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Autore: Maria Concetta Distefano
La vita in piazza
Narrativa
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La vita in piazza
Irene avvertì una specie di formicolio diffuso in tutto il corpo. Balzò in piedi dalla poltrona del suo studio dove si era da poco accomodata per leggere un ricettario di cucina slow food e si mise a vagare fra le stanze dell'appartamento al settimo piano di un palazzo anni Cinquanta, in Piazza Risorgimento a Torino.
Azzarola! No, no, e no! Irene si alzò dalla sedia davanti al computer e, in modalità peripatetica, camminando avanti e indietro dalla porta finestra su Piazza Risorgimento alla porta del suo studio, cominciò a riflettere sul perché si era ritrovata a iniziare un altro romanzo con le stesse identiche parole di quello di un anno prima. Blocco dello scrittore? Esageruma nen! Allora? La risposta la fulminò con uno di quegli improvvisi lampi della mente che ti fanno apparire tutto chiaro e ti mettono in grado di capire i - Grandi Misteri dell'Universo - salvo poi sprofondarti nel buio più fitto un nanosecondo dopo l'illumination/folgoration e non aver memoria della - Verità Svelata - . Uffa! Presbite e smemorata. Andiamo bene! Cos'era che non quagliava? Insomma, era perfino andata in pensione anticipata (con grave perdita pecuniaria, per inciso) per dedicarsi al nuovo romanzo e... niente! Per un momento fu tentata di fare come Jack & Jack (Torrance lo scrittore - col blocco - e Nicholson l'attore che lo impersona in Shining) e scrivere mille e mille volte - il mattino ha l'ora in bocca - . Per rendere le pagine un tantino più vivaci e fighette avrebbe potuto inserire le versioni straniere della - perla di saggezza - , come nei doppiaggi del film: - all work and no play makes Jack a dull boy - , - was du heute kannst besorgen, das verschiebe nicht auf morgen - , - no por mucho madrugar amanece más temprano - . Ma no, cavolo! Si ricordò di colpo che c'era già stato un sedicente - vero - Jack Torrance che nel 2008 aveva dato alle stampe un libro sì fatto - in total English - e aveva riempito più di cento pagine con la stessa frase cambiandone un po' il layout: riga intera, mezza riga e a capo, solo in centro. Lo stava ancora vendendo a 9,99 euro (sic!) su Amazon e aveva pure recensioni a cinque stelle! Pazzesco! In un forum Irene ricordava di avere persino letto di qualcuno che lamentava non ci fosse la versione italiana!
Le ci sarebbe voluta un'altra telefonata di Betta per sbloccare la situazione e darle l'input giusto per il nuovo libro. Quando, un anno prima, l'amica le aveva proposto di fondare un bel - fan club - , un - club del ventaglio - per incontrarsi e raccontarsi, il romanzo Le amiche del ventaglio si era praticamente scritto da solo. Durante i loro incontri mangerecci Betta, Adriana, Rossana, Ghita ed Emy (privacy! privacy!) avevano tutte fatto un bell'outing di gruppo - aiutate da una serie di calici di vini DOC e DOCG - e avevano parlato a ruota libera e lingua sciolta dei loro problemi. Coniugali, finanziari, familiari, di salute e, assieme, li avevano risolti tutti, a volte anche con metodi al limite della legalità (mai approvati dall'inglese Emy) che le avevano portate non solo a gironzolare per Torino ma le avevano spinte fin nelle Langhe e addirittura in Francia per cercare Marco e - riconsegnarlo - a Ghita com'era giusto! Oh les beaux jours! (Cit.).
Purtroppo, essendo quello un giorno lavorativo, il primissimo pomeriggio di un piovoso venerdì di metà marzo, per l'esattezza, era molto improbabile che Betta o un'altra qualsiasi delle amiche del ventaglio la chiamasse. Tutte al lavoro, les pauvres. Si sarebbero viste a cena da Betta, la super cuoca del gruppo, il venerdì successivo, come ai vecchi tempi: Adriana, Rossana, Emily e Ghita in forse (anche lei come ai vecchi tempi) ma era lunga far passare un'altra settimana bloccata e anchilosata come un'aragosta artritica! Irene doveva darsi una mossa, fare qualcosa e, se proprio non ce l'avesse fatta a scrivere, dedicarsi alle pulizie di casa perché era da un pezzo che non passava il panno per la polvere sui mobili e lo straccio per pavimenti nelle varie stanze. Poi, un fortissimo sentimento animalista le impose di desistere da entrambe le imprese. Che cosa le avevano mai fatto di male gli acari, microscopici aracnidi, perché li sterminasse? Niente di niente! Quindi, bando alle pulizie distruttrici di innocenti animaletti! Piuttosto, sempre che avesse smesso di piovere, sarebbe uscita a fare due passi.
