Non era la prima volta che sentivo la sua voce ma ogni volta sembrava fosse proprio così. Nelle locande, nei pub, nei fast food e anche in alcuni negozi era un po' di tempo che lo stesso ritmo, lo stesso sound e quella voce profonda con una velata tonalità roca, si espandeva a dismisura. Oramai in tutta Phoenix non si sentiva altro che lei: Elle Perez. La cantante americana dalle origini Navajo, e proprio quella sua discendenza la rendeva unica nel suo genere, unica nella voce e unica nei testi. Lentamente stava spopolando, risaliva le classifiche locali e qualche articolo di note riviste musicali si faceva largo nelle edicole. Una persona umile, con la testa sulle spalle e un passato non troppo semplice. Un cliché degli artisti che da un momento all'altro diventano star, dimenticando tutto quello che hanno passato, ma non per Elle. Nonostante la sua fama stia aumentando lei continua a essere la stessa che potevi incontrare agli uffici postali molto tempo fa, quella ragazza strana che a stento sorrideva al prossimo. Con quello sguardo nostalgico di chi ha perso o dimenticato qualcosa, come se avesse scordato sé stessa. E lo mantiene ancora quel non so ché di malinconico e intrigante che rende il suo personaggio fuori dal comune.
La sua musica è qualcosa che ti travolge, non sono semplici testi di canzoni orecchiabili. Lei racconta la storia della sua terra; l'aridità di un posto duro da vivere ma tanto bello quanto il sole. Canta le estati roventi, le storie dei nativi americani. Canta dei suoi discendenti con quel tono malinconico che ti stravolge lo stomaco. Dicono che nonostante non sia una cantante da far impazzire il pubblico, pare che il suo successo sia inevitabile. In questo momento mi trovo a servire i tavoli del Phoenix Market Café, ci lavoro dalle sette del mattino fino a metà pomeriggio, poi Dean mi dà il cambio. Siamo piuttosto rinomati, infatti non c'è mai tempo neanche per respirare. - Julia, vieni a prendere il sandwich per il tavolo cinque che stanno aspettando da troppo. - - Sì, scusa Ben. - Il mio capo è piuttosto tranquillo fino a che si fa il nostro lavoro, ma se sgarri è meglio sparire. Lavoro qua da sempre, da quando ho finito il liceo e ho deciso di non continuare con l'università. Ho sempre vissuto con mia nonna, ma tre anni fa è venuta a mancare, così ho dovuto rimboccarmi le maniche e ho lavorato il doppio. Adesso posso mantenermi, ma non senza difficoltà, del resto la paga è quello che è... fortuna che la casa è di proprietà, almeno ho solo da pagare le bollette. Lo devo ai miei nonni, sono loro che mi hanno cresciuta dopo che i miei genitori sono morti quando ero piccola, nemmeno me li ricordo. Non mi hanno mai fatto mancare niente, affetto, oggetti, felicità... ho sempre avuto tutto. Prendo i caffè da portare al tavolo dieci, dove è seduta una famiglia. Madre e padre che guardano la figlia, che avrà sui sedici anni di sicuro, perennemente connessa al suo smartphone. - Ecco a voi, e per te un succo di mirtillo. - I genitori ringraziano, lei neanche alza gli occhi. - Non ci credo! - esclama la ragazza a gran voce, facendo balzare in aria gran parte del locale, me inclusa. - Tesoro, fai piano. Che succede? - Beve un sorso di succo e poi mi fissa, distolgo l'attenzione e sorridendo mi allontano. Ma la mia curiosità è talmente forte che resto nelle vicinanze per ascoltare. - La Perez si esibirà qui! - Per poco non mi casca il vassoio vuoto, mi fermo di colpo e faccio retromarcia andando dalla ragazzina. - Come scusa? Dici Elle Perez? - Annuisce allibita. - Come faccio? stanno esaurendo i biglietti. - I genitori la scrutano mentre sorseggiano il loro caffè, non le prestano più di tanto attenzione. Accidenti, non lo sapevo neanche io. Lascio andare il vassoio a Vanessa, l'altra cameriera, e mi rifila un'occhiataccia. Le spiegherò dopo, mi avvicino di nuovo al tavolo e allo smartphone della ragazzina. - Dove lo fa? - - Al Celebrity Theatre, venerdì sera alle ventuno. Dicono che sono rimasti almeno una cinquantina di posti. Devo fare il biglietto. - Il suo sguardo passa dallo schermo luminoso a me e successivamente ai genitori, che impassibili scuotono la testa all'unisono. - Tesoro dobbiamo andare a Tucson questo fine settimana, mi dispiace. - La ragazzina ribolle di rabbia adolescenziale e appoggia lo smartphone sul tavolo con estrema intensità, incrocia le braccia e sbuffa rumorosamente. - Con voi è la solita storia, c'è sempre un posto