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Autore: Mirca Ferri
Nella nebbia controcorrente
Narrativo Psicologico
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Nella nebbia controcorrente
Ma, tornando alla domanda iniziale del prologo, quand'è il momento in cui si sceglie di commettere un errore, più o meno recuperabile, pur sapendo a priori che si sta sbagliando?
- Dal momento che sappiamo distinguere il bene dal male, sappiamo anche quale fra esse è la scelta giusta da quella sbagliata. La scelta giusta è quella che vieppiù si allontana dal male e dal peccato. Quella sbagliata rifugge virtuosismi e ci avvicina alla paura del peccaminoso piacere, portandoci, spesso, a nasconderci.
Dunque perché continuiamo a compiere decisioni errate oltremodo a nostro discapito?
Perché la scelta giusta richiede sacrificio.
Dolore.
Coraggio.
Perseveranza.
Rivendica Fede e fiducia in Dio e soprattutto in sé stessi. Pretende lealtà e, a volte, non offre nulla in cambio poiché la sola virtù conferita al Suo interno, è essa stessa un premio.
Sappiamo sempre quando sbagliamo ma la tentazione dell'immediato giovamento che ne riceveremo, è più forte del senso di colpa e responsabilità.
Tutti noi valiamo più della nostra codardia. Smettiamo di temere la realtà.
Solo la verità rende liberi -

(da: IDENTITÀ PERSE, RACCOLTE, PERDUTE E RITROVATE)

Ciascuno di noi, nel corso della propria vita, si trova a fare delle scelte e, sovente, la paura, il dubbio e l'incertezza prendono il sopravvento. Affrontare una decisione, in realtà, è una costante della nostra esistenza ed è ciò che ci aiuta a crescere, cambiare, evolvere.
Si sceglie continuamente, dalla banalità di un vestito piuttosto che un altro, fino a quale proposta lavorativa accettare, parlare o no con la persona che ci piace ecc. Tutto ciò richiede necessariamente il fatto di assumersi la responsabilità delle conseguenze della propria scelta, accettare quella - quota di rischio - insita in ogni nostra azione quotidiana. E, la paura delle conseguenze, è uno dei motivi per cui, spesso, molte persone vivono con forte ansia e preoccupazione qualsiasi tipo di decisione. Numerosi centri specialisti hanno individuato, fra tutte, cinque forme diverse in cui si manifesta tale paura. In questo caso prenderemo in esame quella stilata dal Professor Nardone.

La paura di sbagliare
E' la forma più diffusa, tipica -in particolar modo- di chi riveste ruoli di responsabilità. La paura, in questo caso, è il timore di commettere errori irreparabili o prendere una decisione che potrebbero rivelarsi una rovina. La persona si pone come giudice inflessibile di sé stesso e delle sue azioni e proprio questa condizione la porta a vivere condizioni quali ansia, stress, preoccupazione, vivendo col costante terrore di essere giudicati incapaci.
La paura di non essere all'altezza
Quando si ha un basso amor proprio, si fatica a credere di essere in grado di credere nelle nostre capacità. Molte persone che vivono questa forma di paura, tendono a evitare ruoli importanti e di responsabilità, delegando ad altri e anche quando riescono a dimostrare, di essere in grado e capaci di portare avanti compiti di fondamentale importanza. Resta vigile in loro la sensazione di non essere mai soddisfatti e ritengono opportuno impegnarsi senza sosta, perdendosi la gioia di godersi pienamente il successo ottenuto.


La paura di esporsi
Essa si manifesta nel momento in cui dobbiamo fare una scelta e comunicarlo agli altri. Generalmente si tratta di decisioni importanti, come un trasferimento, che possono quindi influire anche sulla vita altrui. In questo caso è necessario confrontarsi ed esporsi al giudizio altrui. Talvolta associata a questa forma di paura, può esserci la paura di parlare in pubblico, con la conseguenza di chiudersi in sé stessi costruendosi un metaforico rifugio. Nei casi più complessi e gravi essa può trasformarsi anche in paranoia e fobia sociale.