Incollò la faccia alla porta finestra che dava sulla piazza e, tra uno schizzo di pioggia e l'altro sui vetri, focalizzò la vista (con gli occhiali da miopi, beninteso) sul negozio di Ghita proprio dirimpetto a casa sua, vicinissimo alla fermata del tram numero 13.
Cara ragazza! Dacché si era sposata con Marco detto Marcò per i suoi anni in Francia e i due avevano avuto Viola, una bimba meravigliosa dai grandi occhioni verdi come la madre, le cose sembravano andare molto bene per il suo negozio di borse da lei stessa prodotte. E il marito, proprio come aveva sognato, aveva realizzato nel retrobottega una piccola libreria specializzata in fiabe per bambini con tanto di angolo lettura! Che bello!
Irene staccò il viso dalla finestra e andò in cucina per prepararsi un ennesimo caffè e dare un po' di pappa alla sua gatta Agatha che, al momento, era l'unica presenza vivente in casa. Marito in Germania per lavoro e figlia in Svizzera per uno stage.
Fu proprio mentre stava per avvitare la caffettiera che il telefono squillò.

***

Al sesto piano della palazzina, proprio sotto l'appartamento di Irene, anche Beatrice, dal mattino dello stesso giorno, stava soffrendo di problemi ispiratori sebbene lei non fosse una scrittrice ma un'illustratrice di fiabe e artista free lance. Beatrice guardò il cartoncino bianco che aveva davanti a sé, sospirò forte e, forse suggestionata dalla pioggia sui vetri e da quella specie di non-colore del cielo, stava per intingere il pennello nell'acquerello grigio. Erano le dieci di un venerdì alle soglie della primavera ma sembrava il pomeriggio inoltrato di un giorno autunnale. Bea si fermò con il pennello a mezz'aria. No! Non erano bigi paesaggi piovosi che si aspettavano da lei. Sbuffò e decise di concedersi una pausa, anche se aveva una data imminente di consegna di parte del lavoro. Tre giorni appena e avrebbe dovuto dare al dottor Baruffi, proprietario del Fish Hotel di Finale Ligure, quindici dei venti paesaggi che le aveva commissionato. Dei venti totali il dottor Baruffi avrebbe tratto delle litografie a colori da esporre nella hall, in sala da pranzo e nelle varie camere dell'albergo che stava ristrutturando. Bea diede un'occhiata ai lavori già finiti - tenui paesaggi marini con stravaganti pesci variopinti e piante acquatiche simili ad arabeschi e colorate in tutte le gamme del verde e del giallo - e contò solo nove acquarelli pronti. Ne mancavano sei! Sei in tre giorni, anzi due. Ma niente, a un tratto le era venuta a mancare l'ispirazione. Non le restava che attendere che tornasse, se mai si fosse decisa a farlo in un giorno così cupo.
Si diresse in cucina per fare l'inventario delle derrate alimentari e programmare col professor Geronimo una puntatina al supermercato. Quanto meno, nei successivi due giorni non avrebbe dovuto perdere tempo per fare la spesa.
Bea aprì il frigo canticchiando il ritornello di Singing in the rain, tanto per restare in tema con l'atmosfera di quella giornata piovosa, e il frigo le rispose con una specie di rimbombo sonoro!
Pazzesco! L'effetto eco da frigo vuoto esisteva davvero allora! Non era una leggenda metropolitana!
Bea richiuse lo sportello con uno scatto. Eco o non eco, traveggole acustiche a parte, di fatto, in casa, non c'era più niente di fresco da mangiare. Scatolette di vario genere sì, biscotti e merendine anche, ma niente di vagamente ipocalorico e salutare. Da quanto tempo lei e Otilia, la sua compagna di appartamento, non andavano a fare una spesa decente? O meglio, da quanto lei, Beatrice, non andava a fare la spesa portando con sé anche la lista dell'amica? Da almeno un paio di settimane. Dal preciso momento in cui lei aveva preso impegno formale seppure solo telefonico con l'albergatore ligure di consegnare entro marzo ben venti acquarelli - marini e distensivi - e aveva, contemporaneamente, accettato con entusiasmo (ed estrema leggerezza!) di illustrare una fiaba per fine aprile per una piccola casa editrice che voleva mettere sul mercato un prodotto - alternativo - , con immagini dipinte a mano e non realizzate al computer e il testo scritto con una stilografica! Un bel libro da - bei tempi andati e dal sapore un po' rétro - .
