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Autore: Nunzia Alemanno
L'Egemonia del Drago
Fantasy
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L'Egemonia del Drago
Il Dominio dei Mondi (Volume 1).

La Bestia.
Non pioveva ancora.
Il vento era impetuoso e il cielo rigonfio di oscuri e imponenti nuvoloni, ma questo non rappresentava un problema per lui. Non gli serviva vedere la posizione del sole per capire che era mezzogiorno, il suo stomaco ruggiva come un leone inferocito in mezzo a una mandria di gazzelle inermi e succulente, e questo presagiva che sicuramente era ora di pranzo. Ma non avrebbe toccato cibo, non prima di aver sfamato per l'ultima volta la sua creatura, quell'essere venuto al mondo da un insolito destino, generato con maestria e perizia, tenuto nascosto fino al tempo dei tempi, quando tutto sarà compiuto e il bene e il male saranno su un filo di rasoio a contendersi il potere. Sarebbero stati gli ultimi pezzi di carne che l'essere avrebbe avuto dalle sue mani; fu l'ultima volta che il vecchio andò a caccia per lui. Il tempo era giunto e l'ora della libertà era vicina.
Trascinarsi su quelle ossa vecchie e stanche cominciava a diventare faticoso; le scale che portavano nel seminterrato divenivano ogni giorno sempre più ripide e la sacca in cui erano stati adagiati pezzi di carne appartenenti a un'aitante lepre, era sempre più pesante da trasportare.
La creatura attendeva ogni giorno impaziente il momento in cui avrebbe placato la sua fame e vedendo arrivare il suo vecchio, si agitò scagliando rabbia e pugni sulle sbarre della sua prigione, sbarre di sedrivium, una lega più potente dell'acciaio, una miscela di cui era composta anche la catena che la teneva legata dal giorno della sua nascita. Ogni rischio di fuga doveva essere scongiurato, la bestia non poteva emergere prima del tempo stabilito, la sua furia non avrebbe avuto pietà.
Man mano che il vecchio si avvicinava, la creatura calmava i suoi istinti, i suoi occhi ferini divenivano sempre più placidi, fino a quando non vedeva comparire il primo brandello di carne cruda, ancora sanguinante. Ed ecco allora che la sua furia riprendeva ardore e il silenzio non sarebbe tornato finché tutti i pezzi non fossero terminati.
- Il tempo è giunto, figlio mio - disse il vecchio con voce debole e amareggiata. - Quando uscirai da questa gabbia, ti sarà rivelato ciò che dovrai compiere; il tuo destino ti attende, colui che ti assegnerà un nome è vicino e soltanto lui, sarà il Signore che dovrai servire. -
La bestia ascoltava con attenzione come se intuisse ogni singola parola che il vecchio proferiva, ma la sua mente non comprendeva il linguaggio degli uomini e una volta fuori di lì avrebbe obbedito solo al suo istinto famelico e rabbioso. Per questo era stata generata, la sua furia impetuosa e immortale sarebbe servita ad affrontare rivali dalla potenza sovrumana e solo colui che avesse posseduto l'anello del comando, l'avrebbe dominata.
Una volta cibata la bestia, il vecchio risalì con fatica le scale, si diresse verso l'uscita e si fermò sulla soglia di casa.
- È il momento! - esclamò mentre fissava le nubi rigonfie intersecarsi tra loro come ballerini fluttuanti in una danza di valzer. Il vento cessò all'improvviso ed egli discese con una certa difficoltà i quattro scalini della veranda per recarsi all'esterno. Si allontanò il più possibile, fermandosi poi in mezzo al campo antistante alla sua casa e, chiudendo gli occhi, amareggiato e consapevole che la sua vita avrebbe avuto termine di lì a pochi istanti, parlò al prescelto.
- Pazienza Nicholas... pazienza! -
Attese.
