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Autore: Giovanni Della Corte
Come l'Acqua per le Piante
Narrativa
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Come l'Acqua per le Piante
Gli alberi raccolti quasi a formare un girotondo, in un piccolo giardino che sta ai piedi della mia casa, hanno bisogno di una tempestiva cura adeguata. I rami secchi diventano sempre più resistenti alla spunta della mia cesoia, sento che ormai il peso degli anni incomincia a schiacciare quella forza che mi permette di tenere le braccia alzate più del solito. Il sole del mattino sparge i suoi raggi sulle fronde degli alberi, li attraversa e mi accarezza con il suo calore; ma d'inverno è poca cosa, specialmente se c'è molta umidità le mie articolazioni
sono già stufe di questo tormento.
Le mani fanno fatica a stringere la cesoia su quelle ramificazioni, che patiscono la mancanza di cure continue; è da un po' di tempo che, in certe giornate fredde e piovose, mi si bloccano.
Fino a qualche anno fa curare il giardino per me era un vero toccasana, bastavano alcune ore per liberarmi dalla fatica accumulata durante un periodo di lavoro stressante, anche perché non me ne occupavo da solo.
Sono ormai cinque anni che se n'è andata, era lei che curava con molta dedizione la vita di questo piccolo angolo di paradiso terrestre, mia moglie Serafina. Una donna esile, semplice, molto curata nell'aspetto e nelle cose che la circondavano, di cultura conservatrice.
Le piaceva mantenere vive quelle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione, nel pieno rispetto della dignità umana. Difficilmente approvava tutto ciò che modificava radicalmente la vita sociale, politica ed economica; in merito a questo nasceva spesso una piccola discussione, io la assecondavo anche perché era inutile insistere.
Passava ore intere a curare piante e fiori, aveva il classico - pollice verde - ; io quando potevo la seguivo e c'erano dei momenti di vero abbandono mentale,
non ci importava più di ciò che succedeva oltre il giardino.
Il giardinaggio è una passione che mia moglie ha sempre coltivato fin da quando ci siamo conosciuti; è stato questo lato del suo carattere per il quale mi sono innamorato di lei. Ci siamo sposati quasi subito e dopo neanche un anno dal nostro matrimonio abbiamo avuto una figlia, Amanda: è tutta sua madre ma non è mai riuscita ad appassionarsi al giardinaggio; se qualche volta
l'aiutava, lo faceva controvoglia. Di carattere è il suo opposto, per nulla conservatrice; perciò s'instauravano delle vivaci discussioni su ogni cosa. Quando non ne poteva più di litigare, perché avvinta dalla preponderante
insistenza della madre, Amanda si rifugiava nella propria stanza. Le cose cambiarono nel momento in cui divenne maggiorenne: sfogava la sua rabbia andandosene per qualche giorno da una cara amica.
Questi sfoghi divennero sempre più frequenti, finché un giorno ritornò a casa con questa sua amica di nome Irene per comunicarci che sarebbe andata a vivere con lei, che era la sua compagna. Con molta sincerità ci disse che era già da alcuni anni che aveva scoperto la propria tendenza sessuale e che finalmente aveva trovato il coraggio di confidarcelo; noi avremmo dovuto semplicemente rassegnarci all'idea.
In quel preciso istante ci siamo sentiti crollare il mondo addosso, tutto quello
che avevamo fantasticato fino a quel momento pensando a come sarebbe stata la sua vita, il diploma, la laurea, il lavoro, il matrimonio, i figli... tutto svanì in
un istante.
La reazione di Serafina fu rabbiosa, il suo modo di vedere le cose non le permetteva di capire la decisione di nostra figlia; era una decisione che per lei andava oltre ogni concezione umana, al di fuori di ogni normale rapporto naturale. Cercai di calmarla ma non ci fu verso di farla ragionare. Con rabbia cacciò fuori di casa Amanda intimandole di non farsi più rivedere, perché da quel giorno aveva deciso che lei non avrebbe più avuto una figlia.
Amanda, risentita per la brutale reazione della madre, non si fece né vedere né sentire per alcuni mesi; nel frattempo cercai di spiegare a Serafina il concetto dello status sessuale che stava vivendo nostra figlia, ma non riuscii mai a convincerla. Anche se mia moglie riusciva spesso a distrarsi in questo piccolo giardino, il dolore per la rottura del rapporto con Amanda – avvenuto in modo così violento – la stava distruggendo giorno dopo giorno, mangiava sempre meno. Già minuta nel fisico, dimagrì fino al punto da sembrare anoressica.
