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Autore: Francesco Grano
Racconti di donne, tarocchi e briganti
Storico
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Racconti di donne, tarocchi e briganti
La maestra e il cavaliere.

L'aria tersa e particolarmente fresca avvolgeva, quel primo di ottobre del 1861, a Mesoraca, tanti giovani mamme con i loro piccoli figli che, a sei anni, andavano a scuola per la prima volta. Erano tutte vicine all'ingresso dell'edificio comunale. Sul portone al posto dello stemma borbonico, campeggiava ora, dopo l'annessione al nuovo Regno d'Italia, il rinnovato simbolo sabaudo. Due maestre e due maestri erano già all'ingresso, pronti ad accogliere gli scolari delle quattro classi elementari del primo biennio, due maschili e due femminili, per l'inizio di un nuovo anno scolastico, accompagnati da due bidelli. Come sempre, il compito più difficile toccava agli insegnanti della prima classe elementare, che dovevano fare opera di persuasione con i bambini più riottosi, impauriti, ostinati a non volere entrare in classe, ed anche con le mamme, di carattere duro fuori ma tenero dentro, le quali erano spesso tentate di riprendersi i figlioli e riportarli a casa. Come sempre vinceva il buon senso e, a poco a poco, tutti i bambini facevano il passo decisivo verso l'ignoto, verso un mondo sconosciuto che avrebbe dato loro la possibilità di leggere e scrivere. In quegli anni il grado di analfabetismo era altissimo: raggiungeva il novanta per cento della popolazione. La gente più giovane avvertiva l'inferiorità verso le persone più istruite, aveva voglia di migliorare, sperava in un futuro più interessante per i figli. Quante volte era capitato quasi a tutti di dover sottoscrivere un atto, una testimonianza in Comune o l'atto di matrimonio per esempio, e doversi dichiarare, con vergogna, analfabeta, costretti a disegnare una croce al posto della firma. Era un'esperienza che i genitori non volevano che si ripetesse per i loro figli, per cui tentavano con ogni mezzo di convincere i ragazzi a studiare.

Questo valeva per i maschi. Per le femmine, invece, c'era minore pressione. Per loro c'era solo da sperare in un buon matrimonio felice. Al resto ci avrebbe pensato il marito. Per fare la mamma e la moglie ritenevano che non fosse strettamente necessario andare a scuola. Qualcosa si poteva imparare anche a casa dai genitori. Solo poche famiglie, le più agiate, si permettevano il lusso di far studiare le ragazze presso istituti religiosi femminili in paese, oppure in collegi nelle città vicine.
Alla prima classe femminile era addetta quell'anno la maestra Fiorella, una giovanissima ragazza di 19 anni, già al suo secondo anno di patente per l'insegnamento al primo biennio. Di famiglia benestante, viveva con la mamma e due sorelle più piccole, dopo la morte prematura del padre, avvenuta due anni prima per una infezione polmonare. Possedevano dei piccoli terreni coltivati ad uliveto, nei pressi del paese, che conducevano direttamente, facendosi aiutare da salariati nei periodi di maggior lavoro. Fiorella era di bell'aspetto, curata nella persona, seria, gentile e di carattere risoluto. Sapeva essere cortese con tutti, ma sapeva anche farsi ascoltare. Sin da piccola aveva mostrato una particolare predisposizione per l'insegnamento e per tutto ciò che aveva attinenza con l'educazione dei bambini. I genitori, di mentalità aperta, non ebbero dubbi quando la ragazza espresse il desiderio di dedicarsi alla professione di insegnante e furono disponibili a farle frequentare la scuola presso un istituto di suore a Catanzaro, città capoluogo a sessanta chilometri di distanza, vale a dire quattro/cinque ore di carrozza.
Terminata la scuola con successo ed ottenuta la patente di insegnamento, Fiorella tornò a Mesoraca, suo paese, dove iniziò subito ad insegnare. In quell'epoca gli stipendi degli insegnanti erano molto bassi. Per una donna il sacrificio era maggiore poiché lla remunerazione era inferiore del trenta per cento rispetto a quello del collega maschio. Ma essendo Fiorella figlia di famiglia, lo stipendio percepito era considerato più che soddisfacente.