- Pazienza... non ancora! -
Minuscole gocce di pioggia iniziarono a solleticargli il volto fermamente concentrato e, nel momento in cui un fulmine accecante squarciò l'aria, il vecchio spalancò con forza le braccia, rivolgendo lo sguardo al cielo.
- Adesso! - urlò.
Un bagliore intenso cominciò a fluire dal suo corpo irradiandosi come un'onda d'urto per miglia e miglia, piegando con alterigia l'erba al suo passaggio.
La folgore si diradò gradualmente finché non scomparve del tutto e fu a quel punto che il vecchio si lasciò cadere esanime, senza più un frammento di energia. Ciò che doveva essere fatto era stato eseguito, il suo tempo era giunto e ormai poteva dire addio ai suoi centosettantacinque anni di vissuto, di avventure, di battaglie. Anni in cui era stato un prode guerriero, un potente mago e un grande maestro. Tutto sarebbe giunto alla conclusione, ma non ancora. I suoi ultimi respiri erano affannosi, in attesa. Lui non avrebbe tardato ancora molto, non era distante, il galoppo del suo cavallo si udiva sempre più vicino e poco dopo, finalmente, dopo aver aspettato quel momento per molti anni, il cavaliere giunse.
- Vecchio... stai bene? Che ti è successo? -
Il cavaliere tastava il suo corpo in cerca di una parte dolente o sanguinante, pensò che quel bagliore di luce in qualche modo lo avesse ferito, anche se lui stesso ancora non sapeva cosa lo avesse scaturito.
- Chi sei? - sospirò il vecchio mentre si sforzava di aprire gli occhi.
- Il mio nome è Dionas e sono di passaggio, sono diretto a Loremann. -
- So chi sei cavaliere, il marchio che porti sul petto parla chiaro... -
- Ho visto un forte bagliore provenire da qui, cos'è successo? Vi porto in casa! - disse il cavaliere mentre tentava di sollevarlo.
- No... no... non c'è tempo... - ribatté il vecchio - prendi! -
Con le poche energie rimaste tentava di sfilarsi l'anello dall'anulare sinistro, un robusto gioiello d'oro massiccio con incisi simboli appartenenti al clan degli arteni, una tribù di stregoni, dove lui aveva passato gran parte della sua giovinezza e dove aveva appreso ogni sua conoscenza.
- Prendi... mettilo! -
- Cosa... cos'è? -
- È l'Anello del Comando... mettilo o non potrai dominarlo! -
- Dominare chi? Vecchio lascia stare le sciocchezze, dimmi cosa posso fare per aiutarti. -
Il vecchio si aggrappò all'armatura del cavaliere e si sollevò leggermente avvicinandosi a un palmo dal suo volto.
- Mettilo, all'anulare sinistro, non toglierlo mai! Quando arriverà il momento giusto, saprai cosa fare... - gli ripeté - abbi cura... di... - e si lasciò cadere con un forte lamento.
- Di chi? Vecchio, va tutto bene? -
- Di mio figlio! - balbettò con l'ultimo alito di vita rimasto, poi spirò.
La pioggia ora scendeva più pesante, Dionas sollevò il vecchio e si diresse verso la sua casa, lo avrebbe adagiato sul suo letto e sarebbe andato via. L'anello al dito risultava fastidioso, probabilmente lo avrebbe tolto, non subito, altrimenti sarebbe stato come non rispettare le ultime volontà di un vecchio morente, anche se non aveva idea di chi fosse. L'abitazione era molto grande, vi erano diverse stanze e, dopo un paio di tentativi, trovò quella che immaginava fosse la sua camera. Lo posò adagio sul letto e con un canovaccio gli asciugò il viso. Poi dall'armadio estrasse un lenzuolo pulito e coprì il cadavere con garbo pensando che lo avrebbe seppellito se solo avesse avuto un po' più di tempo. Ma non poteva trattenersi, doveva giungere a Loremann il prima possibile. Lasciò così la camera del vecchio dirigendosi all'uscita e non accorgendosi di nulla. Il rumore incessante di quella che ora si era trasformata in grandine e che batteva forte sul tetto, nascondeva il frastuono proveniente dal seminterrato. La creatura, dopo la morte di colui che si definiva suo padre, aveva perso il controllo, si dimenava con ferocia nella gabbia in cui era nata e vissuta per molti anni, una prigione senza serratura, legata a una catena senza chiavistello e che nessuna chiave avrebbe mai potuto aprire. Ciò che accadeva in quegli istanti la agitava, la lega di sedrivium si stava sciogliendo, e in fretta anche. La bestia capiva che da quel momento avrebbe dovuto cibarsi da sola, cacciare per sopravvivere e Dio solo sa chi sarebbe stata la sua prima preda.
