Luglio, sud-ovest della California. La sfera di fuoco nel lento scivolare sembra consumare le sue forze, la tenue luce riflette nell'infinito mare. ***
La città stanca, nel buio della sera si gode la quiete. David Scott, quarant'anni, vive in un appartamento al secondo di un edificio di sei piani con la moglie Jude e le figlie Mollie e Diana, rispettivamente di cinque e sette anni. L'uomo ha appena finito di cenare e si appresta ad andare a lavorare, non prima però di aver bevuto una bella tazza di caffè caldo. - Farai tardi anche questa sera - dice la donna, seduta al tavolo della cucina dinanzi al marito. - Credo che non sarà la fine del mondo dopo tanti anni di lavoro - risponde David, con indosso la sua uniforme da vigilantes. - Sono stanco... stanco di girare la notte in strada, di dover fare un lavoro che odio, di lasciarti sola con le bambine. - - Non me ne hai mai parlato. - - Sarebbe stato inutile, non voglio che ti preoccupi, si creerebbero ansie difficili da gestire. Meglio accontentarsi, almeno per il momento. - - Non mi sembri molto entusiasta. - - Te l'ho detto che la situazione non mi piace, ma cosa vuoi che faccia? Me ne sto a casa e non vado a lavorare? Cosa risolvo? Nulla! - - La soluzione è un nuovo lavoro. - - Già! - - Bisogna pensarci seriamente, allora - afferma Jude. - Ci puoi giurare. – replica David. - Scommetto che non si sarà placato il freddo di questi giorni. – - Al tuo ritorno, ti farò trovare il letto riscaldato - dice la donna con velata malizia. - Come sempre, il tuo conforto ha il dono di rendermi la vita meno amara. - - Non vorrei che ti adagiassi troppo; questo ti impedirebbe di lottare per le nuove mete che ti prefiggi di raggiungere. - - Semmai, ti garantisco, è il contrario. Sei l'unica ragione della mia vita. - - L'unica, ne sei convinto? - David accenna un sorriso, trovando di facile interpretazione le parole della donna che lo conducono, prima mentalmente poi fisicamente, nella stanza delle figlie, che dormono come due angioletti nei loro lettini. L'uomo le osserva per qualche attimo e la sua espressione si ammorbidisce in un tenero sorriso, fiero di quelle due creature.
***
Fuori fa un freddo da far accapponare la pelle. David, uscendo dallo stabile, si alza il bavero del giubbotto in pelle nera e si avvia verso l'automobile parcheggiata dall'altro lato della strada. Apre lo sportello e si siede sul sedile; quindi accende il quadro e si irrigidisce con un'espressione vuota del volto. Dopo pochi istanti, gira la chiave dell'accensione e parte. Le strade sono deserte e silenziose e creano alla città un'atmosfera arcana e affascinante, tanto da infondere nell'animo umano quella sorta di timore primordiale mai sopito. A un tratto, sul marciapiede di una via scarsamente illuminata, David scorge tre individui chinati dinanzi alla saracinesca di un negozio. Rallentando passa loro accanto; rallenta sempre di più, fino a pigiare del tutto il pedale del freno. Guarda nello specchietto retrovisore, innesta la retromarcia, si avvicina a quei tre uomini e li osserva per alcuni secondi. Sono ben vestiti, intenti a guardare per terra come se stessero cercando un oggetto smarrito. Risoluto scende dalla macchina. - Avete perso qualcosa? - Uno dei tre alza lentamente la testa ornata da una folta chioma di capelli che gli scendono fin sopra le spalle, lo guarda in faccia e dice: - Si! Il mio amico ha perso l'anello cui teneva molto... sembra svanito nel nulla. - - Certo, non sarà facile trovarlo con questo buio - risponde David, mentre, sceso dalla macchina e con una torcia in mano, cerca di essere d'aiuto. Dopo qualche minuto, passato in silenzio alla ricerca dell'anello, la voce robusta dell'uomo dai capelli lunghi rimbomba nella quiete della notte. - Oh, Eccolo! L'ho trovato! - - Dov'è? - dice David, voltandosi in direzione dell'uomo. - Eccolo qui! - esclama il capellone, mentre all'improvviso gli conficca un lungo coltello a serramanico nell'addome. David, con