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Autore: Francesca Mengucci
I misteri di Mashfill
Horror
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I misteri di Mashfill
2 maggio – Rose ha finito le uova.

Era ormai pomeriggio inoltrato quando Rose si accorse di non avere più uova. - Ma dove ho la testa, oggi? - disse alla cucina deserta.
In realtà, Rose sapeva benissimo dove aveva la testa: quella mattina aveva ricevuto una lettera che le aveva rovinato la giornata. Veniva dritta dallo studio dell'avvocato di suo marito e lì, nero su bianco, c'era la sua richiesta di divorzio. Non che avesse motivo di stupirsi, anzi; erano separati da talmente tanto tempo, ormai, che era strano non fosse arrivata prima. Eppure, quando Rose aveva aperto la busta e l'aveva letta, aveva provato un moto di rabbia.
- Al diavolo te e quella sciacquetta che ti ha mangiato il cervello! Spero si mangi anche tutti i tuoi soldi, bastardo! - aveva detto con la voce spezzata, mentre furiosa accartocciava la lettera.
Era convinta di essersi lasciata quella storia alle spalle. Il tempo guarisce ogni ferita, non si dice così? Ma anche se era vero che il suo cuore era guarito, si era formata una bella cicatrice... ora riaperta e sanguinante.
Quello che le faceva male non era tanto l'amore non corrisposto per il suo quasi ex marito, quanto l'umiliazione di essere stata liquidata con una formale e asettica lettera scritta in burocratese, come se si trattasse di affari. Non si era meritata una telefonata dopo tutti gli anni in cui lo aveva sopportato.
- Meglio così - aveva concluso dopo aver buttato giù un bicchierino che le aveva ridato un po' di calma. - E chi cavolo aveva voglia di rivedere quella tua faccia da merluzzo? Sto molto meglio senza di te, caro Fred. Brutto infame faccia da merluzzo - . Subito dopo aveva preso il plico con i documenti e lo aveva riposto in un cassetto; aspettare qualche settimana non gli avrebbe di certo fatto male.

Il matrimonio con Fred era finito tre anni prima. La loro era una storia banale: lui l'aveva piantata per una donna più giovane, molto più giovane. Era stata una bella batosta per Rose, che non se lo aspettava e si era sentita mancare la terra sotto i piedi.
Aveva trascorso i primi sei mesi a piangere e ad abbuffarsi. E ad attaccarsi alla bottiglia. E poi a piangere di nuovo. Chiusa in una bolla di puro dolore e umiliazione, si era isolata dal mondo. Sola e sconfitta.
In quel periodo aveva considerato la possibilità di farla finita: le sembrava una soluzione così perfetta e indolore. Aveva carezzato quell'idea, l'aveva coccolata, se l'era rigirata nella mente e nell'anima, come si succhia una caramella ripiena. Allettante, dolce, voluttuosa. Che bella vendetta sarebbe stata nei confronti di Fred!
Ma alla fine non era riuscita ad andare fino in fondo. Soprattutto, si era resa conto che per Fred faccia da merluzzo la sua morte sarebbe stata solo una liberazione, come togliersi un sassolino da una scarpa.
Un giorno, finalmente, aveva capito che doveva smetterla di piangersi addosso e cercare dentro di sé la forza di andare avanti. In fondo era una donna intelligente e piena di risorse. E anche carina, una volta che avesse perso i chili di troppo. Così aveva deciso: - Tornerò a casa! - .
- Casa - per Rose era la vecchia proprietà che aveva ereditato alla morte dei genitori: solida e accogliente, era una signora che portava i suoi anni con grande dignità. Ci era cresciuta, laggiù, nel piccolo paese di Mashfill.
Una volta arrivata aveva constatato con sollievo che, nonostante anni di incuria, la casa era in ottima forma. Durante il matrimonio era stata costretta a tornare laggiù da sola e, dopo la morte dei suoi, non vi aveva più messo piede. A Fred faccia da merluzzo non piaceva andare in campagna, lo si capiva già dal fatto che quando pronunciava la parola - campagna - arricciava quel suo grosso naso a patata, come se il solo suono gli evocasse all'istante l'olezzo della merda delle vacche. Al diavolo Fred!