Nata incatenata e ora libera.
Travolse tutto ciò che trovò sul suo cammino, ridusse in brandelli la porta che chiudeva il seminterrato, e un urlo di sfogo e di libertà si sprigionò dalla creatura. Dionas, sulla soglia della veranda, estrasse la spada all'improvviso, puntandola verso un nemico ancora sconosciuto. Ciò che incontrò il suo sguardo subito dopo fu qualcosa di surreale e disumano, un essere brutale che sprigionava una furia inaudita. Il cavaliere fu colto di sorpresa, era lì a farsi mille domande e, nell'arretrare, non si accorse dei quattro scalini della veranda alle sue spalle. Di conseguenza, quando il suo piede andò a vuoto, barcollò all'indietro. Fu quello il momento esatto in cui la bestia, ruggendo e sbavando, balzò verso di lui e Dionas, cadendo e in maniera del tutto istintiva, protese la mano sinistra in avanti come per proteggersi, ma ciò che avvenne stupì entrambi. L'anello s'illuminò ed emise una fioca luce azzurra, la bestia si placò all'improvviso mentre il cavaliere, steso a terra e sempre con la mano tesa, continuava ad arretrare sperando di raggiungere il suo cavallo, rimasto nel punto in cui aveva trovato il vecchio morente. Aveva letto l'immortalità nei suoi occhi, annusava la magia con cui era stato creato, percepiva l'innaturale potenza che bruciava nel corpo di quell'essere e, con ogni probabilità, si trattava di quel figlio che, in punto di morte, il vecchio, gli aveva chiesto di proteggere.
La bestia spiccò improvvisamente un lungo balzo, sfiorando appena il capo di Dionas che nel frattempo si era rialzato. Prima ancora di rendersi conto dell'accaduto, la creatura era già alle prese con il cavallo, il quale, fiutato il pericolo, si era già dileguato, ma la bestia lo aveva raggiunto come un leone avrebbe fatto con un coniglio in un'ampia e vuota prateria e la scena che si presentò agli occhi del cavaliere fu delle più drammatiche. Era così straziante vedere un animale soffrire in quella maniera, lamentarsi e nitrire in modo così penoso desiderando di essere morto e sepolto a mille metri sotto terra.
La bestia mordeva, strappava e squarciava la carne, voracemente, come se non si cibasse da mesi.
- Nooo! - urlò il cavaliere. - No... no... maledizione! -
La creatura si voltò di scatto, brandelli di carne gocciolante pendevano dalle sue fauci e schizzi di sangue irroravano l'erba nelle vicinanze. Il suo sguardo animalesco pareva di sfida, non gli avrebbe tolto quel cavallo neanche se fosse stato l'uomo più potente dell'universo.
- Vai al diavolo bestia maledetta... - le gridò - sempre che non sia tu il diavolo in persona. Tienitelo pure, tanto che me ne faccio di un cavallo morto! Dove ne trovo ora un altro, che non rischi di diventare la tua colazione? Come ci arrivo adesso a Loremann? Saresti pure scomoda da cavalcare... accidenti! - Voltò le spalle alla bestia e, in preda all'ira, proseguì per la sua strada a piedi, sotto la pioggia battente e i grigi nuvoloni che non accennavano a sgonfiarsi.
