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Autore: Alessio Moa
Senza tetto né legge
Avventura
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Senza tetto né legge
La terra dai colori dissonanti.

Vampate di calore stagnante venivano proiettate all'esterno dal cofano aperto del pesante fuoristrada, trasmettendo nella densa aria circostante l'odore moribondo di olio bruciato e metallo surriscaldato. Intorno, oltre l'esile striscia di asfalto sgretolato, l'assenza di suoni e rumori era assoluta.

Morrison bestemmiò: il motore era andato. Seduto su di un paletto di cemento sul bordo della strada, guardò con rancore quella massa di metallo ormai inutile.
Qualcosa si mosse alla sua sinistra e la mano piombò a sfiorare il calcio del revolver che giaceva, indifferente, nella tasca del giaccone.

Il rumore non si ripeté, eppure quel gesto ansioso che ne era seguito ebbe il potere di ridestarlo dal pessimismo in cui era sprofondato. Si calò il cappuccio in testa e si affrettò a raggiungere il fuoristrada azzurro cielo, un poco rattristato al pensiero di doversene separare definitivamente. Afferrò la borsa sportiva depositandola a terra, mise in folle e guidò il pesante automezzo verso il ciglio della strada e il lieve pendio. Dopo averne osservato la lenta corsa verso la fine del declivio, lo raggiunse e vi stese sopra un paio di coperte militari su cui gettò manciate di breccia e terra secca.

Valutò l'impressione che avrebbe destato la vista di quella ambigua collinetta dal ciglio della strada. Poteva essere sufficiente; d'altra parte non c'era il tempo per occultarlo in maniera migliore. E comunque era troppo esposto, qualcuno prima o poi lo avrebbe notato.

Come a voler confermare i suoi timori, un lontano rumore di auto attraversò la scarsa vegetazione di alberi gobbi e cespugli, arrivando fino a lui. Si nascose dietro quello che era fino a pochi minuti prima stato il suo automezzo e osservò la vecchia Buick procedere affannata lungo la strada, mentre il sole, riflettendosi sugli occhiali a specchio del conducente, l'avvolgeva in una mezzaluna di luce abbagliante.

L'auto arrivò fino al punto dove il suo SUV aveva esalato l'ultimo respiro, proseguendo senza rallentare.
Appena fu certo di essere di nuovo solo, si allontanò velocemente dalla strada, e raggiunta una zona relativamente sicura, prese la cartina stradale e la dispiegò sul terreno. Per evitare Las Vegas e i suoi poliziotti, era stato costretto a una deviazione che gli aveva sottratto un'incalcolabile quantità di tempo prezioso e ora si trovava su di un vasto bassopiano di erba bruciata e terra secca.
Sebbene non potesse ancora considerarsi in pieno deserto, per raggiungere il Messico avrebbe dovuto necessariamente attraversare vaste zone sterili e accidentate; difficile pensare di poter affrontare tutto ciò a piedi. Decise di continuare, seguendo a distanza la strada, per tentare di raggiungere un piccolo centro abitato verso il confine con l'Arizona.

Di buon passo proseguì verso sud, ancora vagamente preoccupato per le molteplici incognite che quella escursione fuori programma gli poneva; era chiaro che, se non fosse riuscito a raggiungere il paese prima di sera, sarebbe stato costretto a passare la notte all'aperto, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso.

Giunto in cima a una modesta collinetta di cespugli nodosi e terra polverosa, un paesaggio inatteso lo costrinse a fermarsi: un'enorme discarica a cielo aperto si estendeva apparentemente senza fine, tinteggiando la pianura di una dissonante sinfonia di colori.
Si abbandonò su di un masso che sporgeva dal terreno tentando di decifrare con lo sguardo quel bizzarro spettacolo. Pareva una colossale opera di arte figurativa realizzata da un artista allucinato.

Riprese la marcia, dirigendosi senza esitazione verso la distesa di rifiuti.
Prima di raggiungere i primi avamposti delimitati da sacchi di plastica nera e scatole di cartone schiacciate e lacere, un forte odore di putrefazione lo investì, facendolo vacillare. Respirando con la bocca, Morrison aggirò impervie barricate di metallo e di materiali arrugginiti, evitando attentamente di calpestare corpi taglienti che affioravano dal terreno già coperto dalle prime ombre del pomeriggio. Ma per quanto disagevole e scomodo fosse procedere in quelle condizioni, a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarlo in quel posto. Finì per abituarsi al tanfo che impregnava la discarica senza farci quasi più caso.

