Camminava tranquilla sul pontile lasciando che il vento le spettinasse, non solo i capelli, ma tutta l'anima. E quella mattina era ancor più dispettoso, quasi impetuoso. Camminava lasciandosi la gente che se ne andava alle spalle. Prese posto su una panchina alla fine del molo, restando senza alcuna barriera che la dividesse dal mare, permettendo così al vento salmastro di scompigliarle i riccioli castano dorato. Non seppe quanto tempo passò prima di accorgersi di non essere più sola; sulla panchina adiacente, un uomo alto molto più di lei, incurante del vento, andava spogliandosi: man mano che un indumento veniva tolto lo riponeva ordinatamente in una grossa borsa di tela scura, rimanendo con addosso un costume blu. Si alzò da dove era, e cercò di guardarlo senza farsi notare, andandosi ad avvicinare al parapetto a pochi metri da lui. Si ritrovò ad ammirarlo, era così vicina che giungeva a lei il profumo amaro del dopobarba. I capelli neri come la notte, di cui una ciocca ballava impazzita sul suo volto, che lui non sfiorò nemmeno, incurante, lasciata libera di muoversi. Lui sempre di schiena, intento a piegare alcune cose; lo vide mettersi gli occhiali da nuoto e rimase come incantata, da quei movimenti precisi, sicuri. Quel corpo asciutto e possente, non di quelli pompati in palestra, ma risultato di ore di sano sport. Era così persa nei pensieri, che non si accorse nemmeno che lui era a meno di due metri da lei. Tornò in sé solo quando sentì una voce dirle: - Stia attenta, si sposti da lì! - Non fece in tempo a finire la frase che lei, presa dallo scoprire che lui, così vicino, la sovrastava di almeno quarantacinque centimetri, ‒ cosa che la fece sentire ancor più piccola di quel che già sapeva di essere nel suo metro e sessanta, ‒ che non capì subito ciò che lui le stava dicendo... peccato! Il vento fece irrompere le onde contro la balaustra avvolgendola completamente, come se non bastasse, dai piccoli tombini ai suoi piedi, getti d'acqua salmastra uscirono fuori come una fontana... e lei si ritrovò completamente avvolta dall'acqua salata; fece per gridare, solo che al posto di un grido ne uscì una fragorosa risata! - - Oddio, solo a me poteva capitare... - pensò girandosi verso l'uomo, ma non lo vide più. Si sporse dalla balaustra dove pochi istanti prima c'era appoggiato lui, guardò in basso tra le onde cercando di vederlo, e vi riuscì. A grandi bracciate guadagnava la riva, usciva e si dirigeva nuovamente verso il pontile, scavalcava il parapetto, tornava al suo posto e si ..rituffava: - Ma questo è matto! A veder lui pare cosi facile, tutto semplice, oplà un tuffetto, due bracciate e si riparte di nuovo eh certo. - Si domandava come trovava tutto quel coraggio o, forse, perché non lo avesse ancora trovato lei: sarebbe bastato iscriversi a un corso di nuoto, frequentarlo seriamente e imparare a nuotare in un luogo che non fosse una piscina per bambini... ma non riusciva, doveva vedere sotto di lei, esser tranquilla; non nuotava nemmeno a dorso nella vasca piccola perché l'ansia l'avvolgeva immediatamente, nemmeno ci fosse uno squalo. Ma nulla, non ci riusciva e si ritrovava ora tra l'ammirare quell'uomo e il dargli del pazzo pauroso. Rieccolo avvicinarsi, gli rivolse solo uno sguardo mentre si asciugava e si infilava un paio di pantaloncini di tela dello stesso colore del costume, e dette un'altra occhiata. Lo vide osservarla con la coda dell'occhio mentre cercava di fermare alcune ciocche di capelli alla nuca con un mollettone: quegli occhi le rimasero impressi, non per il loro colore, un meraviglioso blu intenso come lo stesso mare, ma per quello che sentì, ciò che ne vide. Profondi, che in un primo momento potevano far paura, ma non era così, una grande tristezza era impressa dentro, un dolore profondo, si poteva pensare che con quei tuffi volesse nascondere e cancellare. Un - Buongiorno - e fu lontano, borsa alla mano e non lo vide più. Lo ritrovò solo nei suoi pensieri, mentre lenta tornava verso la casetta di guardianaggio dove viveva per la seconda l'estate, l'inizio della sua nuova vita. Tutta la spiaggia era addobbata