Il comandante era ridotto a uno straccio. Aveva le mani piagate e scorticate, i vestiti a brandelli, le scarpe lacerate, uno zigomo tumefatto, le ginocchia sanguinanti sotto i pantaloni strappati. In piedi al sole sull'orlo del precipizio, statuario come un gladiatore appena uscito vittorioso da una lotta all'ultimo sangue, respirava con affanno, la bocca aperta, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il sudore che gli colava copioso sulla fronte e sulle tempie martellanti per la fatica e la tensione. Ma era felice. S'asciugò la fronte con il dorso della mano destra, poi alzò gli occhi al cielo, li chiuse e si passò entrambe le mani fra i capelli scompigliati e bagnati. Rimase così per lunghi attimi, come in una sorta di fermo immagine in quella posa plastica, soffermandosi ad assaporare il gusto della vittoria. Sentiva l'adrenalina ancora in circolo che pian piano defluiva lasciando il posto a una dolce e consapevole calma interiore e riportandogli alla memoria antiche sensazione ormai perdute, o che credeva perdute...
...di colpo il silenzio, la calma, quasi una sospensione del tempo e dello spazio, un attimo, qualche attimo nel nulla, nel vuoto mentale come conseguenza immediata di un rapido gesto delle dita e poi il lento ritorno alla realtà dopo quei minuti di follia durante i quali nulla è stato normale, durante i quali, se non fosse stato per le violente sollecitazioni fisiche provocate dal suo intervento sui comandi, sarebbe parso che il cielo e la terra e la folla e il mondo intero vorticassero capovolgendosi e roteando e frullando come impazziti attorno all'aeroplano fermo a mezz'aria, immobile nell'urlo del motore simile a una musica dalle note aggressive come un pezzo di rock duro. Adesso è come se un'enorme campana di cristallo fosse stata calata dall'alto escludendo ogni suono, ci sono solo immagini in movimento là fuori, fotogrammi un po' sfocati come quelli di un vecchio film muto rimasterizzato a colori che pian piano vanno a fuoco, ci sono braccia che si agitano e mani che applaudono e volti che sorridono, fino a quando una confusa e gracchiante voce metallica che sembra provenire da un lontano universo parallelo riesce in qualche modo a farsi strada nel silenzio... ecco, l'altoparlante scandisce il suo nome e questo, narcisista com'è, riesce a sentirlo con lucidissima chiarezza e nello stesso istante vede quelle mani che applaudono con ancora più vigore e ne è gratificato, è così ogni volta quando a terra spegne il motore e l'elica si ferma. Adesso tutto all'intorno è di nuovo collocato dove la natura e la logica avrebbero voluto che restasse, dentro i confini ben definiti della fisica che poco prima sono stati violati e fatti a pezzettini. Lui è sudato sotto il casco e la fatica e la tensione gli intorpidiscono i polsi e i muscoli delle braccia, fanno pulsare le tempie e gocce di sudore entrano negli occhi ma è felice, la sua è stata una grande esibizione di alta acrobazia, del resto sa bene di essere il migliore, lo è stato anche oggi, come sempre. Si sente come devono essersi sentiti i vecchi assi dell'aviazione del tempo di guerra quando tornavano vincitori da una battaglia nei cieli, relegando in un angolo remoto della mente il dolore, la tristezza, persino il rimorso d'aver ucciso per non essere uccisi, però nessuno è morto oggi... volge piano la testa e guarda verso le tribune gremite: il pubblico continua ad applaudire mentre la terrena realtà cerca in qualche modo di sostituire la trance agonistica che ancora lo pervade. Adesso, con gesti lenti e misurati, si sfila i guanti da volo, slaccia le cinture di sicurezza poi ruota la maniglia in alto al centro e fa scorrere all'indietro il tettuccio trasparente a bolla. Aria fresca entra nell'abitacolo stretto e spartano come quello di un'auto da corsa, le dita gli tremano di un residuo di tensione mentre slaccia il sottogola del casco e poi ancora, mentre se lo toglie e lo appende alla cloche. Ora si asciuga la fronte con il dorso della mano destra, poi alza gli occhi al cielo, li chiude e si passa entrambe le mani fra i capelli scompigliati e bagnati. Rimane così per lunghi attimi, come in una sorta di fermo immagine in quella posa plastica, soffermandosi ad assaporare il gusto della vittoria. Sente l'adrenalina ancora in circolo che pian piano si dissolve lasciando il posto a una dolce e consapevole calma interiore...