Le prime ore del pomeriggio erano fredde. Aveva smesso di piovere e alcuni sprazzi di sole si affacciavano timidi dalle nubi ancora altezzose e questo faceva sentire ancor più l'arrivo anticipato dell'inverno, anche se l'autunno era appena iniziato. La casa del vecchio era isolata nel bel mezzo della prateria, sarebbe stata un buon riparo per la notte, ma non poteva permettersi di interrompere il suo viaggio, soprattutto ora che aveva bisogno di trovare una cavalcatura, e in fretta anche, non avrebbe percorso molta strada a piedi e sua sorella aveva bisogno di lui.
Il nero minaccioso dei nuvoloni lasciò in seguito il posto all'oscurità della notte, rischiarata da una radiosa e sfolgorante luna piena che toglieva alle stelle il loro diritto di splendere. Il bosco era vicino, s'intuiva dai versi delle bestie notturne in cerca di preda e quando il cavaliere vi si addentrò, trovò riparo sotto una grande quercia, si sistemò in un avvallamento comodo e, quando ogni parte del suo corpo si abbandonò alla quiete notturna, interrotta di tanto in tanto da latrati lontani, si addormentò.

Sembrava quasi un mondo diverso, rispetto al freddo paesaggio conosciuto finora. Qui l'aria si respirava più calda, il sole era basso nel limpido cielo orientale e i suoi raggi morenti rimbalzavano sulle ampie increspature del fiume. Un'aquila planava leggera nell'aria e quello che si presentava ai suoi occhi era un'immensa prateria verde ornata da mille colori, tra cui spiccava il rosso dei tulipani, così intenso che a qualcuno potrebbe far venire in mente il sangue dei valorosi, perso in battaglia. Più a nord, la prateria, sembrava quasi sollevarsi fino a formare una piccola collinetta, oltre la quale si ergeva una poderosa costruzione. Al suo interno non c'erano pareti ma lembi di stoffa che pendevano dal soffitto, disposti in modo da formare dei divisori, teli bianchi come la neve che, lievi, sbattevano, si gonfiavano e sospiravano come creature viventi al passaggio delle correnti d'aria in conflitto.
Lei era stata adagiata in un angolo, posta su una base che poteva ricordare un letto, ma che non lo era. Era comodo, però. I suoi occhi, appena visibili, neri come ossidiana lucente, spiccavano sul suo viso bianco come un'immagine di cera. Cercava di aprirli, ma erano pesanti... stanchi. Indossava una semplice tunica di lino bianco con rifiniture azzurre, l'orlo arrivava sotto le ginocchia, la timida scollatura le incorniciava il petto mettendo in evidenza il suo seno generoso. Le gambe erano nude, una di esse era ornata da una catenina d'argento alla caviglia, così sottile da essere quasi invisibile. L'unico ricordo rimasto di suo padre. Un anello aureo con una pietra di alabastro avvolgeva il suo anulare sinistro, luccicava e dava l'impressione di essere molto prezioso.
Nel fare un respiro più profondo, fu pervasa da un dolore lancinante al petto.
- Non ti muovere! Sei ancora molto debole. -
Ambra cercava di capire da dove provenissero quelle parole, era confusa, disorientata, non aveva idea di dove fosse. Non ricordava nulla di quello che era successo negli ultimi giorni... settimane o addirittura mesi, le sembrava di aver dormito chissà quanto, invece i suoi occhi si erano chiusi solo da poche ore. Si voltò lentamente e scorse un uomo dirigersi verso di lei, socchiuse leggermente le labbra e un filo di voce sibilò dalla sua bocca.
- Cos'è questo posto? -
Lui sorrise. - Un ospedale, per alcuni. Devi stare tranquilla. - Si prendeva cura di lei e la contemplava. Aveva davanti la donna più bella che avesse mai visto... la donna di cui era profondamente innamorato e che in quel momento non si ricordava di lui.