Aveva due grandi passioni: la scuola ed un bel ragazzo di cui si era innamorata. Gli alunni l'adoravano, quando dava lezione pendevano
dalle sue labbra, avevano rispetto, le ubbidivano, quasi sempre. Nei casi difficili lei mostrava il suo carattere forte e si sapeva imporre.
L'altra passione era un giovane, tale Raffaele, prestante, colto, di buona famiglia, figlio di un Legale, col quale Fiorella aveva simpatizzato, dopo averlo conosciuto casualmente ad una festa di battesimo. Durante l'incontro era nata tra i due una particolare attrazione. Si conoscevano da bambini, ma solo di vista. Poi avevano studiato in città diverse. Ora si confrontavano per la p0rima volta, scoprendo di avere idee simili e progressiste su vari argomenti. Cominciarono a frequentarsi, con molta cautela e sempre sotto l'occhio vigile di qualcuno della famiglia, madre o sorelle, trovando interesse reciproco negli incontri dovuto ad una particolare attrazione nata tra di loro. Tali convegni, però, si interruppero bruscamente e senza loro colpa, a causa del servizio militare obbligatorio, al quale Raffaele fu chiamato. Il nuovo regno d'Italia era molto esigente in questo campo; imponeva la leva a tutti i giovani, con pochissime eccezioni, punendo severamente coloro che si rifiutavano di servire la patria. Raffaele, per questione di prestigio e per guadagnare qualche ducato in più, scelse di arruolarsi nella - cavalleria - . Fu così assegnato al reggimento - Cavalleggeri di Alessandria - , dove avrebbe dovuto trascorrere ben nove anni, essendo così lungo il periodo di ferma previsto dalla legge.
Prima di partire, i due giovani vollero informare ufficialmente i rispettivi genitori del sentimento serio e profondo che si era instaurato tra di loro. I genitori del ragazzo, che conoscevano e stimavano Fiorella, si recarono in visita presso la casa di lei, per informare la madre della giovane sulle intenzioni coscienziose ed affidabili del proprio figliolo. La donna, conoscendo gli interlocutori e l'altrettanto serio proposito della figlia, diede il proprio assenso al fidanzamento ufficiale. Fu organizzato un rinfresco, a cui parteciparono tanti parenti, sebbene fosse stato limitato ai congiunti più stretti. Quella fu anche l'occasione per Raffaele per salutare tutti in vista della partenza imminente verso Alessandria, una città lontanissima, in una terra, il Piemonte, sconosciuta. Fiorella era molto contenta, ma la sua felicità era offuscata dalla preoccupazione. La felicità non è mai assoluta e
permanente. Se raggiunge alti gradi di soddisfazione, accade per una durata molto breve, come un'estasi. Poi si scende con i piedi per terra per proseguire il confronto con la realtà del quotidiano. Quanti pensieri affollavano la sua mente! La consapevolezza di aver stretto un legame sentimentale con un bravo ragazzo, intelligente, premuroso con lei, capace di tante espressioni di affetto. Pregustava una vita futura felice assieme a lui. Sognava ad occhi aperti, soffermandosi a volte su alcuni dettagli, come se avesse dovuto vivere quei momenti il giorno dopo. Avrebbero formato una bella famiglia, allietata dalla nascita di figli, supportata da una buona posizione economica. Poi nel suo cuore si apriva la stanzetta delle preoccupazioni. Il timore della lontananza le stringeva il petto al pensiero che il proprio amato doveva vivere in un posto così lontano, distante parecchi giorni di viaggio. Il ragazzo avrebbe dovuto affrontare una vita militare molto dura, rischiosa. Poteva subire ferite in azioni belliche, o addirittura perdere la vita, come era successo a vari giovani compaesani negli anni precedenti. Tutte ipotesi oscure e terribili che Fiorella preferiva esorcizzare, scacciare subito dalla mente, rifiutandosi di prenderle in considerazione. Il giorno prima della partenza Raffaele e Fiorella si scambiarono dei doni. Raffaele le diede un anello ed un medaglione ovale con la sua foto all'interno. All'esterno erano incise le parole - passione mia - . Lei lo allacciò ad una collana, da cui non si separò mai. Fiorella gli regalò un piccolo orologio a catena da portare nel taschino del gilet, segno del tempo che passa, ricordo di un impegno preso verso l'amore lontano.
