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Autore: Nunzia Alemanno
Naufraghi di un Bizzarro Destino
Thriller Romance
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Naufraghi di un Bizzarro Destino
Anche se i miei occhi sono chiusi, Annabelle sa che non sto dormendo.
- È un viaggio di andata o di ritorno? - mi chiede.
La guardo ma non le rispondo. Resto a fissare le sue graziose fossette che a un certo punto scompaiono perché diviene seria.
- Scusa se mi sono permessa, non sono affari miei. -
Mi riprendo dall'estasi in cui ero caduto e mi affretto a rassicurarla.
- Oh, mi dispiace, sono io piuttosto a dovermi scusare... ero finito un attimo sovrappensiero. È un viaggio di sola andata, ma non voglio smettere di pensare a un ritorno. -
- Sei texano? -
- Sì, originario di Houston. -
- Bella Houston, ci sono stata qualche giorno fa. -
- E tu invece? - Non dovrebbe importarmene. Sto per chiederle come mai suo marito non sia con lei sperando in una risposta che mi soddisfi. Ma che sto facendo? Tra qualche ora vedrà in me un mostro infernale e sarà uno sguardo, il suo, che mi trafiggerà il cuore.
- Anch'io sono texana, ma vivo a Sidney. -
- Con tuo marito? - Non ho resistito, lo devo sapere. Perché viaggiare da sola se hai un marito?
- Sì, con mio marito. È per lui che vivo a Sidney. Ci lavora. -
- E come mai non vi ha seguito? -
- Ha un lavoro che lo impegna molto. Dopo questi ultimi tempi di crisi è stata un po' dura ricominciare. Non può fermarsi per il momento. Noi due invece abbiamo deciso di andare a trovare i miei a Dallas. Abbiamo approfittato della diffusione dell'ultimo vaccino e dell'ennesima riapertura dei voli. Noah non vede i nonni da tantissimo tempo. Mi chiedo, riusciranno mai a creare un vaccino definitivo che possa chiudere questa storia per sempre? -
- Certo che ci riusciranno. Ho sentito che sono sulla buona strada. - Non era affatto vero, ma non mi andava di dirle qualcosa di negativo, qualcosa di brutto, non ancora.
- Davvero? E dove lo hai sentito? - mi chiede, raggiante di speranza.
- In una conferenza medica in cui ne parlavano. -
Le riempio la testa di frottole per mezz'ora, non che mi divertissi a farlo, ma perché sorride, e il suo sorriso mi dà un senso di pace, mi rilassa, mi fa dimenticare perché sono su questo aereo.

Sento i battiti del cuore sempre più frenetici all'approssimarsi dell'ora X.
Lo stronzetto, dopo aver cenato con la foga di un assatanato e aver concluso con un dessert a base del solito fagottino al cioccolato confezionato, si è addormentato. Dormi ragazzino, dormi perché sarà una lunga notte.

Manca un'ora. È il momento di andare in bagno, fare una lunga pisciata, recuperare i pezzi della mia pistola e rimontarla. Un quarto d'ora dopo questo pensiero, esco dal bagno con la pistola e la custodia col pugnale ben fissati e nascosti dietro la cintola dei pantaloni. Incrocio per un attimo lo sguardo di Rudolf mentre attraverso la raffinata first class. Lo avevo visto alzarsi dalla sua poltrona e andare in bagno un quarto d'ora prima di me. La sua arma era già dove doveva essere.
Siedo al mio posto. È l'una di notte. Lei dorme. Volevo svegliarla e farle sapere che conoscerla è stata la cosa più bella che mi sia capitata negli ultimi tempi. Dirle che ha trasformato il veleno di queste ore in un dolce nettare che ho assaporato con la tristezza nell'anima, con la consapevolezza che non ne avevo il diritto.
- Annabelle! - la chiamo, ma il mio è solo un filo di voce, e il suo è un sonno troppo profondo per poterlo sentire.
È ora. Da questo momento in poi la concentrazione sarà al massimo. Approfitto del fatto che tutti dormano per prendere dal mio zaino un grosso bustone nero ben piegato, uno di quelli che vengono utilizzati per la raccolta dei rifiuti. Lo inserisco nella tasca posteriore dei pantaloni e aspetto. L'affanno mi soffoca. Le mani tremano. Gli occhi si spalancano vedendo Rudolf che si alza. È il momento.
La cabina di pilotaggio è blindata. Dopo il disastro dell'11 settembre le cose sono cambiate. I piloti sono intoccabili, la porta si apre solo dall'interno attraverso un dispositivo di sblocco a cui ha accesso solo il comandante. Oppure tramite un codice preimpostato prima della partenza, da digitare su un pannello esterno. Lo conosce solo l'assistente di volo responsabile e lo utilizzerà solo in caso di vera emergenza, come una pistola puntata alla testa. Ma non vogliamo arrivare a questo.
La porta non si apre mai tranne che per brevi e rare occasioni: andare in bagno o farsi portare il pranzo o la cena. In questo momento siamo in attesa che quella porta si apra e il fatto che Rudolf sia in piedi vuol dire che sta per aprirsi.
Percorro a grandi passi il corridoio, raggiungo la prima classe. Proseguo verso la cabina di pilotaggio. Due assistenti di volo dormono sulle loro poltrone, l'altra non è al suo posto. A una certa ora della notte, chiunque sia alla guida di un veicolo ha bisogno di un caffè e l'assistente capo cabina sta per fare il suo dovere. Nel momento in cui il comandante sblocca la porta, con lei irrompe anche Rudolf e tutto comincia. Mi assicuro che le altre due non si siano svegliate, raggiungo la cabina di pilotaggio e mi intrufolo al suo interno, dopodiché ordino al comandante di bloccare la porta. Rudolf ha spaventato per benino l'assistente capo che se ne sta accovacciata in un angolino a piangere e a tremare. Ora punta la pistola alla testa del pilota e gli elenca i cambi di rotta. Il copilota spetta a me. Gli punto la pistola alla tempia e con una forte pressione della canna sulla sua pelle lo costringo a ubbidire.
