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Autore: Abel Wakaam
Androfonia, omicidio di massa
Thriller Avventura
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Androfonia, omicidio di massa
Afghanistan - Regione di Bamiyan - Base Aerea Ghost.

- E' inutile dirvi che non dovremmo nemmeno essere qui, - esclamò Julian - ma questo lo sapete già, perché avete accettato di aderire alla missione come volontari, e non credo che lo abbiate fatto solo per intascare il premio di presenza. Molti di voi hanno partecipato con me a numerose incursioni in questa maledetta parte del mondo, ma stavolta la posta in gioco è decisamente più elevata. Non siamo qui per coordinare un attacco aereo perché ufficialmente gli Stati Uniti non possono... o meglio, non vogliono apparire come mandanti di quest'azione internazionale di polizia. In gioco non c'è la testa di un Bin Laden qualunque, sia ben chiaro, bensì quella di tutti i rappresentanti delle diverse etnie, nonché la quasi totalità dei comandanti in campo, punti di assoluto riferimento di chi combatte sul terreno. Se riusciamo a cancellare questa gente dalla faccia della Terra, il mondo si sveglierà con un'espressione migliore.

- Perché mai dovrebbero riunirsi tutti qui, insieme, contemporaneamente? - chiese uno degli uomini.

- Perché Bamiyan fa parte della storia dell'Afghanistan e un attacco americano in questo luogo scatenerebbe una crociata contro di noi. Qui, questi terroristi si sentono al sicuro e possono ostentare la loro sicurezza di fronte alle telecamere di Al Jazeera, unica TV che sarà invitata ad assistere all'evento.

In effetti la storia di questa terra era davvero un mistero per gli occidentali. All'epoca in cui la regione fu invasa dalle truppe di Alessandro Magno, Bamiyan era ancora poco conosciuta. Di certo non fu difficile convincere i nuovi venuti a stabilirsi in questa valle placida e meravigliosa, dove scorrevano numerosi corsi d'acqua, ricchi di minerali, che furono regolamentati per farne canali adatti allo sviluppo dell'agricoltura. Circondata dalle sue alte montagne, Bamiyan ha avuto un destino predefinito. Nel Sud regnò la dinastia dei Maurya dell'India mentre nel Nord, governarono i regni greci della Battriana, fondati dai successori di Alessandro Magno. Dai primi germogliò il buddhismo e dai secondi l'arte e i concetti basilari della civiltà ellenica. Sotto il grande re Ashoka, Bamiyan divenne una città potente, tanto da divenire uno dei più grandi luoghi di incontro e di scambio di idee, d'arte e di cultura allora esistenti al mondo. Ben presto la sua influenza si estese dall'est della Persia fino a Kashgar e, a nord, dal Mare d'Aral fino a Benares, in India. Carovane cariche di merci preziose viaggiavano da Oriente a Occidente e, giunte nella Battriana, dirottavano una fetta consistente dei loro beni verso sud, per mandarli a Bamiyan, e quindi raggiungevano Jalalabad e l'India, via Peshawar. Da Roma, dalla Siria e dall'Egitto arrivavano oro, argento, incenso e manufatti in vetro. Dalla Cina e dall'India provenivano seta grezza, pellicce, pietre preziose, spezie e animali esotici destinati all'Europa.

Man mano che la religione buddhista si diffuse attraverso questa parte del mondo, il suo messaggio si trasformò. I culto non fu più riservato esclusivamente agli iniziati e acquistò un carattere popolare. Nacquero così le prime rappresentazioni del Buddha, che fino ad allora era stato ritratto solo simbolicamente con impronte di mani o fiori di loto. All'epoca di questi primi contatti tra l'Oriente e l'Occidente, gli artisti decisero dapprima di rappresentare il Buddha in una versione orientale del dio greco Apollo. Poi, alla ricerca di un punto di fusione che si rivelò straordinario, il suo spirito venne vestito nello stile greco-romano. Inspiegabilmente il buddhismo riuscì persino a sopravvivere alla conquista dei territori da parte dei Sasanidi provenienti dall'Iran, e non si lasciò travolgere nemmeno dalla discesa dal Nord degli Unni Bianchi, riuscendo a sfuggire al fervore iconoclasta del rigido monoteismo islamico.

