Luca (Capitolo uno)
Mi chiamo Luca e sono un evitante. Così almeno mi ha definito qualche tempo fa lo psicologo da cui mio padre mi ha costretto ad andare con un odioso ricatto. Il terapeuta in realtà ha solo suggerito che qualche tratto della mia personalità potrebbe essere leggermente disturbato. Immagino che in parte lo abbia dedotto da certi episodi della mia vita che gli ho raccontato: erano palesemente inventati e non riesco a capire come abbia fatto a non rendersene conto. Anche se, mentre li raccontavo, avevo una forte tendenza a immedesimarmi. Sì, credo di essere risultato piuttosto convincente, e d'altra parte mi sarebbe piaciuto molto averli vissuti sul serio. Nonostante tutto, qualcosa di verosimile è comunque venuto fuori: ad esempio che tendo a mantenermi il più possibile alla larga dalle convenzioni sociali e dagli interessi consueti che ha la gente. Che sono troppo legato alla mia tribù di (discutibili) amici e che non sento l'impulso di fare nuove conoscenze. E ancora, che non avverto l'insopprimibile bisogno d'integrarmi e di essere attivo, produttivo e riproduttivo. Infine, che ho un rapporto decisamente conflittuale con i miei familiari e con qualsiasi forma di autorità. Per lo psicologo potrei rientrare, in forma leggera, in un disturbo chiamato Disturbo Evitante di Personalità o DEP. O magari in una sindrome mista Evitante-Borderline. Se fossi in voi comunque, non mi preoccuperei: non sono socialmente pericoloso né tendo a comportamenti maniaco ossessivi. Non verrò insomma a casa vostra per tentare di rubarvi l'argenteria e nemmeno per convincervi a tutti i costi a comprare un robot aspirapolvere made in Corea, disturbandovi mentre vi rilassate davanti alla TV e ascoltate i particolari dell'ultimo efferato omicidio familiare. Anzi, è probabile che se anche voi mi invitaste a cena, io non verrei. Non mi va di conoscervi, non ho interesse ad ascoltare i vostri guai, non voglio confrontarmi con quello in cui credete. Niente di personale eh? Semplicemente rapporti sociali nuovi e non voluti non mi attraggono, anzi, mi comunicano una grande inquietudine. Tra parentesi lo sciamano dei nostri tempi, sì, lo psicologo, ha enumerato un mucchio di peculiarità e di punti forti del mio carattere, consigliandomi di sviluppare in modo creativo certe tendenze ribelli che ogni tanto mi spingono, appunto, a evitare contatti sociali e a deviare da comportamenti ritenuti normali. Ecco, non so se mi definisce, ma preferirei essere considerato un deviante, piuttosto che un evitante; deviante mi sembra rappresentativo di uno stile di vita, e comunque, ne converrete, molto più elegante del modo in cui mi chiama in questo periodo mio padre. E cioè, demente. Giuro, il mio caro papà più di una volta mi ha chiamato con questo gioioso appellativo. Tecnicamente avrei anche un fratello, ma mi sembra inutile parlarne: è un clone di mio padre. Di me non vi ho detto molto, nemmeno che sceneggio e illustro fumetti. Anche bene, a dirla tutta. Sono stati pubblicati da diverse fanzine e riviste specializzate. Ai miei amici piacciono, e ho persino qualche fan che li compra, segue il mio blog e mi scrive e-mail incoraggianti. Per dare un nome alla mia serie principale ho preso in prestito il termine tecnico del mio presunto disturbo e l'ho fatto diventare un sostantivo plurale; così sono nati gli Evitanti, un gruppo di alieni misteriosi, sfuggenti, nonché assassini spietati che si nascondono tra di noi. Ci sarà tempo per farveli conoscere. Tornando a mio padre, credo sia rimasto piuttosto deluso dal responso sulla salute della mia psiche... si aspettava come minimo una diagnosi di psicosi latente; o almeno attendeva di conoscere qualche episodio inquietante della mia vita, che lo psicologo non avrebbe potuto comunque riferirgli per un evidente problema di etica professionale. Tutto quello che ha ottenuto quindi, sono una serie di consigli piuttosto asettici e un invito a intraprendere un percorso di terapia familiare con me e mio fratello; invito che, conoscendolo, deve aver vissuto come un affronto. Nulla comunque che possa averlo aiutato a capire il mio comportamento da demente. (Un sacco di soldi buttati via, papà!). Conclusa l'ultima seduta dallo psic sono tornato a casa, annunciandogli che avevo bisogno di riflettere sulla mia vita e che volevo passare un periodo da solo. D'altra parte il succo del suo ricatto, a cui accennavo all'inizio, era appunto questo: o andavo in terapia o mi avrebbe buttato fuori di casa. Magari era un bluff. Io comunque mi sono preso questa piccola rivincita: ho visto le sue carte ma poi ho deciso per conto mio. Anche se forse è stata una mossa avventata. Sono via da casa da qualche mese e sto per finire i soldi. I miei amici, a turno, mi ospitano. Sono in gamba, anche se un po' strani. Tra loro hanno preso l'abitudine di chiamarsi con i nickname che usano per navigare in Internet e per partecipare a feste più o meno illegali che durano giorni interi. L'unico a non avere un soprannome è il sottoscritto. Chissà perché.
