April May Trappole Mortali
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Con un solo sguardo Sandy abbracciò l'intero arco della skyline. Non aveva mai ammirato Silent Lake da quell'altezza e il profilo dei grattacieli stagliati contro le acque calme del lago le appariva di una bellezza commovente. Senza dubbio era il luogo ideale per precipitare nel vuoto e togliersi la vita. Addosso portava l'abito adatto per l'occasione. Quello giusto. Ci aveva messo tempo a trovarlo. Non le bastava che valorizzasse le sue forme aggraziate, voleva che fosse il vestito perfetto, doveva toccarle il cuore. Del resto suo padre gliel'aveva ripetuto fin dall'inizio, con la malinconica tenerezza che lo coglieva ogni volta che parlavano del matrimonio. - Bambina mia, non preoccuparti se non lo trovi al primo colpo. E nemmeno al secondo o al terzo. Stai tranquilla, funziona così. Sarà lui a scegliere te e appena lo vedrai, non avrai incertezze. - E suo padre, come sempre, aveva avuto ragione. Peccato che lassù non ci fosse uno specchio, ma pazienza. Si era già rimirata tante volte e conosceva a memoria ogni piega, ogni ricamo. Sapeva che il vestito le cadeva alla perfezione, avvolgendola con la stoffa leggera impreziosita da fili d'argento. E poi c'era il velo, che sembrava fatto apposta per volare... Con un gesto rapido ne afferrò un lembo e se lo passò davanti al viso, sfumando di candida organza lo scorcio della baia. Sì, era davvero il vestito perfetto per l'occasione. Quello giusto per lui, l'unico a non averlo mai visto, perché le tradizioni vanno rispettate e porta male che lo sposo incontri la moglie con l'abito nuziale prima del matrimonio. Sandy in realtà non l'aveva fatto per paura della sfortuna. Più che altro le era piaciuta l'idea di stupirlo quando gli sarebbe andata incontro lungo la navata, splendida nella sua gioia. Voleva vedere riflesso nei suoi occhi tutto l'amore che gli stava portando all'altare, e godere della meraviglia che l'avrebbe colto al suo avanzare. Un'immagine splendida, vissuta mille volte nella sua mente, il solo posto dove si sarebbe realizzata davvero per l'eternità. Ma ormai non importava. L'effetto sorpresa avrebbe funzionato lo stesso ed era valsa la pena mantenere il segreto. Lasciò la presa sul velo e si guardò attorno con trasognata dolcezza. C'era un vento leggero lì in alto, che faceva danzare l'abito e sospingeva piccole nuvole rosa verso il lago. Erano lievi come fiocchi sospesi e passeggiavano nel cielo riverberando sulla seta i riflessi cangianti della madreperla. Alla vista delle acque infuocate dal rosso del tramonto le venne in mente un detto che sua mamma ripeteva spesso, rispecchiando l'ottimismo che le aveva illuminato la vita: “rosso di sera, bel tempo si spera”. Se il proverbio era nel giusto, domani sarebbe stata una magnifica giornata a Silent Lake. Ma non per Sandy. Domani infatti non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarla in chiesa per metterle la fede al dito, così come non c'era nessuno accanto a lei sul parapetto di quel grattacielo. Eh, già. Perché suo padre aveva avuto ragione anche sul futuro genero. Si erano incontrati una volta sola, ma era stata sufficiente per inquadrarlo. Non gli piaceva, lo considerava un cacciatore di dote e aveva cercato di dissuaderla. - Lascialo perdere, tesoro mio. Ho chiesto in giro, ti farà soffrire. - Poi, alla fine, si era arreso. Sandy quell'uomo lo voleva a tutti i costi e di fronte a tanta ostinazione non aveva potuto più opporsi. Era andato contro sé stesso e aveva acconsentito a portarla all'altare. L'aveva persino accompagnata nell'infinita ricerca dell'abito perfetto solo per farla felice, per vederla sorridere. Ma non aveva mai accettato qualsiasi altra frequentazione con chi disprezzava. Tendergli la mano avrebbe significato essere d'accordo. E lui non lo era. Sì, suo padre aveva avuto ragione e adesso lei era lì, pronta a volare davanti alla finestra del suo amore, per mostrargli anche per un solo istante quel magnifico abito bianco. Il suo ultimo dono per lui. Una folata insolente sbuffò strappandole il velo dalla coroncina. Lo osservò avvilupparsi con grazia e fuggire lontano. Nessun dolore. Dopo il velo le restava da perdere soltanto la vita. Col movimento leggiadro di una ballerina allargò le braccia e fissò lo sguardo oltre il sole, che stava scomparendo verso le altre stelle a cui da lì a poco avrebbe lasciato il posto. Non voleva guardare in basso. Lei cercava il cielo per volarci dentro. Allungò un piede sul nulla e si lasciò andare.