elegantemente. Vele bianche e lanterne soft, accanto agli ombrelloni, che per l'occasione erano diventati piccoli salotti tra rose bianche, candele e piccole luci che parevano stelle rubate al cielo notturno. Sotto al portico del ristorante era stato disposto un sontuoso buffet con svariate prelibatezze fatte a mano e pesce fresco pescato quella stessa mattina. Il leggero profumo di un delicato incenso si univa alla brezza marina che leggera smuoveva le fiamme delle candele senza spegnerle. Era la sua nuova vita. Le persone avevano preso posto nelle poltroncine davanti al palco, stava per entrare nella sala bar quando una voce squillante la chiamò: si girò cercando tra la folla e vide la proprietaria di quella voce, Elisa e accanto a lei suo padre Alberto, un uomo che personalmente adorava: simpatico e allegro. Chiunque l'avesse incontrato non avrebbe creduto che avesse sessantacinque anni, non ne mostrava più di cinquanta; era l'invidia di uomini e la preda ambita di molte donne. - Ciao Liliana! Cosa fai lì appoggiata alla colonna!? - Gridò Elisa avvicinandosi ed abbracciandola. - Nulla di che, cerco solo di non far crollare il ristorante - , disse Liliana con voce seria. - Ma no che è solido! Mica è fatto di biscotti, non credi? - Rispose Elisa e afferrò una tartina dal buffet. - Non ne sarei sicura, ma l'ultimo biscotto l'ho mangiato io questa mattina nel latte - , risposte Liliana, che ebbe come unica risposta: - Davvero? Beh se era l'ultimo, hai fatto bene - . Ecco, era sempre così Elisa, non si rendeva conto di ciò che diceva e che la si prendeva in giro; Alberto sì, lo aveva sempre capito e scambiandosi un'occhiata con Liliana si mise a ridere con lei. - Come va la serata!? ‒ chiese Alberto prendendola sotto braccio. ‒ C'è un sacco di gente, ne sarai contentissima, avrai il tutto completo per le prossime quattro stagioni! - - Lo spero Alberto, lo spero proprio, ma dov'è finita Elisa? Non la vedo più al buffet. - La videro giungere in quello stesso momento dal corridoio accanto al bar, dove c'era l'accesso per il piano superiore in cui aveva il suo appartamento. - Eccomi! Ero andata a vedere a che punto era Davide, ma non è ancora arrivato! - - Eccolo... - la voce di Alberto seguita da un gesto del viso che indirizzava oltre le spalle di Liliana, che si girò e altro non vide che un uomo altissimo e un paio di jeans stracciati che davano risalto a due gran belle gambe. Dalle sue labbra scappò un: - Porca miseria e poi? - Si sentì avvampare e ringraziò che fosse notte e da dove era lei certamente non si sarebbe notato e che con tutto quel vocio nessuno l'avesse udita, lo sperò tanto. - L'ho assunto e non me lo ricordo? Sono così scema? Ho contattato tante persone, ma lui? Boh ci avrò solo parlato al telefono, oh sì, ma certo! È colpa di Elisa... - - Bel tipo vero...? - Alberto la riportò sulla terra tra i comuni mortali. - Porca miseria, non bastava farmi sentire l'ultimo dei sette nani, pure un infarto doveva venirmi, sarà sicuramente la stanchezza, anche se avessi avuto i tacchi il massimo che potevo vedere era il suo ombelico! Torna al lavoro Liliana va... - Ripresasi dallo stato penoso in cui era caduta, si era azzardata a togliere i sandali dal vertiginoso tacco dello stesso colore dell'abito, lo trovava molto più comodo per camminare sulla sabbia e tornò tra la gente pensando - Tanto chi se ne accorge, bassa sono e bassa resto e salvo le mie caviglie, - e le scarpe finirono in bella mostra su una sedia accanto al suo letto. La divertì molto ciò che successe dopo, quando uscendo sotto il portico vide accanto all'ingresso, nella stanza che di giorno allestiva come sala giochi per i più piccoli liberandoli così dai genitori, una sfilza di scarpe con attaccato un cartellino riportante il nome del proprietario. Invece di pensar male, gli invitati avevano forse creduto a una fase della serata e l'avevano imitata. Le donne scalze parevano più a loro agio e gli uomini con il pantalone rivoltato più allegri, non riuscì a crederci e rise tra sé. Una dolce melodia riempì l'aria, note leggere di un pianoforte si unirono al danzare delle onde e al