Solo verso la fine del X secolo il governatore turco della provincia di Balkh guidò le sue armate verso Sud e riuscì a prendere l'intera regione, costringendo i suoi difensori ad accettare lo scontro in una stretta gola, nella quale venne sconfitto l'ultimo re buddhista. Per un certo periodo Bamiyan visse sotto la dominazione musulmana, cercando di conservare la propria identità, ma la sua influenza come centro propagatore dell'antica religione andò a scemare. I volti del Buddha furono sistematicamente sfregiati dai sovrani musulmani e gli affreschi dorati distrutti dalle pallottole degli occupanti. Tuttavia, continuò ad essere la capitale delle potenti dinastie che si succedettero e le frontiere del regno si ampliarono. In un Paese in cui le insurrezioni violente erano continue, Bamiyan riuscì a superare le difficoltà dell'epoca con una stabilità fuori dal comune.

Il 1.222 segnò il definitivo e repentino tracollo. Mutugen, figlio di Djaghatai e nipote di Gengis Khan, attraversò l'Oxus (oggi Amudarya) con il suo esercito. Gli venne affidato il compito di assediare la fortezza di Shar-i Sokta che distava un giorno e mezzo di marcia da Bamiyan, ma lì perse la vita. Essendo venuto a conoscenza della morte del nipote, il grande Khan venne preso da una tale rabbia che decise di annientare l'intera vallata e la popolazione che l'abitava. Si dice che lo stesso Gengis Khan abbia guidato il massacro di tutti gli uomini, donne e animali e abbia poi ordinato di radere al suolo le torri e i castelli che da secoli proteggevano questo regno isolato nel cuore delle montagne. Poco a poco, la popolazione decimata cominciò a tornare nella valle, ma la città, i suoi dintorni e i suoi sistemi di irrigazione erano ormai distrutti. L'apertura delle rotte marittime fra l'Europa e l'Oriente segnò il definitivo declino della regione.

In seguito, durante i dieci anni di occupazione sovietica, il Paese si chiuse in un ferreo isolamento ed un altro decennio di conflitti fece di questa vallata un luogo inaccessibile. Il sito cadde infine nell'oblio. Da allora, giunsero notizie assai scarse, ma nell'aprile del 1997, un comandante dei Talebani riuscì a raggiungere Bamiyan e, dopo aver conquistato la città, promise di distruggere i Buddha. Di fronte alle proteste dell'ONU e di altre organizzazioni internazionali abbandonò per fortuna il suo folle progetto. Il capo supremo dei Talebani, Mullah Omar, pronunciò un discorso alla radio nel quale affermava che i Buddha di Bamiyan erano parte integrante del patrimonio nazionale afghano e che dunque andavano protetti. Solo pochi anni più tardi, nel marzo del 2001, il potente Mullah tornò sui propri passi e, in base al verdetto del clero e alla decisione della Corte Suprema dell'Emirato Islamico, venne decretata la distruzione di tutte le statue in Afghanistan che in passato furono usate come idoli dagli infedeli.

Ora Bamiyan sarebbe invece diventata il punto di incontro di tutti i nemici degli invasori occidentali, una specie di Agorà dove osannarsi a vicenda e mostrare al mondo i mille volti della resistenza Afghana. Poco importa se lo scopo fosse esclusivamente quello di mantenere calda una logorante guerra senza fine, l'importante era ostentare la propria forza per raccogliere nuovi consensi tra le popolazioni adiacenti, sfidando apertamente l'America e i suoi alleati.

.:.

La Base Aerea Ghost era situata tra le montagne, a circa due chilometri a sud dalla zona archeologica dei Buddha di Bamiyan. Si trattava di una vecchia pista russa, abbandonata da decenni, scoperta via satellite e scelta per lo sbarco di un manipolo di coraggiosi che avrebbero dovuto cambiare le sorti del mondo.