La paura di non avere o perdere il controllo
Questa tipologia di paura, può considerarsi - trasversale - alle altre forme finora illustrate. Viviamo in una società che ci chiede di - controllare - costantemente ogni aspetto della nostra esistenza e pertanto, possiamo costruirci la credenza secondo la quale, nelle decisioni, è possibile e necessario essere in grado di pianificare ogni minimo dettaglio. Tuttavia, quando questo modus operandi si estremizza può condurre ad un blocco dentro il quale non si è capaci di scegliere se non sono adeguatamente predisposti i propri schemi mentali che ci fanno sentire al sicuro. La possibilità, sempre presente, di una variabile che non si può controllare spesso innesca dei veri e propri - loop mentali - e alla scelta, arrendevole, di non scegliere
La paura dell'impopolarità
Uno dei più importanti bisogni dell'essere umano, soprattutto in questo secolo, è quello di sentirsi apprezzati, stimati e popolari dalle persone a loro care in primis e, ultimamente, dalle persone in generale, grazie alla sovraesposizione a cui siamo sottoposti dai vari social. Proprio a partire da tale esigenza, può scaturire la paura di decidere, nel timore di perdere il consenso e l'apprezzamento delle persone. Solitamente chi vive questa forma di paura, è una persona accondiscendente e, pertanto, di fronte a decisioni che potrebbero –in qualche modo- creare dispiacere o irritazione agli altri (considerati, ormai, indispensabili più di sé stessi) si possono vivere situazioni di stress, sofferenza e disagio.
Indipendentemente dal tipo di paura di decidere, ciò che emerge è il fatto che non sono gli eventi in sé a creare stati di ansia o di stallo, ma il modo personale in cui ciascuno vive e affronta tali eventi. Per questo tante volte siamo presi dalla tentazione di delegare ad altri una scelta, pur consapevoli che è quella sbagliata, piuttosto che assumersene la responsabilità. Se poi tale decisone non arreca conseguenze negative né su sé stessi, né su altri, verrà sempre meno il bisogno di percorrere la strada tortuosa della decisione che porta l'individuo a una ponderata crescita da adolescente colmo di dubbi ad un adulto responsabile. Quando si delega ad altri le nostre scelte e di esse se ne gode solo il piacere effimero, allora si persevererà in tale direzione, che implica il mancato controllo sulla propria vita – con la pericolosa opportunità che essa divenga possesso di un'altra persona-.


