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Autore: Cara Valli
Fuoco ed estasi - Guardami (Vol 3)
Erotico Avventura
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Fuoco ed estasi - Guardami (Vol 3)
- Per quanto tempo hai lavorato con lui?- Gli chiedo mentre percorriamo il corridoio che conduce al salottino blu.
Erik posa la mano sulla maniglia della porta e dopo una breve occhiata:
- Tre anni- Il suo tono è così sconfortato che mi strappa un sorriso.
- È stato così terribile?- Domando, guadagnandomi un'occhiataccia.
- Sicuramente sono stati anni difficili... ma finire nella sua squadra è un onore che capita a pochi e un onere che lui fa pagare a caro prezzo a tutti quelli che ci riescono...-
Poi apre l'uscio e siamo costretti a troncare la conversazione.
- Il tuo ex in che reparto lavora?- Mi domanda quando siamo vicini alla cassettiera dove ho riposto i vestiti.
- È uno degli ingegneri che supervisiona la linea di assemblaggio del Typhoon... tu invece?-
- Non ho un posto fisso, sono nella sicurezza, quindi siamo spostati continuamente- dice, sbloccando la serratura e aprendo il cassetto.
- Nel suo reparto ci sono stato un paio di mesi fa- continua
Mi sfilo con attenzione la vestaglietta, mentre continuiamo la conversazione che stiamo sostenendo per le orecchie dei rapitori.
- Il suo lavoro non è niente male... tra tutti i dipartimenti è quello più entusiasmante- dice Erik, mentre delicatamente mi aiuta a infilare il vestito.
- Non saprei... io non ci sono mai stata- ansimo per l'improvvisa fitta di dolore.
Purtroppo per venire al club ho scelto un vestitino molto carino e sexy ma anche dannatamente stretto e ora più che un abito mi sembra di indossare un gatto che abbia scambiato la mia schiena per un tiragraffi.
- Almeno c'è qualcosa da vedere... i Typhoon sono dei gioielli con le ali- esclama, mentre sfiora la pelle della schiena non coperta dal vestito, aggiungendo dolore al dolore.
Lo fulmino con un'occhiataccia e lui sorride e mi strizza l'occhio.
Che carogna.
- Ci sei mai stato?- Domando, mostrandogli il dito medio.
- No, purtroppo no- Esclama.
Mi aggiusta sgarbatamente il vestito e mi fa vedere di nuovo le stelle.
È crudele e vendicativo come Dominic.
- Alessandro vorrebbe fare il pilota collaudatore ma dice di non aver molte speranze- dico, allontanandomi da lui e avvicinandomi all'uscita.
- Probabilmente ha ragione... che io sappia i collaudatori sono tutti militari- conferma, mentre mi segue alla porta.
- Sì lo sa anche lui ma comunque sta aspettando che si liberi un posto per candidarsi- gli confido, mentre percorriamo il corridoio.
Usciamo dal club e saliamo nella sua auto chiacchierando del più e del meno. Il viaggio per casa mia sembra durare pochissimo, la sua compagnia è molto piacevole e anche se stare seduta, mi provoca un bel po' di dolore il tempo passa veloce.
- Per quanto ancora resterai distaccato all'Eurofhigter?- Gli domando, mentre ferma la macchina.
- Fino alla fine dell'anno-
- Poi tornerai in Italia?-
- Sì- dice spegnendo il motore e slacciandosi la cintura di sicurezza.
- Forza... scendi- Esclama, aprendo lo sportello e uscendo dall'auto.
Raggiunge il mio lato, spalanca la portiera e mi aiuta a scendere...
Wow. Che cavaliere.
Ci incamminiamo verso l'ingresso di casa, mentre lo sbircio da sotto le ciglia.
Chissà se è una sua abitudine, essere così premuroso... o se lo sta facendo solo per indispettire Dominic.
Quando siamo sulla soglia, apro la porta e mi volto verso di lui:
- Allora buona notte- Dico.
- Non ancora, Sara- Esclama, facendo un passo verso di me e costringendomi a retrocedere.
- Mi devo occupare della tua schiena- continua sorridendomi maliziosamente.
- La mia schiena sta benissimo-
- Starà benissimo dopo che ti avrò spalmato questa- dice, mentre estrae dalla tasca della giacca un tubo di crema.
- Grazie ma non è necessario-
- Oh, sì. Che è necessario-
- Okay, allora me la metto da sola- dico, tendendo la mano a palmo in alto.
- Non dire assurdità, Sara. Non puoi fare da sola-
Minacciosamente il suo corpo invade tutto lo specchio della porta e poi senza invito varca la soglia...