Gli Evitanti davanti all'ineludibile (Capitolo due)
- Non mi è piaciuta tanto l'ultima parte del tuo comic, c'hai messo in mezzo la politica - dice S8Cassa sbadigliando. - Mmm, cioè? - - Ma si, tutte le minchiate sulla C.I.A., sui terroristi, che c'entrano? - - Spiegati meglio. - - Ecco, le prime strisce erano tipo fantascienza, no? - - Ma sì, anzi non proprio. Non mi piacciono le etichettature. Cioè che James Ballard ha scritto solo fantascienza? E Philip Dick? - - Chi sono 'sti tizi? - - Dick ha scritto un romanzo da cui è stato tratto Blade Runner, per fare solo un esempio. - - Appunto, Blade Runner è fantascienza - ribatte S8Cassa sbadigliando di nuovo. Siamo a casa sua, sono le due passate del pomeriggio e si è appena svegliata. Sta aspettando che il caffè sia pronto; con gli occhi che ogni tanto le si chiudono controlla la vecchia moka sul fuoco. Allo stesso tempo scarabocchia con un pennarello colorato su dei vecchi cartoni che contenevano la pizza della sera prima, evitando abilmente schizzi di sugo e frammenti di mozzarella solidificati. - Ma ti pagano i tipi della rivista? - continua, mentre alza per un attimo gli occhi e guarda la caffettiera. - Qualche volta... dipende. Non molto. - - Allora mi puoi prestare qualche soldo? - - Io? Non mi è rimasto granché. Quanto ti serve, comunque? - - Cinquemila Euro. - - ...?! - - Dai scemo, stavo a scherza', non mi serve niente, volevo vedere la faccia che facevi, e se ti stavi a monta' la testa no? - E inizia a ridere, una risata lunga, singhiozzante, stranissima. Notevole per essersi appena svegliata e senza aver potuto ancora bere un sorso di caffè. S8Cassa è una ragazza interessante, con le treccine colorate, gli occhi grandi e luminosi, un collo lungo e sensuale e un'indubbia abilità a mixare cd e vinili come dj, anzi come djane. Il suo soprannome deriva da una frase che per un periodo pronunciava sempre nei momenti meno indicati: sotto cassa tutto passa. Intendeva dire che ballando per ore davanti a una cassa che ti spara in pancia migliaia di watt di musica elettronica a circa 150 battiti al minuto, tu non puoi che dimenticare qualsiasi problema ti abbia afflitto precedentemente. È una filosofia di vita valida come e forse più di tante altre. Peccato che il sesso non sembra interessarle particolarmente e nemmeno l'amore, a quanto ne so. Ma è un'amica, di quelle di cui ti puoi fidare a occhi chiusi. Per capirci, è anche una di quelle persone che non si fa problemi a dirti che stai sbagliando o che ti stai comportando da stronzo, se è quello che pensa. Ha qualche anno meno di me e una lunga lista di amici sparsi per l'Europa che spesso la vengono a trovare, quasi sempre senza preavviso, e che lei ospita con rassegnazione; le occupano casa per settimane, si cimentano in estenuanti jam session nel salone, usano la cucina alle ore più strane della notte per bizzarri esperimenti culinari. Ma sono i Suoi Amici, una categoria speciale di esseri umani che gode di diritti inalienabili. Si arrabbia, gli dice cosa pensa del loro modo di fare, eppure finisce sempre per abbracciarli e li difende, affrontando coraggiosa i vicini di casa che protestano o l'amministratore del condominio che le intima il rispetto delle regole condominiali. Come detto, faccio parte di questa categoria di privilegiati, e da un paio di settimane sono suo ospite. Non riesco però in nessun modo ad abituarmi allo stile di vita bohemien che regna incontrastato; è un mio limite, lo so. Magari è la DEP, questo strano disturbo evitante di personalità e lo psicologo aveva visto giusto. Resta il fatto che da quando sono qui mi sveglio di soprassalto nel bel mezzo di discussioni in lingue gutturali, ingurgito merendine scadute da settimane, faccio la fila più volte al giorno davanti alla porta del bagno solo per sciacquarmi il viso. Credo che stasera chiederò a un mio amico se posso trasferirmi qualche giorno a casa sua. Ho bisogno di quiete per riordinare le idee e riprendere in mano il mio comic. - Poi è strano, no? Ci sono questi Evitanti, alieni che si muovono così velocemente che nessuno riesce quasi a vederli; così progrediti da sfuggire a ogni logica umana. Sono ricercati da questa specie di società segreta composta da cervelloni, ex marines, miliardari massoni e mutanti con chissà quali poteri. Chi sono