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Autore: Bruno Cotronei
Intorte spirali di erotismo
Romanzo
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Intorte spirali di erotismo
La testa in terracotta colorata di una fanciulla che appoggia la gota a un pene fulgido di erezione e un'altra, di pari dimen­sioni, che passa dalla tenerezza alla voracità, falli in alabastro e avorio, dilaganti sederoni protesi alla penetrazione, iper­realistiche devozioni labiali e complicati congegni per l'amore solitario, l'accolgono nell'ossessivo ambiente dagli opprimenti drappi di velluto rosso che assorbono la scarsa illuminazione e nascondono completamente ogni apertura. Un pesante cas­sone imitazione del Seicento con facciata a riquadri dipinti, un poderoso armadio italiano del Settecento in noce massic­cio, un monumentale guardaroba francese della fine dell'Ot­tocento, più o meno ispirato al Rococò, un greve e insop­portabile tavolo imitazione Quattrocento con base quadrata così robusta da sostenere un solaio, un enorme letto-catafal­co, con colonne molto alte e vigorose terminanti con capitelli corinzi che reggono un baldacchino in legno (il capocelo), poggiato anche su una testiera tutta fregi e intarsi, munito di ricche cortine (lo sparviere) che si chiuderanno pesantemente sul segreto dell'alcova. E ancora statuette in ferro dai sessi bi­fronti di Giano, quadretti a olio raffiguranti sfrenati terzetti, una piccola stampa intitolata - amore e clistere - , una scultura di una mistica abbeverata all'organo femminile, un'altra stampa raffigurante una goliardica cavalcata su un fallico de­striero, un'acquaforte dal nome - dedizione - che documenta una vicendevole carezza orale e, infine, una caraffa con sei bicchieri rabbrividente di trasparenze e di realismo.
Come poteva immaginare che ci fosse tutto ciò nella villet­ta alla periferia della città, una costruzione bianca, pulita, circondata da un piccolo smunto giardino? Scuote la zazze­retta bionda, agita violentemente le braccia e si tocca il seno e il sesso. Ha accettato l'invito (ormai accetta tutto), consa­pevole o meno di finire fra le braccia del severo sociologo cinquantenne: uno in più che importa, anche se il povero Di­no l'attendeva all'angolo di via Roma. Ha bisogno di sfogar­si, di raccontare quanto le capitò nell'afosa notte di ormai sette anni fa ed è pronta a pagare un prezzo, l'ormai solito prezzo che poi non è nemmeno un pagamento, perché anche a lei non dispiace, affoga i suoi complessi, attenua i suoi tic sempre più assillanti. Ma un ambiente così non se l'aspetta­va affatto, non l'aveva mai visto, nemmeno in un film, né le era mai capitato di leggere di un apparato tanto particolare. A quali prove sarebbe stata sottoposta? Eccolo, è ricompar­so, avvolto in una rossa vestaglia di seta finissima che scopre il magro torace bianco dai radi peli e le secche gambette ter­minanti in raffinate pantofole di stoffa. Reca due bicchieri colmi di whisky, ne porge uno, brindano, bevono. Non do­vrebbe Ornella con i tranquillanti che ingurgita come fosse­ro confetti.
- Spogliati - , le sussurra lui.
La ragazza esegue, rimane nuda. Anche Aldo si è slacciato la vestaglia e la sfila. Il silenzio della stanza è scalfito appena dal fruscìo dei movimenti.
- Hai voglia di guardarmi? - chiede Ornella.
- Sì. -
- Anch'io ho voglia di guardarti. -
Si mettono in ginocchio uno davanti all'altra. E un'esplo­razione, si muovono piano piano alla scoperta dei loro corpi nudi. Salgono sul letto e lui scivola lento lungo il tronco del­la donna che gli si offre.
- Non è bellò così, senza sapere nulla? - chiede Aldo.