Trenta uomini, probabilmente i migliori tra quelli che avevano combattuto con Julian tutte le guerre dimenticate, quelle di cui nessuno può parlare perché appartengono ai segreti inenarrabili di ogni nazione.

Li conosceva uno per uno, e sapeva di loro ogni dettaglio, il nome della moglie, l'età dei figli, quanto coraggio avevano in corpo e persino quale fosse la peggiore delle loro paure. - Il nostro scopo è quello di trasportare con largo anticipo venti quintali di Astrolite nel luogo dell'incontro, - spiegò, cercando nei loro occhi la fermezza di cui aveva bisogno - e di posizionarla in modo che possa esser fatta detonare al momento giusto da un satellite militare che incrocia nello spazio sopra di noi. Per farlo, dobbiamo travestirci da berberi, da pastori, e spingerci fin nell'area dei Buddha a più riprese, accamparci per la notte e sfruttare l'oscurità allo scopo di scavare le buche dove calare l'esplosivo. Ogni carica dev'essere posizionata in modo da costituire una rete che copra la spianata di fronte ai Buddha, dove avverrà l'incontro. A tale scopo ogni cilindro è numerato ed ha una sua collocazione precisa nella scacchiera. Il posizionamento avverrà con coordinate geografiche rilevate con un GPS di precisione.

- Più che la buca da scavare, - lo interruppe uno dei militari - mi preoccupa il collegamento tra le cariche. Non c'è il rischio che, col passaggio di uomini e mezzi, finisca per affiorare sul terreno?

- Infatti non ci sarà alcun collegamento. - precisò - Ogni carica è confezionata per essere autonoma, contiene la giusta dose di Astrolite, il sistema GPS e il trasmettitore satellitare.

- Ma nessuna batteria può durare così a lungo... - fu di nuovo interrotto - e da quello che ho capito, il giorno dell'adunanza avverrà tra parecchi mesi.

- Ogni unità esplosiva resterà dormiente, ma periodicamente attiverà il ricevitore per aggiornare i dati in proprio possesso, - continuò Julian - e per farlo utilizzerà un accumulatore secondario che tiene in funzione soltanto l'orologio interno. Quando sarà conosciuta con sicurezza la data dell'evento, verrà riprogrammata e messa in allerta costante. Da quel momento, lo scambio dati col satellite verrà assicurato dalla batteria principale e l'autonomia è di circa due mesi.

- A quale distanza saranno interrate le cariche?

- L'Astrolite è uno degli esplosivi convenzionali più potenti che esistano sul mercato, e la sua reazione chimica produce scorie pericolose, quindi in teoria basta una ferita per portare a sicura morte chi viene colpito dalle schegge. In ogni caso, è stato calcolato che ogni carica può colpire un'area circolare con un diametro di cinquanta metri, ma la dislocazione prevede delle zone di sovrapposizione. In totale, dissemineremo unità esplosive telecomandate in un raggio di oltre un chilometro dal punto zero. Altre domande?

- Scusa capo, ma mi viene spontaneo chiedermi come possiamo prevedere il punto esatto in cui si riuniranno, nonché il giorno preciso.

- Non posso rivelare questo dettaglio... - sorrise Julian - ma posso assicuravi che, fin da adesso, non ci sono dubbi sulla dislocazione... e per la data dell'evento sarà il nostro intelligence a determinarla con assoluta certezza.

- Quindi qualcuno al Pentagono pensa di essere diventato così intelligente da riuscire a invitare i terroristi di mezzo mondo ad un loro sicuro appuntamento con la morte?

- E' una mia idea, - affermò, con un tono deciso - l'ho proposta personalmente ai cervelloni di Washington ed è stata accettata. Se non funziona, abbiamo solo perso tempo e qualche quintale di Astrolite... ma se funziona, assesteremo un colpo definitivo a tutti i gruppi terroristici che ci tengono imbrigliati in questa assurda guerriglia di logoramento.

