Leo stava patendo il caldo. Un caldo così umido e appiccicoso che nemmeno il climatizzatore installato in camera sua riusciva a combattere. Piccoli brividi fiorivano sulla sua schiena ogni volta che il sudore appena formatosi veniva raffreddato dall'aria condizionata. - D'accordo, siamo a luglio, ma così è troppo - Disse Leo, rivolto alla sua stanza, mentre il meticcio peloso sbuffava penosamente ai piedi del letto. L'uomo si alzò facendo cigolare le assi del matrimoniale che da tempo non condivideva più con la moglie e il muso del meticcio dal pelo color fulvo si staccò dall'amichevole frescura del pavimento per annusare l'aria circostante, incontrando lo sguardo ebete del padrone. - Hai caldo anche tu... eh, Cane-Jo? - Continuò, accarezzando il pelo morbido sul collo dell'amico animale. Il cagnolone di trenta chilogrammi aveva pressappoco un anno di età, Leo lo aveva trovato in un cassonetto della spazzatura: un batuffolo di venti giorni e un paio di chilogrammi di peso, affamato e piangente. - Vieni, ti do da bere - L'uomo si avviò con passo pesante verso un angolo della camera, prese la ciotola e la riempì con l'acqua fredda del lavandino del bagno. Un abbaio di smodata contentezza ravvivò il muso di Cane-Jo, la cui coda iniziò a scodinzolare come un pennacchio desideroso di spolverare un prezioso mobile antico e gli occhi marroni come castagne mature inviarono uno scintillio di felicità. Leo appoggiò la ciotola sul pavimento e l'amico, avido, vi tuffò la lingua. - Hai avuto il tuo drink, bello. Adesso tocca a me - Leo passeggiò a piedi scalzi verso la cucina del suo bilocale, aprì il frigo e inspirò l'aria fredda e notevolmente gradita dell'elettrodomestico. Poi prese una lattina di birra e se la tracannò in pochi sorsi, il suo pomo d'Adamo ballava una danza conosciuta andando su e giù come un ascensore impazzito. - Ricorda Cane-Jo, l'acqua è necessaria per la vita, come la birra lo è per lo spirito - Il peloso lo guardò piegando leggermente la testa di lato, probabilmente perché non comprendeva il linguaggio umano, sicuramente perché non era d'accordo con quella frase del suo padrone, buttata lì a casaccio. L'uomo, che in realtà si chiamava Leopardo (al momento di registrare il suo nome, lo stesso del Genio di Vinci, il dipendente dell'anagrafe comunale aveva sostituito la lettera N con una P) era un quarantenne di bell'aspetto, separato da due anni, con un leggero accenno di pancetta e un inizio di stempiatura. Leo sorrise al suo amico peloso, abbassò di un altro grado la temperatura del climatizzatore e tornò a sdraiarsi sul letto disfatto. - Hey, Cane-Jo, tra poco devo andare. Fuori, per la passeggiata quotidiana, ti ci porto dopo cena, ok? - Da qualche mese era stato assunto da un istituto per l'accoglienza di ragazzi con disabilità, con la mansione di autista. In poche parole, lui doveva recarsi all'istituto di proprietà dell'Ente per Disabilità alle sette del mattino, salire sul pulmino in dotazione dell'ente sopracitato e prelevare alcuni ragazzi disabili dalle proprie case, quindi trasportarli nell'edificio in cui avrebbero passato la giornata insieme a maestre, inservienti, terapisti e personale vario. Dopodiché poteva tornarsene a casa, fare i suoi porci comodi come appunto stava facendo adesso, quindi tornare all'istituto alle quattro del pomeriggio e riportare i ragazzi dalle loro famiglie. - Sono le due e mezzo, ok. Cane-Jo, sono consapevole che avremmo il tempo necessario per andare fuori. Ma io, con questo caldo, mi rifiuto. Sappilo! - Leo usava spesso rivolgersi al suo cane come fosse una persona, in fondo non parlava quasi mai con nessuno, amava definirsi un solitario. Un solitario per scelta. Sua moglie se