Rose si dedicò anima e corpo a rimettere in sesto la proprietà: finalmente aveva uno scopo che non le lasciava il tempo di struggersi al pensiero del marito e della sua amichetta. Tutto quel daffare aveva compiuto un miracolo; certamente sulla casa, ma anche sulla sua vita tormentata. Si poteva considerare definitivamente uscita dalla bolla.
Una volta finita la ristrutturazione, la sua autostima era migliorata a tal punto che aveva deciso di aprire una locanda: avrebbe potuto contare su una cosa tutta sua.
La Rose House aveva avuto un discreto successo. Quello delle locande di campagna era un settore in via di espansione e Rose aveva avuto la fortuna di capitare nel posto giusto al momento giusto. Da qualche anno era diventato di moda trascorrere i fine settimana lontano dalla vita frenetica della città per immergersi nella tranquillità del nulla, e più era nulla, più quei perfetti cittadini erano contenti. Quelle che da secoli erano normali attività rurali rappresentavano ai loro occhi un'avvincente novità. Banalità come mungere una mucca, trebbiare un campo di grano e tosare una pecora erano spettacoli che li entusiasmavano. Così il sabato e la domenica se ne andavano a zonzo curiosi, pigolando e starnazzando, rumorosi come oche in uno stagno.
Ma quello che li attirava davvero in massa erano le zucche.
Mashfill era famosa per le sue zucche giganti. Si erano sempre coltivate zucche da quelle parti; il clima piovoso, la terra grassa e fertile e l'abbondanza di sorgenti d'acqua erano una combinazione vincente per la crescita di quel genere di ortaggio. Ma le zucche giganti erano tutta un'altra storia. Fin dalla prima volta in cui avevano fatto la loro comparsa era stato chiaro che non avrebbero potuto essere considerate soltanto un cibo; col passare del tempo la loro importanza nella vita della cittadina non aveva fatto che aumentare, fino a diventare il simbolo stesso di Mashfill.
Che questo legame fosse straordinario diveniva evidente nel mese di ottobre, quando si teneva un evento interamente dedicato a loro: il Festival della grande zucca.
In origine era nato come una semplice fiera, una delle tante il cui unico scopo era favorire il commercio di prodotti locali e spezzare la monotonia della vita di campagna. Ma le zucche giganti erano destinate a fare molta strada.
Il primo grande cambiamento ci fu quando si cominciò a organizzare una gara per premiare chi, tra gli abitanti di Mashfill, fosse riuscito a coltivare la zucca più grande. L'iniziativa fu accolta con un entusiasmo che ancora, a distanza di anni, non accennava a diminuire. Erano in molti – e il numero non faceva che crescere – a dedicare l'intera estate alla coltivazione delle zucche.
Il secondo grande cambiamento avvenne invece per puro caso, quando capitò al festival un giornalista che scriveva per una rivista di viaggi. Quell'anno un uomo si era aggiudicato il primo premio con una zucca di ben 1.163 chili: il giornalista capì subito che c'era del potenziale in quella faccenda delle zucche e scrisse un articolo corredato di foto che in seguito era stato ripreso da diverse testate. Mashfill ne ebbe un enorme ritorno di immagine e divenne una delle destinazioni più ambite per i viaggi autunnali, tanto da avere effetti sull'intera economia del paese, che visse un vero boom turistico.
In mezzo a tutte quelle zucche, la Rose House prosperava come un topo in un granaio. Andava tutto a gonfie vele, non fosse per il fatto che quel pomeriggio Rose aveva finito le uova per colpa di Fred faccia da merluzzo.
Guardò l'ora: erano già le sei, troppo tardi per arrivare allo spaccio giù in centro. Il guaio era che le servivano davvero quelle uova, doveva preparare la sua famosa torta alle noci ed era già in ritardo.