Non è quanto si propone Ornella che vuole, deve raccon­tare, ma dopo. Non avviene niente, allora parla: è un dilu­vio di parole che si sovrappongono impetuose, frementi. E scossa da brividi e contorcimenti, le mani riprendono i for­sennati palpeggiamenti e narra. È estate. La madre e i fratelli sono in villeggiatura in una casetta dello zio Amintore. Lei è voluta rimanere a Ercola­no per accudire il padre che deve recarsi in ospedale. Ha or­mai quindici anni compiuti, è una donnina e prova piacere ad assumere il ruolo di padrona di casa. Si alza per tempo e prepara il caffè e sveglia Nino pesantemente addormentato. Gli sceglie la camicia fresca di bucato e accuratamente stira­ta, molto meglio di quanto riesce a fare la madre che lascia sempre doppie pieghe sul davanti o sul colletto, spazzola il vestito, lucida le scarpe e assiste l'uomo lento e impacciato fino a quando non è pronto. Le piace il padre, nonostante non sia un uomo importante e bello, né una perla di marito, ma cosa importa? Apre la porta di casa e aspira con gioia l'aria ancora fresca e balsamica per l'odore di resina della vi­cina pineta, e ammira le macchie verdi e gialle degli alberelli di agrumi e le rose bianche del giardino. Porge la borsa di pelle, si alza sulle punte per baciarlo sulla guancia e attende che passi alla guida dell'auto. Torna dietro e canticchiando inizia a sfaccendare perché tutto sia lindo e in ordine. Pre­para il pranzo e attende ansiosa, ma Nino non torna. E in­quieta, telefona in ospedale, ma il genitore è andato via da tempo, dove sarà, cosa farà? Esce in giardino e guarda con odio verso la sottostante villa dello zio Ortesio e si gira di­spettosa al saluto e al bacio che Gabriele le indirizza dalla fi­nestra della sua stanza. Come al solito studia e fa ginnastica, anche in pieno agosto: che barba di ragazzo, pensa, non lo sposerei nemmeno se mi facesse fare la vita di gran signora! Scende la sera e del padre ancora nulla, ma non c'è da preoc­cuparsi poi tanto: non è la prima volta che si comporta così. Prepara la cena scegliendo alimenti freschi e appetitosi e at­tende. Guarda la televisione, che noia! È tardi, lascia tutto in tavola e delusa va a letto dopo la rituale doccia. Ha fatto molto caldo e prova sollievo a tirarsi sulla pelle nuda il fre­sco lenzuolo. Si addormenta. Improvviso un cigolio delle molle, il letto è in pendenza e un insopportabile lezzo di alcol e di madore la investe con violenza. Fa per gridare e una mano grande le tappa la bocca e una voce nota, fin troppo nota, le mormora di star zitta e quasi cantilenando le dice che la ama, che è bella. Vuole ribellarsi, ma prova quasi un senso di pena. Il lenzuolo è strappato dal letto e una mano s insinua fra le cosce. No, questo no! Tenta di reagire, di ri­bellarsi e la mano si sposta veloce sul seno, sostituita presto dalla bocca che si affonda sul capezzolo gonfio e incomincia a succhiare, da urlare per il dolore, per lo spavento, per l'orrore, per il piacere. Le labbra tirano talmente e ammorbi­discono prima l'uno e poi l'altro, e tutt'e due sono gonfi. Si dibatte ma senza forza, sensazioni nuove la pervadono. La mano ritorna fra le cosce, le apre, pigia dentro, uno, due di­ta, e la riempiono di un abisso di voglia. Il corpo pesante la preme, la copre e un oggetto caldo e duro tenta una, due, tre volte, che dolore!, e infine penetra. E come se la spaccasse in due. Non prova obbrobrio, anche se grida e sente lo sgoc­ciolio del sangue frammisto a un succo denso che le cola fra le cosce. Un gran rutto conclude l'atto e il corpo rotola sul fianco e sprofonda in un sonno sazio, cosparso da un rumo­roso ronfare.
