chiusi da inferriate in alto.
In seguito, uno dietro l'altro, portarono giù Layla, Mara e Binfari. Poi spensero la luce e chiusero la porta. Dopo qualche minuto, si sentì una delle due auto ripartire.

Roberto Cocchis

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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