È strano. Quel freddo fuori stagione la mette a disagio. Non dovrebbe essere così, mica è inverno. Colpi di vento tagliente sferzano la cima degli alberi. Felci arboree, forse. O ibischi. Se ci fosse sua figlia Laura glielo saprebbe dire, le girl scout queste cose le conoscono. E in verità dovrebbe saperlo anche lei, perché da ragazza di campi estivi ne ha fatti a sufficienza. Eppure in quel momento non sa distinguerli. Per lei non sono altro che semplici alberi nella foresta. Alberi alti, scossi dal vento che soffia sempre più forte col passare dei minuti. È sola nel fitto del bosco e le nuvole sono talmente basse che pare la vogliano assorbire, minacciose e umide. Si stringe nella giacca leggera. Troppo leggera per quella temperatura. Chissà perché non ha pensato a indossare un giubbino più pesante. Rabbrividisce. Di freddo, ma anche di paura. Come diavolo è arrivata fin lì? - April... - È il suo nome. Lo sente e si guarda intorno, colta da un'ansia a cui non sa dare ragione. Non c'è nessuno e il panorama è fantastico, con due dirupi lontani che si fronteggiano come avversari pronti alla battaglia, divisi da un torrente impetuoso. È troppo distante per vederlo, tuttavia lo sente distintamente scorrere sul fondo della stretta valle formata dalle pareti di roccia a picco. Il posto, però... No, qualcosa non torna. È spettacolare, ma i colori sono sbagliati. Non c'è verde di vegetazione o azzurro di cielo su quel sentiero tra i boschi. Solamente un cupo grigiore di nebbia e nuvole. Nuvole che si addensano sempre più sulla sua testa. Che ci fa in questo luogo sperduto? La montagna le piace, ma non così tetra, non con questa luce foriera di tempesta. Deve tornare a casa. Senza neanche accorgersene il passo si tramuta in una timida corsa. - April... - Ecco, ancora il suo nome. È una voce femminile che le suona familiare, però non riesce a collocarla al posto giusto. Chi la sta chiamando? Si guarda ancora attorno, ma si sbaglia. È sola. Il vento gelido le porta un odore lontano. Da qualche parte, poco distante, la pioggia sta dissetando la terra riarsa. Una pioggia che sicuramente arriverà anche lì, se la direzione non cambia. L'andatura si trasforma allora in corsa affannosa, il ritmo delle pulsazioni accelera in sintonia con le gambe. È una reazione del tutto irrazionale, non c'è altro pericolo se non quello di bagnarsi un po' troppo. Eppure il cuore è oppresso da un'immotivata sensazione di angoscia. - Dai, che sarà mai? Al peggio ti becchi un raffreddore e con due capsule di Tylenol ti passa tutto. - Parla a sé stessa cercando di calmarsi. Inutilmente. Perché lei lo sa. Sa benissimo che non può tornare indietro, che deve costringere i suoi piedi a proseguire. Sempre più in fretta, nonostante il vento contrario e il burrone che si avvicina un passo alla volta. Corre e si guarda alle spalle in attesa di un nemico sconosciuto. - April? - Questa volta il suo nome è accompagnato da un fulmine imponente. Il lampo si fa strada attraverso i nuvoloni neri che riempiono l'orizzonte, dando il via alla pioggia. Poi apre uno squarcio nel cielo e precipita lontano nel mare, raggiunto in pochi istanti dal fragore del tuono. L'aria è carica di elettricità, l'odore di ozono diventa sempre più forte. L'ansia ormai è terrore e l'acqua che cade dall'alto si confonde con le lacrime che scendono senza controllo. Cosa ci fa là? Perché ha la chiara sensazione di dover fuggire da un pericolo mortale? Non lo sa, non sa nulla. L'unica certezza è che non può fermarsi. Non adesso, non fin quando... - April! - Ora la voce suona perentoria, non ammette repliche. Ma il suo fine udito sta sentendo altro. Urla. Urla improvvise che sovrastano il fischio del vento. Si blocca, ansimando. C'è un uomo in pericolo, ogni paura deve aspettare. Resta in ascolto per individuare in mezzo al temporale la provenienza delle grida. Deve andare a vedere se può fare qualcosa, subito! È senza fiato, ma riprende a correre velocissima. Le urla sono tremende. Arriva di slancio fin sul ciglio del burrone, frenando