Ha capito Aldo cosa le è capitato?, chiede fra le lacrime, in un turbiniò di tic ancora più accentuati. Ha provato pia­cere, non ha odiato il padre, ha capito? Sì, vergogna ma non odio, perdiana! Né prima, né dopo si è concessa a un altro maschio, solo da qualche tempo va con tutti tranne che con Dino, il suo ragazzo! Sì, sa cos'è il Complesso di Edipo. Ha provato da bambina pulsioni erotiche per il genitore e odio per la madre: avrebbe voluto ucciderla e sposare il padre! Sì, sa cos'è il periodo di latenza, ma forse lei non l'ha avuto! Forse il processo di traslazione sì: infatti c'è stato un tempo che la libido si è trasferita su oggetti non proibiti, ma quello di sublimazione probabilmente no, perché, in definitiva, mai i comportamenti affettivi hanno perso il carattere spiccata­mente sessuale e mai si sono trasformati in sentimenti com­patibili con il Super-Ego. O forse sì? Non lo sa, e il proces­so di rimozione è mai avvenuto? Dio, che confusione! Un fatto è certo, che prima della violenza la sua nevrosi non era evidente come oggi, ma di certo sonnecchiava nell'inconscio ed è stata risvegliata dalla causa scatenante di quella notte terribile e meravigliosa! Sì, ha letto tutto del mito di Edipo, eroe greco del ciclo tebano. Laio, re di Tebe, era perseguita­to dall'ira di Era per aver fatto violenza a Crisippo, figlio di Pelope. Non avendo avuto figli dalla moglie Giocasta, si ri­volge all'oracolo di Delfi che gli rivela che se avesse un figlio, questi sarebbe destinato, per decreto divino, a ucciderlo. Ma Laio, in un momento di ebbrezza, si dimentica dell'av­vertimento e ha da Giocasta un figlio. Per eludere l'oracolo fa allora esporre il bambino sul monte Citerone dopo avergli trafitto i piedi, affinché nessuno sia tentato di raccoglierlo. Il bambino invece è raccolto da alcuni pastori che lo consegna­no al re di Corinto, Polibo, che, non avendo figli dalla mo­glie Peribea, lo alleva come suo dandogli il nome di Edipo, che significa dai piedi gonfi. Cresciuto, Edipo incomincia a concepire sospetti sulla sua nascita in seguito alle oscure al­lusioni di un ubriaco durante un banchetto. Per conoscere la verità si reca allora ad interrogare l'oracolo di Delfi che non gli rivela la sua nascita, ma gli predice che ucciderà il padre e sposerà sua madre. Edipo si allontana sconvolto da Corinto pensando di sfuggire così al suo destino: durante il suo vaga­re si incontra su una strada con Laio e per difendersi dalle sue prepotenze e minacce lo uccide con tutto il suo seguito. Giunge quindi a Tebe, desolata dalla Sfinge, un mostro col volto di donna e il corpo di leone, che promette di liberare il paese e di uccidersi a patto che venga risolto l'enigma da lei proposto. Creonte, cognato di Laio, che ha preso il governo della città, promette il regno e Giocasta in sposa a chiunque riuscirà a risolvere l'enigma. Edipo scioglie l'enigma, sposa Giocasta e ne ha come figli Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene. Dopo molti anni scoppia a Tebe una terribile pesti­lenza: Edipo interroga l'oracolo di Delfi per conoscerne le cause e apprende che gli Dei sono irati perché non è stato scoperto e punito l'uccisore di Laio che si trova in Tebe. Edi­po ordina che l'assassino sia ricercato: le indagini portano al ritrovamento del pastore che raccolse Edipo fanciullo e alla rivelazione che Edipo è il parricida e lo sposo di sua madre. Giocasta si uccide. Edipo si acceca e viene cacciato da Tebe da Creonte che assume il governo della città. Accompagnato dalla figlia Antigone, Edipo vaga per le città della Grecia fin­ché giunge a Colono, presso Atene, dove nel bosco sacro delle Eumenidi si purifica delle sue colpe e scompare come un dio dalla vista della figlia e di Teseo, re di Atene, che lo aveva benignamente accolto.
