- Miss Anderson? - chiese una voce dietro di lei. Si voltò e si vide davanti un ragazzo con una divisa rossa che reggeva le sue valigie. Le prese e lo ringraziò, e mentre quello si allontanava si guardò in giro. Era piuttosto squallida quella piccola stazione di provincia. Grigia e un po' sporca, con un giornale vecchio di qualche giorno abbandonato sulla panchina lì vicino, di cui si vedeva appena la data: 28 maggio 1963. Una locandina sgualcita si stava staccando dal pannello degli avvisi e ondeggiò per il vento. Non c'era nessuno sul marciapiede. Il fischio del treno si fece sentire e i vagoni ricominciarono a muoversi. - Indietro ormai non si torna.. - pensò la ragazza, sentendosi percorrere il corpo da un tremito. Uscì dalla stazione passando per una minuscola sala d'aspetto, con le poltrone di pelle consunta e in alcuni punti anche rabberciata. C'era solo una vecchia, avvolta in due o tre foulard nonostante il caldo estivo. Ruminava qualcosa in bocca e ogni tanto borbottava in modo incomprensibile. Quando le passò davanti, questa inspiegabilmente le inviò un'occhiata di simpatia, ma lei tirò dritto e uscì all'aperto. La luce quasi l'accecò. Impacciata, si passò le due valigie nella mano sinistra e con l'altra cercò di ripararsi gli occhi. Vide nuovamente che non c'era nessuno nei dintorni e pensò che alle due e mezza di un giorno di giugno era quasi inevitabile. Camminò un po' sul marciapiede e raggiunse i posteggi vuoti dei taxi. Provò a parlare nella cornetta rossa fatta apposta per quelle occasioni, ma era fuori uso. - Di bene in meglio! - mormorò, e poi non potendo fare altro, si sedette su una delle valigie ad aspettare gli eventi. Il profumo del mare arrivò portato dal vento, pieno di promesse e di aspettative. Anne respirò a fondo, mentre si guardava intorno. La stazione si trovava lungo una strada non centrale, un po' all'interno rispetto alla costa. La cittadina di Daysiville dove si trovava era un piccolo centro nella Florida occidentale, un puntino minuscolo sulle mappe lungo il bordo della penisola. Un vecchio paesotto di pescatori che grazie al turismo stava crescendo velocemente. C'erano volute parecchie ore di treno per arrivare da New York, e molte, molte di più via nave dall'Inghilterra Notò un'auto dall'altra parte della strada e si mise ad osservarla. Era una spider blu metallizzato. Sedili di pelle chiari, capote montata al di sopra dei due posti. Era lì che la stava fissando quando un giovane uscì dal negozio di fronte e montò proprio in quell'auto. La ragazza si alzò e corse barcollando coi bagagli verso di lui, che sembrò felicemente sorpreso di vederla. - Mi scusi. - cominciò debolmente. - Sì? - disse lui, squadrandola dall'alto in basso con aria esperta. Lei abbozzò un sorrisetto e continuò. - Sa dirmi per caso dove potrei trovare un taxi? - - Anne! - esclamò quello improvvisamente, scendendo felice dall'auto. - Perché sei Anne Anderson, non è vero? - La ragazza cercò di riaversi dalla sorpresa e guardandolo di sottecchi annuì. - ...Sì, ma...come...? - Il giovane in due salti le fu allegramente a fianco. - Meno male! Sai che brutta figura avrei fatto se non eri tu? Avanti, salta in macchina che ti porto a casa! - Le prese di mano le valigie e le scaraventò nel portabagagli. Anne si riscosse finalmente dal suo torpore. - Ma come si permette? Chi è lei? Come fa a conoscermi? - - Hai ragione, scusami. Mi chiamo John Parkerman e abito vicino ai Van Dyke. Ti do un passaggio... Sempre se sei d'accordo. - Le lasciò la mano che le aveva stretto e la scrutò per cogliere eventuali ribellioni. Ma Anne, un po' guardinga, salì in macchina senza una parola. L'altro saltò dentro e l'auto partì con un rombo. Durante il tragitto la ragazza si guardava attorno: era così diverso quel posto rispetto ai luoghi dove era nata e da cui veniva. Mentre l'aria calda del pomeriggio le accarezzava i capelli biondi e sfrecciavano ai lati della strada dolci pendii declinanti, Anne ripensava alla casa che lasciava alle spalle. Ora iniziava un'altra vita. Quella precedente era solo un ricordo, come suo padre. - La casa di zio James è fuori