- Ti posso offrire qualcosa?- Chiedo sconfitta.
Gli volto le spalle e mi dirigo verso la zona cottura, apro il frigorifero mentre do una sbirciata all'orologio sulla parete:
L'una passata...
Mi rendo conto d'essere esausta ma prendo comunque due birre afferrandole per il collo e mi volto verso Erik che sta chiudendo la porta dietro di se.
- No- declina deciso.
- E non dovresti berla neppure tu- Dichiara.
La apro solo per spirito di ribellione e ne mando giù una sorsata, guardandolo negli occhi.
Un piccolo sorriso gli tira le labbra ma i suoi occhi non sorridono per niente. Con un paio di lunghe falcate si avvicina, si siede davanti a me e guarda mentre sorseggio un altro po' di birra.
- Sicuro?- Dico, accennando all'altra bottiglia ancora posata sul bancone.
Con un cenno deciso della testa e un occhiata severa, liquida il discorso birra.
- Domani ti porterò a pranzo-
Sto per declinare, offesa dal suo modo autoritario, quando alza un dito e se lo posa sulle labbra per prevenire la mia rispostaccia.
- Mi hanno parlato di un localino appena fuori Monaco, dove si mangia molto bene- continua, lanciandomi un'occhiata d'intesa.
- Okay- accetto a denti stretti.
- Ora, sdraiati sul divano-
Bevo un altro sorso di birra e poi poso con forza la bottiglia sul bancone.
- Sì, - Padron Erik - -
Possibile che debba essere circondata da uomini capaci solo di dare ordini.
- Fa attenzione Sara- Mi minaccia.
Abbasso il vestito e mi sdraio sul divano, senza guardarlo. Lo sento avvicinarsi, sento i suoi occhi mentre mi studiano la schiena. Poi si siede sulla porzione di poltrona ancora disponibile vicino a me.
- Domani dovremo rimetterla- afferma, mentre inizia a spalmare la crema con tocchi leggeri.
Lo stress accumulato mi travolge all'improvviso.
Sono così stanca...
Ed è così piacevole, così liberatorio, affidarsi alle mani esperte di persone ben più capaci di me nel trattare con malviventi, nel prendere decisioni tattiche e anche su cosa è meglio dire o fare per ottenere i risultati migliori...
Sono stata così sola... troppo sola.
Deglutisco con forza per liberarmi del nodo che mi si è formato in gola.
- Grazie e scusa per prima- sussurro.
Erik dolcemente mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Ci vedremo domani ora fatti otto ore di sonno- bisbiglia.
Dormire tanto... che bella idea. Magari ci riuscissi.
Sono mesi oramai che non riesco a fare un'intera notte di sonno, cerco di alzarmi ma la stanza inizia a girare, la birra comincia a darmi alla testa.
O forse sono solo sfinita.
Mi abbandono nuovamente sul divano ed Erik mi copre con la coperta che tengo appoggiata alla spalliera.
- A domani- bisbiglia, mentre si china e mi posa un dolce bacio sulle labbra.
Apro la bocca per ringraziarlo ancora, ma lui è già sparito oltre l'uscio.
Prendo vagamente in considerazione l'idea di alzarmi per andare in bagno e poi nel mio comodo letto, ma non riesco a muovere un muscolo.
Quando apro gli occhi, vedo il sole filtrare dalla finestra, la luce mi abbaglia e mi sorprende... deve essere mattina inoltrata...
Wow. Il sesso estremo fa dormire come angioletti.
Mi alzo e mi preparo velocemente, sono in ritardo. Erik dovrebbe essere qui a minuti.
Quando sento una macchina fermarsi davanti a casa sono quasi pronta.
È arrivato...
Apro la porta senza aspettare che suoni il campanello ma non è Erik... davanti a me c'è un enorme mazzo di fiori trasportato a fatica da un ragazzino tutt'ossa.
Mi consegna il grosso involto e afferrando una cartelletta che ha incastrato tra il braccio e il corpo, borbotta qualcosa in tedesco porgendomi il portadocumenti e una penna.
Poso il mazzo in terra e afferro quello che mi tende.
- Dove devo firmare?- Chiedo in inglese.
Il ragazzotto infastidito m'indica un punto sul foglio, continuando a sbiascicare frasi in tedesco.
Firmo, gli consegno il modulo e gli sorrido gioviale.
- Ti devo qualcosa?- Domando sempre in inglese.