Ha sentito Aldo? Lo ricorda benissimo e non solo, ma sa anche degli scrittori che l'hanno ripreso e rivisitato: da Ome­ro nell'Odissea, a Eschilo con la trilogia - Laio - , - Edipo - e - I Sette a Tebe - , da Sofocle nell' - Edipo Re - a Euripide con le due tragedie - Edipo - e - Le Fenicie - , a finire ai moderni Gide e Cocteau. Ma cosa importa? Rimane il fatto che il padre e lei hanno commesso un incesto. No, lo sa che non è sua la colpa, tuttavia ciò che conta è che ne ha provato piacere e non il disprezzo, l'esecrazione, la ripugnanza, l'odio che era lecito supporre, che doveva, sì, doveva più che mai avvertire palpabile, accanito, acerrimo, feroce, enorme! Ha capito Al­do, ha compreso bene? La voce educata e gradevole è salita di tono, ormai urla e il timbro è diventato stridulo, isterico. Si rotola sul letto, agita braccia e gambe, contorce il lenzuo­lo, morde la coperta, convulsioni la scuotono furiosamente e bava esce dalle labbra corallo. Aldo l'afferra per le spalle nude, fa fatica a frenarla e infine le assesta un deciso ceffo­ne. La ragazza si calma, è distesa, quietata per un attimo. I bagliori rossastri, alternantesi con il nero profondo, si sono placati e la stanza riprende i suoi normali colori che di per sé stessi già sono da incubo. - Perché fai così?, è assurdo, non c'è motivo... o, stai zit­ta... fuma e ascoltami! - Le porge una sigaretta accesa e aspira a sua volta profon­damente. - Hai letto tanto sul complesso di Edipo ma, a quanto pare, nulla sull'incesto... lo sai che in Svezia si discu­te di consentire ai fratelli di sposarsi?... ah, non lo sapevi? Ora ti farò capire alcune cose... Vedi, l'incesto è il più famoso dei tabù, Freud ha visto in esso la radice del complesso di Edipo, che tanto bene conosci, e la forza che spinge gli esseri umani a uscire dalla famiglia, a costruire gruppi più allar­gati. Secondo René Girard, i primitivi sono terrorizzati dalla scomparsa delle differenze perché allora tutti incominciano a desiderare ciò che hanno gli altri. Ne deriva una lotta di tutti contro tutti. L'incesto cos'è?... aspetta, sta' zitta... è il simbolo della perdita delle differenze, mescola l'interno della famiglia con l'esterno, il gruppo esogamo con quello endo­gamo. Che significa abrogare il divieto sancito dal tabù dell'incesto?... zitta, ascolta bene... vuol dire che non serve più! Vuol significare che la società di oggi è fondata su basi ben diverse da quella tradizionale. Oggi non sussiste più il pericolo visto da Freud, ossia che il gruppo famigliare si rin­chiuda su se stesso. Oggi siamo inseriti in un sistema di scambi aperti: ci spostiamo, ci incontriamo liberamente, cambiamo residenza, mestiere, amici. Quindi, anche senza un divieto all'incesto, la probabilità che madri sposino figli, padri le figlie... buona, comprendi bene, fuma... e i fratelli le sorelle è trascurabile. Vedi, la società moderna non ha più paura dell'uguaglianza, non teme la scomparsa delle diffe­renze come le società primitive. Tutt'altro, ha il problema delle differenze troppo forti: di reddito, di mentalità, di cul­tura. Secoli e secoli fa, tutti sapevano fare pressappoco quel­lo che facevano gli altri e bisognava creare differenze simbo­liche... ma aspetta, non interrompermi... oggi le differenze sono reali. Tranne per culture enciclopediche, il chirurgo non conosce a fondo l'ingegneria elettronica e viceversa, e negli stessi settori vigono sempre di più le specializzazioni. La divisione del lavoro ha fatto esplodere le differenze, per­ciò i movimenti moderni si preoccupano o si sono preoccu­pati di realizzare una maggiore eguaglianza e ridurre una caotica differenziazione che minaccia l'ordine sociale. Quin­di i primitivi temevano l'eguaglianza, noi la consideriamo un valore!.., calma, arrivo a quanto. ti interessa... L'incesto ha semplicemente perso il suo significato terrificante, ossia: che tutte le differenze sono abolite, che non si distingue più il figlio dal padre, il sacro dal profano, il re dal suddito. L'ince­sto non simbolizza più la mescolanza mostruosa, come i ge­melli, o l'apparizione di una cometa nel cielo delle stelle fis­se. E ciò non costituisce un pericolo mortale per la società, perde il valore di legge e diventa materia di scelte morali e di gusto personale... -
- E appunto di morale che si tratta e io e papà abbiamo peccato in maniera ignobile! - , si inserisce questa volta di forza Ornella e ricomincia a piangere e ad agitarsi.