Oltre una modesta cavità colmata da mucchi di abiti ormai imputriditi, apparve un'enorme vasca da idromassaggio col suo arrogante alone di esclusività; affascinato dai suoi colori pastello, Morrison ne scavalcò i bordi, sistemandosi comodamente al suo interno e concedendo ai suoi muscoli stanchi e ai suoi nervi tesi di rilassarsi per la prima volta nel corso di quella giornata. Chiuse gli occhi illudendosi di fare ancora parte di quel mondo di agi e di dolci sicurezze dal quale invece era costretto a separarsi.

Probabilmente si addormentò perché quando riapri gli occhi, un inconsueto tramonto tra i rifiuti lo stupì. La luce rossastra si allungava verso di lui infiammando specchi rotti e superfici levigate, per poi svanire dietro ostacoli insuperabili, trasformando quel paesaggio in disfacimento in una fascinosa terra di nessuno.
A mano a mano che le lunghissime ombre della sera conquistavano porzioni sempre maggiori di territorio, i colori divennero cupi e quasi infidi e i contorni degli oggetti assunsero proporzioni caricaturali.

Morrison, preoccupato che la notte lo sorprendesse senza un rifugio, scacciò il torpore che lo aveva invaso e si affannò verso l'interno della discarica. Inciampando e bestemmiando silenziosamente, proseguì con rigida intransigenza fino a che, dietro mucchi di teloni plastificati, scoprì un gruppo di carcasse d'auto. Un veloce esame del loro stato gli permise di scartarne un paio troppo malmesse e altre tre inclinate in posizioni pericolose.

Rimaneva una robusta Toyota di recente costruzione. Lo sportello si aprì senza problemi. Poggiate sui sedili anteriori scoprì un paio di coperte pesanti; Morrison vi si avvolse e cercò di rilassarsi, accarezzando distrattamente il volante senza vita. Muovendo il cambio del fuoristrada, fantasticò di riuscire a rimettere in sesto i vari settori del motore e della trasmissione, utilizzando il gasolio rimanente nei serbatoi delle carcasse d'auto che lo circondavano per riprendere la sua fuga verso sud. Ma era in tutta evidenza solo un volo disperato della sua fantasia, il sogno dettato dalla stanchezza che gli offuscava la mente. Allora, ispirato dagli ultimi lembi rossi del giorno, aprì la voluminosa borsa sportiva e ne estrasse un grosso, innocente astuccio da viaggio. Soppesandolo a lungo se lo lanciò da una mano all'altra con ilare soddisfazione, prima di aprirlo, lentamente, quasi fosse impegnato in un complesso rituale magico.

Riflessi di luce e abbaglianti scintillii si sprigionarono dagli eleganti braccialetti di raffinata lavorazione e dalle lunghe collane di pietre preziose; un'atmosfera regale, maestosa, circondò l'astuccio dei gioielli e l'intero abitacolo.
Sempre più esaltato, Morrison estrasse dalla massa degli ornamenti preziosi, dei rubini, imprigionati in un'esile collana che avvolse attorno alla mano destra. Le morenti radiazioni del tramonto trafissero i piccoli prismi delle pietre preziose, amplificandone i riflessi e le accese proiezioni, fino a illuminargli la mano d'innumerevoli schegge di luce monocolore, incendiandola.

Eppure, ben presto i ricordi dei giorni precedenti tornarono, crudeli, a infastidirlo con le loro immagini di grossolana violenza, e la sognante luce rossa del sole che moriva, insieme ai riflessi dei rubini, si fuse con il ricordo del sangue gocciolante dai corpi riversi e senza vita.

Un incontro inatteso

Intento a frugare in una promettente cavità ripiena di bottiglie di vetro, non si rese conto di aver invaso un territorio nemico e di stare sfidando il suo legittimo tenutario; se ne avvide solo qualche secondo più tardi, quando un movimento improvviso alla sua destra rivelò il corpo arruffato di un grosso ratto di città, che rimase impavido a fronteggiarlo anche dopo che il suo pesante scarpone lo aveva sfiorato.

Segretamente soddisfatto di aver scovato un avversario su cui proiettare tutte le sue ansie e i timori repressi, Morrison afferrò un pesante asse di legno scuro e prese a sferrare potenti colpi nella direzione del ratto, che sparì velocemente all'interno della cavità. Per nulla scoraggiato dalla fuga del suo antagonista, continuò a calare la sua spranga improvvisata nella direzione dove era svanito, sollevando manciate di frammenti vetrosi che si incendiavano istantaneamente dei mille riflessi dei raggi solari, ricadendo intorno in una abbagliante pioggia di luce.

Solo dopo numerosi attimi di furore, quando un frammento tagliente di bottiglia gli ferì una guancia, si decise a mettere fine a quel gioco improduttivo. Allora si abbandonò contro una vecchia lavatrice, asciugandosi il sudore e tastandosi nervosamente la piccola ferita sul viso.