- Stacca immediatamente le comunicazioni. Veloce bello, non farti pregare! -
Gli trema il respiro, è nel panico, ma agisce senza battere ciglio.
- Ora disattiva il transponder, svelto! -
Esita. Si volta incerto verso il comandante come se cercasse la sua approvazione.
- Fai quello che ti ho detto! - gli urlo in un orecchio premendo oltremodo la fredda canna sulla sua tempia. - Detesto ripetere le cose due volte. Ti avviso che la terza non esiste. -
Azzarda una risposta inaspettata considerando che un proiettile sta per fondere la sua materia grigia. - Non posso... è... è complicato... e non posso farlo senza l'autorizzazione del comandante. -
Guardo Rudolf. Non voglio fare del male a nessuno, lo giuro, ma questo mi sta infiammando i nervi.
Con molta calma, Rudolf si rivolge al comandante. - Ordina al copilota di disattivare il transponder. Fallo immediatamente. Ti metto al corrente che siamo in grado di giungere a destinazione anche con un solo pilota, che potresti non essere tu. Dai l'ordine! -
Indugia un attimo, ma l'ordine viene emesso. Da questo momento in poi nessuno sa chi siamo.
Chiedo al copilota di accendere tutte le luci della fusoliera entro i prossimi quindici minuti; avrà inizio la seconda parte, quella in cui ci sarà il primo contatto con i passeggeri, un impatto non troppo duro per non creare il panico, ma neanche tanto morbido.
L'assistente responsabile sveglia le colleghe con cautela e le informa dell'accaduto, invitandole a mantenere il controllo, anche se lei stessa non aveva ancora smesso di tremare.
- Tieni! - Porgo alla responsabile il bustone nero che avevo conservato in tasca.
- Che cosa devo farne? -
- Te lo dirò dopo. Come ti chiami? -
- Natasha, signore. -
- Non sono il tuo signore, chiamami Leon. E voglio che smetti di tremare. Non sarà fatto del male a nessuno, ti do la mia parola. Concedimi una pacifica collaborazione e andrà tutto bene. Vale anche per voi - dico alle altre due. - Voglio che andiate tra i passeggeri a calmare qualche animo che si agiterà. Ho bisogno di un microfono, voglio che mi sentano bene. -
- Il mio auricolare è collegato a quello del comandante con cui fa gli annunci. -
- Bene. Dammelo. -
Posa il bustone per terra e, con molta grazia, sfila il suo auricolare. Lo sistema attorno al mio orecchio avendo cura di far giungere il microfono fino all'angolo della mia bocca. Metto la mia mano sulla sua, la sento ancora tremare.
- Tranquilla - la rassicuro.
Mi dice di sì con la testa, mi guarda per un istante, poi sfila la mano dalla mia; mi prende un dito e lo posa alla base dell'auricolare.
- Qui c'è la levetta per accendere il microfono e il pulsante sotto è per aprire la comunicazione. -

Il vano passeggeri si illumina a giorno. Alcuni si strofinano gli occhi, altri si guardano intorno disorientati sollevando la testa oltre gli schienali. Molti sguardi si rivolgono verso il display di segnalazione, ma nulla vi è indicato. Si odono bisbigli generali un po' confusi, soprattutto al passaggio delle hostess.
Natasha è ferma davanti a me all'imboccatura della prima classe. Il suo bellissimo corpo nasconde ciò che impugno nella mano destra, ma non per molto perché faccio un passo in avanti, accendo il microfono e inizio il mio show.
- Signore e signori, buonasera. -
Qualcuno tra le prime file ha già visto la mia pistola e comincia ad andare in affanno. Una donna piange. Sollevo il mio braccio e rendo la mia arma visibile a tutti.
- Ciò che stringo in questa mano è una pistola, e vi assicuro che non è un giocattolo. Non posso sparare in aria per dimostrarvelo perché provocherei danni importanti alla fusoliera, ma posso farlo su una vostra gamba, magari in corrispondenza dell'osso così eviterei di bucare il sedile. Qualche dubbioso vuole offrirsi volontario? Possiamo farlo subito o aspettare che a qualche eroe venga in mente di fare una stronzata. Come volete. -
Nessuna riposta. Le due hostess sono già al lavoro, qualcuno non sta bene. Si sente altra gente piangere.
- Metto in chiaro una sola cosa sin da subito. Non muovetevi, non commettete errori stupidi, come credere di potermi sopraffare, per esempio, perché non sono solo e le assistenti ve lo possono confermare. Il mio complice è nella cabina di pilotaggio a far compagnia ai piloti e se qualcosa dovesse andare storto, qualsiasi cosa, lui ve la farà pagare. Vedete, tra noi due, io sono quello ragionevole, quello che prima di spararvi un colpo in testa vi avvisa di non fare cazzate e di ubbidire a ogni ordine, e questo avviso ve lo sto comunicando esattamente adesso. Al mio complice invece non piace comunicare. Lui conosce un solo modo per farsi capire e non vi consiglio di scoprirlo. Cambieremo rotta, non vi serve sapere dove andremo, perciò non chiedete. Detto questo, evitate di piangere o di entrare nel panico perché tutto dipenderà da voi stessi. Comportatevi bene e non avrete problemi. Questo ve lo assicuro. -
Senza rendermi conto sono arrivato a metà del corridoio, e da qui riesco a intravedere lo sguardo deluso di Annabelle. Lo evito. Mi fa male.
- Lei è Natasha, - continuo indicando l'assistente alle mie spalle - chiederà a ognuno di voi di lasciare nel sacchetto i vostri cellulari, smartphone, tablet... tutto quello che vi siete portato dietro. Quando tutto sarà finito vi saranno restituiti. Fatelo con molto ordine ed evitate di fare i furbi. Ogni dispositivo deve essere spento. Veloci. Datevi una mossa. -
Controllo di persona che ognuno di loro getti la sua roba nel bustone nero. Sembrano aver compreso lo spirito di collaborazione anche se qualcuno pare prenderla alla leggera.
