1 La colazione dei campioni ripagava la fatica di una levataccia. A mezzogiorno e cinque, il bambino, con indosso le mutandine e la maglietta di Dybala, tuffava nel latte e cacao manciate di cereali al cioccolato, mentre una merendina farcita, piena zeppa di marmellata, appetitosa nel suo involucro trasparente, attendeva di essere scartata, per poter offrire il contributo di un'ulteriore dose di zuccheri al successo di quella crociata glicemica. La televisione annunciava gli ultimi colpi del calciomercato. Il libro 300 ricette con la nutella faceva bella mostra di sé sulla mensola, sotto i pensili della cucina. Il bambino lanciava, di tanto in tanto, a quel testo sacro occhiate colme di deferenza. Poi, la sua attenzione venne attirata dallo smartphone accanto alla tazza, che lo avvertiva della presenza nei dintorni di uno zubat selvatico. Il cane cominciò a ringhiare. Il bambino non ci fece caso finché dal semplice ringhiare non si passò a un crescendo di latrati. Forse, pensò agitando in aria il cucchiaio, l'animale percepiva la vicinanza del pokémon. Incuriosito, corse a piedi nudi fino alla finestra e si sporse per controllare dall'alto la situazione. Un grosso gatto stava usando come tiragraffi le assi del recinto, incurante delle proteste del meticcio dal pelo lungo. - Riccardo, sto uscendo: ti serve qualcosa? - . Il bambino ignorò la prima domanda come da protocollo; aveva imparato, infatti, che, per accrescere il divertimento, bisognava rispettare alcune regole, tra cui quella di logorare con ogni mezzo la pazienza degli adulti. - Sto uscendo. Ti serve qualcosa? - , ripeté la voce già ingrossata dalla montante irritazione. Riccardo trotterellò fino al frigo, l'aprì e decise che la fila delle lattine era troppo corta. - Prendi la coca cola - , urlò. Una sorta di grugnito di assenso e un - torno subito - masticato tra i denti precedettero il fragore del portone che si richiudeva. Il bambino alzò il volume del televisore e tornò alla finestra. Il gatto se n'era andato, ma il cane non si dava pace e non smetteva di abbaiare. - Sta' un po' zitto! - . Avrebbe voluto adottare un tono autoritario; in realtà, il suo ordine si sarebbe potuto scambiare per una supplica. Il tavolo ora sembrava troppo lontano e il tragitto per raggiungerlo pieno di pericoli. Dal corridoio provenivano tonfi, cigolii e tutti quei rumori inquietanti che una casa vuota produce per spaventare i bambini. Si distingueva persino un suono pulsante, ritmico, simile a un respiro affannoso. - Papà, sei tu? - . Riccardo aveva le gambe di piombo. Avrebbe voluto essere coraggioso, ma quel silenzio loquace lo nauseava, togliendogli le forze. La fame era passata. Gli venne voglia di piangere. Cacciò la testa fuori dalla finestra e un vento sferzante gli asciugò le lacrime. Giù in giardino il pallone di cuoio veniva sballottato dalle folate. Il pensiero di poter giocare accese subito una speranza. In fondo, anche ai campioni capitava talvolta di perdere. Il cane abbaiava imperterrito. - E piantala - .
2 Fingeva di battere il tempo col piede per non destare sospetto. In realtà, dalle cuffie che gli coprivano le orecchie non uscivano le note di Vorrei ma non posto, come avrebbe voluto far credere alle persone che occupavano i sedili più prossimi, ma le vibrazioni sanscrite dei mantra in formato mp3. Erano estratti vedici, formule antiche che mescolavano magia e filosofia. Loris cercava di ricavarne qualcosa, senza successo. Un'anziana viaggiatrice lo teneva d'occhio, messa in allarme dal sorriso sardonico che lui portava stampato in faccia. Intanto, il treno rallentava entrando in stazione. Loris recuperò la valigia urtando i vicini di posto e calpestando loro i piedi. Accennando un timido saluto, che nessuno ricambiò, uscì dal vagone muovendosi con la sua andatura ingobbita e quasi cadde quando il convoglio frenò. Si ritrovò sulla banchina a scrutare tra la folla di sconosciuti. Cuffie e lettore finirono in valigia. Il disagio crebbe in quel disordine. Camminò lentamente nel sottopassaggio inalando odori pesanti, odori estivi. I graffiti sui muri non lo distraevano. Rimaneva concentrato sulla gente, sulla moltitudine ostile, sui rituali, sui simboli. Un abbraccio. Una stretta di mano. La commozione degli affetti. Per lui era tutto così assurdo. Passò davanti al bar-edicola, sbirciò gli strilli dei giornali e virò verso i cancelli. Quando vide una postazione dei Testimoni di Geova lo pervase la solita eccitazione. Due "pionieri" ordinavano gli opuscoli su un espositore e Loris puntò nella loro direzione. Sembrava un nibbio in picchiata. Era a pochi metri dall'obiettivo quando la missione venne annullata. - Loris - . A invocare il suo nome era stata una ragazza bionda che sopraggiungeva alle sue spalle. - Ciao Simonetta - . - Loris, che stavi facendo? - . - Niente. Ti stavo cercando - . Lei scoccò uno sguardo significativo al presidio geovista. - Non fare il furbo. Ti ho chiesto di venire perché ho bisogno di aiuto. Se hai intenzione di creare altri problemi... - . Si interruppe, scoraggiata da come Loris incassava la testa