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Autore: Sergio Bertoni
L'Anatema di Thiuta
Thriller
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L'Anatema di Thiuta
Cap. 1 - Tihuta A.D. 1463

Lo Shaykh Hascim Ibn Jaber sospirò e si avvolse più strettamente nel suo aslham , utilizzando il cappuccio non tanto per difendersi dal gelo quanto per premerlo sul naso e sulla bocca per mitigare il tremendo fetore dell'aria.
Al suo fianco, pallido in volto, cavalcava suo figlio, il giovane Mahmoud, che reggeva alto lo stendardo con le insegne che li qualificava come messaggeri del Sultano.
Li precedevano, ansiosi e circospetti, tre circassi, di cui uno ferito al volto, mentre un turco e un mongolo formavano la retroguardia. Erano gli unici ancora in vita della piccola spedizione. L'iniziale scorta di dodici guerrieri a cavallo aveva già perso, durante quelle ore di faticosa salita verso Tihuta, sette dei suoi uomini.
Nelle ultime miglia erano stati già attaccati tre volte. Orde spettrali di straccioni bene armati erano sbucate, di colpo, dalla nebbia mefitica che avvolgeva le foreste circostanti e, con urla bestiali, avevano assalito, con inaudita ferocia, gli armigeri al seguito dei due nobili messaggeri inviati dal Sultano.
Le scimitarre dei mamelucchi volteggiando mortali per l'aria, e i sibilanti archi da guerra dei circassi, più e più volte avevano fatto inutile strage di quella marmaglia che in ogni occasione, così come era all'improvviso comparsa, con altrettanta rapidità era svanita nel nulla per riemergere qualche ora dopo, ancor più numerosa e come vomitata dalle profondità dell'inferno.
- Padre, giungeremo mai vivi a Tihuta? - mormorò il giovane, sempre più nauseato e stanco, mentre si guardava intorno con ribrezzo, circondato da una infinita schiera di cadaveri di guerrieri ottomani in disfacimento, che, infilzati su lunghi pali, costellavano entrambi i lati di quel fangoso sentiero.
- Siamo quasi arrivati, figlio mio. Questi vili assalti sono solo rivelatori del disprezzo che Kaziglu Bey vuole dimostrare nei nostri confronti. Vedi? tu ed io non siamo mai stati aggrediti di persona: solo la nostra scorta sta subendo l'infame aggressione di questi miserabili infedeli. E Kaziglu Bey, qualora volessimo deplorare, cosa che per prudenza non faremo, la mancanza di onore sua e della sua gente, che dovrebbe invece portare rispetto nei confronti dei messaggeri del Sultano, potrebbe giustificare in diversi modi gli attacchi da noi subiti. Potrebbe affermare che siano opera di banditi di strada: feccia senza divisa e senza insegne, o addirittura assalti di sbandati e disertori appartenenti alle nostre stesse truppe. Sarebbe anche capace, fingendosi offeso e sdegnato per le nostre lagnanze, di cogliere questo pretesto per farci torturare e uccidere. -
I cavalli, affaticati, arrancavano affrontando il ripido passo montano in quel freddo inverno del 1463. La nebbia, a tratti, nascondeva pietosamente, come in un sudario, l'infinita distesa di pali che fiancheggiavano la strada, sui quali marcivano e si corrompevano i corpi di oltre dodicimila guerrieri. Erano, per loro sfortuna, i combattenti sopravvissuti alla disfatta loro inflitta nella gola di Plenari dalle truppe di Vlad III° Drakul, il Voivoda di Valacchia, molto ben noto a Costantinopoli come Kaziglu Bey: il Principe impalatore.
In lontananza, quasi funereo presagio di morte, incombeva minacciosa l'ombra nera dei Carpazi mentre, a tratti, lievi folate di un vento gelido facevano, turbinare alcuni radi fiocchi di neve, senza tuttavia mitigare e anzi spesso accentuando l'orrendo ripugnante miasma della carne umana in putrefazione.
La fortezza di Tihuta era in apparenza piccola ma robusta. Una possente muraglia di pietra viva, intervallata da quattro torrioni quadrati, racchiudeva un vasto spiazzo centrale ove si ergeva un fabbricato rettangolare, merlato, alto una quindicina di metri. L'evidente semplicità della costruzione ingannava il visitatore, giacché la vera estensione della fortezza si trovava nel sottosuolo, ove si celavano le segrete, oltre a sconosciuti passaggi che si addentravano in oscure caverne e tortuosi corridoi.
Quando i messaggeri giunsero alla fortezza, era ormai notte fonda. Un agguerrito gruppo di armigeri li accolse e li circondò con atteggiamento ostile. Il loro comandante trattenne i due ambasciatori all'esterno, sotto una sottile pioggia ghiacciata e insieme con i pochi sopravvissuti della scorta, senza rispondere affatto alle richieste e alle proteste degli inviati del Sultano. Soltanto dopo una lunga attesa di alcune ore, lo Shaykh Hascim, insieme con il figlio, ottennero il permesso di accedere, disarmati, all'interno dell'edificio per conferire con il Principe.