- Tu non hai messo niente nella busta. - Mi rivolgo a un ragazzo che guarda indifferente fuori dal finestrino.
- Io non ho niente. -
- Vuoi farmi credere che non hai un cellulare? -
- Non ce l'ho infatti. -
- Vieni fuori - gli ordino, ma lui esita. - Alza il culo e vieni fuori di lì! -
Gli altri due passeggeri si spostano per farlo passare e ora è al centro del corridoio davanti a me. Avrà dai diciotto ai vent'anni, un'età troppo stupida per comportarsi in maniera sensata. E io lo posso dire con sicurezza.
- Allarga le braccia. - Lo perquisisco e al primo tocco avverto un aggeggio rettangolare nella tasca dei pantaloni. Afferro lo smartphone e glielo piazzo sotto al naso.
- E questo cos'è? Pezzo di stronzo! -
Lo getto con stizza nel sacchetto e, incazzato all'inverosimile perché un idiota non mi ha preso sul serio, gli urlo contro puntandogli la pistola sulla faccia.
- Credevo di essere stato chiaro, razza di coglione. Quale punto del mio discorso non hai capito? Eh? Dimmelo perché in via eccezionale lo ripeterò anche per gli altri. C'è qualcuno che non ha sentito bene quello che ho detto? - grido a tutti tenendo il tizio per i capelli con la pistola puntata contro.
Il ragazzo si inginocchia chiedendomi scusa, ripetendo ininterrottamente che gli dispiace.
- Non funziona, - continua a ripetere - non te l'ho dato perché non funziona. Non c'è la scheda dentro... lo uso solo per ascoltare la musica. -
- Non me ne frega un cazzo. Non ti è permesso prendere decisioni o fare congetture. Ciò che io decido è sacro, sono stato chiaro? -
- Sì... sì... mi dispiace. -
- Torna a sedere. E adesso statemi tutti a sentire - riprendo con tono molto acceso. - È vietato, nel modo più assoluto, alzarsi dalla propria poltrona. Allo stesso modo non è consentito aprire lo scomparto del bagaglio a mano. Non si mangia, non si beve e non si va al bagno. Se qualcuno la deve fare, la trattenga o se la faccia addosso. Al primo che si muove gli sparo. -

Sono seduto per terra con la schiena poggiata alla porta che blinda la cabina di pilotaggio. Il mio sguardo è perso nel nulla, lontano dai pensieri, immerso in un vuoto totale interrotto solo da insistenti colpi di tosse. Vedo Natasha venire verso di me.
- Che succede? - le chiedo mentre mi alzo.
- Una signora è aggredita da una tosse isterica. Posso portarle mezzo bicchiere d'acqua? -
- No. Ho dettato regole ben precise. -
Resta lì a fissarmi. Ha un'aria molto più sicura e tranquilla da quando le avevo preso la mano per tranquillizzarla.
- Per favore - insiste.
Io invece sono irremovibile. Lei non molla; fa altri due passi e si avvicina a me ulteriormente.
- Voleremo per altre sette ore. È tanto tempo per delle persone spaventate e sotto tensione. Lascia che mi prenda cura di loro, ti prego. -
- No. Ognuno di loro pretenderà qualcosa e io non voglio confusione. -
- È soltanto un bicchiere d'acqua. - La sua voce è soave e mansueta, emana risolutezza, fiducia, e sono tentato di cedere. - Lascia che li assista. Mi prendo la responsabilità di tutto. Ti chiedo di fidarti di me. -
Il mio silenzio accende la sua speranza.
- Va bene - acconsento alla fine. - Ma a ad una sola condizione. -
- Quale? -
- La paura ti blocca o, al contrario, ti fa fare cose stupide. Voglio che li tieni d'occhio. Se ti accorgi di qualcosa, voglio che vieni a riferirmelo. È meglio prevenire perché altrimenti qualcuno potrà farsi male seriamente. E io ti ho dato la mia parola che non succederà niente a nessuno. Dammi quindi la possibilità di non venire meno alla mia promessa. -
Lei accetta senza battere ciglio, sa che è la cosa giusta da fare.
Ritorno con le chiappe sul pavimento e la pistola stretta in mano. Vedo Natasha sgattaiolare verso i passeggeri con una bottiglia d'acqua e una colonna di bicchieri di plastica. L'altra hostess, dietro di lei, raccoglie in un sacchetto della spazzatura tutti i bicchieri che man mano vengono usati. Alla fine Natasha riesce a farsi concedere anche il permesso della toilette, ma solo per i casi più urgenti. Cosa ci posso fare. Le donne hanno questo effetto su di me, alla fine riescono sempre a convincermi.

È trascorsa un'ora. Di tanto in tanto faccio un giro tra i passeggeri per rinfrescare loro la memoria. Non raggiungo mai il fondo del corridoio, non ne ho il coraggio. Da alcuni minuti imperversa il brutto tempo; molti finestrini hanno le tendine abbassate per via dei fulmini, e gli scossoni dovuti alla turbolenza peggiorano non di poco la tensione già presente. Attraverso l'auricolare di Natasha mi tengo in contatto con Rudolf; ci sentiamo ogni quindici minuti per assicurarci che vada tutto bene e ora dovrei chiamarlo, ma la tipa di prima ricomincia con la tosse isterica. Faccio un cenno a Natasha che si precipita con la bottiglia d'acqua e alcuni bicchieri. Ha un portamento da vera lady, si muove sinuosa nonostante i tacchi alti le torturino i piedi. In un breve momento in cui si era seduta, l'ho vista togliersi le scarpe e massaggiarsi le caviglie. Deve essere davvero dura muoversi su quei trampoli. Mentre lei si occupa della signora, io contatto Rudolf, ma non ricevo riposta.
- Rudolf... - insisto. - Rispondi! -
C'è ancora un attimo di silenzio poi sento la sua voce piuttosto concitata.