Qualche ora prima, appena sveglio, si era messo a setacciare i dintorni di quel provvisorio rifugio in cerca di qualcosa di utile e soprattutto di commestibile: aveva recuperato solamente un pacco di biscotti sbriciolati, miracolosamente sfuggiti alle voraci formiche del luogo e un cappellino da baseball che adesso lo proteggeva dagli assillanti raggi del mezzogiorno.

Più tardi, oltre una distesa di relitti metallici, aveva scoperto un cartoncino plastificato che raffigurava una turistica Parigi notturna, con un imponente Arc de Triomphe colorato da mille luci e figure diverse; una mano femminile aveva tracciato degli eleganti caratteri in francese che ornavano la parte interna ancora integra. Qualcuno usava ancora spedire cartoline! Si sorprese a immaginare la storia di quella donna, magari un'elegante signora un po' avanti con gli anni, che tornando dopo una lunga assenza nella città della sua giovinezza, era stata sommersa da un flusso di ricordi che credeva ormai sopiti. Con quella cartolina, in uno slancio vitale di cui lei stessa si era in seguito sorpresa, aveva voluto mandare un timido richiamo al suo vecchio e mai dimenticato amore.

Era dunque un segno che il fato aveva voluto inviargli per rassicurarlo che tutto procedeva nel modo giusto. Non poteva essere altrimenti: Parigi era il suo sogno di gioventù e lui aveva deciso già da tempo che dopo il Messico e con una nuova identità, avrebbe raggiunto la metropoli francese. Vi avrebbe trascorso gli anni che gli restavano vivendo da parisien.

Quell'episodio era servito a nutrire la sua riserva di ottimismo. Per consacrare ufficialmente il suo futuro di cittadino parigino, aveva inserito il cartoncino turistico insieme con i gioielli, nell'astuccio di plastica.

Il resto della giornata era trascorsa monotona fino al suo incontro con il ratto. Era tempo di muoversi se voleva evitare di trascorrere un'altra notte nella discarica.
Con un gemito di rassegnazione si alzò in piedi e tornò alla Toyota e alla sua borsa che conteneva tutto ciò per cui valeva ancora la pena di vivere. Poi si mise in marcia, deciso a raggiungere il piccolo centro abitato suggeritogli dalla sua cartina stradale, prima che giungesse di nuovo la sera.

Tuttavia fece in tempo a fare poco più di un centinaio di passi: con la coda dell'occhio percepì un movimento laterale, un'ombra che si muoveva.
Si bloccò guardandosi intorno alla ricerca di un bastone o comunque di qualcosa che potesse difenderlo dall'attacco dei ratti giganti o peggio, di coyotes in cerca di cibo. Non trovò nulla. Allora impugnò il revolver, indietreggiando lentamente, con il volto orientato verso la bassa duna di scatole di cartone schiacciate dove aveva intuito il movimento.
Invece, imprevedibilmente, un rumore di cocci calpestati giunse alle sue spalle. Morrison si girò pronto a difendersi, ma quello che si trovò di fronte non era un animale reso aggressivo dalla fame o un federale in cerca di promozione.

- Potevo ucciderti se volevo; hai il passo troppo pesante. -

Dopo un lungo momento d'incertezza Morrison riconobbe in quell'essere lacero e denutrito, un ragazzino di tredici, quattordici anni al massimo, che lo fissava impudente dalla cima di una catasta di assi di legno. Tirò un sospiro di sollievo e abbassò l'arma.
Fu ancora il ragazzino a parlare.

- Non sembri proprio uno sbirro! Sei mica un killer? -

- E tu chi diavolo sei? -

- L'ho chiesto io per primo. -

- Sono un cittadino americano. Non mi piace la gente e non vado matto per i poligoni di tiro... In mancanza di meglio preferisco tirare ai ratti. -

- Peccato che non ho visto auto nella zona: sai mica volare? -

Morrison iniziava a stancarsi di quel ragazzino troppo sveglio; oltretutto, se come pensava, era fuggito dai suoi, era probabile che potesse essere ricercato da qualcuno. Comunque prima e poi una pattuglia l'avrebbe fermato e allora non avrebbe avuto la minima esitazione a segnalarlo.
Ma lui continuava col suo eloquio strafottente.

- E poi il tuo non è certo un revolver da esercitazione. Scommetto che ha la matricola cancellata. No, non puoi negarlo: sei un criminale! -

- Perché non torni dai tuoi genitori e mi lasci in pace? Guarda come sei ridotto, fai pena. Da quanto sei qui? -

- I miei mi hanno abbandonato mesi fa: non ho più padre né madre. -

E per ribadire l'affermazione sputò con notevole precisione all'interno della circonferenza di uno pneumatico da camion, parecchi metri più in là.
Morrison lo guardò diffidente; era chiaro che stava cercando d'impietosirlo per guadagnarsi la sua amicizia e magari unirsi a lui: un lusso che decisamente non poteva permettersi.