gli occhi sbarrati, immobile, sorretto ai fianchi dagli altri due uomini, emette, con il filo di fiato che gli è rimasto, un flebile e rauco lamento. Il suo carnefice, imperturbabile, lo fissa negli occhi e con immensa ferocia estrae la lama sanguinante e la conficca nuovamente nell'addome, scuotendo, come ultimo segno di vita, il corpo martoriato di David, che cade esanime per terra. L'assassino si abbassa piegandosi sulle ginocchia, estrae il revolver dalla fondina di David e il coltello dall'addome, l'arma dell'efferato delitto, e insieme ai suoi compari si allontana tranquillamente. ***
Il robusto sacco di cuoio con dentro della sabbia assorbe con generosità i colpi sferrati dall'uomo, con potenti calci e pugni. John Parker, media statura, capelli lisci castani, occhi grandi, neri e lucenti, esperto in arti marziali, è sopra la pedana in una stanza all'interno del suo ufficio, adibita a palestra. Indossa una canottiera color viola, pantaloni ginnici neri, e si allena come di consuetudine a piedi scalzi; l'uomo è un investigatore privato. Finito l'allenamento, va a farsi una doccia. L'acqua che gli “piove” addosso, dopo una prima sensazione benefica, rilassante, pian piano sembra trasformarsi in un vortice, fino a diventare una forma di transito nel tempo passato. Ritornano, attraverso immagini sfocate, momenti della sua vita che non riesce, o che non vuole dimenticare.
“Immerso nelle acque ostili del mare, Parker dimena freneticamente le sue forti braccia sul letto ondeggiante di schiuma; una lotta contro il tempo e contro la sua impotenza.”
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Il detective, con indosso il suo vestito preferito color caffelatte, camicia celeste, colletto sbottonato e senza cravatta, esce dal suo ufficio e si avvia con la macchina, percorrendo la solita strada, verso l'abitazione della madre dove, ad attenderlo, c'è la figlioletta Kate. La giornata è calda, la strada assomiglia a un lungo serpente infuocato e tutto l'insieme circostante sembra un meraviglioso dipinto paesaggistico. La vista del mare, le magnifiche onde che s'infrangono sugli scogli, trasformandosi in candida schiuma, lasciano del tutto freddo Parker che, mascherato dietro i suoi occhiali scuri, dà la sensazione di non degnare di un pur minimo sguardo tutto ciò che gli sta intorno.
La tranquilla cittadina accoglie in silenzio quasi rispettoso il detective. L'uomo, parcheggia l'auto davanti a una fila di case unifamiliari, tutte con una piccola terrazza sul retro. Entrato in uno di questi appartamenti, va in cucina, dove c'è una donna sulla sessantina, intenta a cucinare. - Ciao mamma. - - Ciao John! - - Che buon profumino... - Parker si avvicina alla madre, le ruba un involtino di carne e lo mette in bocca, gustandolo lentamente. Ha appena il tempo di voltarsi che improvvisamente gli salta addosso un piccolo volpino bianco. - Doll! Sei la solita peste ... ti trovo in ottima forma. - - L'altro giorno l'ho portato dal veterinario – dice la madre. - Sai, il dottor Smith non c'è più, è andato in pensione; è arrivato uno nuovo ... mi sembra che si chiami Wesley. Doll, all'inizio si è mostrato irrequieto, poi il dottore gli ha dato un dolcetto; credo che siano diventati ottimi amici. Ha assicurato che non è niente di preoccupante, si tratta di una leggera infezione allo stomaco, occorre una ferrea dieta e ritornerà più vivace di prima. - - Una ferrea dieta? Conoscendo Doll, mi sembra difficile, il dottor Smith di sicuro non l'avrebbe detto. Dov'è Kate? - - Come tutte le donne, si è annoiata ad aspettare il suo uomo, così si è trovata un'amica, la nostra nuova vicina di casa, che le insegna pure a suonare il pianoforte. - - Scusami, conosci come sono, quando sto lì per finire un lavoro non riesco a pensare ad altro... - A un tratto, si sente squillare il campanello di casa. - Oh, sarà di sicuro lei, avrà molta fame per venire in anticipo... ha invitato a pranzo l'amica. - afferma