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Autore: Sara Marino
L'ombra del demone
Fantasy
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L'ombra del demone
Rumori ovattati mi svegliarono; provai a muovermi ma le mie mani erano bloccate da qualcosa di pesante. Cercai di respirare, ma polvere e fuliggine mi riempivano la gola, mi sembrava di soffocare. Facevo sempre più fatica a immettere aria nei polmoni, la testa pulsava. La memoria di ciò che era avvenuto poco prima mi tornò di colpo. La situazione era grave, il solo pensiero mi terrorizzava.
Restai immobile mentre le voci dei soccorritori si facevano sempre più vicine e cercai di prepararmi al loro arrivo. Non avrei dovuto far trasparire nulla, dovevo controllarmi: ne andava della mia sopravvivenza. Le macerie che mi pesavano sulle gambe vennero spostate e riuscii muovere le mani. Rimasi comunque ferma, lasciandomi sollevare dai
soccorritori.
L'aria pulita finalmente mi riempì i polmoni e osservai la luna alta nel cielo: l'unica a conoscere la verità, l'unica che avrebbe potuto tradirmi.
Venni adagiata su una barella e coperta da un telo color argento, qualcuno mi accarezzò la fronte.
- Non preoccuparti piccola, adesso sei al sicuro. -
Osservai il volto dell'uomo che mi stava parlando, il suo abbigliamento: era un pompiere. Coperto da capo a piedi di fuliggine, aveva l'aria stanca, ma soddisfatta.
Un altro volto, quello di un poliziotto, gli si affiancò.
Cercai di sorridergli, ma una fitta mi bloccò e la testa di colpo si mise a pulsare. Lui cercò di rassicurarmi.
- Hai una ferita su una guancia, ma all'ospedale si prenderanno cura di te, non preoccuparti. -
D'istinto gli afferrai una mano e lui mi rivolse uno sguardo titubante Gridò qualcosa a qualcuno e poco dopo salì con me sull'ambulanza.

All'ospedale cercai di mantenere la calma e restare me stessa, la mi stessa giusta. Mi sentii punzecchiare e fasciare. Mentalmente mi ripetevo le parole di mio padre: Il controllo, devi sempre mantenere il controllo. Devi sempre prevalere su tutto.
Più tardi, dopo che mi ebbero sottoposta a una miriade di esami, venni condotta in una stanza. Ero sola, con dei punti sulla guancia ferita, e crollai addormentata.
Quando riaprii gli occhi, il poliziotto che mi aveva accompagnata in ospedale era seduto accanto a me.
Cercai di muovere un braccio, ma mi bloccai vedendo che avevo una flebo attaccata.
- Non preoccuparti, starai bene - , disse. - Ti hanno ricucita, ti hanno attaccato a una flebo, ma non hai niente di veramente grave. -
Annuii, quasi sorridendo.
- Io sono Marco Del Vecchio, capo della polizia - , continuò. - Ti ricordi cosa è successo ieri notte? -
Scossi la testa.
- Puoi dirmi il tuo nome? - chiese ancora.
Con le lacrime agli occhi scossi la testa di nuovo.
- Non devi avere paura, puoi parlare. Qui sei al sicuro. -
- Non ho paura, mi creda, è che non ricordo. Non ricordo nulla! Cosa è successo, cosa... -
Agitandomi, gli afferrai una mano. Lui si voltò di scatto e chiamò le infermiere. Due donne vestite di bianco arrivarono subito, seguite da un uomo più anziano che indossava un camice verde.
- Stia tranquilla - , disse l'uomo. Mi sforzai di respirare normalmente mentre qualcuno sistemava il letto, finché mi ritrovai in posizione semi seduta.
Vidi il dottore scambiare qualche parola con il capo della polizia, nel farlo si allontanarono fino a uscire in corridoio, parlando tra di loro a bassa voce. Ogni tanto si voltavano verso di me, era chiaro che fossi il soggetto della loro conversazione.
Infine il medico rientrò, invece il poliziotto rimase fuori dalla stanza, a discutere animatamente al telefono.