- Ma no! non credo che la caduta del tabù dell'incesto si­gnifichi crisi o scomparsa della famiglia e quindi non è pec­cato in senso sociale. La società non si sente minacciata se alcuni cambiano le loro regole matrimoniali. Lo stato assu­me nei riguardi di queste regole atteggiamento indifferente, come nei riguardi dell'amore e dell'amicizia. Ciascuno è libe­ro di innamorarsi di chi vuole o di scegliersi gli amici come vuole e quindi costruisca pure le sue relazioni consanguinee come crede! -
- Allora si può cadere nella sfrenatezza e nell'anarchia? Se si aboliscono le leggi e norme precise. si cade nel disordine, nel caos e ognuno agisce come vuole, ma si difende anche come vuole? -
- No, Ornella, non è proprio così, fai confusione. Anche lì ci sono delle regole naturali e si producono norme. Eppure guarda che l'innamoramento nasce come rivolta e come rive­lazione. Non siamo noi che lo vogliamo: è qualcosa che ci s'impone. Non siamo noi che scegliamo di chi innamorarci in base alle sue virtù. A volte non gliene troviamo nessuna, ep­pure lo amiamo. Vedi, l'innamoramento è perciò, alle origini, al di là di quello che noi o la società consideriamo bene o ma­le. Ma, attenta, non vi resta mai a lungo perché viene sempre il momento della scelta. Nessuno può sottrarsi al dilemma eti­co che reintroduce la morale dove era stata scacciata... -
- E io proprio questo dicevo: morale, morale, morale e noi l'abbiamo schiacciata! -
- Ma no, ascoltami bene, hai le idee confuse e ti compren­do: non è un argomento facile. L'amore fra consanguinei, che è ancora attualmente molto più regolato dalle leggi e da norme morali riconosciute, è in evoluzione come la societa: vi sono oggi donne capofamiglia con o senza figli, vi sono nuclei familiari costituiti da persone provenienti da prece­denti separazioni o divorzi, vi sono persino coppie omoses­suali che aspirano ad avere figli. E quindi possibile, sia pure come fatto ancora eccezionale, la famiglia incestuosa. Tu forse hai un padre (sicuramente colpevole per il modo nel quale ha agito) spesso assente dalla casa e dai suoi problemi, anche se solo come atteggiamento e allora l'incesto può es­serti apparso quasi come un recupero, su un altro piano, di ciò che non aveva potuto svolgersi sul piano appropriato. In sostanza, l'innamoramento incestuoso riunisce, in altro mo­do, ciò che avrebbe già dovuto essere unito in forma di affet­to consanguineo. Quindi, se tu sei stata una figlia affettuosa e - presente - e lui un padre distratto e - assente - , non sei col­pevole nemmeno per la morale, lui sì! -
Ornella prova un senso di liberazione. Dal gran guazzabu­gl io mentale, fulgida risalta una verità: ha fatto bene, non deve sentirsi colpevole per come ha agito col padre! Si sente distesa, una volta tanto tranquillizzata, i tic si sono arrestati e si abbandona nuda, tranquilla su quel letto troppo pieno di fregi, colonne, baldacchino e cortine, e non ascolta quasi più Aldo che, preso dalla foga professorale, continua.
- L'amicizia poi, pur non essendo regolata dalla legge, ha sue regole e norme naturali. A differenza dell'innamoramen­to, l'amicizia non ci si impone. Noi scegliamo i nostri amici e lo facciamo in base alla simpatia e a come si comportano nei nostri riguardi, sostiene Alberoni ed io condivido. L'amici­zia è fondamentalmente un sentimento etico. Dall'amico ci aspettiamo che sia sincero, che ci comprenda, che non ci in­ganni, che ci renda giustizia. Gli amici debbono agire secon­do l'imperativo categorico di Kant: - agisci soltanto secondo quella massima che vorresti erigere a norma universale - . Quindi... -
Un altro barlume per Ornella su avvenimenti famigliari, ma ora non le importa. Prova un'enorme attrazione per Aldo: lo carezza, lo attira, gli graffia la schiena con unghie non lunghissime, gli tira i capelli, gli lecca le orechie e il mento, si gira, rotola, si distende e infine lui ne è totalmente preso e asseconda le oscillazioni e gli impulsi orizzontali di Ornella, sussurrandole parole d'amore, di desiderio che hanno sosti­tuito la dotta dissertazione e la ragazza cade in trance e non sa più se vive la realtà o la fantasia, la realtà o il sogno. E la brutta stanza, i tendaggi oppressivi, i pomposi e strani orna­menti scompaiono dagli occhi stanchi, dalla mente tormen­tata.

Bruno Cotronei

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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