la signora Parker, mentre il detective va ad aprire la porta. Kate, appena vede il padre ha un sussulto e lo abbraccia fortemente, esclamando piena di gioia. - Papà, sono felice di vederti! - Kate, è una graziosa bambina di dieci anni dagli occhi che sembrano due finestre aperte sul cielo limpido e splendente, con i capelli lunghi e lisci di colore castano chiaro. - Anch'io, piccola. Mi sei mancata in questi giorni. - - Papà, questa è Mary, la nostra nuova vicina di casa... mi sta insegnando a suonare il pianoforte. Sai, è molto brava. - Parker stringe la mano a Mary, fissandola teneramente nei suoi occhi verdi, come due smeraldi incastonati sul dolce viso leggermente truccato. I suoi capelli sono lunghi, neri e raccolti dietro la nuca; indossa un paio di blue-jeans e una camicetta bianca; non avrà più di venticinque anni. ***
Di lì a poco, si ritrovano seduti attorno al tavolo circolare nell'ampia cucina a gustare il delizioso pranzo. La stanza è sufficientemente illuminata dalla luce del giorno. Il detective e Mary si lanciano sguardi di reciproco compiacimento. Dopo aver finito di pranzare, la famiglia Parker e la loro ospite si accomodano nel soggiorno, dove c'è un salottino tappezzato di stoffa color beige. Il detective, un bicchiere con due dita di Martini in mano, è seduto sul divano assieme a Kate, mentre sulla poltrona a destra è seduta Mary, alla sua sinistra la signora Parker. - Suono il piano in un locale, mi pagano bene, per il momento mi sta bene così; e poi, credo che non mi mancheranno in futuro altre opportunità - dice Mary, volgendo il suo sguardo all'indirizzo di Kate, quasi a voler mascherare la sua apparente timidezza. La bambina, con infantile dolcezza, la rassicura con un sorriso. - La musica è come l'aria che respiriamo, non possiamo proprio farne a meno – afferma Parker, volendosi dimostrare alquanto ottimista riguardo il desiderio espresso dalla giovane donna. - Possibilità di lavoro non dovrebbero mancarle di sicuro se lei, come immagino, è una brava musicista. – - Papà, certo che è brava! – - Piccola, ne sono convinto. – - Non sono un genio, ma credo di cavarmela benino – ammette simpaticamente, Mary. - Mi sembra di percepire una falsa modestia, per altro sempre gradita in simili situazioni – replica l'uomo. - Lei, capisce di musica? – - Non sono un grande intenditore, ma mi piace ascoltarla. – - Come tutti, d'altronde. – - Esatto! – - Siete i miei più grandi estimatori – replica con ironia la giovane, alquanto compiaciuta. - L'ho capito subito che sei una brava ragazza, mi basta guardare le persone una sola volta per poter dire con certezza di che pasta sono fatte - interviene la signora Parker con tono deciso. Kate, intanto, tenta di stimolare suo padre. - Se voglio diventare brava, dovrò esercitarmi di più ... - - Non aggiungere altro, credo di aver capito – afferma l'uomo. - Vorresti un pianoforte tutto tuo; hai ragione, non c'è meglio che averlo a portata di mano ogni qualvolta si desidera sfiorarne la tastiera. - - Ricordo la mamma quando suonava la chitarra di nascosto, quasi si vergognava, diceva che non aveva talento, che lo faceva per rilassarsi ... a me piaceva tanto ... credo invece che fosse molto brava. - Per alcuni secondi un gelido silenzio invade la stanza. Parker, posa il bicchiere sul tavolinetto. - Sì, era molto brava. - - Io devo proprio andare - quasi sussurra Mary, mentre si alza dalla poltrona. Parker, seguito dall'anziana madre e dalla figlioletta, l'accompagnano fino alla porta d'ingresso. - È stato un piacere conoscerla – dice la giovane, rivolgendosi al detective - Signora Parker... - - Ciao Mary, fatti vedere spesso. - - Ok. – - Ci vediamo domani - dice Kate. - Ti aspetto! - La giovane donna esce dall'abitazione, s'incammina verso casa, mentre da dietro la finestra la segue lo sguardo di Parker. - Cosa te ne sembra? – gli chiede la madre. - A cosa ti riferisci? – - A lei, naturalmente, alla maestra di musica di