- Leon, non adesso. -
- Mi vuoi spiegare che succede? - ma non si fa sentire. - Parlami, maledizione! -
- Ho detto non adesso, Leon. - E stavolta è incazzato.
Natasha si assicura che la signora si senta meglio mentre io noto una leggera inclinazione dell'aereo verso sinistra. Stiamo virando e non dovremmo.
- Natasha, andiamo di là. Muoviti. - Sono preoccupato e non voglio trasmettere ansia ai passeggeri.
Un altro tizio approfitta del nostro passaggio per chiedere un bicchiere d'acqua e Natasha mi chiede un attimo di pazienza. Mentre versa l'acqua, sobbalza a tal punto da schizzarne una certa quantità fuori dal bicchiere. Tutti, in realtà, abbiamo avuto un sussulto nell'udire quel colpo. Io più di tutti.

Qualcuno grida dalla prima classe. - Era uno sparo, hanno sparato nella cabina dei piloti. -
Lascio Natasha e inizio a correre verso la cabina di pilotaggio. Il microfono è sempre acceso ma Rudolf non dà alcun segno. Mi vengono i brividi, ho paura.
Urlo a squarciagola il suo nome picchiando forte con il pugno sulla porta blindata.
- Per l'amor di Dio, di' qualcosa. Rudolf! Parlami, ti prego! -
Non ho idea di ciò che sia successo, non so se è vivo o morto, non riesco a capire niente. Do colpi alla porta come un forsennato e non faccio che gridare. - Apri la porta. Apri questa cazzo di porta! -
Rudolf non avrebbe nessun motivo per non rispondermi e a quest'ora avrebbe già aperto la porta. Quindi mi sorge un sospetto atroce. Devono avergli in qualche modo sottratto la pistola e... gli hanno sparato. Non riesco a trovare altre spiegazioni.
Ripongo la pistola dietro la cintola dei pantaloni. Natasha è qualche passo dietro di me; le vado incontro e prendo tra le mani il suo viso, di nuovo bagnato dalle lacrime.
- Tesoro, ascolta, devi aprire quella porta. -
Fa cenno di no con la testa in modo compulsivo ma io insisto.
- La devi aprire, Natasha. -
- Non posso. Non lo posso fare, non sappiamo che cosa sia successo. -
- È per questo che la devi aprire. Devo sapere chi ha sparato. -
- Non posso, mi dispiace. Per quel che ne sappiamo il tuo complice potrebbe essere morto, altrimenti ti avrebbe risposto, o ti avrebbe aperto lui stesso. Se qualcuno è stata vittima di quello sparo, e non sono i piloti, non posso aprire. Dovrai uccidermi, Leon, mi dispiace. -
Le sue lacrime scendono come una cascata sulle mie mani ormai grondanti. L'idea che Rudolf possa trovarsi in una pozza di sangue mi spaventa e non so più cosa fare. Lei non aprirà mai quella porta. Il protocollo glielo vieta, il senso del dovere glielo vieta. Non inserirà quel codice neppure se sparassi uno ad uno i passeggeri davanti ai suoi occhi. Ma io non sono un animale, non farei mai una cosa del genere e lei lo sa. Se sono qui è proprio perché un bastardo come Balish non si sarebbe fatto scrupoli, ma io non sono così e proprio in questo istante prendo la peggiore delle decisioni: mi arrendo.
- Devo capire cos'è successo. Ti prego. Ho riposto la pistola e non ti sto minacciando. Ti sto supplicando. Anzi no, guarda... faccio di meglio. Prendila! - le dico porgendole la mia arma. - Voglio che la prendi. -
Le asciugo le lacrime, le accarezzo il viso. Ho bisogno della sua complicità, senza di lei non avrò mai quel codice.
- Prendila, Natasha. -
I suoi occhi arrossati mi fissano in uno sguardo attonito mentre il resto del suo corpo sembra essere paralizzato. Con molta delicatezza le prendo una mano, la rassicuro e nel suo palmo chiudo la mia pistola.
- Leon! -
Non riesco a credere alle mie orecchie. È la voce di Rudolf. Le mie mani stringono ancora quella di Natasha e sono tentato di riprendermi la pistola, ma non lo faccio.
- Rudolf! Ma dove cazzo sei finito? -
- Stai tranquillo. Qui è tutto okay. -
- Ho sentito uno sparo. -
- Sì, è partito un colpo, ma è tutto sotto controllo. -
Non sono tranquillo, è successo qualcosa, lo sento.
- Apri la porta. -
- Ti ho detto che è tutto sotto controllo, procede tutto come abbiamo programmato. -
- Rudolf, per favore, - ripeto con più fermezza, - apri la porta. -
- Leon, ora ascoltami. Io sono al comando della missione. Io sono quello che prende le decisioni e tu devi sottostare ai miei ordini. Per cui, se decido di non aprire questa porta, evita di rompermi i coglioni. Sono stato chiaro? -
- Ordini? Ma di che cazzo stai parlando? Tu sei il mio migliore amico. Tu ed io siamo come fratelli. -
- Non su questo aereo, Leon. Mi dispiace. Ora lasciami fare il mio lavoro, tu continua a fare il tuo. -
- Rudolf... Rudolf... ti scongiuro, rispondi! -
Ha chiuso la comunicazione. Ora sì che sono nel panico. Vuole tenermi all'oscuro. È successo qualcosa che non vuole farmi sapere. Qualcosa che non approverei.
Mi volto, lei è ancora lì. Non ha più la mia pistola.
- È al sicuro - afferma, notando che le sto guardando le mani.
- Bene. Ora sai quello che devi fare. -
- Perché lui non vuole aprirti? E come la prenderà se lo facciamo? E tu... - mi chiede come se avesse paura della risposta che potrei darle, - da che parte stai? -
Siamo davanti a un pannello rettangolare che rappresenta tutto ciò che mi separa dalla verità e lei è in attesa di una risposta.