... riaprì gli occhi, lasciò cadere di nuovo le braccia lungo i fianchi e guardò giù, ai piedi della montagna che aveva appena scalato: il verde cupo e maculato della foresta s'estendeva a perdita d'occhio in ogni direzione quasi mezzo chilometro più in basso e là in mezzo, disperso da qualche parte fra quei milioni di alberi, c'era il sentiero che aveva percorso fra tante difficoltà e tanti pericoli, ma anche fra ameni paesaggi e teneri interludi, assieme a quella strana bambina che l'aveva accompagnato per quasi tutta la prima parte del viaggio, tranne che per alcuni tratti lungo i quali si era eclissata lasciandolo solo, proprio come aveva fatto poco prima di quella prova tanto impegnativa. Arrampicarsi a mani nude su per quella parete era stata un'impresa fra le più ardue e pericolose che avesse mai compiuto. E dire che ne aveva fatte di cose rischiose, nella vita, come quando per esempio con gli aerei da acrobazia si divertiva a passare radente e a tutta velocità sotto le arcate dei ponti, qualche volta persino in volo rovescio, o come quando guidava auto da corsa... per fortuna c'erano stati quegli anfratti, quelle sporgenze, quei rovi e quei cespugli a offrirgli un solido e provvidenziale appiglio nei momenti più critici, anche se più volte aveva rischiato di perdere la presa e di precipitare nel vuoto, di sfracellarsi al suolo, e proprio in quei frangenti si era procurato le abrasioni e le tumefazioni che adesso bruciavano, e si era strappato e lacerato gli indumenti ancor più di quanto in precedenza non avesse fatto la pianta spinosa. Ma, al diavolo gli indumenti, per il resto il dolore era solo fisico perché stavolta era stato avveduto, era stato abile e intelligente nel condurre la scalata, oltretutto senza nessun equipaggiamento adatto, era stato bravo a valutare il rischio prima di compiere ogni passo, nell'assicurarsi che la presa o l'appoggio fossero abbastanza saldi prima d'aggrapparsi a un arbusto o a una rientranza della roccia o prima di puntellarsi con i piedi a una sporgenza o a una radice, anche se poi non sempre la valutazione si era rivelata esatta. E d'altra parte in quelle circostanze non aveva avuto altra scelta e qualche volta per raggiungere una meta bisogna saper accettare dei rischi maggiori di quel che si vorrebbe, rischi che non sempre possono essere calcolati nei minimi dettagli. Per questo i momenti in cui aveva creduto di non farcela non erano mancati, così come non era mancata la paura, ma ogni volta l'aveva controllata con lucida freddezza, senza mai lasciarsi prendere dal panico, neppure quando un folto cespuglio che all'ultimo istante aveva ghermito disperato con entrambe le mani nell'attimo stesso in cui aveva sentito cedere sotto i piedi la protuberanza di roccia friabile che stava cercando di utilizzare come gradino, si era staccato a sua volta lasciandolo senza nessuna evidente possibilità di salvezza a portata di mano. Persino in quel frangente, persino in quelle terribili frazioni di secondo durante le quali stava per cadere nel vuoto, si era mantenuto lucido e freddo e con grande presenza di spirito e prontezza di riflessi aveva fatto roteare lo sguardo all'intorno e con la coda dell'occhio aveva visto alla sua destra un arbusto ingiallito, tutto spoglio e riarso dal sole. Non aveva avuto tempo di pensare, di valutare la sua reale consistenza, era comunque la sola possibilità, non c'erano alternative e con un gesto disperato e un balzo a vita persa aveva proteso le braccia e ci si era aggrappato appena in tempo. Per fortuna aveva retto il suo peso anche mentre scalciava e roteava le gambe alla disperata ricerca di un appoggio, che aveva infine trovato grazie ad alcune minuscole rientranze nella roccia, appena sufficienti ad accogliere le punte dei suoi piedi. E da lì aveva potuto ricominciare a salire, senza curarsi delle ulteriori dolorose abrasioni che si era procurato in quella lotta disperata per la sopravvivenza. E adesso si sentiva felice come non lo era più stato da tempo immemorabile. E mentre indulgeva ad ammirare sé stesso per la vittoria ottenuta si voltò lasciandosi alle spalle lo strapiombo e cercò di capire quale direzione avrebbe dovuto prendere per ritrovare il sentiero e per proseguire il cammino. Già, il sentiero! Ma dove diavolo era? Perché doveva pur esserci, doveva pur riprendere e continuare, il sentiero, da qualche parte... e la bambina? Dov'era la bambina? Adesso, dopo aver compiuto quell'impresa, pur gratificato da essa e da come l'aveva affrontata e portata a compimento, sentiva d'avere di nuovo bisogno del suo aiuto per ritrovare la forza di andare avanti, di continuare fino a giungere alla meta. Perché non doveva essere troppo lontana ormai, a quel punto, la meta, lo sentiva, lo percepiva in modo chiaro e proprio da lei avrebbe voluto averne conferma. O altrimenti quali altre prove, quali altri rischi, quali altre difficoltà lo avrebbero atteso, ancora? Ma bando alle ciance, era ora di rimettersi in movimento! Cominciò a camminare su quel bel prato in leggera discesa, con l'erba che sembrava falciata di fresco, e dopo un po' s'accorse che poco più avanti iniziava un dolce declivio che degradava verso una radura cespugliosa al di là della quale si stagliava un altro fitto bosco, lontano, laggiù. Un bosco d'abeti. E proprio in quell'istante, al limitare dei primi alberi, piccola come un dito mignolo per via della distanza che li separava, la vide. La bambina era là, e lo stava aspettando.
Luciano Dal Pont
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