città, ma non è isolata, - cominciò ad un tratto John Parkerman - in qualche minuto arriveremo. Mi hai trovato per caso, ma è stata una fortuna, di solito sono fuori a portare turisti sulla mia barca lungo la costa. Ma era meglio se avvisavi i tuoi: se avesse saputo che venivi oggi, zio James sarebbe venuto a prenderti con tanto di autista e limousine. Non bada a spese, lui. E' talmente ricco che potrebbe comprare tutta la città, se volesse, e credo che prima o poi lo farà sul serio. Saranno tutti felici di vederti. Charlie ieri mi diceva... - - Zio... James? - interruppe Anne. John arginò il fiume di parole e si voltò verso di lei, stupito. - Sì, zio James... Ah, sì, è vero, sono abituato a chiamarlo così, lo conosco da sempre, ma non è il mio vero zio. Siamo solo vicini di casa. - Le lanciò uno sguardo e lei sorrideva divertita, mentre lo guardava. - Sono nato qui e sono cresciuto insieme a Charlie. Ho passato più tempo da loro che a casa mia. Accidenti, se penso a tutta la pubblicità che ti hanno fatto... E tu arrivi così, in sordina... - - Hanno detto a qualcuno del mio arrivo? - - A qualcuno? A tutta la città! Da un mese a questa parte non si parla d'altro! - - Oh... - Anne si portò una mano alla gola, spaventata. John la vide e rise. - Oh, ma non aver paura, siamo gente abbastanza pacifica. - - Zio James si è risposato, vero? - indagò. - Sì, con Ester. Era ora. Dopo che la prima moglie è morta, sono passati anni prima che decidesse. Sarà un anno e mezzo, ormai... che sono sposati, intendo. Ti piacerà, Ester, è una gran bella donna. Ah, siamo quasi arrivati. - Anne si volse e si accorse che ormai erano giunti sulla costa. Percorrevano infatti un lungo viale di palme, mentre il mare s'infrangeva spumoso sugli scogli al di là del parapetto. Dall'altra parte della strada le case allineate sembravano salutarla fuggevoli sotto quel sole brillante, dipinte di colori accesi e luminosi, coi verdi balconi aperti e gli anziani seduti fuori della porta, lungo la via. Poi si lasciarono alle spalle la cittadina e cominciarono a salire un colle ricoperto di bosco. Il percorso era un po' tortuoso e in qualche minuto arrivarono davanti ad un cancello di ferro battuto. Le cicale estive si fecero sentire improvvisamente, non appena si spense il motore rombante di quella spider. John andò a suonare il campanello e, dopo due parole al citofono, tornò al volante. Il cancello si aprì lentamente e l'auto entrò nel giardino. Aggirando la grande aiuola rotonda e fiorita si fermò proprio davanti al portone d'ingresso. Anne si guardò attorno mentre il giovane posava le sue valigie sulla soglia. La casa aveva la parte destra della facciata ricoperta da una meravigliosa buganvillea viola che saliva lussureggiante fino al tetto. Il sole scottava i mattoni chiari a vista, intervallati in qualche punto da ciuffi d'erba scossa appena dal vento; più in alto, uno dei balconi aperti e scuri lasciava che una tenda candida si agitasse nell'aria. Fece qualche passo sentendo crocchiare la ghiaia sotto i suoi piedi. Il giardino, per quanto se ne poteva vedere, era percorso da sentierini tortuosi, accompagnati da mille peonie bianche e lilla, come dei cuscini morbidi e colorati. I raggi del sole oltrepassavano le chiome verdeggianti degli alberi, formando col tappeto erboso e col muricciolo retrostante uno straordinario gioco di ombre e di luci. La porta d'ingresso si aprì per farli entrare. - Beh... Io devo andare, adesso... - farfugliò John. - Come, non entri un attimo? - - No, no. - - Allora... Grazie per avermi accompagnato. - Anne gli tese la mano, il giovane arrossì lievemente e gliela strinse. - Ma figurati... Io vado... Abito qui vicino, vedi? Proprio là dietro. - Le indicò un po' impacciato la macchia di alberi al di là del muro di cinta. - Se avessi bisogno di qualcosa... c'è un cancello nel muro ed è sempre aperto. - In quel momento Anne si sentì chiamare dall'interno della casa. - E' Charlie. Io vado. Spero... spero che ci rivedremo... - Prima che Anne potesse trattenerlo corse via e sparì con la sua auto.
Rosanna Boaga
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