- Sono dalla vostra parte perché non voglio che vi accada qualcosa di brutto, e sono dalla sua perché lui... lui è la mia famiglia. È il padre che non ho avuto. È il fratello che avrei voluto avere. -
Senza dire altro, allunga la mano verso il pannello cominciando a comporre il codice segreto, ma io la fermo. Trattengo ancora una volta la sua mano nella mia e l'avverto calda e sicura; mi avvicino al suo orecchio.
- Se dovesse succedermi qualcosa, hai la pistola. Avevo tolto la sicura, devi solo premere il grilletto. Ti turberà per il resto della vita ma salverai queste persone. Un colpo in testa, rapido e sicuro. -
- Avevi detto che non eravamo in pericolo. -
- Doveva essere così, ma ora non sono più sicuro di nulla. -
Lascio che la sua mano torni a picchiettare sul tastierino. Completa la sequenza ma dovrà inserire un secondo codice di emergenza, e prima di digitare l'ultimo numero si ferma.
- Se c'è una minima probabilità che possa succederti qualcosa, allora dovresti prendere tu la pistola. Dovresti avere la possibilità di difenderti. -
Scuoto la testa. - Con Rudolf non servirà. Un maestro non si lascerà mai sottomettere dall'allievo, e prima che io apra quella porta avrò già la sua pistola puntata sulla fronte. -
- E tu puntagli la tua. -
- Avrà già sparato prima che io ci pensi. Forza, completa la sequenza. -
Con molta incertezza, clicca sull'ultimo numero e io mi aspetto di sentire da un momento all'altro uno schiocco o qualcosa del genere.
- Che succede? - le chiedo. - Perché non si apre? -
- Devono trascorrere trenta secondi. -
Trenta secondi. Il tempo sufficiente per cambiare idea e riprendermi la pistola, ma lei ha già preceduto il mio pensiero e la vedo correre verso un armadietto. Lo apre e prende qualcosa al suo interno. Si volta verso di me e, senza pensarci due volte, mi lancia l'arma. Non posso fare altro che afferrarla. La porta si sblocca. Con un movimento fulmineo la apro sperando di cogliere Rudolf di sorpresa, ma come avevo previsto, la canna della sua pistola è in mezzo ai miei occhi. Natasha dietro di me emette uno strillo acuto e si accascia a terra piangendo in maniera piuttosto convulsa. Sento le altre due assistenti correre da lei e, una volta che l'hanno raggiunta, hanno la medesima reazione. La pistola in mezzo agli occhi e lo sguardo fisso su Rudolf mi impediscono di vedere ciò che loro hanno visto, ma dalla loro reazione intuisco che è qualcosa di molto brutto. Mi basta spostare lo sguardo di poco per rendermi conto che il mio istinto ha ragione. Oh Rudolf... che cosa hai fatto? Solo pochi minuti prima lo immaginavo in una pozza di sangue, ma è la testa del comandante a navigare in un liquido rossastro che si allarga a vista d'occhio sul pavimento.
- Rudolf... Rudolf... - Non so cosa dire, non ho parole.
- Non dovevi aprire questa porta, Leon. Fai due passi indietro e richiudila. Lasciami solo e torna dai passeggeri. -
Non riesco a muovermi. La tensione mi soffoca e ho difficoltà a credere che lui sia davvero Rudolf. Satana in persona si sarà impossessato di lui e gli avrà offuscato la mente, non c'è altra spiegazione. Ma devo assicurarmene e con un piccolo sforzo riesco a far uscire la mia voce.
- Perché l'hai fatto? Perché hai fatto una cosa del genere? Non doveva morire nessuno. -
- Tranne se qualcuno smette di collaborare. -
- Toglimi questa cazzo di pistola dalla faccia e spiegami cos'è successo. -
Non lo fa.
- Toglimela, cazzo! - urlo puntandogli la mia dritta sul suo naso.
Restiamo a fissarci senza dire un'altra parola, poi lentamente, lui abbassa la sua pistola e io la mia.

Sono tutti nel panico; i pianti e le grida dietro di noi, in un momento come questo, sono insopportabili. Le hostess sono abbracciate tra loro e, nonostante Natasha non riesca a smettere di piangere, spinge le altre a rassicurare i passeggeri, a raccontar loro che è stato un incidente e che andrà tutto bene.
- Voleva virare e tornare sulla rotta originale - spiega Rudolf. - Se n'è infischiato delle mie minacce e ha deciso imperterrito di mantenere la sua posizione di comandante. -
- E lo ha deciso dopo più di un'ora dal dirottamento? Perché non lo ha fatto subito? -
- Non ha importanza. Il punto è che ha deciso di virare e io ho dovuto prendere dei provvedimenti. -
- Potevi sparargli su una gamba, spaccargli la faccia, toglierlo da quella poltrona e darlo a me. Perché un colpo in testa? -
- Perché devono capire chi è che comanda! - sbraita come un pazzo.
- Non ti capisco. Io non riesco più a capirti. Pensavo fosse Balish lo psicopatico. -
- Mi dispiace deluderti, amico mio. Ora devi uscire di qui. -
Il primo ufficiale ora è al comando dell'aereo; oltre a essere scosso mostra anche una certa insofferenza. Si è voltato verso di noi più volte mentre parlavamo, come se volesse dire qualcosa. Il mio sospetto viene subito confermato.
- C'è un motivo molto serio per cui il comandante si è rifiutato di proseguire su questa rotta. - Il pilota ha sputato queste parole tutto d'un fiato per paura che un proiettile potesse impedirglielo.
- Sta' zitto, coglione... - lo aggredisce Rudolf.
- Lascialo parlare! -
- Non ha niente da dire. -
- Sì, invece! - insiste il pilota. - Se stiamo andando incontro alla morte hanno il diritto di saperlo. -
- Tappati quella cazzo di bocca! - Rudolf lo aggredisce, gli salta addosso picchiandolo ripetutamente con il calcio della pistola. Io lo afferro per i vestiti e lo tiro via urlandogli di calmarsi, e non so nemmeno come possa esserci riuscito, ma alla fine la sua rabbia si placa.