Beatrice si era divertita a leggere la fiaba con le avventure del Gufo Arturo e la Lucciola Lusinda che sgominavano una banda di ladri notturni cogliendoli in flagranza di reato tramite foto scattate col - flash della panciotta della lucciola - ma non aveva ancora trovato lo stile giusto per illustrarla. L'autrice, una bella donna sui cinquant'anni di origine inglese che era venuta a trovarla di persona, si era raccomandata di usare colori e sfumature molto - soft per i buoni e più forti e scuri per i cattivi - e affidarsi, se possibile, all'acquerello. Anche lei come il dottor Baruffi. E dire che Beatrice avrebbe preferito usare un altro mezzo pittorico: le chine e gli acrilici, ad esempio. Purtroppo il cliente ha sempre ragione, si era detta, soprattutto se è da questo o questa che dipende la tua sussistenza e, perciò, aveva detto sì agli acquarelli. A proposito di sopravvivenza, la priorità contingente era fare la spesa!
– Otilia! – Chiamò Bea a gran voce verso la camera chiusa dell'amica. – Oti, svegliati. È tardissimo. Dai, vieni a darmi una mano, almeno con la lista della spesa!
Nessuna risposta. Probabile che Otilia dormisse della grossa dopo una notte brava passata chissà dove in cerca di uno scoop per la sua tesi sperimentale. A Beatrice spiaceva un po' svegliare l'amica ma non se la sentiva di assumersi responsabilità alimentari. Con Otilia non si poteva mai dire. Lei era diversa dalle altre inquiline con le quali aveva diviso il suo appartamento. Dopo un anno di convivenza, Beatrice non avrebbe saputo dire quali fossero le vere abitudini alimentari di Otilia. Prima di lei c'era stata Dora la vegetariana e Roberta l'integralista, ma entrambe con gusti e preferenze ben definiti! Con Otilia era tutto un altro discorso e tutto dipendeva dalla - fase - del momento. Un po' come con Picasso o con la luna. E, infatti, Otilia era lunatica! Una volta si entusiasmava per diete tutto crudo, un'altra andava avanti per settimane a yogurt e frutta, e un'altra ancora a ciambelle e cioccolata! Chissà come si sarebbe svegliata quella mattina!
– Sei in fase ciambella? – Chiese Beatrice attraverso la porta chiusa. Niente. In compenso la loro gatta di tre anni, una banalissima europea tricolore a chiazze brune, bianche e nere e gli occhi gialli color topazio, balzò giù dalla sua sedia preferita e andò a strusciarsi contro le sue gambe. – Oh, Ciambella! Non stavo chiamando te! Però hai fatto proprio bene a renderti visibile perché sei a corto di pappe e croccantini! Vai, Ciamby. Torna pure ad arrotolarti ben bene sul cuscino. Quanto a Otilia o la sveglio di brutto o faccio di testa mia sperando di indovinare i suoi gusti. Bussò con le nocche sulla porta e, non sentendo risposta, abbassò la maniglia ed entrò. Nessuno. Otilia non c'era! Il letto era intatto, la stanza tutta in ordine. Bea richiuse la porta. Cosa mai poteva essere successo alla sua amica? Non era mai capitato che Otilia non rientrasse per la notte. Era successo un paio di volte che fosse arrivata a casa molto tardi, questo sì, ma era sempre, sempre rientrata! Beatrice tornò alla sua scrivania e trasse il cellulare dal primo cassetto. Lo accese e sperò di trovarvi un sms di Otilia della sera prima. Niente. Nessun messaggio. La chiamò e niente anche stavolta. Il cellulare di Otilia era spento o si trovava in un posto senza campo di ricezione. In ogni caso l'utente non era raggiungibile. Non è che stavolta Otilia aveva scovato davvero una storia da brivido e qualcuno le aveva fatto del male? Beatrice sentì che il cuore le accelerava i battiti. S'impose di calmarsi e andò ad accarezzare Ciambella.
– Ciamby, ho bisogno di un po' di pet therapy. L'altra tua padrona non è tornata a casa e ho paura che possa esserle successo qualcosa di brutto. Lo sai com'è Otilia, no? Sempre sopra le righe, sempre super eccitata, alla perenne ricerca dello scoop della sua vita per vincere il Pulitzer, che qui in Italia comunque non c'è. E non possiamo neanche chiamare sua madre a Chisinau, in Moldova, e farla preoccupare a migliaia di chilometri di distanza, dico bene?
Ciambella rotolò sulla schiena, pancia all'aria, zampe molli e rilassate, e cominciò a fare le fusa con gli occhi chiusi.

Maria Concetta Distefano

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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