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Autore: Bruno Cotronei
Il grande gioco
Narrativa
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Il grande gioco
Amore d'altri tempi.

Una mattina, Giorgio e Umberto, dopo la lezione di Calcolo Infinitesimale, si precipitano lungo lo scalone dell'antico convento dei Gesuiti riattato per le facoltà scientifiche e sboccano nella pittoresca via Mezzocannone e ammirano su in alto il cielo di un intenso colore azzurro non turbato dalla presenza di nubi, nemmeno le bianche e coreografiche che vengono spesso aggiunte nelle cartoline per dare maggiore risalto allo splendore della cupola naturale che risulta superiore a qualsiasi altra che mano umana possa eseguire. Sono decisi i due amici a tuffarsi nelle acque di Marechiaro dopo una rapida corsa sulle vespe posteggiate in piazza San Domenico dove folkloristiche pizzerie, minuscole librerie stracolme di volumi nuovi e usati disposti in un piacevole disordine danno rilievo alla guglia barocca con la statua del Santo e all'abside poligonale e menata della severa chiesa del trecento. Stanno per inforcare i cavalli d'acciaio quando Giorgio è folgorato da una specie di visione: una ragazza dai lunghi sottili capelli biondi che incorniciano un viso d'angelo nel quale brillano grandi occhi azzurro cielo è ferma, appoggiata a un'automobile e parla animatamente con una brunetta insignificante. Anche il corpo è degno della testa e completa il bellissimo quadro: snello, longiineo, le gambe con i polpacci delicatamente disegnati danno risalto a caviglie piccole e nervose. Sono studentesse di sicuro per i libri stretti da una cinghia di gomma tenuti con grazia nell'incavo del braccio sinistro. Avranno marinato la scuola? E quale delle tante che sorgono nella vicina piazza del Gesù? Giorgio fa cenno a Umberto di lasciar perdere le moto e di raggiungerlo. Si avvicina e tenta un approccio il più delicatamente possibile. La meravigliosa creatura bionda non risponde, ma per lei e in modo scostante lo fa la brunetta. I giovani si tirano indietro e le ragazze si avviano per il vicoletto che sbocca vicino al Conservatorio. Giorgio vince la riluttanza di Umberto e le segue. Ritentano usando tutta l'abilità possibile. ma ancora vengono respinti. Sfociano in piazza Bellini dove smunti giardinetti sono allietati da rose a cespuglio in boccio dai petali vellutati. Le ragazze siedono su una panca. Si vede chiaramente che non sanno come trascorrere le ore che ancora mancano per poter tornare a casa. Giorgio ci riprova e questa volta ha maggior fortuna e un dialogo, anche se molto formale e guardingo, inizia. Sono alunne della prima liceo del Genovesi, il vicepreside non le ha fatte entrare perché erano arrivate con un leggero ritardo. I ragazzi parlano dei loro studi e accennano alle vespe e all'intenzione di recarsi a Marechiaro, ma la velata proposta non trova riscontro e rimangono lì a conversare di scuola e di argomenti lontani da tutto ciò che Giorgio vorrebbe comunicare a quel miracolo della natura che ha già conquistato il suo cuore più dei suoi sensi. Manovra accortamente per prendere posto vicino a lei, poco loquace al contrario dell'amica che ha fatto da cavallo di Troia per iniziare a conoscersi. Anna, la brunetta, parla, ciarla e si mostra abbastanza disponibile, ma cosa interessa a Giorgio? Serena, l'oggetto della sua attenzione, della passione che lo pervade, è dall'altra parte e sfoglia un libro tenuto graziosamente poggiato sul grembo, poi si alza e seguita dagli altri percorre via Costantinopoli. Giorgio l'affianca e giungono vicino al Museo Nazionale sfortunatamente chiuso. Allora giungono nella brutta piazza Cavour, dove un terreno reso arido e secco dall'incuria è occupato da una turba di ragazzini che inseguono una palla fatta di stracci e si illudono di giocare al calcio. E tipico della città e dei suoi abitanti accontentarsi di poco. Più lontano una polverosa palma dalle foglie mezzegialle e spezzate concede un pò d'intimità a una panchina, dove finalmente Giorgio siede vicino a Serena e riesce a farle dire qualche parola e sempre più è ammaliato da tutto quanto appartiene alla ragazza: la voce melodiosa, la pelle bianca e delicata, le ciglia lunghe che ombreggiano quegli occhi da incantamento.