La mia è ancora viva, invece. - E adesso voglio sapere ogni cosa, tutto quanto! Non sono qui per fare da baby sitter ai passeggeri, faccio esattamente quello che fai tu e voglio essere informato su tutto. -
Apre la bocca per dire qualcosa ma lo zittisco subito.
- Non tu, voglio che sia lui a parlare - gli dico riferendomi al pilota.
- Non giocare con il fuoco, Leon. Stai rischiando di bruciarti. -
Sarebbe lui il fuoco? No, quello arroventato adesso sono io, e non sto giocando.
- Comandante, - presumo debba chiamarlo così visto che è lui al comando adesso, - che cosa ha da dire? -
- Siamo dentro una forte perturbazione che interessa una vasta area del Sud Pacifico. -
- E quale cazzo è il problema? Da quando un aereo non è in grado di affrontare un innocuo temporale? -
- Non è un semplice temporale, è una tempesta, ma non è questo il problema. I dati registrano temperature molto basse e il motivo per cui il comandante voleva virare ce l'ha proprio sotto il naso. -
Mi indica il parabrezza picchiettato costantemente da proiettili ghiacciati grossi come le biglie di vetro con cui giocavo da bambino.
- La grandine? Qual è il rischio? -
- È il peggior nemico dei motori. Se li metterà fuori uso, un ammaraggio in un mare forza 10 sarebbe un disastro. La struttura non reggerà, l'aereo andrà a pezzi. -
- Che cosa possiamo fare? -
- Salire più in alto possibile prima che la grandine ingolfi i motori e volare sopra le nuvole, ma poi insorgerà un altro problema. -
- Quale? - chiedo, sempre più preoccupato.
- Si avrà un consumo maggiore di carburante e non ne avremo abbastanza per toccare terra. Quando abbiamo cambiato rotta, la prima cosa che abbiamo fatto è stata calcolare il consumo di carburante e abbiamo dedotto che ci sarebbe bastato per un pelo. Facendo ora questa manovra avremo un consumo maggiore e non arriveremo a terra. -
- Non importa. Planeremo fino ad ammarare. Saremo più vicini alla costa e lontani dalla tempesta. I soccorsi avranno la possibilità di agire rapidamente... -
- Adesso basta! -
L'espressione minacciosa di Rudolf non mi piace.
- L'aereo continuerà per la sua strada. Niente ammaraggio. Atterreremo al vecchio aeroporto come programmato. -
- Ma hai sentito una sola parola di quello che ha detto? -
- Dice solo stronzate! - grida. - Qual è stata l'ultima raccomandazione del generale, prima di partire? Rispondi! - continua a urlare.
- La missione deve riuscire a tutti i costi. -
- Quello... - dice riferendosi al pilota a terra - è tutti i costi. Quello... - riprende indicando il maltempo - è tutti i costi. -
Resto in silenzio. Ho bisogno di riflettere. Devo valutare cosa è meglio fare, più che altro in che modo farlo.
- Comandante, - ordino, - porti in alto questo aereo. -
Rudolf tende di nuovo il braccio puntando la pistola contro il comandante. - Tocca quella manetta e sei morto. - Poi si rivolge a me. - Vuoi che gli spari, Leon? Vuoi la morte di questo stronzo sulla coscienza? Sai che posso far atterrare questo aereo anche da solo, e sai che ucciderò quest'uomo senza pensarci due volte, ma tu non me lo lascerai fare perché adesso tornerai di là e la smetterai di crearmi problemi. -
Tutto l'affetto e il rispetto che provavo per lui sono cominciati a venire meno dopo aver visto quel cadavere. Ora, si è sgretolato del tutto.
- Va bene, Rudolf. Non voglio avere la sua morte sulla coscienza, ma l'avrai tu, la sua e quella di tutti noi. -
- Esci fuori di qui, Leon. Finché non atterreremo, non voglio più vederti. -
- Ah beh... sarà questione di poco allora. -
Ripongo la pistola dietro la cintola dei pantaloni sperando che questo gesto gli faccia abbassare la guardia. Non è granché ma, mentre gli volto le spalle, noto che la canna della sua pistola si sposta di poco dalla testa del pilota, e questo per me è sufficiente. Mi volto di scatto verso di lui e con il lato della mano gli sferro un potente colpo alla gola mentre con l'altra cerco di sottrargli la pistola. Non ci riesco, l'arma cade da qualche parte ma non importa. Rudolf è disarmato.
Nonostante lui stia soffocando, mi carica come un toro inferocito, sbattendo la sua testa contro il mio torace. Scivoliamo sul sangue del cadavere e, tra un colpo e un altro finiamo fuori dalla cabina di pilotaggio. Io sono piuttosto alto e ho una prestanza fisica non indifferente. Ma Rudolf è potente; mi sembra di scagliare pugni contro una parete d'acciaio, e quelli che mi becco da lui li sento perforarmi le ossa. Mi lancia contro una parete e mi percuote più volte la testa ma io do una spinta più forte e gli appioppo una testata sul naso. Lo scaravento a terra in balìa di calci e pugni ma lui mi piazza una calcagnata dritta sullo stinco, per cui riesce a rialzarsi e prendere posizione. Nel frattempo cerco la mia pistola dietro al cinturino ma non la trovo; devo averla persa durante lo scontro, ma il mio pugnale è sempre stato lì. Lo sfilo via dal fodero, sfreccio la lama sulla sua faccia ma la prontezza di riflessi è una caratteristica che lo ha sempre contraddistinto. Lui non è solo potente: è agile, è furbo, è il migliore. È il guerriero in cui ha cercato di plasmarmi, ha voluto rendermi uguale a lui e per un verso ci è riuscito ma, nonostante tutto, non riesco a metterlo al tappeto. Saetto il mio pugnale in ogni direzione, ma lui gli sfugge, lo blocca e, con una manovra che non arrivo ancora a comprendere, riesce a farmelo cadere dalla mano, allontanandolo poi col piede. Ora è il suo turno. Mi scarica addosso tanti di quei colpi che non riesco più a riprendere il controllo. Il sangue mi penetra negli occhi e mi offusca la vista, e il sapore aspro che sento in bocca diviene sempre più amaro. Sputo sangue mentre ricevo un nuovo calcio sulla faccia. Atterro di schiena e arretro fino a raggiungere la prima classe, seguito da lui che, dopo aver raccolto il mio pugnale, si prepara a fare ciò che deve. La disperazione di tutti è ormai al limite e la mia si unisce a quella dei passeggeri.