La situazione stava diventando drammatica, dovevo cercare un modo per ricucire i loro legami affettivi.
Lo trovai quel giorno che, per una strana coincidenza, incrociai mia figlia in un grande centro commerciale in compagnia di Irene. In un primo momento lei fece finta di non vedermi, voltò lo sguardo altrove e tirò a sé compagna. Capii che non aveva voglia di vedermi, ma io dovevo parlarle: le corsi dietro gridando il suo nome, ma lei non mi dava retta. Con un ultimo sforzo la
raggiunsi e mi misi davanti.
- Che cosa vuoi?! - mi chiese con sguardo rabbioso.
- Devo parlarti di tua madre, sta male perché non ti fai sentire da mesi! Si è molto indebolita nel fisico - .
- Poteva pensarci prima, prima di trattarmi in quel modo! - .
- Lo so, ma sai come è fatta tua madre, se non te la senti di venire a casa a me basterebbe che semplicemente la chiamassi al telefono, che facessi sentire la tua voce. Chissà, forse... - risposi con molto affetto.
Amanda, vedendo nei miei occhi la tristezza per la propria lontananza, fece un'espressione lievemente amareggiata.
- Va bene, ci penserò - mi disse con un sorriso.
Dopo alcuni giorni da quell'incontro giunse la telefonata da me tanto sperata; non ricordo quanto tempo stettero a parlare, a piangere e ridere, ma so che le
cose si rimisero al meglio, si risanò quel filo spezzato.
Serafina in breve tempo si riprese e accolse a casa con serenità le sempre più frequenti visite che nostra figlia e la sua compagna facevano quando si trovavano nei paraggi. Mantenne le proprie idee sulla questione delle tendenze sessuali di Amanda ma pattuì con se stessa che prima o poi l'avrebbe compresa: l'unico modo sarebbe stato volerle sempre bene.
Così è stato fino all'ultimo giorno della sua vita, ma non le è mai riuscito di comprenderla appieno.
Io invece l'avevo già capito da tempo che prima o poi sarebbe comunque successo; non perché avevo notato in lei degli strani atteggiamenti, eppure ne avevo la matematica certezza.
Qualche anno prima di andare in pensione avevo già programmato di dedicare tutto il tempo libero a mia moglie per starle più vicino – finora avevo riservato la maggior parte del giorno al mio lavoro, trascurandola – ma poco prima che potessi realizzare il mio intento
Serafina si è allontanata da questa vita terrena. Mi ha lasciato un grande vuoto e oggi mi pento di questa mancanza; adesso che non c'è più sento il peso di tutte le ore che, negli anni, non abbiamo trascorso insieme.
Credevo che una volta andato in pensione avrei avuto ancora tutta una eternità da trascorrere con lei, invece il destino mi ha privato di soddisfare questo desiderio.
Mi chiamo Gerardo Scala, per più di trent'anni ho lavorato presso l'ospedale San Pietro Fatebenefratelli; da principio come dottore, poi nel corso degli anni ho fatto carriera e sono diventato primario di Ginecologia.
Ricordo ancora la prima volta che misi piede in quel reparto: giovane, fresco di concorso, ero fiero di me dopo aver fatto tanti sacrifici. Mi presentai con un curriculum di tutto rispetto, mi guardavano in modo strano come se venissi da un altro pianeta. Nei primi mesi notai che in alcuni colleghi serpeggiava un pochino di invidia e avevano incominciato a crearsi delle antipatie, che poi nel tempo sono però svanite grazie alla mia personalità affabile. Avevo sgominato tutti i loro primordiali preconcetti sbagliati su di me.
Suscitai simpatia anche nei confronti del primario, il dottor Pierluigi Canestrelli, il quale ammirando la mia professionalità e serietà mi affidò il delicato incarico di dirigere il suo laboratorio di ricerca e di analisi del reparto. Il laboratorio, per l'epoca, era all'avanguardia. Aveva ricevuto adeguati fondi grazie alle grandi scoperte fatte dal primario in campo medico; per anni aveva lavorato studiando le cause di malformazione del feto e le malattie congenite che possono insorgere al bambino durante la gravidanza. Aveva seguito personalmente, passo dopo passo, tutte le fasi di studio di questi casi conseguendo grandi risultati, aveva anche scritto un libro sull'argomento. C'è stata quasi subito sinergia nei nostri rapporti di lavoro perché tutte le materie delle sue ricerche avevano fatto parte della mia specializzazione in Ginecologia; per questo il dottor Canestrelli ha avuto per me un occhio di riguardo.