profumo di mare. Si girò verso il palco cercando di vedere chi fosse l'artista, non lo vide. Non si fece problemi, dopotutto lei poteva accedere a ogni area dell'evento, e quel pensiero fece nascere sul suo viso un sorriso diabolico. Andò così nella zona dove salivano gli artisti, ma ovviamente, con Elisa in giro non poteva pensare che ci sarebbe arrivata tranquillamente e così accadde; la sua voce superava anche le note del pianoforte, ma non se ne preoccupò, come non fece caso agli sguardi severi degli invitati e nessuno si accorse del sorriso nato sulle labbra del pianista. - Lily dove vai di bello!? Dove scappi? Vuoi salire sul palco e rapire il pianista? - - Eh? Dove vuoi che scappi? E perché poi dovrei rapire il pianista? E perché sei ancora così alta anche senza scarpe? E sai che ti si è sentita più te che la musica? - Cercò di essere seria ma non ci riuscì molto, sulle labbra già nasceva un sorriso. - E va beh, cosa vuoi che sia! Tanto lo sento quasi tutti i giorni quel bischero de - il mi fratello, - ‒ ed ecco che il toscano di Elisa usciva fuori bello marcato, ‒ lo si sopporta tutti i giorni o quasi, che mica sto a casa tutti i giorni io e nemmeno lui, ma quando c'è, suona. Lui... che bella vita la sua, casa sua, casa nostra, pianoforte, lavoro e viceversa, ah no... dimenticavo, ha pure quella specie di moglie o ex da qualche parte, o una cosa simile... - disse tutto a raffica, serenamente senza alcun pensiero. La guardò dubbiosa pensando alla frase - il mi fratello, - allora era Davide il pianista. - Elisa, cosa vuol dire che ha una moglie da qualche parte o una cosa simile? Cos'è non ricorda di avere moglie? L'ha persa in autogrill? Fammi capire... - Ci pensò Alberto, giunto pochi istanti prima e fermatosi dietro di loro ad ascoltarle. - Questo argomento sarebbe cosa più giusta farselo spiegare da Davide, sai Elisa che non la piglia bene sapere che si parli delle sue cose, dopo non te la prendere quando non ti parla e ti tiene il broncio, facevi prima a dire che è separato, punto, senza scrivere la Divina Commedia al contrario. - Ed Elisa guardò il padre: - Oh babbo! In che senso, scrivere la Divina Commedia al contrario? - La risposta, la ricevette dalle spalle di Alberto, che ridendo le diceva: - Vuole dire che quando spieghi tu, non si capisce nulla! - E se ne andò ridendo; Liliana lo seguì ridendo ed entrambi lasciarono la povera Elisa a pensare, ma per poco, che già aveva la bocca colma di noccioline e di un tranquillo - E va beh, che sarà mai... - Aveva aspettato quel giorno da settimane, e come un battito era passato, finito; gli invitati stavano lasciando pigramente la spiaggia, nell'aria solo l'eco di moltitudini di parole, risate e scie di profumo che non finiva più. Si era cambiata l'abito, optando per una gonna lunga bianca e una maglietta con scollo a barca dello stesso colore arricciata al petto che le lasciava le spalle nude. Restò a fissare un'ultima coppia che tranquilla abbandonava il parcheggio a bordo di una piccola utilitaria nuova fiammante. A un lato del parcheggio Alberto ed Elisa parlavano mentre caricavano alcune cose nell'auto di lui che alzando il braccio la salutò con un - A presto! - Ricambiò il saluto e prese a sistemare dei vassoi nella vetrina frigo. - Sono stanca - , disse Liliana tirando giù l'interruttore della corrente nella casetta che fungeva da bar ristorante con dietro il suo appartamento su due piani: un piccolo stabilimento balneare di cui era divenuta proprietaria quel passato inverno, e che dopo tanto tempo le aveva dato finalmente una gioia tutta sua e una vittoria inaspettata verso colui che era stato suo marito per tanti anni. Marcello, che già dopo le nozze aveva dosato ogni giorno il suo affetto denigrandola, ricordandole con "educazione" la sua inferiorità essendo donna, anche dopo avergli dato dei figli, aveva anzi rincarato la dose creandosi vittima del suo stress, ricordandosi della sua esistenza solo a suo stretto bisogno, rimproverandola o azzittendola davanti ad amici e parenti, annullandola come persona, come donna e come madre. Ma un'altra porta le si era spalancata dritta