Kate. – - Se intendi come maestra, dovrei vederla all'opera; e come persona non me la sento di dare un giudizio preciso se prima non la frequento un po', non sono lungimirante come te, dovresti saperlo. – - Un detective che non è lungimirante? Mi sembra una cosa talmente assurda da non crederci. – - Può darsi, ma voi donne siete un mistero impenetrabile. Dov'è andata Kate? – - Immagino di sopra, nella sua stanza, perché? – -... no, niente, chiedevo solamente. – - Quanto tempo ci onorerai della tua presenza? – chiede, con amara ironia, la donna. - Mi spiace, il lavoro... – - Lo so che il tuo lavoro ti impegna tantissimo e che non puoi farci niente se alla fine il tempo che ti rimane da dedicare alla famiglia è veramente ristretto. – - Andrò via stasera, dopo cena. – - Non dormi qui? – - Meglio di no, domattina voglio essere presto in ufficio... – - Certo. – - Verranno momenti migliori, te lo assicuro. – La donna annuisce. - Lo dico per Kate. – - Sì, lo so. – - Cresce rapidamente, e in questo momento ha bisogno di te. – - Lo prometto, verranno momenti migliori, molto presto, ne sono convinto. – -... ok. – L'uomo osserva dalla finestra la giovane musicista entrare nel suo appartamento.
L'identico sguardo, seduto su una comoda poltrona rivestita di pelle nera, Parker lo rivolge a una foto incorniciata, poggiata sulla scrivania di noce chiaro del suo ufficio, che lo ritrae assieme alla moglie; e ancora, in un altro momento di relax, sdraiato sul divano, con il volto sfiorato dai raggi di luna, mentre sorseggia una birra.
***
Il giorno dopo, all'interno di un supermercato, il detective si aggira fra gli scaffali strapieni di merce, per fermarsi dove vi sono esposte varie marche di birra, la sua inseparabile bevanda. Ne prende alcune lattine che depone all'interno del carrello, per poi proseguire e aggiungere agli acquisti delle conserve, dopodiché si avvia verso la cassa, mettendosi pazientemente in fila dietro altri tre clienti, aspettando che arrivi il suo turno. - Ciao John - lo saluta la bella cassiera. - Ciao Elsa. - - La solita birra ... - - Già! - - Come sta Kate? - - Bene! Cresce. - - È una bella bambina, da grande farà girare la testa a molti uomini ... questo ti impegnerà, dovrai fare dello straordinario. - - Spiritosa! Vorrai dire bella come te, immagino ... - - Sembra strano che sia proprio tu a dirlo – afferma la donna. - Da' un grosso bacione a Kate da parte mia. - - Ok, lo farò ... stammi bene. - - Anche tu. Non dimenticarti... – - Cosa? – - Di pensarmi. – - Pensi che potrei? – replica il detective, regalandole, mentre si allontana, un dolce sorriso.
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Nell'ampio ingresso adibito a sala d'attesa, Jennie, la bionda e giovane segretaria di Parker, è seduta dietro una grande scrivania angolare; sul tavolo trovano posto tutti gli oggetti necessari al suo lavoro, come il telefono, un computer, eccetera. Nell'altra ala della sala, contraddistinta da un arco in legno noce chiaro, con parete a giorno lavorata a rete e ornata da alcune piante rampicanti plastificate, c'è una donna seduta sul divanetto, settantacinquenne, di piccola statura, capelli ricciolini grigi. Attraverso gli spazi della parete, l'anziana donna osserva con curiosità Jennie, quando dalla porta d'ingresso entra Parker con in mano il sacchetto del supermercato. La segretaria lo saluta con un cenno. - Questo è per Paul – dice il detective, tirando fuori dal sacchetto della spesa un pacchetto di patatine fritte. - Robert dice che lo stai viziando, e credo che abbia proprio ragione - replica la donna. - Paul chiede tutti i giorni di te, sarò costretta a portarlo qui... mi sembra che ultimamente abbia combinato abbastanza guai – continua Jennie. - Già, questo è vero; credo che dovrò pensarci su e valutare la situazione con più calma – conclude ironicamente Parker, mentre si accinge a entrare nel suo studio. - Ha telefonato Cellier, mi è sembrato agitato... desidera