- Ti volevo bene, Leon. Io credevo in te. Avevo fatto grandi progetti... avremmo conquistato il mondo. Ma hai voluto mandare tutto a puttane, e io questo non te lo posso perdonare. -
- Anch'io ti volevo bene, - replico con la voce smorzata dai dolori, - ma ti sei svelato per il mostro che sei e non ti lascerò portare questa gente a morire. -
La sicurezza per affermare ciò me la dà soltanto una persona, quella che si è rivelata la mia unica e vera complice. Mentre sono ancora disteso, attraverso le gambe di Rudolf vedo Natasha accovacciata che mi lancia la pistola. Sapevo che non gli avrebbe mai sparato, diventare all'improvviso un assassino non è facile. Apro le gambe e l'arma slitta rapida sul pavimento finendo dritta tra i miei coglioni. Rapida come la mia mano che la afferra. Rapida come il proiettile che centra Rudolf in piena fronte. La sua testa viene spinta indietro e lui cade di spalle. Mi sento morire. Non avrei mai immaginato la sua morte questa notte, non per mano mia. Ho un gesto di stizza. Scaglio pugni sul pavimento e urlo forte. Piango. Piango per la prima volta da quando ne ho memoria e non immaginavo facesse così male.

Nel momento in cui riesco a riprendere il controllo mi precipito dal comandante e lo informo che non ci saranno più problemi e che da questo momento è lui al comando. È riuscito a salire oltre le nuvole e dovremmo essere in grado di viaggiare in sicurezza, almeno finché non finisce il carburante. Dopo aver superato il bombardamento della grandine, la lotta con Rudolf e dopo che le grida dei passeggeri si sono un po' smorzate, c'è un silenzio improvviso, quasi surreale.
- Ho paura che i nostri problemi non siano finiti, Leon. È così che si chiama, giusto? -
- Sì, è il mio nome. Comandante, che succede? -
Fa una pausa, sa che sta per darmi una brutta notizia. - I motori sono in avaria, proprio come temevamo. Sto approfittando di una corrente ascensionale per andare più in alto possibile in modo da avere poi una planata maggiore. -
Ebbene sì. È l'ultima cosa che avrei voluto sentire. - Deve riattivare il transponder e le comunicazioni, immediatamente! -
- Chiami Natasha, ho bisogno di lei qui. -
- Si sta occupando dei passeggeri, c'è un disastro di là. Mi dica che cosa posso fare - ribatto sedendomi sulla poltrona del defunto comandante. La poltrona è macchiata ancora del suo sangue. Rudolf gli ha sparato in testa a sangue freddo, poi lo ha sfilato dalla sua postazione e abbandonato sul pavimento.
- Il pannello alla sua destra, quello che sembra un autoradio. -
- Sì. Cosa faccio? -
- La manopola che è su STBY, la ruoti tutta a destra. Inserisca il codice 7500. -
- Okay. Adesso? -
- Prema il pulsante identificatore, quello al centro con la dicitura Ident. -
Faccio tutto quello che dice e mi dà istruzioni su come riattivare le comunicazioni. Dopodiché indossa le cuffie col microfono e lancia il mayday.
- Quanta distanza potremmo percorrere planando? -
- Non posso dirlo con certezza, devo controllare il manuale di bordo. Ci sono dei parametri standard determinati dal costruttore sulla velocità di massima efficienza e il rapporto di planata. Come se la cava con la matematica? -
- Ho studiato fisica e matematica prima di prendermi una cotta per l'ingegneria elettronica. I numeri sono la mia passione. -
- Bene! - esclama in maniera alquanto ironica. - Apra il manuale e trovi quei parametri, le dirò che calcoli deve fare e li comunicheremo alla torre di controllo. Quando i motori si spengono, non verrà più prodotta energia elettrica; l'Apu e le batterie ci supporteranno per circa un'ora, dopodiché... ci spegneremo. Niente più comunicazioni, nessuna immagine radar, niente di niente. -
- E cosa dovrebbero farsene di questi calcoli? -
- Li utilizzeranno per determinare il punto d'impatto. Da lì faranno altri calcoli tenendo in considerazione la forza del mare e del vento e generare così coordinate più precise su dove cominciare a cercarci. Finché la tempesta è in atto non mobiliteranno le ricerche e, una volta in mare, chissà dove andremo a finire. Ma con i dati che invieremo avremo una minima possibilità che ci trovino quanto prima. -
In meno di dieci minuti abbiamo i calcoli che ci servono e li comunichiamo a terra, sperando in un miracolo.
- Davvero lei pensa che con un mare forza 10 l'aereo resterà intatto e che ci verranno a salvare? Lo crede davvero? -
Resta impassibile e non risponde, ma non ha senso nasconderlo.