questi mutanti, che poteri hanno? E poi c'è di mezzo la C.I.A. e l'N.S.A., organizzazioni entrambe convinte che siano dei terroristi 2.0! Tutti contro tutti, nessuno che ci capisce un tubo. Proprio fessi! Lo vuoi il caffè? - - Un po' grazie. Ma è che... - - E poi, a parte l'agente Selene, non ce stanno donne! So' quasi tutti uomini, e anche un po' repressi! - - Non sono fessi, né repressi - faccio io fintamente indignato, - sono solo un po' depressi! - Ghigniamo un po' insieme, mentre beviamo lentamente il caffè bollente. Fuori è una bellissima giornata, un po' fredda, ma con un sole accecante e un cielo pressoché paradisiaco. - Che fai dopo, esci? - chiedo senza troppa convinzione. - Mmm... dovrei lavorare un po' al computer, prima che tornino gli amici austroungarici; sono andati a Villa Borghese, credo. O forse all'Eur. Non è che ho tutta questa voglia di lavorare, eh? Tanto poi nemmeno so se mi pagano, e anche se mi pagano se ne parla tra mesi... - risponde pensierosa. Annuisco. Io invece dovrei telefonare a casa, o almeno rispondere alle telefonate che mio padre mi fa quasi giornalmente; fino a questo momento ho mandato semplici SMS a mio fratello per comunicargli che stavo bene e non avevo bisogno di nulla. Messaggi che probabilmente non si sarà nemmeno preso il disturbo di leggere, diciamo pure che gli avrà cancellati appena visto il mittente. - I mutanti, un esperimento d'ingegneria genetica sfuggito di mano agli americani, hanno scoperto i loro poteri relativamente da poco tempo - spiego a S8Cassa per non pensare al mio futuro incerto, - è normale che non riescano ad usarli ancora al meglio. - - Sì ma quali sono 'sti poteri? Non c'ho mica capito molto... - - Un insieme di percezioni sensoriali dilatate, potenziate... un 'vedere' al di là delle apparenze... una capacità di connettere elementi apparentemente senza punti in comune per generare nuovi significati. Probabilmente hanno poteri PSI latenti. Fisicamente prestanti, addestrati, sono capaci di coordinarsi alla perfezione. - In realtà con l'intervento dei servizi americani il mio comic è a una svolta, anche se non ho bene in mente dove questo cambiamento porterà. Parlarne ad alta voce potrebbe aiutarmi. Il fatto è che S8Cassa ha perso interesse per gli alieni Evitanti, per i mutanti, per le sue rivendicazioni femministe e si è messa ad accatastare i piatti sporchi nel lavabo. Tutte stoviglie sopravvissute alla cena dei quattro suoi amici in fuga dalla Mitteleuropa. Difficile interrogarsi sui pericoli che corre l'umanità in questo momento e sulla minaccia aliena. Faccio un cenno a S8Cassa e me ne vado in soggiorno, dove c'è la brandina sopra la quale ho dormito stanotte. La stanza è immersa nel sole, particelle di polvere lucente danzano rincorrendosi, messaggere di gioia e letizia. Disseminati sul pavimento ci sono libri, scarpe, cd masterizzati, una sciarpa, il mio zainetto. Lo prendo senza molta convinzione e guardo fuori dalla finestra. In effetti devono essere quasi dodici ore che non metto nulla dentro il mio stomaco. E con una giornata così bella, sarebbe cosa buona e giusta assorbire un po' di calore e di luce solare fuori da queste quattro mura. C'è un gatto sopra un tetto, poco più in basso, sembra mi stia guardando, come volesse invitarmi. Gli faccio un cenno con la mano, lui resta immobile. Sì, magari dovrei proprio uscire. Ma resto lì, con lo sguardo un poco fuori fuoco, sovrappensiero. E d'improvviso mi appare nella mente l'immagine del volto abbronzato dello psicologo. Ha un paio di Ray-Ban a specchio e sorride, muovendo leggermente la testa; annuisce come a confermare a se stesso qualcosa. Una diagnosi particolarmente brillante, oppure un'idea per un nuovo gioco sessuale da proporre alla sua amante diciannovenne. Assomiglia a uno di quei ricercatori californiani ripresi dalle TV satellitari sullo sfondo d'immense spiagge assolate mentre spiegano serafici complesse teorie speculative di astrofisica o di meccanica quantistica. Allora apro il mio zainetto, prendo il notebook e lo accendo. Poi abbasso la serranda della finestra per vedere meglio lo schermo luminescente del computer, cancellando la giornata di sole, l'immagine del volto abbronzato del terapeuta e l'azzurro paradisiaco.
Sergio Beducci
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