appena in tempo per non cadere. Il ponte di legno che unisce le due sponde è spezzato a metà, con le assi che sbattono impotenti contro la roccia da entrambi i lati. - Aiuto! Sono qui, aiutatemi! - La voce proviene dal basso. Lei si sporge tremando. Nonostante la sua fobia per l'altezza deve sincerarsi di cosa sta accadendo. Le appare un uomo mezzo soffocato dalle onde, disperatamente abbarbicato a una roccia. È evidente che la presa non è salda, l'acqua sta per travolgerlo e trascinarlo lontano. Senza il suo aiuto annegherà nelle rapide del torrente. - Eccomi! - esclama concitata. - Ora cerco una corda... - Al suo richiamo lui solleva il volto terrorizzato e April rimane senza fiato. Non può crederci! È Rudolph Carrington, il suo capo. - Rudy! Ma come... - - Aiutami, ti prego! - Rudolph continua a gridare. Lei guarda giù angosciata, ma d'improvviso la preoccupazione l'abbandona. Con lentezza greve un sorriso soddisfatto si impossessa delle sue labbra. Solleva il braccio per accennare un saluto, mentre le parole le escono crudeli, distaccate. - Ciao ciao, bastardo. Ora non potrai più farmi del male... - Dopo un'ultima disperata resistenza, il corpo di Carrington scompare tra le rapide, accompagnato dal fragore di un tuono. La pioggia scroscia violenta sulla testa di April e mentre le gocce rigano copiose le guance, il suo bel viso prende a trasformarsi. Un po' alla volta sparisce la folta chioma rossa, si spengono le pagliuzze verdi negli occhi color miele. E la morbida pelle corrosa dall'acqua marcisce in carne putrida, scoprendo sotto le guance un orribile teschio di morte.
- Svegliati. Adesso! - April apre gli occhi di botto reagendo alla voce risoluta che la sta chiamando. Passano però altri secondi prima di capire che non è più in quella foresta angosciante, bensì a casa, nel suo letto. Appena prende cognizione di sé, ancora al buio, si tocca ansiosa le braccia e le mani, tasta il volto, ma tutto è come deve essere. Quella carne che ha visto staccarsi a brandelli non è la sua. Che sollievo! Si trova al sicuro, è stato solamente un brutto sogno. Tuttavia la scoperta di non aver vissuto nulla di reale non riesce a rassicurarla fino in fondo. C'è qualcosa che la turba, ma fa fatica a ragionare lucidamente, ancora intontita dal brusco risveglio. La voce fuori campo udita nell'incubo deve essere di sua figlia. Per questo le è sembrata così familiare, seppure falsata dall'eco del gelido dirupo. - Laura, tesoro - mormora nella penombra. - Ti ho spaventata? - Povera piccola... Di sicuro l'ha sentita agitarsi ed è corsa a svegliarla. Si rigira con gli occhi semichiusi nella direzione in cui crede si trovi la bambina e le parla in tono ancora un po' tremante. - Briciola, visto che sei in piedi mi porteresti un bicchiere d'acqua? - In risposta le arriva solo silenzio. Percepisce chiaramente il vuoto che la circonda e si tira lentamente su un gomito. - Ma... dov'è finita? - bisbiglia tra sé, accendendo la luce. Con grande sorpresa constata che nella stanza non c'è nessuno. È confusa. La voce che le ha ordinato di svegliarsi era così reale, non può essere stata che sua figlia a trascinarla fuori dal sogno. Immagina che se ne sia tornata a letto, però le sembra strano che sia sparita senza dire una parola. E poi, perché l'ha chiamata “April” e non “mamma”? - Laura - ripete in tono più fermo. Dalla cameretta nessuno risponde. Com'è possibile? In casa ci sono soltanto loro due. Ripiomba sui cuscini stremata, come se avesse veramente corso per delle miglia. Nonostante la sensazione di freddo patita nel sogno, è tutta sudata e non si sente affatto bene. Forse è il caso di controllare la febbre. Solleva il morbido piumone ancora indispensabile nonostante si sia già a metà aprile, e allunga i piedi nudi sul parquet in cerca delle pantofole di cotone. Dopo una veloce perlustrazione le trova come sempre sotto al letto, neanche fossero dotate di vita propria. Nell'alzarsi barcolla, ma subito si riprende. Infila la vestaglia e si dirige verso la camera di Laura. Con