- Ma penseranno subito che siamo stati noi...

- Non ci saranno prove, nessun aereo in volo, nessuna attività militare in atto... solo un enorme boom che lascerà sul terreno delle semplici tracce di Astrolite. E, guarda caso, verrà dato in pasto ai media la scomparsa di un carico di questo tipo di esplosivo, di cui una parte verrà ritrovata in Yemen. Quel che deve passare è una specie di regolamento di conti, i cui colpevoli saranno identificati in una nuova sigla terroristica, controllata dalla CIA.

- Un'ultima domanda, - si alzò uno dei militari, guardandosi intorno - dove cazzo è nascosta questa Astrolite. Non vorrei che mi scoppiasse sotto il culo!

- Ce la consegneranno presto, - rispose Julian, tra le risate generali - ma non prima di mettere in sicurezza tutta l'area attorno a questo vecchio aeroporto. Dobbiamo essere certi che la nostra presenza non sia stata notata. Ma prima dell'esplosivo, ci porteranno le pecore, le capre e gli asini. Così farete un po' di pratica con questi nuovi mezzi di trasporto.

Quando uscì dalla casermetta in cui si era tenuta la riunione, avverti tutto il peso della responsabilità sulle spalle. Questa volta non si trattava di una missione di disturbo in territorio nemico, bensì quella che al Pentagono avevano definito in modo molto scenografico come la madre di tutte le battaglie.

Julian era abituato ai rischi e alle incognite che complicano lo svolgimento di ogni azione militare, ma stavolta troppi tasselli avrebbero dovuto incastrarsi nel giusto modo e sarebbe bastato sbagliarne uno solo per mandare a monte l'intero progetto. Mancavano poco più di otto mesi al countdown, ma il posizionamento delle unità di Astrolite rappresentava il momento più rischioso di tutta la missione.

Ben diverse erano le problematiche legate alla strategia, a partire dal sottile inganno con cui era riuscito ad infondere l'idea di un'adunanza proprio nella spianata di fronte ai Buddha di Bamiyan. Merito di suo padre, un precursore della tecnologia spaziale ancora prima che la tecnologia fosse a disposizione degli essere umani. Lui soleva dire che gli uomini hanno bisogno di essere indotti, poco importa verso quale meta, l'importante e far credere loro che sia quella giusta.

Prima di andarsene, alla veneranda età di novantatré anni, decise che il proprio corpo doveva essere cremato. - E' meglio eliminare sin da subito il rischio che qualcuno decida di riportarmi in vita, - furono le sue ultime parole - perché il motivo di tanta generosità sarebbe dovuto a carpirmi qualcuno dei miei più indicibili segreti.

Quarant'anni passati nell'agenzia spaziale americana e venti ad occuparsi della guerra elettronica, quando morì lasciò nella disperazione i più grandi esperti del Pentagono perché volle portarsi con sé le chiavi del mondo tecnologico che aveva creato.

Fu grazie a quel modo di pensare che Julian aveva interferito nelle comunicazioni tra i maggiori gruppi terroristici mondiali, e grazie ad una lenta ma continua interazione era riuscito a far filtrare l'idea di una grande adunanza per dimostrare all'America quanto poteva essere grande il numero e la forza dei suoi nemici.

E se, all'inizio, le diverse organizzazioni parevano non dare credito a questa esposizione mediatica per timore di una rappresaglia armata, l'idea di Bamiyan aveva messo ben presto tutti d'accordo. Ora l'infittirsi delle comunicazioni lasciava presagire addirittura una vera e propria frenesia per questo evento, tanto da coinvolgere Al Jazeera nell'organizzazione ufficiale di quella che ormai veniva chiamata l'Adunanza.

