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Autore: Francesco Cusa
Il Surrealismo della Pianta Grassa
Saggistica
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Il Surrealismo della Pianta Grassa
Pensieri, Invettive e Aforismi Sparsi

APPUNTI E PENSIERI SU PAOLO VILLAGGIO E LA CORAZZATA.

Dialogando altrove mi sono ritrovato a spendere due parole in libertà su Villaggio e - La Corazzata Potemkin - . Villaggio è stato un maestro del disagio. In questo senso l'Italia non ha avuto mai più un comico del genere. Non tanto del pressappochismo e del qualunquismo (à la Sordi), quanto del disagio (la famosa poltrona in cui Agus fa accomodare Fracchia). Villaggio denuncia quel potere tronfio e bolso che trova legittimazione di sé nell'umiliazione dell'altro, del meno abbiente. Ostentazione dunque speciosa, dimostrativa, quale segno di uno status funzionale alla discriminazione. Il degrado è dunque "sempre" culturale in primis, poi politico, sociale, etc. Pensate quanta abissale distanza rispetto alla nostra civiltà artigianale dei quaderni del Pontormo, dei libri di Leon Battista Alberti... facciamo fatica a pensare che "quello siamo stati" e che da quello proveniamo. Fantozzi è un antieroe giacché il suo obiettivo non è il riscatto (questo avviene solo nei sogni a occhi aperti "Fracchiaaa Fracchiaaa") bensì l'omologazione, livellamento verso l'alto, più che verso il basso (la massa enorme di sfruttati. I riferimenti a Polany e la classe operaia non so quanto siano pertinenti o volontari). Fantozzi polverizza il concetto marxistico di struttura-sovrastruttura imperante in quegli anni, restituendo all'Italia i frammenti della sua storia di provincia. Forse l'odio per la Corazzata si spiega anche così: iconoclastie verso un mondo dicotomizzato e distante.

SULLA MORTE DI CALIFANO E JANNACCI

Califano e Jannacci. Da un punto di vista contenutistico Califano non ha nulla di meno rispetto a Jannacci. Certamente vi è un diverso grado estetico-espressivo, ma tra "tutto il resto è noia" e il telegrafista Giovanni trovo parecchi punti di contiguità che non starò qui ad analizzare. Califano, come del resto Buongusto, è il cantore fallocratico per eccellenza. Assieme a Buongusto egli descrive un universo chiuso e tolemaico in cui è sempre e costantemente l'essere femminile a "doversi" muovere, a orbitare intorno al Fallo. Lo spleen del maschio è funzionale, parassitario, se vogliamo, alla richiesta di "attenzioni" del Puer. La cosa interessante è che il microcosmo di Califano è molto più pregno di romanticismo rispetto a quello dadaista e surreale di Jannacci. Oso ancora di più: l'immaginario di Califano esprime un dolore cosmico, leopardiano, antico, mentre quello di Jannacci è post-moderno, intelligibile in chiave consumistica; un dolore mediatico, urbano, metaforico. Le allegorie di Califano sono grezze ma pulsanti, parlano al cuore utilizzando il linguaggio greve, mentre le onomatopee di Jannacci sono astratte e giocano al pari di Palazzeschi sui rimandi della parola. Il Califfo graffia eccome, nel suo gergo senza tempo. Occorre "calarsi" speleologicamente nell'Antro Semantico. Califano è corpo e canto, Jannacci surrealismo del Logos. Dal punto di vista del Vangelo di Matteo, Califano è meno blasfemo.
 Un uomo senza naso merita rispetto, e la morte non accomuna: distingue.

SMONTARE LE PAROLE
Spesso dimentichiamo di essere in una fase ancora embrionale dell' - evoluzione umana - ; crediamo di essere stancamente portatori di croci d'un passato remoto, remotissimo. E invece siamo ancora agli albori dell'evoluzione antropomorfa, attivi nel minerale, nell'elemento morto, incapace di intervenire (ancora) sul - vivente - (nel senso della - creazione"), se non in senso distruttivo.
Nel passato si necessitava di - ponti - fra le varie dimensioni del Reale, e dunque di - pontefici - , di vescovi - episcopos, sopra-guardare, una sorta di - supervisore - ; nell'immagine evangelica è il pastore che pasce le pecorelle, ovvero i dodici sensi.
Qui si presuppone ancora uno stadio - infantile - dell'evoluzione umana, che ha bisogno di traghettatori, di mediatori fra le varie - zone - , di - guide - . Vescovi, angeli custodi che ob-servano e dunque - servono - , serbano, custodiscono i - bambini-umanità - durante il percorso di - crescita - .
- Osservare - deriva dal latino observare, parola composta dalla preposizione ob, che indica - moto verso - , e da servare, che significa - guardare, salvare, custodire - . Ha radice comune con il sanscrito sarva-tati, salute, il greco horao, io vedo, il latino servire, servire, avere cura; servus, colui che veglia, servo, l'inglese ward, guardia, il francese guarir guarire ecc.
- Osservare - non è - vedere - , è una sorta di - vedere a ragion veduta - , l'Io che dall'alto - pasce - , il - servitore - dei sensi. È costruire il concetto a partire dall'osservazione.
Alcuni quesiti sparsi:
- Cosa è Reale nella rosa?.
- I pensieri sono immutabilmente in circolo? L'uomo li assume dal Pensabile? Da qualcosa di eternamente - già pensato - da cui attingere? Tutto è (già stato) pensiero?
- Recepire è una variabile di percepire?
- Credere significa desiderare di capire? (Se ho capito, non dico "credo - ). PS: Un tempo la lira di Apollo aveva tre corde, (pensare-sentire-volere), i nostri violini ne hanno quattro (ecco l'elemento dell'Io, il quarto - agente - ).