in faccia con una nuova vita, senza dimenticare anche una dose di stress di cui avrebbe fatto a meno, ma che aveva saputo affrontare con una forza che non pensava di avere ancora. Tagliò quel cordone oramai marcio e doloroso, guarendo come da un'infezione e riportato il suo cuore a vivere senza però permetterle di dimenticare. Allungata su una sdraia nel buio della spiaggia, lo sguardo verso le stelle, le tornarono alla mente le ultime parole di Marcello: - Non ce la farai mai da sola, e vedrai che tornerai da me piangente e non so se ti riprenderò in casa dopo che mi hai fatto fare simile figura davanti ad amici e parenti. - La cosa non le fece nemmeno rabbia, ma iniziò a ridere: - Ma chi ci torna da te... - e pensando a quello, mentre rideva, non capì come, si ritrovò seduta sulla sabbia fredda. "Meno male che non c'è nessuno a vedermi, avremmo riso in due nel vedermi cadere dalla sdraia." Quanto tempo era passato da quando aveva riso così serena? Un'eternità. Era immersa in mille pensieri e progetti: pensava alla nuova casa che faceva parte della proprietà a cui era legato il piccolo stabilimento di quella piccola cittadina della Versilia, tesoro appartenuto a Gianmarco, unico amico rimasto nascosto, perché Marcello non permetteva che lei essendo sposata avesse amici suoi. Lui che anche a chilometri di distanza, come fosse padrone di qualche dote innaturale, riusciva a capire quando lei stava male e arrivava, con un messaggio sul cellulare, una telefonata e a volte di persona. Un uomo tranquillo, considerato dai clienti dell'Hotel sulla riviera Romagnola, appartenuto alla sua famiglia da sempre e che da anni gestiva da solo, troppo serio e rispettoso quasi da far noia. Pronunciavano quelle frasi guardandolo di sottecchi, sperando in una sua reazione, ma lui faceva un leggero inchino, salutava e spariva. Aveva partecipato spesso a queste conversazioni e si era sempre chiesta come fosse possibile che non vedessero nei suoi occhi la voglia di scoppiare a ridere, e lui quella sera si accorse di lei, l'unica che era stata capace di leggere nei suoi occhi, neri come una notte senza stelle. In quel giardino scoppiò all'improvviso in una fragorosa risata, serenamente. In quel momento era nato qualcosa di speciale: in lei una grande amicizia, in lui il dolore di un amore verso chi per il suo essere sposata non poteva ricambiare; erano passati così tanti anni di quella strana amicizia, che regalava a entrambi serenità e allegria. Lui sempre vicino in tutto, quando erano lontani lei sentiva un vuoto immenso, lui un' immenso dolore. Ciò che li univa erano quelle parole dette seduti su una panchina nel parco, sulle sponde del lago, dopo che lui di ritorno da un viaggio di lavoro, trovandosi dalle sue parti, passava a trovarla. Restavano seduti uno accanto all'altra, tra pezzi di pane dati a cigni affamati e parole dette senza significato, quando lui si era voltato verso di lei e le aveva detto semplicemente: - Sono anni che non ho nessuno, sono sempre stato solo, dedito solo al mio lavoro. Sono una persona all'antica forse, anzi: togliamo il forse, ma seguo il mio cuore ed esso è tuo Liliana; se non posso avere te come compagna, come moglie, mi rassegnerò ad averti solo cosi, come amica... un'amica speciale, che per me è tutto... - Si era chinato fino a sfiorarle le labbra leggermente e si era voltato tornando a spezzare pezzi di pane. Lo ricordava cosi, eretta davanti a quella lapide di marmo nero lucido con al centro la sua foto: un pirata della strada se l'era portato via una mattina mentre era in viaggio verso lei. Erano passati due anni da quel giorno e lei si era sentita ancora più sola, si era ritrovata a pensare che se avesse soltanto avuto coraggio di tagliare quel suo rapporto con Marcello, avrebbe potuto essere molto serena accanto a Gianmarco, magari avrebbe imparato ad amarlo come lui meritava. Ma solo dopo, sempre dopo, ci si accorge di quello che si è perso. Come ricordo, le aveva lasciato quello stabilimento acquistato poco prima di morire, e che era destinato a lei, l'avrebbe affiancata, aiutata, e le sarebbe stato vicino, come sempre: - Riprenditi la tua vita Lily, - ma era lì sola, lui non c'era più. Si stava asciugando una lacrima quando una voce la riportò alla realtà, si alzò di colpo dal lettino in cerca della direzione da cui quella voce arrivava, ed eccola ancora: - Ehi! Accendete questa dannata luce! Non sono un pipistrello o un gatto, al buio proprio non riesco a vedere e l'acqua è gelata! - A quelle parole Liliana non riuscì a trattenersi dal ridere, e andò verso la casetta immersa nel buio completo: "Ho chiuso dentro qualcuno? perché non ho guardato prima, ci manca solo che passo per sequestratrice..." e la cosa invece che preoccuparla la portò nuovamente ridere: - Arrivo! Stia tranquillo, non sapevo ci fosse qualcuno in casa! - E riprese a ridere cercando di non farsi sentire. Aprì la porta del bar, allungò la mano dietro la porta dove c'era il pannello del contatore e fece scattare la levetta. Attraversò il bar, andò verso la stanza sul retro aprendo di scatto la porta ma non c'era alcuno, il letto era in ordine, e su di esso dei vestiti stesi e lì accanto un piccolo trolley blu elettrico. "Caspita che colore, non avrà problemi a vederlo," da sotto la porta del bagno usciva del vapore caldo e da dentro sentì una voce sollevata dire: - Finalmente, stavo congelando... - - Congelando? Siamo al due di giugno, ci sono trenta gradi, e sicuramente al telegiornale avranno anche detto che è la notte più calda degli ultimi secoli, che nemmeno i dinosauri ricordano e lui gela? - Attese un po' e guardando il vapore uscire da sotto la porta disse sottovoce: - Chissà se ci vuole anche una carota, del sedano e due patate... - Liliana era incuriosita da quella figura misteriosa, ma tenne per sé la curiosità il tempo di uscire dalla casetta e prendere dal cestino del rinfresco alcune pizzette e rientrare per appoggiarle sul tavolino della stanza da offrire all'ospite, non immaginandosi certo di trovarsi davanti un individuo alto più della porta, grosso come le ante dell'armadio e completamente nudo, intento ad asciugarsi i capelli! Liliana che stava mangiando una pizzetta si ritrovò a cercar di non soffocare nel dire un - Ops, mi scusi... - uscendo dalla stanza, e come risposta sentì urlare: - Ahhh, oddio una donna! - E vederlo correre nella stanza da bagno. "Oddio una donna? E se fossi stata un topo?" E rieccola seduta sul lettino a rigirarsi dal ridere e a ricadere dalla sdraia. "Non sono mai caduta cosi tante volte, sarà buon segno," e si risistemò nel buio a guardare le stelle che parevano più luminose di sempre, o forse era solo lei a essere serena come da tempo non le accadeva e chiuse gli occhi. Riaprì gli occhi giusto il tempo di vedere che la luce nella stanza da bagno andava spegnendosi, e rimase in attesa di vederlo uscire, sicura di non esser vista dove era, protetta dal buio della spiaggia, ma da cui lei poteva veder benissimo. Lo vide così uscire, camminare davanti alla casa, tornare indietro, fermarsi al tavolo dove erano gli stuzzichini, afferrarne uno e rieccolo camminare, questa volta verso di lei; andò oltre superandola di qualche lettino, non l'aveva proprio vista e lo osservò proseguire verso il bagnasciuga. "Caspita, se è alto, se ci fosse stato lui mi sarei risparmiata il torcicollo nell'imbiancare il soffitto!" E continuò a seguirlo con gli occhi. Si passò le mani sul volto strofinandosi gli occhi, non credeva a quello che gli occhi le riportavano: lui, era in riva al mare, e rimasto con uno slip, si andava tuffando in acqua. "è pazzo, ha appena fatto la doccia! Non c'è nemmeno la luna e lui fa il bagno al buio, andiamo ad accendere la luce del portico almeno va..." cosi fece a passo svelto evitando di poco l'angolo del lettino. Accese la lampada, prese dal bar due lanterne, le accese e le portò a riva, adagiandole sulla sabbia e sedendosi tra di esse. Il mare era calmo, non c'era nemmeno un alito di vento, si distingueva il mare dal cielo esclusivamente per le stelle. Si strinse la maglietta addosso quando vide l'acqua incresparsi sotto le forti bracciate che andavano avvicinandosi alla riva e vide quel corpo uscire dall'acqua e avvicinarsi a lei. In