Lui mi strappa dalle mani la cartelletta:
- I fiori sono pagati...- risponde nella mia stessa lingua.
Mi guarda senza muoversi dalla soglia della porta... Estraggo il portafoglio dalla borsa appesa al portabiti li vicino e gli consegno la mancia che così candidamente sta aspettando.
- Dank- bisbiglia prima di voltarsi e sparire nella sua auto sgangherata.
Chiudo la porta e raccolgo il mazzo di fiori...
Chi sa chi me li manda?
Li poso sul bancone e cerco il bigliettino, quando lo estraggo dalla busta e vedo che è scritto in rosso, mi si gela il sangue nelle vene.
Sono loro.
- Non separarti più dal ciondolo, altrimenti la prossima volta quelli recisi e consegnati nelle tue graziose mani, non saranno fiori. -
Leggo e rileggo quelle poche ma minacciose parole...
Oddio.
Il suono del campanello mi spaventa e il bigliettino scivola via dalle mie dita e plana fino alla porta d'ingresso.
Lo seguo ma lo supero senza raccoglierlo, apro il portoncino e faccio entrare Erik.
- Buongiorno- Dice prima di notare il mio viso.
Il suo volto passa da gioviale a preoccupato in un attimo.
- Buongiorno- sussurro, mentre si chiude la porta alle spalle.
Accenno ai fiori e al biglietto che giace sul pavimento tra i suoi piedi e si china a raccoglierlo.
- Che bei fiori... chi li manda?- Mi chiede dopo aver letto le poche righe.
- Mia mamma- Rispondo senza neanche rifletterci.
- Come mai?-
- Per nessuna ragione particolare... ogni tanto lo fa... lei adora i fiori-
- Quando te li hanno consegnati?-
- Poco fa... devi aver incrociato l'auto del ragazzo delle consegne... una macchina tutta distrutta-
- Una golf grigia?-
- Sì, mi sembra...-
Annuisce, prende il telefono e digita qualcosa sul display.
- Forza... ora fatti dare la crema così possiamo andare-
Mi tolgo la maglietta e gli volto le spalle, lui si avvicina e scostandomi i capelli dalla schiena mi sfiora la pelle... un lungo brivido mi scuote il corpo:
- Ho le mani fredde?- Mi domanda, iniziando a spalmare l'unguento sui pochi punti che ancora m'infastidiscono.
- Un po'- mento mentre mi rilasso nella carezza involontaria che mi sta facendo sciogliere come neve al sole.
Le sue dita sono leggere ma sicure e il suo massaggio anche se sfiora una zona ancora sensibile, è molto piacevole e rassicurante.
Non sono più sola.
- Bene. Ora va a vestirti... dobbiamo andare-
Tenendomi la maglietta contro il petto salgo le scale di corsa e mi cambio in un attimo... Indosso un prendisole a fiorellini bianchi su sfondo rosso, con una gonna ampia e lunga fino a sopra il ginocchio e dei sandali tacco 12.
Quando lo raggiungo vicino al bancone, gira il foglio che sta finendo di scrivere:
- Ho fatto fermare il corriere. Lo interrogheranno ma dubito che sappia qualcosa. -
Alzo il pollice e lo invito a seguirmi fuori da questo covo di cimici...
Non ne posso proprio più.
Vivere in questo modo sta diventando insostenibile.
- Sono pronta possiamo andare-
La conversazione in auto la sostiene quasi completamente lui, io sono troppo demoralizzata e troppo sconfortata per contribuire al sollazzo degli stronzi che ci ascoltano e quindi mi limito a qualche monosillabo o grugnito.
- Siamo arrivati-
Una baita in pietra a lato della strada con il tetto spiovente e delle piccole finestre di legno scuro che si armonizza perfettamente con il bosco che la circonda sembra uscita dal libro delle fiabe.
Anche l'interno è accogliente e anche qui, come all'esterno, sembra d'essere in una favola: le pareti sono rivestite di legno chiaro ma in alcuni punti si ripresenta la stessa pietra che ricopre la facciata, i pavimenti e i soffitti, è anch'esso in legno ma molto più scuro e vissuto, i tavoli sono apparecchiati molto rusticamente e le tovaglie a quadri bianchi e rossi donano alla sala un aspetto tirolese.
Appena ci inoltriamo nella sala preceduti dal direttore di sala, lo vedo immediatamente, come se i miei occhi fossero attirati da lui, come se il mio corpo lo percepisse senza una motivazione logica.
Ci accomodiamo a pochi tavoli di distanza. Mi siedo in modo d'averlo alle spalle...

Cara Valli

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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