Quando Julian aveva proposto questa missione agli alti funzionari di Washington, era stato trattato con sarcasmo, ma i risultati ottenuti in sei mesi di lavoro avevano messo a tacere anche i più scettici. Ufficialmente, questa operazione non poteva e non doveva esistere, tanto che neppur il Presidente ne era stato messo al corrente.

- Lo saprà a cose fatte, - gli fu risposto - i Presidenti passano e l'America non può essere lasciata nelle mani di un solo uomo.

Era questa dunque la verità sulla più grande democrazia del mondo moderno? Oppure la verità è soltanto una squallida menzogna in allestimento?

Julian non amava la politica e tanto meno la burocrazia degli strateghi di Washington, ma a volte bisogna allearsi col diavolo pur di rubargli il forcone... e bisogna farlo senza calpestargli la coda, altrimenti si finisce all'inferno senza via di scampo. Sapeva di essere inviso ai potenti, sia per quel padre che li aveva più volte fatti fessi, sia per quel suo carattere troppo ribelle. Eppure gli avevamo concesso l'occasione della vita, quella che, in caso di successo, lo avrebbe portato nei piani alti della CIA e, in caso di fallimento, avrebbe decretato la sua definitiva uscita di scena.

Lui però aveva un solo scopo, decapitare il terrorismo con un'azione esemplare, non per addossarsene il merito, ma per liberare il mondo da un peso che stava diventando insostenibile. - La vita è una questione di opportunità, - diceva spesso ai proprio uomini - se ci troviamo nel momento giusto e al posto giusto, non possiamo tirarci indietro.

Chi non lo conosceva, lo considerava un uomo fortunato, sopravvissuto a mille battaglie al di là di ogni aspettativa. Chi aveva combattuto con lui, lo conosceva come uomo e lo avrebbe seguito in capo al mondo senza nemmeno chiedersi se fosse giusto o sbagliato.

Amazzonia - Rio Uaupes - Cinque mesi dopo.

Il vecchio barcone risalì faticosamente la corrente. A Manaus tutti avevano commentato il suo carico eccessivo, ma per Julian ogni cassa era indispensabile e nulla poteva rischiare di andare perduto. Quando raggiunse Sao Gabriel da Cachoeira, tirò un sospiro di sollievo.

Consultò con attenzione le carte nautiche in suo possesso, le comparò più volte coi dati del GPS ed infine si infilò nel Rio Uaupes, spingendo il motore al massimo della potenza.

Non fu facile superare le secche e nello stesso tempo evitare di ritrovarsi proprio al centro del flusso, dove l'acqua pareva un muro invalicabile e respingeva la barca, scivolandole con impeto ai lati della chiglia.

Quando finalmente riuscì ad immettersi nel rio, il sole cominciò ancora una volta la sua rapida discesa dietro i grandi alberi della foresta pluviale. Navigò finché la luce glielo permise, poi infilò la barca in una ramificazione laterale e l'accostò alla riva. Non c'è ancora più sicura di una cima saldamente legata ad una enorme radice, Julian ne assicurò un'altra ad un tronco e si preparò a passare la notte.

Mancavano ancora più di ottanta chilometri di navigazione prima di arrivare alla meta e la puzza di bruciato che saliva dal motore non lasciava presagire niente di buono. Il mattino seguente si svegliò di buon'ora e, ansa dopo ansa, risalì la corrente, con la mente persa agli avvenimenti degli ultimi mesi. Le mani strette sul timone e gli occhi attenti ad ogni sciabordio sospetto, cercò di concentrarsi sui flussi instabili della corrente che trasportava con sé numerosi tronchi e rami divelti dalle rive.

Nonostante la tensione, il pensiero andò più volte ai compagni persi in Afghanistan, nella dinamica di una tragedia che pareva troppo assurda per essere vera. Non poteva accettare l'abbattimento dell'elicottero Chinook che trasportava i suoi uomini alla fine della missione, non in un modo così banale, lontano dai campi di battaglia. Gli esperti militari dissero che si era trattato di un missile terra-aria, uno Strela-2 di fabbricazione sovietica, più noto come SA-7 Grail. Probabilmente lanciato da un gruppo di ribelli che lo stavano trasportando verso sud.