dove andare, qualcosa da fare. E io devo seguirvi come un cagnolino. - Mi allontano dal tavolo della famiglia e mi dirigo verso il camerino dove teniamo effetti personali e vestiti. Prendo il mio cellulare e vado sul sito locale del teatro. - Per l'amor del cielo, che fai Julia? Devi lavorare, non è il momento della pausa. - Trisha, la cuoca, nonché moglie di Ben, è appena entrata a prendere un grembiule in più per il nuovo aiutante in cucina. Le faccio un cenno con il dito per dirle di aspettare. - Un momento, arrivo subito. È una cosa importantissima. - - Fammi indovinare, riguarda Elle Perez? Perché per te è l'unica cosa importante e in città non si parla d'altro che dell'improvviso concerto. - Alzo lo sguardo su di lei per un istante, sto facendo la registrazione al sito. - Lo sapevi anche tu? - Fa spallucce mentre ritorna verso la cucina. - No, Julia. Ho solo visto le locandine di questa mattina. Dai, sbrigati. - Non l'ascolto più, cerco solo di accaparrarmi il primo biglietto che riesco a trovare. Sto accedendo alla piantina del teatro, accidenti se è lento! Nella mia testa visualizzo solo il concerto, non posso perdermelo proprio qui, nella mia e nella sua città. Ecco, finalmente vedo i posti rimasti, che palle ci sono solo i posti più lontani dal palco. Be' chi se ne frega, l'importante è riuscire ad ascoltare. Eseguo tutta la procedura, devo pagare con Paypal e... sì! Andrò al concerto di Elle! Che gioia, esulto senza riuscire a contenermi e faccio un po' di baccano, adesso devo lavorare altrimenti a breve mi troverò sotto ai ponti. La giornata è finita, almeno quella lavorativa, sono le cinque e sto pensando di andare a comprare qualcosa di adatto per il concerto di venerdì sera. Sto camminando lungo la Van Buren St, oggi è una giornata freddissima perché siamo in pieno gennaio, e per noi anche dieci gradi sono veramente pochi. Il cielo è azzurro nonostante tutto, per fortuna che non piove, mi guardo attorno mentre passo accanto a uno dei tanti Café e osservo le palme che maestose si ergono sopra di me, ai lati della strada dove le macchine sfrecciano come se non ci fosse un domani. Non sono da sola, ho le cuffie e la voce di Elle mi fa compagnia, forse potrò sembrare una stupida ragazzina adolescente che si lascia coinvolgere dai concerti fin troppo. Ma in realtà ho venticinque anni e sento che lentamente la vita si sta facendo più difficile, quindi ho bisogno di evadere e con la sua musica posso farlo. Mi ha aiutata tantissimo dopo la perdita di nonna, c'è una canzone in particolare che ascolto con fatica e mai quando sono fuori casa. È lenta, struggente e mi fa piangere come ho fatto al funerale, è la canzone che mi fa pensare a nonna e a tutto il bene che ci siamo volute. Non posso neanche dirlo in questo momento che sento una lacrima scendere lungo la guancia, ma la tolgo subito, mi vergogno in pubblico. E poi io sono una persona solare, positiva, non mi sono mai mostrata triste e depressa nonostante quello che ho passato. Ma quella canzone della Perez è qualcosa di unico, sembra scritta apposta. - Ti sento nel vento E sussurri il mio nome Sei quella brezza mattutina Che mi risveglia dal torpore Eri giovane, eri vita E adesso sei solo polvere come la fine di una margherita Ho visto la luce Credevo mi appartenesse Ma era solo il tuo saluto Un bagliore Lo scorrere delle ore Sei qui Ma non ci sei più Sei qui Ma non ci sei più. - E continua con altre bellissime parole, non è riferita a nessuno in particolare da quello che so. Ma sembra davvero scritta appositamente per mia nonna, devo dire che senza la voce di lei non sarei mai riuscita a tornare serena come sono sempre stata. Perlomeno nonna ha vissuto a lungo, ben ottantacinque anni, sono felice di questo e sono convinta che stia bene e se ne sia andata in pace. Fiera di quello che ha fatto nella sua vita, fiera di quello che le ho dato in tutti gli anni che siamo sempre state insieme. Ed è proprio voltandomi, vicino al rivenditore di auto usate, che vedo il cartellone con la foto di Elle e la data di venerdì 11 gennaio, al teatro. Resto immobile, con le note delle sue canzoni nelle orecchie mentre guardo il suo volto malinconico su di un grande palo di ferro. È la foto che preferisco di lei, quella che è anche sulla copertina dell'ultimo cd: è seduta con la schiena appoggiata a una finestra, guarda verso il basso a sinistra; indossa dei pantaloni di pelle, una camicia bianca con la cravatta