cautela fa capolino dietro la porta e la vede dormire beata nel proprio letto, come è giusto che sia alle cinque del mattino. Scuote la testa e torna sui suoi passi. “Ma sì, mi sto facendo troppi problemi” pensa mentre si avvia giù per la scala. “Era tutto parte del sogno. Però quella voce di donna in qualche modo la conosco, ne sono certa.” Prova a riportarne a galla ancora una volta il suono, ma presto si rende conto che più si sforza, più svanisce. Con uno sbuffo decide allora di lasciar perdere e confidare nella serendipità. Certe volte meno si pensa a qualcosa e prima ritorna in mente. La seconda tappa è al piano inferiore, in cucina. Sente la gola ardere e ha bisogno di bere. Appena entra nel piccolo ambiente è percorsa da un nuovo brivido di freddo. Questa volta però ne prova piacere e respira a fondo l'aria pulita della notte che passa dalla fessura della finestra, lasciata appositamente socchiusa. Una sana abitudine che pratica a cuor leggero, visto che il quartiere è piuttosto tranquillo e in più c'è l'impianto di allarme a scoraggiare i malintenzionati. Riempie un bicchiere e beve a piccoli sorsi, mentre nella semi oscurità raggiunge il bagno, dove il termometro le assicura che la temperatura corporea è ottimale. A quel punto non le resta altro da fare che tornarsene a letto. L'idea di addormentarsi col rischio di ripiombare nell'incubo non l'alletta affatto, ma è troppo presto per rimanere alzata. Prende il romanzo di Wulf Dorn che la sera precedente ha lasciato sul comodino e si sistema tra le lenzuola, nella speranza di dimenticare la paura di quella notte. Il trillo della sveglia la coglie di sorpresa. Si è addormentata con la lampada accesa e il libro in mano, passando dalla veglia al sonno senza rendersene conto. E deve pure aver dormito pesantemente, altrimenti la luce l'avrebbe disturbata. È subito in piedi. Le mattine in casa May sono regolate da un rigoroso rispetto della tabella di marcia. Tra scuola e ufficio, c'è poco da perdere tempo e quel giorno non fa eccezione. Ancora in pigiama si affaccia sulla soglia della cameretta per svegliare Laura, prima di scendere a mettere in tavola la colazione. Lei si preparerà dopo. Come da abitudine, ha gli abiti già pronti nella cabina armadio. La trova in piena attività, impegnata a dare il buongiorno al suo diario, che porta il nome della bisnonna italiana di cui ha sentito raccontare tante storie affascinanti. Si scambiano un sorriso e April si avvicina per farle qualche coccola. Dopo lo spavento notturno sente il bisogno di stringere a sé il corpicino caldo della figlia. - Ehi briciola, dormito bene? - - Sì, mamma. Tutto di un tiro! Ho fatto un sogno bellissimo. Lo sto dicendo a Sveva. Ci metto un attimo. - Quella risposta non la sorprende affatto. Come ha supposto non è stata Laura a svegliarla nel mezzo della notte e la misteriosa voce è uscita semplicemente dal profondo del suo inconscio. - D'accordo, ma fai in fretta. Lo sappiamo quanto ci metti in bagno. - La bambina annuisce e April scende in cucina. La stanza è piccola, ma ricca di luce, perfettamente funzionale alle esigenze delle due abitanti. Allegra, è la definizione che salta subito in mente a chi vi entra. Mentre apparecchia l'isola centrale con le tovagliette da colazione, pensa che in fondo niente differenzia quella mattina da tutte le altre, non fosse per l'agitazione che continua a tormentarla. Purtroppo non riesce ad allontanare il ricordo dell'incubo. - Smettila di rimuginare e datti da fare - sbotta, aprendo con energia il tappo del latte. Ha l'abitudine di parlare da sola fin da bambina e Laura la prende in giro per questo. - Ma quante siete ad abitare nel tuo corpo, eh? A me una mamma basta e avanza! - E ogni volta scoppia a ridere a piccoli singhiozzi come suo padre. Le chiacchiere a voce alta a April però fanno bene. Pronunciare i propri pensieri l'aiuta a prendere le distanze, a trovare la giusta motivazione. E dopo la nottata inquieta appena trascorsa, ne ha bisogno più che mai. Si affretta quindi a seguire il