Ha messo a mia disposizione l'intero laboratorio di ricerca, con macchinari e attrezzature che non mi sarei mai assolutamente sognato di usare nella mia carriera di medico e mi ha dato carta bianca per ogni nuova ricerca.
Fu proprio in quel periodo che conobbi Serafina. Era amica di una mia collega, tutto avvenne durante una festa di compleanno. Non ho memoria di chi stessimo festeggiando ma ricordo che c'erano alcuni del reparto di Ginecologia, alcuni di altri reparti e tanti amici al seguito, tra i quali anche lei. Eravamo nel pieno della festa, io non l'avevo ancora notata in mezzo a tanta confusione. C'era musica da discoteca ad alto volume, gruppi di persone che passavano tra un discorso e l'altro e ricordo che, dopo tanto stordimento, improvvisamente mi venne fame. Scorsi su di un tavolino addobbato per l'occasione, in un vassoio argentato, l'ultimo tramezzino sopravvissuto all'attacco dei famelici invitati. Nell'istante in cui la mia mano ebbe raggiunto il tramezzino, un'altra lo aveva afferrato dalla parte opposta: alzai lo sguardo e per la prima volta incrociai il suo.
In quell'attimo rimasi folgorato dalla luce dei suoi occhi che mi guardavano fisso. Non so quanto tempo rimanemmo fermi a guardarci un po' imbarazzati, con l'espressione di quelli che sono indecisi se cedere o meno il passo. Fu io a prendere l'iniziativa di rinunciare al ghiotto spuntino ma lei, senza dire niente, con un leggero sorriso sulle labbra, divise il tramezzino e me ne porse la metà.
- Abbiamo gli stessi gusti! - mi disse.
- Già! - risposi con un tono vago, come se volessi spezzare ogni possibilità di discorso che in quel momento sarebbe potuto nascere.
- Sono Serafina l'amica di Chiara, la tua collega! - fece lei indicandola.
- Ah sì, è vero - risposi salutando la mia collega, che si era accorta che la stavamo osservando in mezzo a tanta confusione.
- Tu, tu devi essere... - mi chiese osservandomi attentamente.
- ... Gerardo, l'amico di Chiara! - dissi scherzosamente indicandola anch'io.
Lei rise appresso a me e salutò a sua volta la nostra amica. Da quel momento in poi i nostri caratteri entrarono subito in sintonia, rimanemmo a parlare di noi due, sui nostri pregi e difetti, per non so quanto tempo.
Fu in quella occasione che mi rivelò la sua passione per la cura delle piante. Scoprimmo di essere fatti l'uno per l'altro; avevamo molti punti in comune, per esempio eravamo figli unici di altrettanti genitori figli unici: un fatto più unico che raro.
La festa era stata organizzata il sabato sera, pertanto sarebbe finita la mattina del giorno seguente ed erano già da un pezzo passate le undici. Serafina, ormai stufa di quella confusione, decise di ritornare a casa ma era venuta con Chiara che non aveva alcuna intenzione di abbandonare la festa: mi offrii io di accompagnarla. Per tutto il tragitto fino a casa non pronunciammo alcuna parola, forse perché avevamo esaurito tutti i nostri argomenti durante la festa.
Però un attimo prima che scendesse dalla macchina le chiesi se potevamo rivederci, aveva stimolato in me un grande interesse.
- Sì certo, appuntamento qui domani sera alle nove? - .
- Va bene! A domani! - .
Si lanciò verso di me, mi diede un bacio sulla guancia e andò via subito.
La sera seguente feci appena in tempo ad arrivare all'orario stabilito, proprio mentre usciva dal portone del palazzo. Era una donna molto puntuale, non le piaceva arrivare in ritardo agli appuntamenti, cosa che io invece ho trascurato spesso.
Eravamo in estate, cenammo all'aperto in un ristorantino molto rinomato per il menu e per la possibilità di poter ammirare la parte migliore di Roma sotto un cielo di stelle, mentre la luna ne illuminava i tetti. Proseguimmo i nostri discorsi, che erano rimasti troncati a metà la sera precedente. Man mano realizzammo che avevamo davvero molte cose in comune e che ci eravamo innamorati l'uno dell'altro fin dal primo momento che ci eravamo guardati negli occhi: un vero colpo di fulmine, galeotto fu quel tramezzino! La serata fu stupenda, dopo cena andammo in alcuni posti suggestivi della città: il Lungotevere; Piazza di Spagna; piazza Navona. Alla fontana di Trevi ci fermammo perché ormai stanchi, e fu lì che la strinsi a me e la baciai;
ricordo che tremava tutta.

Giovanni Della Corte

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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