- No, - ammette infine, - non ci credo, ma devo costringermi a farlo. Non so nemmeno se ci arriveremo in mare. Le turbolenze sono così rabbiose che potrebbero smantellare l'aereo molto prima. Planare con un vento così forte sarà molto difficile; se ne dovessimo uscire indenni dovremo fare i conti con un ammaraggio eccezionale e affrontare onde alte almeno quindici metri. - Mi guarda con occhi arresi e tristi. - L'aereo andrà in pezzi. -
Resto in silenzio. Qualunque cosa mi venga da dire non avrebbe senso, ma alla fine lo faccio lo stesso. - Mi dispiace, mi dispiace tanto. Non doveva andare così. Vorrei porre rimedio ma non so come fare. -
- Non so quali fossero le vostre intenzioni, ma ormai è andata così e il potere di tornare indietro nel tempo non lo abbiamo. Stiamo per rientrare nella tempesta, le consiglio di farsi curare le ferite prima di ricominciare a ballare. Ha macchiato di sangue tutta la postazione. Insomma... non è igienico. -
- Stiamo per morire e lei si preoccupa che le ho sporcato la postazione? -
- La morte è l'ultima spiaggia da considerare. Prima vengono un mucchio di altre cose. Dica a Natasha di preparare i passeggeri. Sotto ogni sedile c'è un giubbotto di salvataggio. Ne indossi uno anche lei, sieda al suo posto e si allacci la cintura. Se ha un Dio da pregare, è il momento giusto per farlo. -
- Andrò a prendere il mio giubbotto, ma non ho intenzione di lasciarla qui da solo. -
Si volta verso di me con uno sguardo divertito. - Morire in compagnia, se devo dire la verità, non mi dispiace. Ma si pulisca la faccia perché è davvero inguardabile. -

Chiudo prima i cadaveri nei bagni. L'ultima cosa che ci serve, in un momento come questo, è vedere i loro corpi rotolare a destra e a sinistra durante la turbolenza.
I miei passi si muovono lenti. Mentre percorro il corridoio dirigendomi verso il fondo, mi aspetto di incontrare sguardi spietati, occhi colmi di odio e mani pronte a squartarmi la pelle di dosso. Stanno per morire per colpa mia e un linciaggio è il minimo che posso aspettarmi, ne hanno tutte le ragioni e li lascerò fare. Ma non succede niente; mi guardano appena con le lacrime agli occhi, poi tornano a pregare. Addirittura una di loro, una donna di mezza età in piena crisi di panico, mi afferra il braccio, piangendo.
- Stiamo precipitando? Moriremo? Ti prego, dimmi la verità. Stiamo per morire? -
- No, no, ma come le viene in mente una cosa simile? -
- Ci dicono di mettere i giubbotti di salvataggio... -
- È solo una precauzione. Planeremo finché non ci poseremo sul mare, dopodiché sarà come stare in barca. -
- Ma affonderemo? -
- No, la fusoliera è pressurizzata. Galleggerà sul mare e non entrerà una goccia d'acqua. Dico davvero. Forza... lo indossi. - Le do una mano con il giubbotto e le spiego cosa deve fare, anzi cosa non deve fare. - Non deve tirare questa cordicella, a meno che non si trovi fuori dall'aereo... in acqua... cosa molto improbabile - mi affretto a dire vedendo tornare lo spavento sul suo volto. - Ora deve solo stare tranquilla, andrà tutto bene. - Mi fa cenno di sì con la testa anche se il suo viso continua a bagnarsi, e intanto io proseguo il mio viaggio verso il fondo del vano passeggeri. La vedo finalmente. Annabelle. Tiene suo figlio tra le braccia, gli sta raccontando una storia ed è evidente lo sforzo per non farsi vedere spaventata. Prendo il giubbotto dal vano sotto al mio sedile tenendo lo sguardo fisso su di lei, ma sembra che io non esista. Decido di sedermi, Noah si sposta di poco in avanti e per un attimo mi investe con la sua consueta espressione corrucciata. Faccio finta di niente e con la mano sfioro la spalla di Annabelle. Lei all'improvviso interrompe il suo racconto e si volta verso di me.
- Non toccarmi! -
- Volevo solo dirti... -
- Non voglio parlare con te. -
- Volevo solo dirti che mi dispiace. -
Lascia suo figlio e gli volta le spalle venendomi praticamente addosso.
- A me non importa cosa succederà, hai capito? Non m'importa di questo aereo, non m'importa di questa gente, non m'importa di me. Ma ho paura per mio figlio, è di lui che mi preoccupo. Lui è tutto ciò per cui io vivo, e per la sorte che gli toccherà, io ti maledico. -
Ha retto anche troppo, scoppia a piangere e riprende suo figlio tra le braccia.
- Sono già maledetto - replico. Li lascio e torno nella cabina di pilotaggio.

Siamo in piena turbolenza. Lo sforzo del comandante per mantenere il controllo del velivolo è immane. La grandine è tornata a martellare il cervello e di tanto in tanto si avvertono scossoni così violenti che potrebbero davvero divellere qualche pezzo dell'aereo. Il vento è fortissimo e la visibilità sotto lo zero. Il pilota è al massimo della concentrazione; i suoi occhi sono fissi sulla strumentazione di bordo e la mano sulla cloche sembra quella di un chirurgo che fa un lavoro di precisione, mentre il piede sinistro e quello destro si alternano continuamente sui rispettivi pedali. Sta facendo un lavoro straordinario.
- A che punto siamo? - gli chiedo.
- Manca poco, si tenga pronto all'impatto. -
- Come sta l'aereo? -
- Mi sembra impossibile ammetterlo, ma per il momento non vengono rilevati danni. -
Siamo a pochi piedi dalle acque. La grandine ha lasciato il posto a una pioggia persistente e il buio fuori è più fitto che mai. Un fulmine accecante ci colpisce in pieno; non crea alcun danno se non quello di abbagliarci, ma un nuovo lampo subito dopo illumina il cielo come fossimo in pieno giorno e rende visibile per un paio di secondi il muro infernale alto più di dieci metri contro il quale stiamo per schiantarci. Non abbiamo nemmeno il tempo di invocare Dio. Istintivamente, ci portiamo con il busto in avanti per proteggerci. L'impatto è violento. Il parabrezza, già indebolito dalla grandine, va in frantumi e imbarchiamo acqua. La grande onda che ci ha colpito solleva il muso del velivolo; l'aereo va quasi in posizione verticale ma al passaggio dell'onda ritorna sulla pancia. Avviene in maniera violenta, l'aereo non regge più a causa dei contraccolpi subiti durante la turbolenza e si apre in due. È la fine.

Nunzia Alemanno

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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