Una spiegazione che Julian non aveva mai accettato, al punto di recarsi lui stesso sul luogo del disastro dopo che erano stati recuperati i corpi dei militari deceduti. I motori e altre parti del Chinook erano state prelevate e trasportate in una base americana per le indagini, e questa era stata la prima stranezza di cui non riusciva a capacitarsi. Perché prendersi la briga di portarsi via i rottami dell'elicottero, quando era più logico studiarli sul posto senza dover ricostruire la scena del disastro? Inoltre era sconosciuta la quota di volo al momento dell'impatto ed il crash lasciava intendere che il velivolo si fosse spezzato in aria durante l'esplosione. Troppi misteri su un incidente a cui Julian era scampato per una semplice casualità, dovuta alla sua decisione di un'ultima verifica della piana di Bamiyan con Mark, l'agente CIA che si sarebbe preso in carico la supervisione del posto dopo la loro partenza.

Mentre rifletteva su questi dettagli, il GPS emise un bit bit continuo. Accostò il barcone verso la riva e cercò di individuare l'affluente del Rio Uaupes, in cui si sarebbe dovuto addentrare. La vegetazione così fitta e lussureggiante gli impediva di scorgere la confluenza, ma la diversa colorazione delle acque lo indusse a spingere la prua verso il corso di un placido e tortuoso torrente. Lo navigò lentamente, scrutandone le rive con estrema attenzione, finché intravide, racchiusa tra due anse, un'asperità del terreno che si sollevava di una trentina di metri dalla pianura alluvionata.

Accostò la barca verso quella che pareva la sgangherata banchina di un porticciolo, e subito comparvero dalla vegetazione numerosi bambini dagli occhi raggianti di felicità, subito pronti a prendere al volo le cime di attracco per legare il vecchio scafo alle intricate radici della riva.

Julian verificò che ogni legatura fosse fatta a regola d'arte e s'incamminò sulla ripida scala scavata nel terreno, i cui gradini erano costituiti da tronchi fissati tra loro con lunghe liane. Poco abituato al clima umido dell'Amazzonia, arrivò in cima col fiato corto, tanto da doversi arrestare all'inizio del sentiero che conduceva a quella strana costruzione, nascosta tra il verde della foresta.

- Benvenuto mister Collins! - esordì una giovane donna, comparsa all'improvviso, trascinandosi appresso due grosse valige. - Mi stavo chiedendo come mai questo ritardo.

Julian, sorpreso da quella inaspettata presenza, fece un cenno di assenso col capo e rimase incantato a guardarla.

- Sono Stefany, - continuò, allungando la mano - è con me che ha portato a termine la trattativa per l'acquisto della proprietà.

- Pensavo mi scrivessi da Manaus...

- No, ho sempre vissuto qui, con mio padre. - rispose, chiedendo ad uno dei piccoli indios di chiamare qualcuno al villaggio - adesso mi faccio aiutare a portare il bagaglio sulla barca e poi le illustro come funziona la casa.

- Perché sulla barca?

- Perché approfitto di Plàcido per raggiungere Manaus!

- Forse c'è qualcosa che non va, - la raggelò Julian - Plàcido mi ha venduto la barca e sono venuto qui da solo!

- Non può essere... Plàcido non avrebbe mai venduto questa barca, era tutta la sua vita!

- A volte la vita ha un prezzo, - provò a spiegarle - a me serviva uno scafo per trasportare tutta la mia roba ed anche un mezzo per navigare in autonomia.

- Lei non capisce mister Collins, questa barca era l'unico collegamento con Manaus. Plàcido andava e tornava per il Rio Uaupes trasportando uomini e merci da trent'anni! Come riuscirà ad avere i rifornimenti adesso che gli ha portato via la barca?

- Col denaro che gli ho dato, - abbozzò un sorriso - ne potrà comperare tre di barche!

Abel Wakaam

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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