Nella grande sala al piano terreno le numerose torce lungo le pareti gettavano una fioca luce tremolante; ciocchi di pino resinoso e di abete ardevano in un grande camino e temperavano l'aria gelida e fumosa dell'ambiente. Il Principe, sfarzosamente vestito, e con il capo coperto da un berretto di velluto rosso, impreziosito da una fascia tempestata di perle, sedeva su di un robusto sedile di quercia dall'alta spalliera. Il naso, lungo e aguzzo, sormontava dei baffi neri che non riuscivano a celare delle labbra rosse e sensuali. Gli occhi, tondi e lievemente sporgenti, fissavano i presenti con uno sguardo glaciale e crudele.
I messaggeri, non appena giunti alla sua presenza, salutarono il Principe con rispetto, e s'inchinarono profondamente, porgendogli la pergamena sigillata contenente il messaggio del Sultano Mehemet II° El Fatih.
Vlad ruppe con voluta lentezza i sigilli, e lesse. Il suo volto si rabbuiò e i suoi occhi magnetici lanciarono fiammate d'odio sui due ambasciatori.
- Dunque, - disse con voce bassa e sibilante - quel cane del vostro padrone, invece di implorare il mio perdono per il suo ignobile attacco nelle mie terre, pretende di impormi tributi quasi fossi un suo vassallo! E inoltre m'invia due miserabili servi che osano restare in mia presenza con il capo coperto! -
Il giovane Mahmoud s'irrigidì e, trascurando l'occhiata di angosciato avvertimento lanciatagli dal padre, alzò con fierezza la testa e disse con voce alta e chiara:
- Mio signore, il nostro nobile lignaggio è antico e non teme alcun confronto, e il nostro copricapo è il simbolo della nostra religione. Mai e poi mai potremmo subire l'onta di scoprirci di fronte a un infedele! -
Il Principe sorrise, e la sua voce divenne calda e sua-dente:
- Apprezzo il coraggio, quando lo vedo, e apprezzo la fede, quando è sincera. Credetemi quindi se vi dico che non vorrei mai che vi privaste di quel così prezioso turbante. Sarei oltremodo sconvolto se lo doveste perdere, e quindi provvederò ché questo non avvenga! -
Un ordine secco e imperioso. Subito le guardie portarono uno degli enormi chiodi usati per saldare le travi delle fortificazioni. Con un solo colpo di mazza lo conficcarono nel turbante di Mahmoud, sfondando il cranio dello sventurato giovane che cadde al suolo senza un lamento.
- No, maledetto! Nooo! - Abbandonata ogni esitazione, lo Shaykh Hascim lanciò un grido disperato e si gettò ad abbracciare il cadavere del figlio. Poi, guardando il Principe con disprezzo e furore, puntò un dito contro di lui.
- Che tu, Kaziglu Bey, i tuoi figli e tutta la tua discendenza siate maledetti in eterno! Allah akbar, sia benedetto il suo nome, non lascerà impunito questo delitto e tu e tutta la tua razza infame farete una fine orrenda! -
Così sarà, solo se il Signore lo vorrà, e comunque non sia mai detto che un padre non segua la sorte del figlio. - disse il Principe con voce tranquilla e serena, e con la mano fece un breve cenno alle guardie.
- Mio signore, - sussurrò il comandante degli armigeri quando anche il corpo esanime dello Shaykh giacque vicino a quello del suo figliolo - dobbiamo ora impalarli su alti pali dorati come si conviene a dei nobili? -
- No, amico mio, di tutti loro non deve restare alcuna traccia. Gettate entrambi nel pozzo sopra la caverna, poi mozzate le mani e la lingua ai superstiti della loro scorta e fate seguire anche a loro la stessa sorte dei padroni. Provvedete che tutti sappiano, in ogni angolo delle mie terre, che i messaggeri del Sultano non sono mai giunti a Tihuta, che io non li ho mai visti, e che sono tuttora in ansiosa e preoccupata attesa del loro arrivo. -
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Sinossi
Una maledizione, scagliata nel 1463 contro il Principe Vlad III° Drakul, trova la sua realizzazione nel ventesimo secolo. Nel 1970, a Tihuta, un piccolo, sperduto borgo della Transilvania, alcune persone spariscono misteriosamente senza lasciare traccia. Un esperto funzionario di polizia indaga, e cerca in remoti tragici avvenimenti, vecchi di centinaia di anni, la chiave di lettura di atroci delitti contemporanei. Caverne misteriose, antiche leggende, passaggi segreti e l'ombra tenebrosa dei Carpazi fanno da sfondo all'intera vicenda.

Sergio Bertoni

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