Nei mesi successivi la loro vita riprese normalmente. Ciascuno dei due era impegnato in attività lavorative che richiedevano concentrazione. Avevano poco tempo per pensare ad altro e solo nei momenti di pausa il cuore tornava a battere più forte. Fiorella si consolava tenendo tra le mani il ciondolo con la foto e Raffaele curava l'orologio. Dovettero passare due anni per rivedersi. Durante questo periodo, i due si erano scambiate numerose lettere, almeno una alla settimana, tutte custodite gelosamente con cura maniacale. Fiorella aveva poco da dire riguardo a quello che succedeva in paese. Invece Raffaele aveva tanto da scrivere per illustrare con dovizia di particolari la vita che viveva in caserma e la vita nell'ambiente esterno, contrassegnata da tante differenze rispetto a quella del suo paese di origine, sia nell'aspetto geografico e sia nella cultura, nel modo di pensare, nel cibo, nelle tradizioni. Aveva tanta nostalgia di casa, non vedeva l'ora di tornare a respirare l'aria pulita del paese, di guardare il cielo terso tutti i giorni dell'anno e non solo in qualche rara giornata senza la nebbia della valle padana. Fortunatamente, si verificò quell'anno un evento particolare che permise a Raffaele di avvicinarsi temporaneamente a casa. Accadde che, per reprimere il fenomeno del brigantaggio, il reggimento dei cavalleggeri di Alessandria, presso il quale Raffaele era arruolato, venne scelto per bonificare le zone della Sicilia e della Calabria. Si trattava di operazioni pericolose, da compiere verso personaggi emarginati, ormai rifiutati anche dalla società civile, che non avevano altro scopo che quello di compiere atti di vandalismo, ruberie, sequestri di persona, delitti efferati. Col termine di - briganti - venivano etichettati anche delinquenti comuni, dediti per esempio a furti di bestiame o al contrabbando di sale. Questo prezioso minerale, infatti, venduto in regime di monopolio dallo Stato, aveva prezzi diversi nelle varie regioni d'Italia. In Calabria costava quasi il doppio rispetto al Piemonte e alla Lombardia. Anche in Sicilia, per la presenza di miniere di salgemma e di saline marine, il prezzo era molto basso. Fioriva pertanto il contrabbando da Messina verso la Calabria, costringendo il governo ad intervenire militarmente. Solo in epoca successiva il prezzo del sale fu uniformato in tutto il regno, eliminando il problema alla radice.
Raffaele venne scelto per questi interventi, in quanto per le sue origini meridionali avrebbe avuto facilità di comunicazione con le popolazioni del luogo. Non sempre il male viene per nuocere. Questa volta la missione pericolosa gli diede l'opportunità di godere di licenze premio, anche di pochi giorni, sufficienti per rivedere e riabbracciare i genitori e la fidanzata. Il cuore traeva giovamento dai contatti, anche se brevi e sporadici, con le persone care, alleviando la sofferenza della lontananza. Circa un anno dopo, era l'inizio del 1864, Raffaele fu richiamato in Piemonte, alla sede del suo reggimento, ritenuta conclusa la missione al sud. Altrove spiravano venti di guerra. I militari erano sempre all'erta, pronti ad intervenire dove fosse stato necessario.

Teresina.

Antonio, il barbiere in centro del paese, riceveva ogni settimana una copia del giornale locale, che metteva a disposizione della clientela. Le notizie si susseguivano tumultuose in quegli anni di profondo sconvolgimento politico. La gente era avida di notizie, curiosa di conoscere i nuovi provvedimenti presi dal governo, nella speranza che qualcosa cambiasse in meglio nella qualità della loro vita. Seguiva con grande interesse gli avvenimenti legati a Garibaldi. Continuava a nutrire grande ammirazione verso quell'uomo che, con molta spavalderia, aveva avuto il coraggio di prendere iniziative a favore delle classi più povere, come la riduzione del prezzo del sale, e l'uso gratuito delle terre demaniali ai contadini, anche se in realtà gli ordini non vennero mai applicati per il boicottaggio delle classi abbienti. Nel ‘60 Garibaldi aveva ricevuto un'accoglienza trionfale in tutta la Calabria, da parte di una popolazione che, vessata da tasse odiose, come quella sul macinato, da soprusi, corruzione e malgoverno,
sperava in un riscatto soddisfacente e definitivo. I giornali, si sa, riportano spesso notizie di politica o di cronaca nera. Raramente riferiscono di atti di bontà. Quel giorno, invece, il giornale aveva pubblicato una buona notizia riguardo ad un fatto che era accaduto proprio lì a Mesoraca qualche settimana prima.