- Cosa mi è successo? -
- Una lancia ti ha trafitto il cuore... - le rispose mentre le rinfrescava la fronte con una pezzuola bagnata. Pareva sereno, come se la gravità della situazione non lo toccasse.
Forse in quel luogo c'era davvero qualcosa di magico. Al posto di quello che doveva essere un petto squarciato, c'era una minuscola escoriazione lambita da tracce di sangue coagulato, ma dentro faceva ancora male.
- È stata una dura battaglia, ora riposa... avremo tutto il tempo. -
Quelle parole giungevano alle sue orecchie come note serene, tranquille. Si sentiva protetta, ovunque si trovasse. Si sentiva al sicuro con lui. Non sapeva chi fosse ma contava di potersi fidare. I suoi occhi si chiusero di nuovo, ma non dormiva. La sua mente vagabondava, lontano, verso il suo passato, verso i suoi ricordi.
Rammentava la sua famiglia o meglio ciò che era rimasto della sua famiglia. Ricordava vagamente suo padre, quello che non sapeva è che si era sacrificato per lei. Poi Dionas. Nonostante la momentanea amnesia lui era limpido nella sua mente. Erano fratelli. Ambra lo considerava il suo angelo custode, colui che l'avrebbe protetta sempre, ovunque, ed era convinta che ora la stava cercando. Da bambini giocavano sempre a fare i guerrieri combattendo con finte spade di legno che Alvin costruiva per loro; li adorava il loro papà e avrebbe fatto qualunque cosa per i suoi bambini. Con il tempo quelle spade di legno erano divenute di ferro tagliente, sempre più pesanti e difficili da manovrare. Ma non si erano mai arresi ed erano diventati sempre più abili e forti. Combattevano sempre insieme, fianco a fianco, dapprima durante gli addestramenti a corte, in seguito nelle battaglie vere dove, per proteggersi, avrebbero dato anche la vita l'una per l'altro.
Il suo fratellino, da circa tre anni Ministro del Drago e che con tanta forza e coraggio si era guadagnato quel titolo, chissà dov'era adesso.
Stava calando la notte. Solon, la cometa millenaria, splendeva in tutta la sua bellezza e quei piccoli puntini che si alternavano a brillare nel cielo scuro, erano più lucenti che mai. L'aria, immota, era talmente pura e dolce da far percepire il profumo di una rosa raccolta a un miglio di distanza. I ricordi di Ambra cominciarono a divenire sogni e il suo sonno divenne sempre più profondo e rilassato, con la consapevolezza che lui era lì, a vegliare su di lei e che suo fratello, prima o poi, l'avrebbe raggiunta.

***

- Ho sognato mia madre stanotte. -
Il vento era divenuto ancora una volta astioso. E gelido. Catturava la polvere che volteggiava armoniosa e poi cadeva dispersa, a volte gentilmente, altre, con alterigia. Batteva sul suo elmo come una madre affettuosa che esorta il proprio figlio a svegliarsi per non mancare al suo impegno.
L'oscurità era ancora inoltrata e mancava ancora molto affinché lasciasse il posto alla fievole luce dell'alba, mentre i versi dei predatori si facevano sempre più radi. Il cavaliere dischiuse gli occhi, adagio, si sgranchì le gambe e ripiegò i gomiti nella speranza di ridare vita alle articolazioni bloccate. Lentamente si sollevò da terra e con movenze deboli si scrollò la polvere di dosso senza preoccuparsi di ciò che lo circondava quando, all'improvviso, udì un suono dalle tenebre, inconfondibile. Un ululato, ma diverso da quello di un lupo, lasciava immaginare qualcosa di chimerico, un verso insolito che si faceva sempre più vicino.
Il cavaliere sollevò oltremodo lo sguardo e, dall'oscurità, due occhi rossi lo stavano fissando. Era la bestia. Non si può descrivere bene la sua forma. Era un incrocio tra un uomo e un gigantesco lupo, con corpo e braccia umane ricoperte da una folta peluria, le mani dal dorso peloso e con lunghi artigli. Gli arti inferiori erano composti da due cosce a cui seguivano due zampe che terminavano con lunghi piedi, alle cui estremità comparivano sei dita ben artigliate.