consiglio che si è data e fissa l'attenzione sugli abituali gesti mattutini. Mette i cornflakes accanto alla ciotola con i golden retriever per Laura, poi spegne il bollitore e versa l'acqua nella sua mug preferita. La mattina per lei non può infatti iniziare senza il più classico tè nero, accompagnato da toast e marmellata. Mentre il getto bollente riempie la tazza, le torna davanti Rudolph che annega. Cerca di scacciare l'immagine focalizzandosi sul filtro di metallo che comincia a fare imbrunire l'infuso, ma i cattivi pensieri hanno la meglio. In realtà, ancor più della morte del suo capo, quello che la sconvolge è la soddisfazione con cui l'ha guardato soccombere. Possibile che dentro di sé lo odi tanto? È vero, è stata più volte importunata dalle sue avances, ma non ha mai desiderato che muoia. Almeno non fino a quel momento. E poi Rudy è fatto così, ci prova con tutte. La cosa lo rende sgradevole, ma non giustifica il piacere provato nel vederlo trascinare via dal torrente. Però, se si sofferma a scavare più a fondo, forse qualche buon motivo per volergli male esiste. L'ultima volta Rudolph ha proprio esagerato con le sue battute audaci. - Ci saranno grandi cambiamenti ai vertici della Long Publishing. Che ne diresti se ne parliamo un po' da soli nel mio ufficio? - Così le aveva detto, con lo sguardo liquido e il respiro profondo. Non era la prima volta, ma mai era stato così esplicito nel proporle uno scambio indecente. April si era subito scostata da quel corpo possente, infastidita dall'acre profumo di sandalo che le pungeva le narici. Per tutta risposta Rudolph era scoppiato a ridere. - Caspita, non pensavo di farti questo effetto. Ti consiglio però di cambiare atteggiamento, perché non ti conviene che io cambi il mio... - Rideva, ma non stava scherzando. Glielo aveva letto negli occhi. Quegli occhi intensi, pericolosi, in cui non c'era alcuna traccia di divertimento, solo l'arrogante consapevolezza del proprio potere. In ogni caso April aveva capito, il messaggio le era arrivato forte e chiaro. Lui era il capo, in tutti i sensi, e poteva disporre a proprio piacimento delle carriere dei sottoposti. Per questo sa che deve tenersi pronta a nuove sgradite sorprese. Le offerte di Carrington non sono altro che vili ricatti e può scommettere che non la lascerà in pace fino a quando non avrà raggiunto il suo scopo. Lei comunque farà di tutto per proteggersi e spera che quel briciolo di tenerezza intravisto a volte sul suo viso, lo faccia desistere dal metterla davanti a una scelta difficile. - Accidenti! - esclama all'improvviso. Tutti quei pensieri l'hanno distratta e si è scottata col vapore. Posa in fretta il bollitore sul piattino di ceramica scuotendo con forza la mano, poi corre a mettere l'indice sotto l'acqua del rubinetto, ma con poco sollievo. - Dentifricio! - mugugna, mentre mantiene il dito sotto il flusso freddo. - Cosa dici, mamma? - le chiede Laura entrando in cucina. - Vammi subito a prendere il dentifricio! - Si rende conto di essere stata troppo brusca e aggiunge con una smorfia di dolore: - Per favore, tesoro... - - Eh dai, ancora con questa storia dei rimedi della nonna! - Laura brontola, ma fila in bagno. Pochi minuti dopo riappare col tubetto in mano. - Ecco qua, prendi. - April chiude il rubinetto e si spalma la pasta candida sul dito ustionato. - Aaah, che sollievo! - - Sì, come no... - - Che vuoi dire? - - Vuol dire che con tutte le medicine che esistono, tu credi ancora che il dentifricio curi le scottature. E allora io credo a Babbo Natale. - - Sarebbe proprio carino se ci credessi ancora. - - Ti ricordi che ho 11 anni e 3 mesi, vero? - April sbuffa. - Comunque, signorina, io non credo che curi le scottature. Io lo so. Ecco, guarda! Ti sembra che si sia alzata la bolla, per caso? No, e questo perché ci ho messo sopra il dentifricio - conclude soddisfatta per la logica del suo ragionamento. Le piacciono questi piccoli battibecchi con la figlia, e quella mattina in maniera particolare, perché l'hanno riportata coi piedi per