nelle spalle, socchiudendo gli occhi fino a farne due buie fessure. - Ma stai un po' meglio? Come ti curano all'Istituto? - . - Insomma, ho ancora dei tremori. A volte mi assale l'ansia - . Lo disse con un certo, ironico compiacimento. Simonetta capì che il trattamento non stava funzionando e che convocare Loris non era stata una buona idea. - Andiamo, ho parcheggiato la macchina qui vicino - . Procedettero in silenzio sotto il sole cocente. - Frate Alberto - . Simonetta roteò gli occhi disattivando l'antifurto della Smart. Loris rincorreva il sacerdote chiamandolo a gran voce. - Caro giovane. Che piacere vederti - , fece quello, trafelato, asciugandosi con un fazzoletto enorme il sudore che gli allagava la fronte. - Che sorpresa! Mi era giunta notizia del suo trasferimento. Non speravo proprio di ritrovarla qui - , disse l'inseguitore, che, dirimpetto a quell'omaccione impaludato nel saio, pareva un chierichetto. - Sono tornato, come vedi - . Frate Alberto indicò il facchino che lo accompagnava spingendo un carrello carico di bagagli. - A volte, molto raramente, nelle alte sfere si prendono decisioni avventate. Il Padre Provinciale ci ha ripensato. In fondo, la mia è stata solo una breve vacanza - . - Le serve un passaggio? - , chiese Loris. - Sì, un passaggio! - , intervenne Simonetta spazientita, - come glielo diamo un passaggio con la macchina a due posti? - . - Carissima, diventi sempre più graziosa - . - Grazie, Frate Alberto. Bentornato - . - Comunque, non dovete preoccuparvi: c'è un taxi che mi aspetta. Ma ditemi, come sta vostra madre? - . - Sta bene - , rispose la ragazza, - Cioè, la caviglia sta guarendo. Però, sembra depressa - . - Dovete avere pazienza. Sono sicuro che si rimetterà, ma voi dovete aiutarla, mi raccomando. Certi mali sono oscuri e per sconfiggerli bisogna poter contare sull'appoggio di qualcuno. Non lasciatela sola, per carità! - . - Posso farle una domanda? - , azzardò Loris, schivando l'occhiataccia della sorella. - Scommetto che vuoi sapere cosa ci attende dopo la morte. Pare che il nostro Amleto non sia cambiato affatto - , scherzò il sacerdote. - Ma non hai sentito? Frate Alberto deve prendere un taxi - , sibilò Simonetta, sperando di troncare sul nascere quel dibattito intorno ai massimi sistemi. - Tua sorella ha ragione. Purtroppo, vado di fretta. Vieni a trovarmi in chiesa - . - È tutto così insensato. Il tempo che scorre rapido... - , provò a insistere Loris. - Anche noi dobbiamo andare - , lo interruppe la ragazza, - la mamma ci sta aspettando - . - Salutatela da parte mia - , tagliò corto il frate, - Pace e bene - , aggiunse incamminandosi e tergendosi la fronte madida.
Volare dal balcone e atterrare sul terrazzo sottostante, che poggiava sul portico del giardino, voleva dire impegnarsi in un salto di almeno tre metri. Loris, aggrappato alla balaustra, guardava di sotto e cercava di immaginare la scena. L'atto di scavalcare, issarsi oltre la cimasa per poi inspirare a fondo, smettere di pensare e infine lasciarsi cadere. Da quell'altezza, l'esito non sarebbe potuto essere fatale; ma, certo, ci voleva del fegato. Il lastricato avrebbe opposto la dura concretezza della realtà a quell'eccesso di libero arbitrio. - Vuoi una tisana marocchina? è rinfrescante. Ne ho un pacco intero, è un regalo della mia amica Farida - . Loris rientrò nell'appartamento e chiuse la zanzariera. - No grazie, mamma. Sto bene così - , rispose attraversando il soggiorno. - Dice che non uscirà di casa nemmeno domani. Dunque, ci andrai tu in negozio - , lo informò Simonetta andandogli incontro. - Non c'è bisogno - , mormorò la donna di spalle, alle prese col forno a microonde. - Invece sì, mamma - , insisté la ragazza, - tu puoi startene rintanata finché vuoi, ma il negozio è stato trascurato già troppo a lungo - . - Va bene - , fece Loris con la consueta fiacchezza, - domani andrò in negozio - . - Bravo - , replicò stizzita Simonetta, prima di abbandonare la stanza. - Tua sorella ha ragione - , disse la donna zoppicando fino alla poltrona, portando con sé la bevanda e una brioche, - Sì, insomma, il negozio in realtà è in buone mani. Però, lei fa bene a sgridarmi. La caviglia è tornata quasi a posto. Il dolore è minimo. Dovrei uscire, andare a lavorare, riprendere la vita di sempre - . Loris la fissava in silenzio. La luce trapassava le tende e lo colpiva in pieno volto e lui sembrava goderne come un rettile. Spostò lo sguardo sulla caviglia della madre. Ormai al posto del tutore rigido c'era una semplice fasciatura. - Come ti trattano all'Istituto? - , chiese lei. - Bene - , assicurò Loris, rapito dalla bellezza del piede della donna. - E come ti senti? - . - A volte mi viene da piangere perché penso che un giorno tu non ci sarai più - . - Ehi, il mese prossimo compirò quarantacinque anni. Vuoi già prepararmi il funerale? - . Lui tossicchiò e rise imbarazzato. - Ascoltami, io sono guarita. Hai capito? Adesso pensa a guarire anche tu - . Loris non disse nulla e vide sua madre affondare i denti nella brioche.
Brunello Di Nardo
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