Quella sera si sarebbe tenuta la prima riunione in cui gli abitanti di Mashfill avrebbero cominciato a organizzare l'evento di ottobre. Rose aveva promesso di portare quella cavolo di torta e non era sua abitudine rimangiarsi la parola. E poi ci teneva a mettere in mostra le sue doti culinarie, in cuor suo sperava che l'avrebbero eletta a capo del comitato che avrebbe selezionato gli stand del cibo per il festival.
Si tolse il grembiule e, con un sospiro rassegnato, si preparò per uscire.

Myra Barrett, la sua vicina, non era un bocconcino delicato da mandare giù. Rose non sapeva mai come prenderla: a volte poteva essere molto gentile, a volte poteva pungere come uno scorpione. Aveva sempre un po' di timore quando era costretta a parlare con lei.
In compenso suo marito era un vero tesoro. Brian era il veterinario del paese ed era sempre gentile e disponibile, che si trattasse di animali o di esseri umani. A Mashfill tutti tenevano in gran considerazione le sue opinioni.
Rose affrontò la casa dei Barrett dal retro: i loro orti confinavano da quella parte.
A uno sguardo superficiale le due case potevano apparire identiche. Del resto, erano state costruite nello stesso periodo e con gli stessi materiali. Il nonno di Rose e quello di Brian erano parenti alla lontana e, una volta trasferitisi a Mashfill, avevano comprato insieme il terreno e anche il legname che sarebbe servito a costruire i due edifici, così le due costruzioni avevano preso vita in contemporanea, e dopo un secolo erano ancora lì a farsi compagnia.
Rose si districò tra le assi della staccionata che divideva i due terreni e si avventurò nel territorio dei Barrett. Passare da quella parte era come entrare in un altro mondo. Tanto era esuberante e rigoglioso il giardino di Rose, tanto era lineare e geometrico quello dei Barrett. Le aiuole erano delimitate da sentieri di ghiaia tenuti perfettamente puliti dalle erbacce; tutto dava l'impressione di essere incredibilmente ordinato, quasi asettico. Perfino i fiori sembravano recitare un copione, standosene rigidamente sull'attenti come tanti soldatini.
Quando arrivò all'altezza della casa la sua attenzione fu catturata dallo scodinzolio di Polly, la Springer spaniel della famiglia. I Barrett l'avevano relegata in un recinto che era stato ricavato in una rientranza dell'edificio e, anche se andava di fretta, Rose non poté fare a meno di avvicinarsi per accarezzarla. Polly si emozionò e si accucciò, perdendo qualche goccia di pipì. A Rose fece molta tenerezza, era un vero peccato che la cagnolina dovesse rimanere confinata lì dentro, ma sapeva che Myra aveva delle sue idee precise in proposito. Tante volte l'aveva sentita urlare perché Polly era entrata in casa; una volta l'aveva addirittura vista prenderla a calci. Lo faceva mentre pensava che nessuno la vedesse: ci teneva, alle apparenze.
Rose bussò alla porta della cucina e trattenne il respiro, preparandosi a sfoderare il suo miglior sorriso davanti a Myra. Si sentì sollevata quando ad aprirle la porta arrivò invece Brian, di sicuro lui non le avrebbe fatto perdere tempo in chiacchiere inutili.
- Ehi, Rose, ciao. Come va? - la accolse, sorridendo.
- Tutto bene, Brian, grazie. Sono passata a chiederti un favore; avresti delle uova da prestarmi? Ho dimenticato di comprarle e volevo fare la torta alle noci per stasera - .
- Ma certo, hai fatto bene a passare. Vieni, accomodati - e si fece da parte per lasciarla entrare.
- Posso offrirti un caffè, Rose? - .
- Oh... scusa, Brian, sei molto gentile ma vado di fretta. Quella benedetta torta ci metterà un'ora buona per cuocere e poi dovrò aspettare che si raffreddi prima di metterci sopra la glassa - .
- Come non detto - rispose Brian, andando a prendere il cesto con le uova dalla credenza in fondo.