terra. - Beh, almeno il dolore è servito a distrarmi... - si dice a voce più bassa con un mezzo sorriso. - Mamma... stai parlando da sola? - April le fa l'occhiolino e indica i golden retriever sulla ciotola. - Dai, su, mangia. Tra quanto passa Ginny? - Laura guarda l'orologio che tiene al polso, regalo di compleanno del suo papà. - C'è tempo, tranquilla. - Beh, insomma. Tranquilla è una parola grossa. Tra la nottata appena trascorsa e la giornata che l'aspetta alla casa editrice, tutto si sente fuorché tranquilla. Laura prende posto e comincia a versarsi da sola i cereali, seguiti da un'abbondante innaffiata di latte. April la osserva con tenerezza. La sua bambina comincia a fare i conti con l'adolescente che è in lei, bisogna relazionarsi diversamente. Per fortuna c'è Timothy ad aiutarla. Da quando si sono separati, April sente maggiormente la sua responsabilità di madre, ma lui continua a dimostrarsi un buon ex-marito e soprattutto un fantastico genitore. Laura mette l'ultima cucchiaiata in bocca e lancia un'occhiata fuori dalla finestra. La sua amica del cuore, con cui frequenta la stessa scuola dal primo anno, la sta aspettando sul vialetto. - Ecco Ginny! Io vado. - Le schiocca un bacio sulla guancia e vola via in tutta fretta. April è colta alla sprovvista, ancora una volta distratta dai suoi pensieri. Niente da fare, il turbamento dovuto all'incubo non accenna a sparire. La paura del temporale, l'annegamento di Rudolph, la propria faccia scarnificata fino all'osso... Peccato che non si sia svegliata prima che il sogno diventasse un vero e proprio film horror, perché è in assoluto il genere che le piace di meno.
La colazione sulla terrazza dell'Hotel Palace è una delle abitudini a cui Linda Long non ha rinunciato neanche dopo la morte del padre. Naturalmente le punge il cuore entrare nella luminosa veranda e non trovarlo come sempre immerso tra le pagine di un quotidiano, ma tornare a sedersi al loro solito tavolo resta uno dei pochi modi per sentirlo ancora vicino. Il Petit Déjeuner è un locale con ampie vetrate affacciate sul verde di Lincoln Park, luogo prediletto dagli uomini d'affari di Silent Lake. Linda ci va volentieri perché vi trova tanti visi conosciuti e il contatto con quell'aria familiare contribuisce a lenire il dolore per un lutto a cui ancora non si è rassegnata. Nell'atrio trova come sempre il caposala, pronto ad aiutarla a cominciare la giornata con un sorriso. Danny Stanton è una delle figure rassicuranti che hanno popolato il mondo dorato in cui è cresciuta e rivederlo le permette di aggrapparsi con dolcezza ai ricordi. - Buongiorno signora, tutto bene? - La voce è allegra, ma lo sguardo rivela il dispiacere per la scomparsa di uno dei suoi più affezionati clienti. Per tanti anni ha servito David Long con garbo e discrezione, ricevendone in cambio gratitudine e rispetto. Stanton l'aiuta a togliere il trench primaverile e l'accompagna fino a un tavolo da cui si può godere il movimento mattutino tra i viali del parco. - Solito servizio? - - Sì, ma metta per favore un altro coperto. Aspetto qualcuno. - Il caposala fa cenno a un cameriere e si congeda. Mentre attende la colazione, Linda risponde ai saluti di alcuni conoscenti, poi con un gesto svogliato apre uno dei giornali disposti a ventaglio sul bordo del tavolo. Finge di leggerne qualche riga, ma subito lo mette da parte spazientita. Non sono le notizie del mattino a interessarla. Pensieri ben più pressanti le impegnano la mente. La sera prima ha ricevuto una strana telefonata da Courtney Clements, coordinatrice degli editor della Long Publishing, e non vede l'ora di chiarire la faccenda. Poco dopo un cameriere arriva per servirle il consueto ordine a base di caffè, croissant e macedonia di frutta. Linda dà un sorso alla bevanda fumante e corre con gli occhi fino allo stagno artificiale, che risplende tra le chiome degli alberi, già più rigogliose per l'arrivo imminente della bella stagione. Alla vista dello specchio d'acqua i ricordi cominciano ad affondare nel cuore come