Una giovane lavandaia, Teresina, di 20 anni, si era avviata un giorno, assieme ad altre sue coetanee, con la cesta dei panni da lavare posizionata in bilico sulla testa, diretta al fiume che scorre vicino al paese. In estate il fiume è povero di acqua, ma in autunno ed in inverno si ingrossa notevolmente, divenendo, in alcuni tratti, vorticoso e pieno di insidie. Ognuna delle ragazze aveva l'abitudine di recarsi sulla riva del fiume in un posto ben determinato. Quel giorno di fine ottobre Teresina, si spostò di pochi metri dal suo solito posto, avendo individuato nel corso d'acqua una grossa pietra sporgente, su cui poteva meglio lavorare. Era quasi al termine della mattinata quando la ragazza, per raccogliere uno dei panni che le era sfuggito dalle mani e veniva trasportato velocemente giù dalla corrente, scivolò su alcuni sassi coperti di alghe e anch'essa fu trascinata dal fiume impetuoso. Si mise ad urlare ed a chiedere aiuto con quanto fiato aveva in gola. Le amiche non potevano nulla, impietrite dalla tragedia, incapaci di intervenire. Teresina andava incontro, purtroppo, ad un triste destino. Poco più giù, due ragazzi sui quattordici anni, perdevano tempo a giocherellare con una pigna di legno. Sentirono le urla della giovane e delle amiche lavandaie, videro che la ragazza veniva sospinta verso di loro, non ci pensarono su due volte, si tuffarono nelle acque gelide, l'afferrarono per le braccia e la spinsero verso riva, fortunatamente poco prima di essere attratta da un vortice, presente in quel tratto di fiume, che l'avrebbe fatalmente risucchiata e fatta annegare. Il fatto destò notevole impressione in tutto il paese. I ragazzi, che non dovevano trovarsi lì a giocare, per prima cosa si presero una bella ramanzina dai rispettivi padri. Poi, però, dinanzi a quanti li ringraziavano per il gesto eroico compiuto esaltandone il coraggio e la prontezza dimostrata, i genitori evitarono di infierire e li perdonarono. Commossi, tornarono tutti a casa, lieti dello scampato pericolo. L'indomani i ragazzi furono mandati in montagna, a raccogliere castagne nel bosco di proprietà di parenti, visto che non avevano occupazione e non avevano avuto voglia di continuare gli studi. Nelle aule scolastiche si continuò a parlare di questo argomento per parecchi giorni. I maestri, Fiorella in particolare, si impegnarono a coinvolgere le scolaresche in discussioni sui pericoli del fiume, che non risparmiavano neanche gli adulti. Molte bambine di quelle presenti in aula, nei prossimi anni, si sarebbero trovate nella stessa situazione di Teresina, a lavare i panni al fiume, per necessità propria o per conto di altri. Era opportuno avvertirle dei rischi a cui sarebbero andate incontro. Ma quanto accaduto offrì alla maestra lo spunto per soffermarsi anche sui due piccoli eroi che avevano salvato la giovane lavandaia. Fiorella si procurò una copia del giornale che parlava del fatto, ritagliò l'articolo e ne fece un quadretto su un cartoncino su cui incollò il disegno della scena. Bisognava riflettere su due aspetti: il gesto gratuito di solidarietà, compiuto d'istinto, incuranti del pericolo di annegare essi stessi, ed il fatto di avere abbandonato la scuola precocemente. Una bambina, furba e semplice, domandò allora alla maestra: ⟪ ma se quei due ragazzi fossero andati a scuola, chi avrebbe salvato Teresina? ⟫. Fiorella si trovò in una situazione imbarazzante, da cui faticò ad uscirne raccontando lunghi discorsi sulla provvidenza che non abbandona mai nessuno, argomenti che forse non furono del tutto compresi dalla classe.

Conclusione.