Rose si guardò intorno. Non era la prima volta che entrava in quella stanza, ma come sempre rimase colpita dal candore che vi regnava. Myra faceva le pulizie con una dedizione assoluta, tutto sembrava sterile come in una sala operatoria. Rose non dubitava che se fossero esistite le olimpiadi delle faccende domestiche, Myra si sarebbe aggiudicata il podio in una moltitudine di discipline. Si era chiesta spesso quanti litri di candeggina usasse in quella casa ogni settimana, riusciva a percepirne il sentore in sottofondo anche in quel momento. Probabile che avesse impregnato perfino le pareti.
I ripiani della cucina erano di granito nero, tirato a lucido. Rose si sarebbe potuta rifare il trucco usandoli come fossero uno specchio. Non c'era un solo oggetto in giro; se non avesse già visto quella cucina avrebbe scommesso che era stata montata quella mattina stessa. Il grosso frigorifero d'acciaio emise un verso sordo, Rose si voltò e notò nella sua immagine riflessa una ciocca fuori posto. Si affrettò a ravviarla.
- Una dozzina bastano? - Brian interruppe i suoi pensieri.
- Oh sì, basteranno, grazie. Myra non c'è? - .
- Deve essere qui da qualche parte, l'ho persa di vista - rispose Brian, ammiccando con lo sguardo verso la porta della dispensa.
Rose trattenne un sorrisetto. Tipico di Myra nascondersi per evitare di parlare con qualcuno quando aveva una delle sue giornate storte, vale a dire spesso.
Brian avvolse le uova in fogli di giornale e gliele porse. - Ci vediamo più tardi alla riunione, allora - .
- A più tardi, Brian, e grazie ancora per le uova - .

Brian richiuse la porta e andò a sedersi al tavolo della cucina.
- Puoi uscire - disse rivolto alla porta della dispensa.
- Se ne è andata? Cosa voleva? - chiese Myra, uscendo dal suo nascondiglio.
- Non capisco che bisogno hai di andare a nasconderti. E per quanto riguarda cosa voleva, vorresti farmi credere che non te ne sei stata a origliare tutto il tempo? - osservò pungente Brian.
- Origliare? Io? Sai benissimo che... - .
Brian la interruppe: - Mia cara, vorrei farti notare che hai ancora i segni della cornice della porta sulla guancia. Devi aver premuto forte quel tuo orecchio per non perderti neppure una sillaba - . Lo disse con tono leggero e ironico; sapeva come prendere in giro la moglie limitando gli effetti collaterali. - Comunque, per tua informazione, è venuta a chiedere delle uova - .
- Le manca sempre qualcosa, a quella... - osservò lei piccata.
- Non essere ingiusta, Myra. Rose è un'ottima vicina, siamo fortunati - .
- Già, proprio una bella fortuna! Con quel viavai di gente che entra e che esce da quella casa, proprio una bella fortuna! - .
- Sono solo turisti, che male fanno? - .
- Lo so io che male fanno, lo so io. E comunque lo sanno tutti che Rose ha una passione per la bottiglia - concluse in tono di sfida.
Tacquero per un lungo minuto. Poi Brian si alzò e con tono conciliante disse: - Vado nello studio a fare un paio di telefonate, prima di prepararmi per la riunione di stasera - . Dopo un attimo di esitazione aggiunse: - Tu verrai? - .
Lei puntò i suoi occhi di brace dritti in quelli di lui. - Sai che ho da fare. Devo controllare che le gemelle abbiano fatto i compiti. Domani Dana ha la prova di matematica e l'ultima volta ha preso un'insufficienza. Lo sapresti se fossi venuto all'incontro con gli insegnanti, ma no, certo, tu avevi da fare. Dovevi lavorare, tu - .
Brian capì di aver fatto la domanda sbagliata e cominciò ad arretrare verso il corridoio, tentando di mimetizzarsi con la tappezzeria. Quando chiuse la porta del suo studio, Myra stava ancora blaterando.

Francesca Mengucci

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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