artigli. Non si è infatti ancora perdonata di non aver trattenuto suo padre quella maledetta mattina di un anno prima, quando l'ha trovato intento a sistemare gli ormeggi all'attracco privato della loro villa sulla costa. Che imprudenza uscire sul lago con un tempo simile! Glielo aveva ripetuto disperatamente, ma lui l'aveva presa in giro, ricordandole di essere diventato ciò che era proprio per aver sempre affrontato senza timore le sfide. Anzi, l'aveva invitata a seguirlo in quella folle partita contro il vento, forse per spingerla a dimostrargli di essere alla sua altezza, cosa di cui non sembrava affatto convinto. Ma si sbagliava. Loro due erano uguali, molto più di quanto entrambi pensassero. Non solo nei capelli e nel naso, nel portamento e nelle mani. Erano uguali dentro. Linda lo aveva realizzato con chiarezza dopo che il potente David Long aveva perso la propria sfida contro le acque del lago e lei si era ritrovata proprietaria di una delle case editrici più influenti degli Stati Uniti. Superata la confusione iniziale, si era scoperta una donna pratica e determinata, che da subito aveva chiarito il proprio ruolo a coloro che l'avrebbero voluta mettere da parte. Primo fra tutti suo marito Rudolph. Rudolph... Così amato e prevedibile. Anche lui l'ha sempre ritenuta inesperta negli affari e l'ha sposata con la chiara intenzione di assumere un giorno le redini dell'azienda. Invece, dopo aver atteso per vent'anni a denti stretti il proprio turno, si è ritrovato con una moglie che, pur lasciandogli in mano la direzione di un impero editoriale, non ha smesso un solo attimo di controllarlo. Precauzione inevitabile, visto che Linda sa bene con chi ha a che fare. Un donnaiolo, un manipolatore. Uno di cui non ci si può fidare. Rudy è sempre stato così. Altezzoso, scaltro, sfrontato. Però a lei era piaciuto dal primo momento e non glielo aveva fatto capire solo perché era ufficialmente legato alla sua migliore amica. Oddio, non che lui a quel tempo si comportasse da fidanzato modello. Tutti sapevano cosa faceva di nascosto. Ma Linda non se l'era sentita di passare ai fatti e aveva lasciato che la passione covasse sorda, opprimente. Poi era accaduto qualcosa di inatteso. L'amica le aveva confidato di aver fissato la data delle nozze e un moto incontrollato aveva preso il sopravvento nel suo cuore. D'un tratto aveva capito cosa davvero contava e si era esposta senza pudore, seducendo Rudolph con argomenti più convincenti di quelli che la rivale poteva offrire. Anche se erano entrambe figlie di ricchi imprenditori, lei aveva infatti dalla sua parte gli ambienti esclusivi, la fama internazionale, il potere. E li aveva sfruttati. Un gioco sporco, che aveva fatto presa su un arrampicatore sociale come Rudolph Carrington, ma aveva chiesto come contropartita un pesante senso di colpa. Sospirando Linda distoglie lo sguardo dal parco e dà un morso al croissant ormai freddo. Courtney Clements sta tardando. Chissà cosa diavolo vuole. L'ha chiamata dicendo di avere una notizia riservata su Rudolph, ma non ha voluto parlarne al telefono, così si sono date appuntamento per la mattina seguente lì al ristorante. Si augura solo che non sia una scusa per mettere bocca sulla scelta del nuovo vicepresidente della Long Publishing. Il marito della Clements è infatti il più probabile candidato, ma tutta l'operazione si sta svolgendo nel più stretto riserbo e Linda detesta ricevere pressioni quando si tratta di decisioni così importanti. L'ultima parola in azienda spetta solo a lei e non accetta ingerenze nemmeno da Rudy. In ogni caso Courtney non le piace. Già in altre occasioni ha cercato di mostrarsi amica, ma in maniera piuttosto forzata. Nonostante ciò, Linda è ansiosa di incontrarla. Ogni nuova informazione su Rudolph è importante, soprattutto se arriva dall'interno della casa editrice. Purtroppo ha imparato che con lui la prudenza non è mai troppa. In particolare dopo quel preoccupante biglietto anonimo trovato nella posta una settimana prima, di cui non sa proprio cosa pensare.