DONNE E MIMOSE

La donna e la mimosa. La mimosa e la donna. Le coppiette di innamorati. I bacetti. Al cinema i pop corn e le slinguazzate. Le slinguazzate e i pop corn. Mano nella mano. Ah, poi le mimose gialle. Io non ne posso più di queste ritualità della vita. Mi sembra di stare in un perenne set della Comencini. 8 marzo. Gruppetti di donne isteriche. 8 marzo. Coppiette. Lei nervosetta, lui accondiscendente. È la sua festa, occorre portare pazienza. Gracchia la cornacchia. Ignaro caga il piccione. Lassù sul cornicione, il guano descrive le traiettorie del percorso divino. Scambiatevi una mimosa. Scompaiono gli aerei dai radar. Precipitano negli abissi dei mari lontani con dentro pure i bambini. Qui, davanti a me, sta un uomo che proviene da altri mondi. Ha un banchetto di mimose, lui figlio del Soma, del sacrificio di Agni, lui officiante nei tre angoli della casa, laddove l'uccello dalla testa di fuoco produce il nuovo Atman. Vende mimose. Ritualizza una convenzione anch'egli, in barba al cherubino Zophiel dalle quattro facce, a Teofrasto Paracelso e all'acumismatica delle sette di Pitagora. Delle cretine ridono. Un maschio alla fermata dell'autobus armeggia con la patta dei pantaloni. Volano palline gialle nella mattinata ventosa di sole. 8 marzo. Solidarietà. Quel palazzo mostra le sue crepe, piaghe del tempo nella luce irriverente. Pulsa la coscienza sessista, la vulva di carne dentata, quell'essere maschio che è la femmina. Quanta innocenza. Quanto spreco. Si monetizza la flora, la si prostituisce alla causa. Effetto senza scaturigine nello stelo. Ecco una ragazzina con le lentiggini. Eccola ammantata di grazia nel suo cappuccetto rosso, coi suoi passettini svelti. Lei e le sue mimose: un quadro vivente di Balthus. Poesia stradale. Pedagogia delle necessità estetica vol. 1. Essere. Semplicemente essere. Quel fiore non è per tutte.

LA VACANZA ESTIVA

Occorre ribadirlo che è un incubo. Masse di gente con la fronte bassa affollano i borghi. Spiagge prese d'assalto. Il bagno nel liquame. I ristoranti dalle cucine sporche e invase dalla blatta. I tedeschi che sorridono alla mediterraneità. La coppia di australiani che ripercorre le tappe dell'Odissea modello Valtour. La puzza dei bagni chimici nella canicola bastarda che crea miraggi di merda. I cassonetti nell'esplosione tellurica del mezzogiorno. I bambini innocenti che corrono nella radioattività di una società morente. Gli ombrelloni azzurro mare gestiti dal bagnino col dente d'oro. La molestia del rilassamento coatto. L'anguria frantumata e i melismi del venditore di cocco. Il mare piatto come la Terra dei terrapiattisti. La vecchia di novant'anni cotta al sole e nel vezzo. La protezione 60. Il cemento che avanza. Cani distanti che sembrano persone reiette, naufraghe. Venditori ambulanti di cose deambulanti. L'ostinazione vacanziera dei vacanzieri milanesi. La Sicilia come approdo. Il bagnino con la maglietta "Banana Boat". Lo scarto, le feci, le urine, lo sputo, il moccio, il sudore quale base per la "mantecatura" del turista . Questa "urgenza vacanziera" finisce col deturpare ogni aspetto del Bello. Perfino il borgo prezioso finisce col divenire anfratto claustrofobico e tutto declina verso un immanente fastidio, una necessità di fuga e di isolamento. Arrivi a detestare ogni singola meraviglia, il lavoro certosino degli architetti del passato, l'affresco medievale. Tutto pare corrompersi in una decomposizione da ritratto di Dorian Gray. Io muoio e il signore di fronte a me ringiovanisce e balla con le sue sette pance.