quel momento desiderò essere seduta sul lettino al buio senza che la si potesse vedere, e fu sollevata nel constatare che al buio lui non avrebbe visto il suo viso diventare rosso come un pomodoro maturo, sì era timida e non ci poteva né voleva fare nulla. Per troppo tempo le era stato rimproverato di essere troppo emotiva e arrossire come una stupida. In quel momento, con lui davanti, non aveva nemmeno il coraggio di alzare la testa per guardarlo, ma non servì, almeno non tanto, perché lui si andò a sedere poco distante restando tra le due luci: - Mi ha spaventato prima, e per due volte! Stavo facendo la doccia bollente e all'improvviso l'acqua è diventata gelida, poi sono rimasto anche al buio! Non è una bella sensazione... al buio al freddo e al gelo... - - ...Tu scendi dalle stelle... - iniziò a canticchiare Liliana sottovoce, e iniziò a ridere piano per non farsi sentire. - Siamo a inizio estate e pensi a Natale? - Chiese lui guardando verso di lei. Caspita... l'aveva sentita. - No, non penso al Natale, è che continuavo la canzoncina che avevi iniziato... - ed eccola riprendere a ridere; nel buio non poteva vedere i suoi occhi, ma solo vedere che la stava guardando. - ...Non mi sono accorto di aver iniziato un tema natalizio, è vero al freddo e al gelo sembrano le parole della canzone, ma quando si è bagnati è normale avere un po' freddo ‒ e sorrise nel buio, ‒ certo, anche con trenta gradi... - Liliana si alzò e iniziò a camminare verso la casetta, togliendosi la sabbia dalla gonna, il passo sempre più veloce arrivando a correre veloce, notando che lui aveva iniziato a correrle dietro. Non aveva paura, ma si sentì tornare un poco bambina, non voleva farsi prendere, cosa alquanto difficile quando chi ti corre dietro ha gambe molto più lunghe delle tue. Iniziò a giocare d'astuzia passando tra gli ombrelloni e saltando i lettini, cosa che essendo "piccola" nel suo metro e sessanta, le veniva bene a differenza di lui che aveva avuto per tre volte collisione con i lettini. Corse nella casetta e sentì i suoi passi avvicinarsi; entrò nella camera da letto dove poco prima vi era lui, apri la finestra, saltò oltre e la chiuse da fuori con la sicura che si metteva quando c'erano i forti temporali. Andò sul davanti e appena vide che lui fu dentro chiuse veloce la porta dell'ingresso, sapendo che dalla finestra del bar chiusa con la chiave non poteva certo uscire, e scoppiò a ridere chiudendolo dentro. - Complimenti! - Lo sentì dire, e si sedette sul lettino prossimo alla casa. - Aspetto cinque minuti e gli apro - , ma non fece tempo a finire la frase che si sentì afferrare alle spalle da due braccia forti; gridò cercando si scappare sferrando una forte gomitata al suo aggressore, che, lasciandola, scoprì essere ancora lui. Liliana lo guardava sbalordita: - Ma come hai fatto a uscire? Avevo chiuso tutto... - lui la guardava divertito ma massaggiandosi il fianco dove lei l'aveva colpito. - Dal piano superiore, non è alto per saltare... e se sei alto due metri e sedici non è proprio nulla... - ma Liliana non era rimasta lì ad ascoltare il seguito, aveva ripreso a correre seguita da lui, tra lettini e ombrelloni. - Basta correre sono stanco e poi sarei costretto a prenderti e vendicarmi! - Aveva gridato fermandosi ai piedi dell'ultimo lettino, nei pressi delle lanterne. - Sì, come no, mi faccio pigliare cosi facilmente, come no... scordatelo! - Non calcolò il suo essere troppo vicino e così in un attimo fu nuovamente prigioniera di quelle braccia, si sentì sollevare, avrebbe goduto di quell'attimo se non avesse intuito ciò che voleva fare: sentendo l'acqua salata avvolgerla, sperò almeno l'avesse gettata dove l'acqua era bassa, ma si sbagliò. Il panico ci mise poco a impadronirsi di lei, l'unica cosa che ora poteva fare era cercare di restare a galla, con il problema che nel buio non riusciva a capire da che parte era il su e quale era il giù. L'aria nel polmoni era oramai finita e il panico aumentava, sentiva le gambe avvolte nella stoffa e si sfilò la gonna in qualche modo, ma il sentirsi le gambe libere non migliorò molto la situazione. Aveva