sottile nera e sopra un cappotto in tartan grigio chiaro, ha degli stivaletti e i lunghi capelli castani le ricadono da un lato. Trasmette l'essenza della sua musica in quest'immagine così intensa. Prendo la macchina che avevo portato per una valutazione al concessionario, non vale niente e lo immaginavo. Un vecchio suv Chevrolet del 2003 che mi è rimasto dopo la morte del nonno, lo usava lui e sapeva ripararlo. Ho provato a proporlo per venderlo e ricavarne qualche soldo, volevo comprare una macchina meno ingombrante ma alla fine sembra che dovrò tenermela. Così la riprendo e mi dirigo verso casa, abito sulla E Garfield St al 3422. È un piccolo bilocale a pian terreno con un giardinetto neanche troppo grande ma giusto per me. Quando eravamo in tre non era proprio comodo abitarci ma adesso che sono da sola ringrazio la grandezza. Non riuscirei a pulire tutto dovendo anche lavorare tanto. Entro dentro casa e mi getto sul letto, sono esausta, non riesco neanche a tenere gli occhi aperti. È stata una giornata intensa ma sono un bel po' di giorni che va avanti così e non ne posso più, ho dovuto fare anche degli straordinari. Mi squilla il cellulare e così lo estraggo dai jeans, sullo schermo compare il nome di Ryan. - Ei come va? - La sua voce seria mi fa preoccupare un po', che cosa ha combinato? - Sono appena rientrata da lavoro, tu? - - Sempre in ufficio. Ti va di andare a mangiarci una cosa dopo? - Lo sento battere alla tastiera, credo stia scrivendo l'articolo per il Phoenix Post Local, una sorta di giornale digitale che si è guadagnato la fama grazie a Instagram. - Perché no. Non ho proprio voglia di cucinare e poi... - - Il frigo è vuoto. - Ecco, non si può dire che io non sia prevedibile. - Già, ah amore c'è una cosa che devo dirti. - - Dimmi. - Il suo tono ora è più irrequieto, del resto è pur sempre il mio fidanzato e quando gli dico che c'è qualcosa di cui parlare si agita subito, traendo conclusioni affrettate. - Venerdì vado al concerto di Elle Perez, però da sola, non so se avessi in mente qualcosa. - Sento un sospiro e il rumore proveniente dalla tastiera finisce di colpo. - Ancora con questa fissa? Ma quando crescerai? L'hai vista così tante volte... Julia mi sembra che per te oramai sia un'ossessione. - - Be', può darsi. E allora? Io ci vado, tu fai quello che vuoi. Venerdì sera sei libero. - Lo sento sbattere qualcosa, forse un'agenda o una mano, sulla scrivania e poi il silenzio. - Come vuoi. Appena esco passo a prenderti, a dopo. - Riaggancia piuttosto infastidito, ma che male c'è? Sto solo andando al concerto della mia cantante preferita. E allora? Non riesco proprio a capirlo certe volte. Mi trastullo guardando un po' la tv e pensando a cosa potrò indossare la sera del concerto. Le ore passano e Ryan compare di fronte alla porta di casa mia, fa sempre così quando si arrabbia, non avvisa e si palesa come un fantasma. Lo faccio entrare nel silenzio più totale, mugugna una sorta di saluto e si siede sul divano in pelle. Mi lancia un'occhiata fulminea e poi scuote la testa ridendo senza senso. - E così, altro concerto? Potevi almeno chiedermi di venire, non trovi? - Mi siedo accanto a lui prendendogli la mano tra le mie. - Tu non la sopporti, sei geloso perché ho una passione diversa dalla tua, non hai mai apprezzato questo mio amore per la musica. - - Che stai dicendo? - - Andiamo Ryan, quante volte sei venuto a un concerto con me? Nessuna. E quante volte mi hai proposto di andarci? Altrettante. Perciò non diciamo cavolate, lo sai anche tu. È solo una passione così come tu hai quella del golf. Io mica ti dico niente, abbi un po' di rispetto. - Annuisce e lascia la presa delle mie mani, si alza e guarda altrove; rimira un po' tutta la casa fino a che incrocia le braccia al petto e mi guarda serio. - Forse è meglio darci del tempo, una sorta di pausa. Tutto questo discorso del concerto non c'entra niente, dobbiamo essere reali. Diamoci tempo. - Ha ragione, che altro posso dire? È solo questo che ci serve, allontanarci un po' per ritrovarci. - D'accordo Ryan, se è quello che vuoi io non lo negherò. Proviamoci. - - Lo sapevo Julia, tu non mi deludi mai ma sono io il problema, attualmente è così. Grazie della comprensione. - Mi abbraccia calorosamente e con un sorriso amaro lascia casa mia, non so se essere triste o felice. Un po' di libertà dopo due anni è quella che ci vuole, credo.
Valentina Bindi
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