ANTICAMERA ODIOSA

Dal medico. Facce. Sospiri. Riviste. Tavolo basso. Sempre questo silenzio religioso, atmosfere da sagrestia. Il ticchettio dell'immancabile pendola. I quadri di anonimi con nature morte e paesaggi campestri. Chi entra per ultimo fa uno strano cenno col capo, si guarda intorno, sussurra un "buonasera" e si accomoda sulle poltroncine. Colpi di tosse. Starnuti. Soffiate di naso belle e vigorose. La stagione, del resto, è quella giusta. Fuori piove a dirotto. La porta fa uno scricchiolio sinistro, s'apre una voragine candida che inghiotte un paziente. Odore di garze, di mentolo... una mamma accarezza i capelli di una bambina che sta col volto chino e le gambe penzoloni. I pochi conoscenti parlano a bassa voce, si scambiano informazioni segrete. Origlio ma non capto nulla. Ai più prende quasi un infarto quando la pendola ha l'ardire di segnare l'ora. Deduco trattarsi d'un espediente per liquidare i cardiopatici anzitempo. Risatine di circostanza. Il momento perfetto per le elucubrazioni. Effettivamente A.S.L. mi sembra una contrazione di Asilo, un asilo senile per gente cagionevole. Chiudo gli occhi e mi cullo nello sciabordio di questo ansimare, scatarrare, sfiatare di corpi. Immagino d'essere alle Maldive col cocktail in mano e i piedi a bagnomaria. Poi a qualcuno si squaderna il petto e sono costretto ad aprire un occhio, sornione come la volpe che punta la gallina. Rieccomi qua. L'Occidente che va dal medico. Il procrastinarsi di vite cotte nel farmaco. Altro che mari cristallini. Altro che spiagge dorate. Ecco è il mio turno. È ora di andare via. In strada.

SULL'USO SMODATO DI ALCUNE PAROLE

In me, v'è come una sorta di ancestrale antipatia, di mal sopportazione epidermica di fronte all'uso ricorrente o sporadico di alcune parole o frasi. In taluni casi si tratta di parole poco usate, ma proprio questo morfologico loro persistere nelle pieghe del linguaggio è in sé fonte e cagione di somma accidia per la mia pura anima bella. Non sopporto, chessò, la parola "pralinato", maledetto termine disgraziato (ho udito con le mie orecchie un padre umiliare la sua piccola rivolgendosi al gelataio: - metta pure due praline alla mia bimba - ), così come sarebbe da ustionare a carne viva chi utilizza "malmostoso - . Volgarissimi, entrati nell'accezione comune, sono poi i termini "attenzionare" e "amicale", di solito rispettivamente utilizzati da politici meridionali nell'atto del rendicontare e da diplomati all'Istituto Tecnico, distratti lettori di Herman Hesse (di solito: - Il lupo nella steppa - ). Che dire poi del tristo andazzo relativo alla minzione. Frasi come - vado a fare due gocce d'acqua - sono da ghigliottina del "coso". Con profonda costernazione, le mie stanche orecchie hanno anche avuto modo d'udire - vado a scrollare il pirillino - . Trattasi di coltellate al plesso solare, amici. Auspico la pena capitale poi per chi, al bar, magari ordina un "gingerino", e quantomeno la gogna pubblica per i divulgatori di - un tantinello", "due dita e basta", e un "filino". Dio strafulmini senza pietà colui (di solito una colei) che pronuncia bestialmente le seguenti parole: - puccio la brioscina nel lattone - . Denunciamo e puniamo queste aberrazioni, o Giusti, laddove si manifestano simili empietà del buongusto. Facciamolo per il PIL (Perfect Italian Lemma) della nazione.

COMANDAMENTI

1) Occorre pensare a ciò che non c'è.

2) Occorre non appiattirsi a ciò che esiste.

3) Occorre pensare a nuovi modelli di produzione.

4) Occorre essere consapevoli.

5) Occorre identificarsi.

6) Occorre rappresentarsi il mondo reale come lo vorremmo. Lì sta il reale cambiamento. Viceversa non accade nulla di sostanziale.

7) Occorre essere molto determinati. Incorruttibili. Senza titubanze. In ascolto.

8) Occorre credere in una rinnovata utopia.

9) Occorre ricercare il Bello in ogni anfratto.

10) Occorre denunciare l'orrore. Sempre e comunque. Non c'è prezzo per questo.

Certamente combattere questo insulso qualunquismo, questo spaccio di cinismo da quattro lire, e in conseguenza vivere per la valorizzazione di tutto ciò che non ha prezzo, per lo scarto e per i grumi di bellezza. Conoscere persone straordinarie che mi hanno dato più di quel che possedevano è ciò che mi spinge ad andare avanti forsennatamente. Occorre opporsi a questo orrore con ogni mezzo, a ciò che l'Italia palazzinara dei nostri disgraziati padri del boom economico ha reso in termini di servizi e spirito. Un paese cagionevole, corrotto, malato, responsabile della distruzione del suo immane patrimonio. Un luogo oramai piccino popolato da epigoni e guitti che sguazzano nell'angustia dello stagno, giacché sostenere il volo pindarico sarebbe troppo per certe ali tarpate. In questa palude viviamo. Ovvio che non c'è da meravigliarsi. La mia è una consistente presa d'atto. Di certo non mi faccio stuprare, per quel che mi è possibile.

Francesco Cusa

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