Un rivo di simpatia incomincia a scorrere fra i due giovani e un tenue sorriso appena accennato le accende il volto e lo rende, se fosse possibile, ancora più vago. Purtroppo è ormai l'ora di uscita da scuola e le ragazze raccolgono i libri e si congedano, respingendo decisamente l'offerta di essere accompagnate. Giorgio non insiste per non sciupare con inopportune petulanze l'immagine positiva che ha cercato con tutte le forze di dare di sé, e con malinconia mista a letizia segue con lo sguardo l'esile figura che scompare inghiottita fra il brulicare della folla nell'ampia e polverosa via Foria.
Invano cerca di fermare la sua attenzione su teoremi e formule di calcolo integrale. Il sole invia i suoi raggi a rifrangersi sui vetri della finestra della stanza e illumina lo scrittoio disseminato di dispense e appunti. Nel pulviscolo luminoso il viso d'angelo e il lieve sorriso di Serena appaiono continuamente agli occhi di Giorgio, quasi la retina avesse imprigionato in modo indelebile l'immagine meravigliosa e campane suonano a festa nella sua mente mentre il cuore batte all'impazzata. Non gli era mai accaduto prima: è forse questo il vero amore? Non era certo la prima volta che una ragazza gli era piaciuta o se ne era sentito attratto, ma ora è diverso e il tempo non passa mai. Il lungo pomeriggio, l'interminabile notte, la torpida mattinata, le parole lontane del professore nell'aula umida e il brusio dei colleghi e il percorrere m lungo e in largo la piazza del Gesù Nuovo con gli occhi che si spostano incessantemente fra l'ingresso del Genovesi e l'orologio, indifferente alla gente che sbocca a frotte dallo stretto rettilineo della via Spaccanapoli, che taglia la città da ovest a est, lo rendono sempre più impaziente.
Si appoggia sfinito alla cancellata che cinge la barocca ha dell'Immacolata di fronte all'imponente facciata a bugne della Chiesa dei Gesuiti proprio accanto all'edificio della scuola che racchiude come uno scrigno l'oggetto dei suoi pensieri e della sua ansia. Finalmente le lancette dell'orologio assumono la posizione lungamente desiderata e il suono liberatorio della campanella si sprigiona dalle vecchie mura e giunge fino a lui. Ragazzi e ragazze si riversano nella piazza, come un fiume ricco d'acqua impetuosa allaga la campagna circostante per l'apertura improvvisa di una diga, e si mescolano a gruppi in attesa e all'abituale traffico pedonale già così intenso mettendo a dura prova l'abilità e la pazienza di automobilisti che sono costretti a frenare e azionano i claxon con inutile e disperata energia, aumentando il caos di quei luoghi vecchi di secoli e completamente privi di marciapiedi.
Giorgio aguzza lo sguardo e si solleva sulle punte per non perdere neppure un attimo la visuale dell'ampio atrio, né si fa largo per raggiungerlo: non vuole essere notato subito. Ragazze di tutti i tipi sfilano frammiste agli studenti: alte, basse, grasse, magre, brune, bionde, castane e rosse. Alcune sono belle, altre meno, ma Serena è inconfondibile e davvero unica, non può assomigliare a nessun'altra. Eccola, col suo comportamento riservato che saluta le amiche e, leggera come una nuvola, avanza verso il centro della piazza. Un ragazzo si avvicina, le mormora qualcosa, ma l'adorabile testa bionda prosegue indifferente. Giorgio le si para davanti e le dedica il suo miglior sorriso. Serena sembra incerta sul da farsi e dopo un attimo interminabile lo ricambia. Al giovane sembra di toccare il cielo con un dito e tutto intorno a lui diventa più luminoso e colorato. Ha compreso che la ragazza non ha un temperamento facile ed è un misto di timidezza e orgoglio al tempo stesso. Agisce con infinita precauzione come un attento giocatore di scacchi che stia per effettuare la mossa decisiva. Inventa una scusa per giustificare la sua presenza lì, ma contemporaneamente lascia intendere il vero motivo. E il modo giusto e i giovani si stringono la mano e camminano affiancati per un centinaio di metri, poi Serena, come il giorno prima, lo congeda la sciandolo a sognare e a interrogarsi ossessivamente se davvero il suo atteggiamento è stato il più adatto.

Bruno Cotronei

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