- Bene, è stata una conversazione interessante. Peccato debba andare. Comunque, nel caso remoto in cui tu volessi seguirmi... -

Con il braccio alzato, teso verso l'esile figura del ragazzino, finse di prendere la mira e di essere sul punto di premere il grilletto.
Lui lo guardò dubbioso, con un tenue sorriso di scherno che gli orientava il volto; poi si lasciò cadere dalla catasta di legno marcio dove sedeva in precario equilibrio e scomparve accompagnato da un esagerato tumulto di tavole smosse e oggetti investiti.
Deciso ad archiviare definitivamente l'episodio, Morrison riprese l'esplorazione della discarica col proposito di abbandonarla quanto prima.

Più tardi, attirato da un riflesso, scoprì una bottiglia di vetro contenente un liquido scuro. La bottiglia di Pepsi era ancora serrata dal tappo di metallo ma il calore solare l'aveva riscaldata oltre misura; tuttavia, il pensiero che avrebbe potuto non trovare nient'altro da bere fine al prossimo centro abitato, lo convinse a raccoglierla e a introdurla all'interno della sua borsa. Di notte, raffreddata dal gelo del deserto, sarebbe stata nuovamente bevibile.

Dopo una mezz'ora di cammino su quel terreno accidentato però, avvertì crescere dentro di se una strana inquietudine, amplificata in maniera perversa dal paesaggio di scarti tecnologici che lo circondava. D'altra parte, a quel punto avrebbe dovuto aver raggiunto già da tempo il limite estremo della discarica, e invece davanti a sé, aveva solamente una variopinta quanto monotona distesa di plastica e vetro.
Salì sopra una collinetta di materiali indefiniti, ma anche così non riuscì a scorgerne la fine. Continuò ad avanzare lentamente in direzione del sole, attento a non ferirsi con le assi di metallo arrugginito che spuntavano ovunque dal terreno.

Tre quarti d'ora più tardi fu costretto ad arrendersi: lungi dall'interrompersi, l'enorme discarica continuava immutata, ovunque volgesse lo sguardo.
Era inzuppato di sudore, vacillava. Un terrore irrazionale, viscido, sfuggente, prese a colare nella sua mente, immobilizzandolo.

Si appoggiò allo scheletro parzialmente fuso di un enorme televisore, in preda a un leggero tremito nervoso. Davanti a lui un modesto incendio doveva aver bruciato una porzione della discarica, perché un bizzarro scenario di dune di plastica fusa e rimodellata, rivestiva una discreta estensione di territorio, come un enorme plastico dai colori accesi.

Per un attimo la mente si smarrì, ricostruendo le immagini colorate della sua infanzia, quando trascorreva i suoi pomeriggi assolati a giocare con i suoi soldatini preferiti su fantasiose scenografie, modellate con carta messa al macero e colla. Si abbandonò indolente ai ricordi gioiosi del suo passato, quasi rappresentassero un'estrema ancora di salvezza contro l'irrazionalità della situazione che stava vivendo.

Almeno, a poco a poco si calmò e poté di nuove analizzare i fatti in maniera obbiettiva. Sembrava che la discarica fosse molto più estesa di quanto avesse creduto in un primo momento. Il fatto poi di aver proseguito per molto tempo in una leggera ma ininterrotta depressione, gli faceva sospettare che, invece di seguire una linea retta, avesse continuato a procedere con una traiettoria curvilinea. D'altra parte, le barriere artificiali e le montagne di rifiuti che lo circondavano, nascondevano qualsiasi punto di riferimento esterno, rendendo difficoltoso orizzontarsi; perfino le collinette su cui saliva a volte per osservare la discarica non celavano altro che uniformi superfici di teloni plastificati. Senza una bussola era impossibile orientarsi con un minimo di precisione.

Si ricordò del navigatore del fuoristrada, che era stato costretto a manomettere, per evitare che qualche federale lo potesse rintracciare semplicemente seguendo un segnale lampeggiante sullo schermo del suo notebook. Qualcuno doveva essersi annotato il numero della sua targa, ne era sicuro: nulla era filato liscio in quella rapina. Un involontario sorriso di sarcasmo gli attraversò il viso.

Respirò a lungo, metodicamente. Cercò di liberare la mente dai presagi cupi, negativi e raddrizzò la schiena, deciso ad affrontare le avversità senza scoraggiarsi. Tuttavia il suo obbiettivo primario per quel giorno era mutato radicalmente: ora non si trattava più di raggiungere il prossimo centro abitato prima che il buio lo sorprendesse. Per il momento si sarebbe accontentato di trovare un altro riparo dove poter affrontare la notte.

Alessio Moa

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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