paura, sensazione che durò tantissimo per lei, ma non erano passati che pochi secondi, quando si sentì afferrare e finalmente poté respirare tutta l'aria che voleva. - Ma diamine! non sai nuotare!? - Lui la stringeva a sé portandola verso la riva, dove le lanterne erano oramai quasi consumate. - Ma... non sai proprio nuotare? - Liliana silenziosa tornò a respirare tranquillamente o quasi. Ma non fu facile riprendersi dalla sensazione che quel corpo le trasmetteva, il contatto con la stoffa bagnata; disse: - Nooo... è che mi piace ogni tanto farmi annegare da qualcuno, così per passare il tempo... è ovvio che non so nuotare! - Si sentì di nuovo con i piedi a terra, anche se quel contatto interrotto le provocò una sensazione di brividi che non era dato dai vestiti bagnati. - Mi spiace tantissimo... - a quelle parole sentì lo stomaco farle male, e prese a camminare piano verso la casa dicendo: - Ma sì, da domani fuori dal bar metterò un cartello che riporterà questa frase: "In caso vi annoiaste la proprietaria dello stabilimento si renderà disponibile per tentativi di omicidio tramite annegamento!" - Ho dato per scontato che sapessi nuotare... ma... hai perso la gonna? - Si era tirata la maglietta sulle gambe, se ne era dimenticata fino a quel momento. - Sì, in acqua mi legava le gambe. - - Ovvio, non si va in acqua con abiti lunghi è pericoloso... - Liliana a udire quelle parole scoppio a ridere. - Giusto! La prossima volta prima di farmi buttare in acqua chiederò di darmi il tempo di togliermi la gonna e dirò: "Scusi, prima di buttarmi in acqua mi farebbe togliere la gonna, sa... potrebbe rovinarsi, ma dopo tranquillo, potrà continuare con il suo intento..." Parlava e rideva e si ritrovò distesa nella sabbia grazie al piedino della sdraia in cui era inciampata, sentì lui vicino aiutarla a rialzarsi, la sabbia appiccicata addosso le dava fastidio; udendo la sua risata si chiese se ridere anche lei, arrabbiarsi con lui o lasciarsi andare alla pazza idea di baciarlo, cosa che ripose nei suoi desideri dandosi della stupida pazza. Dopo tutto quello che aveva sofferto aveva ancora il coraggio di fantasticare e desiderare certe cose? Baciarlo... una come lei? Un pensiero ricorrente in lei, l'esser considerata inadeguata l'aveva portata a crederci, considerarsi inferiore a tutto e a tutti. Nell'ombra almeno aveva ripreso a fare qualcosa che gli era stata vietata: sognare. Ciò che stava succedendo in quel momento, si rese presto conto, non era un sogno, perché quelle braccia la stringevano a quel corpo forte, poteva sentire il cuore battere accelerato, forse anche più del suo, incredulo e incapace di decidere se fermarsi o battere ancor più. Ora grazie alla luce poteva vedere il blu dei suoi occhi, in attesa di qualcosa. - Posso... posso baciarti? - sussurrò lui con un fil di voce... lo stomaco tornò a farle male: "Davvero mi sta chiedendo se può baciarmi? Prima mi annega e poi mi chiede un bacio, quale morte più dolce sarebbe..." non seppe dire quelle cose, le pensò solo. Il corpo premuto ancor di più contro il suo, gli occhi nei suoi, la mano sul viso di lui... sentì le sue labbra posarsi leggere sulle sue; quel bacio leggero si stava trasformando in qualcosa che mai aveva sentito. La sabbia contro la schiena, le sue mani scorrevano su quelle di lui. Sentì come un solletico salire su per la gamba, allungò la mano credendo di trovare la sua, ma così non fu... c'era davvero qualcosa che sfiorava la sua gamba, si alzò interrompendo quel momento, preoccupata di ciò che avrebbe trovato.