Il corpo flessuoso di Courtney Clements fa il suo ingresso nell'atrio del Petit Dèjeuner attirando gli occhi compiaciuti dei molti ospiti seduti ai tavoli. Linda la vede parlare con Danny, che si volta subito a cercare un cenno d'assenso prima di indirizzarla verso di lei. Una volta avuto il via libera, Courtney attraversa la sala con il passo da gatta che la caratterizza. È bella, su questo non si può discutere, ma di una bellezza algida, che mette a disagio. Una di quelle donne che i maschi prendono come una sfida tra le lenzuola, senza riuscire a innamorarsene mai. Le due donne si salutano con poco calore. La Clements prende posto di fronte a Linda e si volta verso la vetrata, sorridendo compiaciuta. - Vengo spesso qui a pranzo solo per godermi il panorama. Splendido, vero? - La Long annuisce e attende che alle frasi di circostanza segua qualcosa di più concreto. L'editor tira indietro gli indisciplinati ciuffi biondo cenere che le circondano la fronte, poi attacca a parlare con un tono di voce più basso. - Arrivo subito al punto. Di certo conosce April May, la responsabile della sezione Thriller & Mystery. - Linda scorge un'ombra di disprezzo negli occhi di Courtney mentre pronuncia quel nome e capisce che sta per sentire qualcosa che non le piacerà per niente. - Sì, l'ho incontrata qualche volta ai consigli di amministrazione. - - Ho avuto occasione di sentire dei discorsi strani tra lei e Rudolph e volevo metterla in guardia per evitare complicazioni. Non solo alla Long Publishing, ma anche al suo matrimonio. - Linda inclina leggermente la testa, affilando lo sguardo. - E perché si preoccupa tanto per il mio matrimonio? - - Perché le sono amica. - - A mio marito so badare da sola. La nostra conversazione può continuare solo se ha qualcosa da dirmi riguardo l'azienda. - - Purtroppo in questo caso le due questioni sono strettamente collegate. - Linda si serve del succo d'arancia. Muore dalla curiosità di saperne di più, ma non vuole mostrare la propria debolezza. Le scappatelle di Rudolph non sono mai state un mistero. All'inizio ne ha sofferto, ma col tempo ha imparato a tollerarle, considerandole dei semplici incidenti di percorso. Ultimamente però ha notato in lui un forte cambiamento e ora teme che stia arrivando la conferma ai suoi laceranti sospetti. - A che tipo di discorsi si riferisce? - - A quel tipo di discorsi. - Courtney aggancia fermamente il suo sguardo e non esita a colpire più a fondo. - Li ho sentiti io stessa, mentre non sapevano di essere osservati. In pratica Rudolph ha chiesto alla May cosa fosse disposta a fare per ottenere la vicepresidenza. April si è mostrata piuttosto riluttante, così lui le ha consigliato di cambiare atteggiamento. Lo ha detto ridendo, ma non stava affatto scherzando. - - La vicepresidenza? Ma con mio marito non abbiamo mai parlato di lei per questo incarico! - - Appunto - insiste Courtney con fare allusivo. - Probabilmente ha altre intenzioni... - Il cuore di Linda ha un fremito. Gli accordi con Rudolph sono chiari. Lui siede alla direzione dell'azienda, ma per le decisioni finali sulle cariche dirigenziali e sul capitale deve attendere il suo benestare. Sa che lei è ormai fermamente orientata su Luke Stevens, quindi stava solo usando un vile giochetto per ottenere altro da April. - Non so proprio cosa si è messo in testa. Oltretutto non voglio che Doris Werner sappia prima del tempo di aver perso l'incarico. Preferirei le fosse comunicato con le dovute cautele. - - Guardi che in ufficio lo hanno capito tutti cosa sta per succedere. Tranne Doris. Anch'io penso che non sia più all'altezza. La sua depressione sta peggiorando e poi ci sono tutti quei bicchieri buttati giù di nascosto... Anzi, nemmeno tanto di nascosto. - La Clements sorseggia il caffè, poi riprende il suo sussurro accorato. - Comunque la priorità al momento è allontanare April May. Mi creda, sta cominciando a rappresentare un pericolo, altrimenti non sarei venuta a dirglielo. Rudolph è molto preso. Se quella donna acquista potere, potrebbe influenzarlo e ne andrebbe del bene dell'azienda. - Linda la squadra con sospetto. È comprensibile che la Clements tema di perdere l'occasione di vedere il marito sulla poltrona di vicepresidente, ma la preoccupazione per l'ingerenza di April le appare fuori luogo. Courtney sembra intuire il suo pensiero e la ricambia con uno sguardo che non lascia dubbi su cosa sia capace di fare pur di ottenere il suo scopo. - Dobbiamo aiutarci a vicenda per difendere i nostri interessi. Posso contare su di lei? - Linda Long si volta verso il parco e prende un momento di riflessione prima di parlare. Non è più certa di nulla, ma bisogna agire in fretta. - Va bene, avvisi suo marito. Gli dica di presentarsi questa mattina stessa nell'ufficio di Rudolph. Al resto penserò io. -
Chris Greeceman
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