Lui era fedele al suo vecchio.
Inizialmente, il cavaliere trasalì. Poi, constatando che la creatura indugiava per passare all'attacco, attese. La vide avvicinarsi mentre egli esitava immobile, seguendola con lo sguardo. La bestia gironzolò attorno al cavaliere annusandolo, fiutando l'aria. Era inquieta, anche se il suo stomaco era già stato compiaciuto. In maniera del tutto inaspettata, spiccò un balzo e fece per allontanarsi, si fermò e guardò indietro.
- A quanto sembra, vuole che lo segua - pensò il cavaliere tra sé.
Si sistemò l'elmo e le corse dietro. Nelle vicinanze delle rocce che lambivano la Lama Lucente, il vento sibilava sempre più intensamente. Gli alberi comandati dal vento, ondeggiavano in una sorta di danza romantica, simili a seducenti cavalieri agghindati di eleganti e signorili foglie, in attesa che la dama più bella facesse la sua comparsa.
La creatura svanì nella selva tenebrosa e il cavaliere avanzò con fatica per non perderla. Sopra di lui, le frasche s'intricavano, velando l'aria e rendendola quasi irrespirabile. A un certo punto la bestia comparve davanti a lui.
- Lupo! - disse l'uomo, non sapendo come chiamarla.
L'essere lo guardava, qualcuno lo aveva chiamato, ma lui non aveva un nome. Balzò via di nuovo disperdendosi tra i folti arbusti e lasciando dietro di sé un odore animalesco e selvaggio, di belva feroce.
- Lupo, no! Aspetta! -
La sua sagoma sprofondò nuovamente nell'oscurità mentre il cavaliere, ora, era furente.
- Accidenti, ma dove sei? -
Continuò ad avanzare senza fermarsi, mentre la creatura sembrava prendersi gioco di lui. Appariva e scompariva. La seguì per un po' sforzandosi di non perderla d'occhio, ma quando percepì di essersi smarrito nuovamente, decise quasi di mandarla al diavolo. Il vento si placò per un istante e in quell'effimera stasi notturna, udì un rumore aspro, indistinto. Lentamente e con molta accortezza si avviò verso quel suono incerto e scorse la bestia che scavava nel terreno dietro un grande masso di forma tondeggiante.
- Ma che sta facendo? - si chiese incuriosito il cavaliere.
Le si avvicinò con prudenza, con timore, era pur sempre una bestia feroce e non si sa mai come una simile creatura possa reagire.
Dal miscuglio della polvere emerse qualcosa, un fagotto, avvolto da una lunga fune logora. Il cavaliere guardava la bestia che sembrava lo invitasse a raccoglierlo e così fece. Tirò fuori l'involucro dalla fossa, recise la corda e lo dispiegò. Al suo interno era custodita una spada, leggera, dalla lama bianca, luminosa e tagliente come un rasoio.
- Goccia di Cristallo! Quella che gli esperti ferrai chiamano perla delle nevi... -
Sembrava nuova di zecca, appena forgiata, ma come mai la bestia conosceva il punto in cui era sepolta? Di certo il vecchio c'entrava qualcosa. Anzi, potrebbe averla seppellita lui stesso, ma cosa aveva di così prezioso o speciale quella spada per essere stata sepolta in un posto così oscuro? Era così diversa dalle altre!
La Goccia di Cristallo, ovvero l'adamanta hallacair, era un metallo puro e raro, più prezioso dell'oro, che veniva estratto in modeste quantità sulle vette più alte del monte Gaylarwen, e sulle cime minori della catena dell'Asturia, demarcante la zona orientale di Adamantzia. Si presentava di color bianco brillante, tanto leggero quanto resistente e sicuramente era questo che rendeva quella spada così preziosa, ma non solo.

Nunzia Alemanno

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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