- Che succede? - Udì la voce preoccupata di lui vedendola spostarsi. - Qualcosa mi ha sfiorato la gamba... - - Sarà il freddo forse, un brivido... - "Un brivido di freddo? L'unico brivido che ho sentito me l'ha dato quel bacio, non il vento." - Dici...? Forse hai ragione - , aveva detto Liliana accarezzandosi la gamba. - O forse una pulce di mare - , rispose lui. - Una pulce di mare? E quella di città? - disse ridendo Liliana buttandolo con la schiena sulla sabbia; rideva anche lui, un sorriso in cui Liliana avrebbe voluto perdersi, che interruppe solo per posare le sue labbra su quelle di lui in un bacio che portava con sé tutte le sensazioni che quella notte le aveva regalato, quelle emozioni che lui aveva risvegliato in lei e quel suo fare insicuro, tutto racchiuso in quel bacio che lui ricambiava. E ci furono baci e altri baci, interrotti da piccole parole e sorrisi e una sola frase: - Davide, mi chiamo Davide... ma sarò quello che vuoi tu... chiamami come vuoi tu... - Liliana aprì gli occhi, il nuovo giorno andava nascendo oltre i vetri della porta finestra rimasta aperta, l'oro del sole sbiadiva il blu della notte con l'aiuto di una leggera brezza che sapeva di acqua e sale. La testa appoggiata sul braccio di Davide divenuto per lei guanciale, il volto di lui tra i suoi capelli, cosi vicino da sentirne il respiro tranquillo, e il corpo fatto coperta, cosi vicini che i due cuori parevano aver preso a battere all'unisono, lasciò che il sonno la cullasse ancora un po'. Nella stanza il profumo del suo dopobarba era ovunque, non solo nell'aria che la circondava, ma era impresso tra le lenzuola e specialmente sulla sua pelle. Allungò la mano a sfiorare la parte del letto accanto al suo, rimase così, persa nel vuoto, trovandovi solo il lenzuolo oramai freddo. Aprì gli occhi guardandosi attorno, si alzò e mentre andava infilandosi la vestaglia, entrò prima nel bagno privato nella sua stanza, e poi si ritrovò a camminare con passo lento tra i locali della sua casa, e... nulla... non c'era più. Aveva lasciato solo il suo profumo ovunque. Ed eccola lì, seduta sotto al portico, il notebook aperto davanti a lei, lo sguardo oltre il monitor, chi passava e la guardava pensava stesse guardando il bagnino e il personale del bar al lavoro. Ma lei era altrove... alla notte passata e al suo risveglio, al suo darsi dell'idiota, per essersi lasciata andare così, come un'adolescente alla prima sbandata, rapita da due occhi blu. - Meglio non pensarci più, è passato, anche questo farà parte di qualcosa che cercherò di dimenticare il prima possibile, se solo riuscissi, e se solo lo volessi... - Iniziò il suo lavoro, la sua giornata, cercando di mettere da parte quella notte che le pulsava nella testa: - Nemmeno un biglietto... - insistette la parte romantica di sé, e la parte cattiva non si fece attendere - ma che vada a quel paese, non hai bisogno di lui... ecco, sto diventando pazza, più di quello che sapevo già d'essere, bene, proprio bene! - La giornata iniziò, i clienti del bagno arrivarono, presero posto nei loro lettini e tende, il cielo era di un bellissimo azzurro terso, il mare brillava sotto i raggi del sole, alcuni bambini con le loro voci alte giocavano con le animatrici. Dalla cucina proveniva la voce del cuoco che discuteva con il pescatore che gli aveva portato più pesce, tra cui alcune varietà che non aveva ordinato, che invece di renderlo di cattivo umore lo fecero esultare: - Evvai! C'ho già un'idea di come cucinarlo, una prelibatezza! Devi sempre venire tu a portarmi il pesce! - Cosa che divertì il vecchio pescatore, visto che era sempre lui a portarlo da anni, dalla gestione antecedente, che rise andandosene. Era fatto così Aristide, brontolava ed era contento, e Lucio se ne andava ridendo, ogni volta sentendo la stessa storia. Solitamente quell'inizio di giornata la metteva di buon umore, la loro discussione, la ragazza che litigava con i piccoli congelatori sotto le tende che puntualmente trovava impossibili da aprire, il profumo delle brioche, biscotti e focaccine calde. Ma quella giornata, la sensazione di sbagliato, di sentirsi stupida non l'abbandonavano, facendo riaffiorare l'inadeguatezza che credeva sparita, si ripresentarono tutte all'appello, erano tutte lì nel suo stomaco che insieme cercavano di affogare il suo cuore in un vecchio dolore. - Possibile che sia bastato così poco per far riapparire tutto questo dolore? - Una vocina dentro si fece sentire con rabbia: - Sei stupida! Alzati, inizia la tua giornata, tira fuori un cavolo di sorriso e vai, ci manca solo uno che arriva e rovina tutto, vai e vivi, almeno provaci! -
Donatella Rodighiero
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|