Nei due anni successivi Raffaele ebbe solo una licenza di sette giorni a fine anno ‘64 che trascorse con i parenti e la fidanzata. Per i due giovani i sentimenti d'amore erano sempre vivi, era un piacere stare insieme, discorrere, ridere, guardarsi, stringersi le mani. Speravano che il tempo non passasse mai, invece, purtroppo, scorreva inesorabile, senza possibilità di arrestarlo neanche per un secondo. Nonostante il freddo pungente, facevano delle lunghe passeggiate nelle vie del paese. Si raccontavano tutto. Programmavano il futuro con dovizia di particolari. Poi, come previsto, venne il giorno della partenza e Raffaele ritornò al nord Italia. Un anno e mezzo dopo, nel giugno del ‘66, accadde quello che si temeva. Il Regno d'Italia, alleato della Prussia, dichiarò guerra all'Austria, per ottenere l'annessione delle regioni del nord est. Per l'Italia fu una disfatta, ma ciò nonostante ottenne il Veneto ed una parte del Friuli. Purtroppo la guerra provocò gravi perdite per entrambi gli eserciti. Per l'Italia furono oltre 700 morti e 2400 feriti, oltre a varie migliaia di dispersi e prigionieri. Il nostro Raffaele fu coinvolto nel conflitto, che vide il suo reggimento di cavalleria protagonista di battaglie cruente tra le province di Mantova e di Verona. Fu un'esperienza terrificante, indimenticabile. C'era sangue dappertutto, gambe e braccia mutilate sparse nella campagna teatro degli scontri. Urla di dolore, grida di incitamento, suoni di trombe, scalpitio di cavalli lanciati a corsa pazza contro un muro di cavalli avversari, in un turbine di orrore e di lame che si scontravano. Raffaele ne uscì vivo, ma ferito. In un corpo a corpo con un avversario venne colpito con la spada alla mano destra. Perse il dito mignolo e due falangi dell'anulare. Ricoverato subito in un ospedale di campo improvvisato, ricevette le prime medicazioni. Poi venne trasferito in Piemonte. Per lui la guerra si concluse in anticipo, ed anche il servizio militare fu interrotto prima della scadenza naturale per l'invalidità subita. Raffaele si affrettò a dare notizie tranquillizzanti di sé alla famiglia inviando un telegramma. Nello stesso tempo spedì delle lettere per spiegare in dettaglio cosa era accaduto. Si dà il caso che le informazioni sulle battaglie nel lombardo-veneto arrivarono molto presto in paese per merito del giornale locale. Dopo un po' di giorni arrivarono le lettere, mentre il telegramma si fermò a Sellia Marina, paese a trenta chilometri da Mesoraca, in quanto in quei giorni venne rubato il cannocchiale di quell'ufficio telegrafico ottico, circostanza che rese impossibile ricevere e decifrare i messaggi, tra cui quello del nostro militare. Le lettere, inviate ai genitori e alla fidanzata, lasciarono tutti nello sgomento. Tutti loro si preoccupavano dello stato di salute del loro caro, erano apprensivi su quello che sarebbe accaduto ancora, non vedevano l'ora di verificare di persona le reali condizioni fisiche del giovane. Intanto il giornale riportava ogni settimana gli sviluppi della guerra, soffermandosi sulle gesta eroiche di Garibaldi e dei vari comandanti di divisione. Poche informazioni dava sulle sconfitte italiane di Custoza, sulla terraferma, e di Lissa, in mare.
Due mesi dopo la guerra terminò. La gente tirò un grosso sospiro di sollievo. In tanti avevano figli o nipoti o fratelli impegnati con l'esercito. Speravano tutti di riabbracciarli e di averli nuovamente vicino. In tanti, purtroppo, non tornarono più, lasciando i congiunti nel lutto. Una mattina di settembre la corriera a cavalli giunse nella piazza del paese al solito orario. Ne discesero varie persone, tra cui un giovane sottotenente con una vistosa fasciatura alla mano destra. Era Raffaele, promosso per l'ottimo comportamento dimostrato, che rimpatriava definitivamente a casa, sebbene con due dita in meno. La gente del posto subito fece cerchio intorno a lui, festeggiandolo e complimentandosi per il valore dimostrato. Erano trascorsi cinque anni da quando era partito. La sorte gli aveva consentito di tornare, di riprendere la vita di prima, di affrontare nuovi impegni familiari, insieme con Fiorella sua futura sposa, e sociali attraverso il prestigioso e nuovo incarico di Segretario comunale che l'attendeva.

Francesco Grano

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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