avere la relazione entro la fine della settimana. - - Desidera... imbecille! Prima si fa fregare dal suo direttore, uomo di massima fiducia, così diceva, ora non sta più nella pelle. Ted? - - Ci sta lavorando, ha bisogno di alcuni giorni. - - Cellier aspetterà! - e senza aggiungere altro, il detective chiude la porta del suo studio. Jennie riprende il suo lavoro, quando ad un tratto sente dei colpi di tosse provenire dalla sala d'attesa. La segretaria alza gli occhi dalla scrivania e scorge dai fori della parete l'anziana donna seduta sul divanetto. - Oh... mi perdoni - dice la giovane visibilmente imbarazzata, mentre si alza dalla scrivania. - È rimasta per parecchio tempo in silenzio che mi sono persino dimenticata di lei ... prego! – Bussa alla porta dello studio di Parker. - Si? - La segretaria apre la porta. - La signora Bacon... è da parecchio che aspetta. – -... si accomodi – Parker invita la cliente ad entrare. Jennie richiude la porta lasciandoli soli. - Prego, si sieda. - La donna si accomoda sulla poltrona rivestita in pelle nera, osservando con occhi incuriositi tutt'intorno. - In cosa posso esserle utile – le chiede il detective. -... il mio nome è Bacon, Anna Bacon. Provo una strana sensazione, è come se mi trovassi in uno studio legale, o in una stanza dove si discute di marketing, anche se non ci sono mai stata. - - Mi dispiace se l'ho delusa. - - Oh, no! È solo colpa dei miei ricordi, sono molto affezionata ai film di una volta... che sciocca che sono, pensare di trovarmi in un ufficio investigativo di molti anni fa, magari con il suo disordine, il suo fascino... mi perdoni, non volevo divagare. - Parker, osserva la donna in silenzio, con simpatia, attratto dalle sue parole. - È stato ucciso un uomo tre mesi fa, si chiamava David Scott, lavorava come vigilantes... ecco, vorrei che si scoprisse chi è stato ad ucciderlo. - Dalla borsetta la donna tira fuori una busta grande, del tipo di quelle che si usano per la corrispondenza, e la poggia sulla scrivania. - Dentro ci sono ventimila dollari, tutti in biglietti di grosso taglio, altri quindicimila li riceverà alla fine del lavoro... sono i risparmi di una vita. - - È una bella somma! – esclama Parker. - Purtroppo non li posso accettare; voglio dire, mi occupo d'altro, da qualche anno non faccio più questo tipo di lavoro. - - Mi hanno parlato bene di lei, ma, non è nel mio carattere insistere. Credo che sarà difficile che io vada da un altro investigatore. - La donna, delusa, si alza dalla poltrona e rimette la busta con i soldi dentro la borsetta. - Mi perdoni per il disturbo... – la donna si avvia verso l'uscita. - Signora Bacon ... - - Si? - Il detective abbassa lo sguardo, sembra esitare come a mostrare un atteggiamento di arrendevolezza, poi fissa la signora Bacon in viso e le chiede: - Chi era esattamente per lei David Scott? - - Un amico! – - Si risieda, la prego. – - Ci ha ripensato? – -... può darsi. – - Spero, che non le avrò suscitato compassione. – Parker accenna un sorriso. - Niente di simile, semmai un'irresistibile simpatia. – -... grazie. Non vorrei, però, che per colpa mia scompigliasse la sua normale routine di lavoro. – - Sarebbe come ritornare alle origini. – - Se la sente? – - Prima o poi sono convinto che l'avrei fatto – ammette il detective. - Già, è inevitabile, sarebbe stato solo una questione di tempo. – - Trasportato dalla vocazione. – - Qualcosa di simile. – - È commovente l'amore che un uomo provi per la propria professione – replica la signora Bacon. - Come l'affetto che la legava al suo amico che è stato ucciso. – -... era un brav'uomo, non meritava di andarsene così. Chi è stato a spezzare la sua giovane vita, deve pagare... – - Ci sono gli organi di polizia che adempiono a questo compito e lo fanno anche bene. – - Forse, i troppi impegni castigano il risultato del loro lavoro – replica sorniona la donna. - Già. –
Salvatore Scalisi
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