- Non devi avere paura - , mi rassicurò il dottore. - Quello che ti sta succedendo purtroppo è normale, perché sei sotto choc, ma se tutto procederà bene, tra un paio di settimane ricorderai tutto. Hai un trauma cranico e un'amnesia retrograda, ma ci prenderemo cura di te. D'accordo? -
Annuii; in quel momento il capo della polizia rientrò in camera.
- Ho parlato con il procuratore che segue il caso e con i pompieri - , disse, rivolto al medico. - L'incendio e il conseguente crollo sono stati dolosi. Non abbiamo alcuna informazione su di lei e non sappiamo se ci fosse qualcun altro in quella casa, quindi per adesso lei resterà sotto la nostra custodia. -
- È solo una ragazzina! Non può avere più di quindici, sedici anni, non potete rinchiuderla, non nelle sue condizioni - , replicò il dottore.
Il poliziotto mi osservò e io ricambiai lo sguardo, concentrata.
- Lo so, - rispose il poliziotto. - La città è piccola e potrebbe essere pericoloso, e non solo per lei. Se seguissi le regole, dovrei mandarla a circa ottanta chilometri da qui. Ho pensato a una soluzione alternativa, ma devo prima parlarne con mia moglie. -
- Marco - , obiettò a questo punto il dottore, - non starai pensando quello che credo, vero? -
- Perché no? Lo hai detto anche tu che non sarebbe saggio
rinchiuderla. Se è in pericolo non c'è posto più sicuro, lo sai. -
- Sei sicuro di volerlo fare? - domandò il medico. - Dopo... -
Del Vecchio lo bloccò, sollevando una mano.
- Penso di sì. Come hai detto tu, è solo una ragazzina. Forse qualcuno voleva farle del male, è mio dovere occuparmene. Sentirò mia moglie e ti farò sapere, d'accordo? Per il momento lascio un mio uomo fuori dalla porta. -
Con un breve cenno del capo si allontanò; qualche momento dopo il medico lo seguì.
Non avevo capito molto da quel breve scambio, ma ero troppo stanca per preoccuparmene. Lentamente mi lasciai vincere dal sonno, mentre la flebo mi rigenerava il corpo.

La mattina seguente fui svegliata da voci concitate nel corridoio fuori dalla mia camera. Appartenevano a un uomo e a una donna, ma non riuscivo a capire le loro parole.
Durante la notte mi avevano tolto la flebo, decisi quindi di alzarmi e lentamente appoggiai i piedi scalzi sul pavimento. Raggiunsi il bagno con passi incerti e osservai la mia immagine nello specchio. Facevo paura. Sulla guancia avevo un grosso cerotto e all'altezza della clavicola si vedeva un livido che spariva sotto la camiciola
dell'ospedale. Mi guardai le mani: erano sporche e nere e le lavai velocemente con il sapone.
Quando tornai in stanza, trovai ad aspettarmi una donna sui trentacinque, quarant'anni. Mi osservava con un'espressione indecifrabile sul volto.
- Io... - , tentennai, raggiungendo il letto. Mi sedetti giusto un attimo prima che l'infermiera entrasse per lasciare un vassoio.
- Hai il via libera per mangiare. È un inizio, no? - disse, e subito dopo uscì.
Pollo con patate e carote bollite. Afferrai la forchetta e cominciai a giocherellare con le carote.
- Com'è possibile che io sappia che non mi piacciono le carote bollite, ma non ricordi cosa sia successo? Che abbia l'impressione che l'immagine che ho visto riflessa nello specchio del bagno sia quella di un'estranea? -
La donna mi si avvicinò e mi si sedette accanto.
- Sarà solo per un breve periodo - , mi rassicurò.
La osservai meglio: era bella, con lunghi capelli castani e occhi neri come la notte. Mi piacevano, mi rilassavano.
- Nessuno è venuto a cercarmi. E se non venisse nessuno? Se i miei genitori sono là fuori, come possono non cercarmi? Non si preoccupano per me? Lei ha figli? Lei cercherebbe sua figlia? -
La donna socchiuse gli occhi.
- In ogni luogo. La cercherei in ogni luogo - , rispose, poi appoggiò una mano sulla mia. - Mi chiamo Irene, sono la moglie del signor Del Vecchio, il capo della polizia. Noi... abbiamo pensato che, data la situazione, potresti venire a stare da noi, appena ti dimetteranno.
Almeno fino a che non si saprà qualcosa di più riguardo a quel che è successo. Cosa ne pensi? -
- Non lo so. Non credo di avere un posto dove andare, in effetti. Non sarà un problema per voi? -
- Nessun problema. Adesso mangia. Domani ti porterò qualcosa per
vestirti e tutto il necessario, d'accordo? -
Annuii. Mentre si allontanava, mi decisi ad afferrare un pezzo di pollo.

Il giorno dopo la donna tornò, portando con sé una borsa molto grande.
- Ho pensato che avresti gradito un pigiama comodo al posto di quel camice triste e ruvido. Sei mingherlina, la taglia dovrebbe andare. -
Accettai il morbido pigiama di cotone e mi spogliai, voltandomi verso il muro.
Sentii un'esclamazione soffocata alle mie spalle e mi voltai di scatto.
- Cosa c'è? - chiesi, cercando invano di osservarmi la schiena.
- Chi ti ha fatto questo? - chiese la donna.
Prima che potessi rispondere, riflesso nel vetro della finestra vidi il capo della polizia. Mi coprii in fretta il petto e mi voltai.
- Che succede? - chiese lui preoccupato e la moglie mi indicò. Del Vecchio mi si avvicinò e mi osservò la schiena, poi si rivolse alla moglie.
- Sono cicatrici, vecchie cicatrici molto profonde - , sentenziò con aria cupa. Lo fissai confusa.
- Non ricordo. Credi che qualcuno mi abbia fatto del male? -
Rapidamente mi infilai la maglietta e tornai a sedermi sul letto.

Sara Marino

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