Viola aveva trent'anni. Era una donna piacente ma non sfavillante. Si mortificava vestendosi in modo scialbo, evitando di curarsi i capelli e il trucco. Desiderava passare del tutto inosservata tanto era grande la sua insicurezza. Questo si ripercuoteva anche in ambito professionale dove spesso lasciava che gli altri colleghi si assumessero meriti che, invece, sarebbero spettati a lei. Ma la situazione le andava bene così. Non amava sentirsi sotto i riflettori, troppo preoccupata di commettere errori. La sua vita sociale era relegata all'essere - l'ultima persona da invitare alle feste per fare numero - . Ne era consapevole ma partecipava ugualmente timorosa che un rifiuto avrebbe potuto nuocere alle altre persone. Durante una di queste serate, Viola conobbe Luca, un uomo di quasi dieci anni più di lei. Abituata a essere ignorata si stupì molto quando fu proprio lui ad avvicinarla e a porle delle domande. La donna rispondeva con la flebile voce di una ragazzina arrossita ma Luca sovrastava la sua timidezza ostentando una grande sicurezza, sia nel tono della voce che nei fatti da lui narrati. Incredibilmente, quest'uomo così affermato e pieno di iniziativa le domandò di uscire per conoscersi e da allora nacque la loro relazione. I genitori di Viola non comprendevano come mai un tale bell'imbusto avesse scelto proprio un piccolo fringuello come Viola, ma lei li rassicurava dicendo loro che lui era l'uomo giusto, quello che stava aspettando. La proteggeva, la tranquillizzava, le faceva regali e la faceva conoscere a tutti i suoi amici. Durante queste serate, Viola passava tutto il tempo ad accrescere l'ammirazione altrui verso Luca; era come se lei fosse un faro proiettore di luce divina che lo circondava, rendendo invisibili tutti gli altri presenti. Dopo circa un anno convolarono a nozze. Luca guadagnava a sufficienza per entrambi ed esortò Viola a lasciare il suo lavoro per occuparsi della casa e della loro relazione. La donna, senza battere ciglio, obbedì al suo uomo, donandogli oltre al suo amore, anche la propria indipendenza economica. Viola era una donna incapace di scegliere. Aveva un solo obiettivo: non restare sola. In una sola persona si erano mescolate la paura dell'impopolarità e quindi di essere respinti dalla massa, che ancora oggi vuole la donna maritata, a quella di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Luca rappresentava alla perfezione il narcisista impellente di cui si parla nel primo capitolo. Aveva scelto Viola, come moglie, per esser certo che non l'avrebbe mai oscurato. Anzi, l'avrebbe sempre sostenuto, lucidato come un trofeo, facendolo brillare in ogni contesto. Le cose subirono un cambiamento quando ebbero un figlio. Viola, donna già insicura di suo, richiedeva molte attenzioni, nel timore di sbagliare e Luca era infastidito e deluso da ciò. Per lui era implicito che una donnetta qualunque come Viola sapesse almeno fare la madre. La donna ce la mise tutta ma ciò comportò aver meno cure e attenzioni sia per la casa che per suo marito. Un pomeriggio Viola aveva invitato la madre per farsi aiutare. Quando Luca ne venne a conoscenza, scagliò il suo disprezzo verso quella che riteneva l'inettitudine della moglie, dandole un violento schiaffo sul volto. Da allora fu l'inizio di una parabola discendente della famiglia. Luca, da vero narciso, alternava momenti di scuse e preoccupazioni verso la moglie a violenze psichiche e fisiche. Non si preoccupava minimamente di tradirla pubblicamente, umiliandola sempre di più. Viola iniziò a chiedersi per quanto avrebbe retto, ma come poteva andarsene senza lavoro e con un figlio? Luca conosceva i suoi timori e li alimentava per mantenere legato a sé la sua preda.
Durante l'inverno, l'azienda dove lavorava Luca, organizzò una settimana bianca. L'uomo, senza porsi problemi, portò con sé l'amante del momento. Durante quel breve periodo Viola iniziò a riflettere sulla sua esistenza partendo dal principio. La sua paura di esser notata, la necessità di non scegliere mai per non essere accusata di nulla. Era tutta la vita che si comportava così e ora, questo suo delegare ad altri ogni sua decisione l'aveva portata a vivere un inferno da cui sentiva di non potersi liberare. Ne parlò con la madre per chiedere temporanea ospitalità ed ella accettò. Al suo ritorno Luca trovò la casa vuota. Telefonò furente a Viola che gli comunicò di avere avviato le pratiche con l'avvocato. Voleva il divorzio. Al suo dissentire, per la prima volta, Viola scelse per il bene di sé stessa e per quello di suo figlio minacciando il marito che, se non lo avesse concesso, l'avrebbe denunciato alla polizia per violenza domestica. Luca capitolò. E per non perdere un attimo del suo status si sentì in dovere di comunicarle che comunque era già stata rimpiazzata. Viola non batté ciglio. Appoggiato il telefono si accorse di non aver mai percorso alcuni tratti fondamentali della vita di un essere umano e che, solo dopo averli attraversati, avrebbe compreso che tipo di donna sarebbe stata. Si concesse il tempo della tristezza, poi della perseveranza, del coraggio e infine della rinascita. Luca trovò solo tante altre donne come Viola che enfatizzassero all'estremo il suo narcisismo. Attualmente si sta lavorando molto con proposte di Legge e centri di recupero per le donne vittime di violenze, ma la maggior parte di loro, senza tanti clamori, SCEGLIE, semplicemente di dare una direzione alla propria vita, assumendosene ogni responsabilità.












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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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