n'era andata con un altro, lui dapprima ci aveva sofferto, aveva trascorso un mese fra pianti e rimuginazioni, fra telefonate a vuoto e sensi di colpa. Ma poi aveva deciso che continuare a piangersi addosso non sarebbe servito a nulla. Aveva quindi assunto il ruolo del solitario. Solo e felice. In seguito era arrivato il cucciolo e aveva capito che quella compagnia gli andava a genio. Quella era proprio la giusta compagnia. I primi tempi non riusciva a decidersi sul nome da affibbiare a quella creatura che lo riempiva di affetto allo stesso modo in cui cagava e pisciava nel suo bilocale, quindi lo chiamava semplicemente cane. In seguito, Leo pensò bene di aggiungere qualcosa al nome iniziale, piuttosto che cambiarlo totalmente. La scelta ricadde su Jo, il diminutivo di Giovanni, un suo grande amico d'infanzia, recentemente scomparso. Il cane lo guardava ora con la bocca semiaperta, una goccia di saliva che adornava la sua lingua catturò un raggio di sole e inviò un riflesso argenteo. Il climatizzatore ronzava come un calabrone affannato e pesante. Il letto cigolò di nuovo sotto il corpo di Leo, che si girava di continuo per trovare una posizione che fosse la più comoda e fresca possibile. - Devo essere all'istituto alle quattro in punto. Fammi gustare ancora un po' l'aria condizionata! Fuori ci andremo dopo. Ti ho mai detto che il pulmino dell'Ente per Disabili non ha il clima? - Gli confidò, con un occhio al soffitto e uno al radiocomando. In effetti, i mezzi di trasporto forniti dall'ente erano un po' datati. Il cane sbuffò ancora e abbandonò la speranza di un'uscita appoggiando la testa sul pavimento e chiudendo gli occhi. - Se vuoi saperlo, non nutro molta simpatia per quei ragazzi. Le loro famiglie poi... sono tutto un programma. Una madre apprensiva che si raccomanda al sottoscritto di stare attento a ogni curva del percorso. Un padre che mi guarda in cagnesco per motivi sconosciuti. Una sorella pettegola che vuol sapere come trattano il fratellino all'interno dell'istituto e via dicendo. Sapessi che palle! - Leo fece uno sbuffo prolungato a cui seguì un sospiro intenso che significava una sola cosa: noia. - Per non parlare di quello che mi pagano. Una miseria! - Cane-Jo non rispose a questa affermazione, anzi cercò di acchiappare al volo una mosca in grado di compiere acrobazie nei pressi del suo naso, ma senza successo. La sua bocca tornò a chiudersi, evidentemente insoddisfatta. - Una miseria. Ah, ma vedrai, caro amico mio, come saprò riscattarmi. Ho in mente grandi cose nel prossimo futuro... grandi cose - Mentre Leo continuava a lamentarsi del suo impiego, palesando la pallida intenzione di dare una svolta alla propria vita, il climatizzatore smise di emettere il solito ronzio e divenne silenzioso come un gigante che si fosse appena addormentato. L'aria all'interno della camera si alzò istantaneamente di due gradi. - Che cazzo è successo? Non dirmi che è andata via la luce... non lo sopporterei - Dichiarò, alzandosi di scatto e provocandosi un lieve accesso di vertigini, che passò quasi subito. Quindi mise mano al radiocomando e premette il pulsante ON per cinque o sei volte, senza ottenere risultati apprezzabili. - È andata via la luce. Per forza non funziona - Fu la conclusione a cui Leo arrivò dopo aver constatato che più premeva il pulsante ON, più tutto rimaneva com'era. Andò quindi in cucina a stabilire se il contatore avesse messo in funzione il salvavita o robe simili, ma gli cadde l'occhio sul frigorifero. Lo aprì. Vide la luce di una lampadina accesa. Sentì freddo. La luce e il freddo emisero una chiara sentenza, che Leo capì immediatamente. Annuì dunque con vigore, dimenticando però di chiudere lo sportello. - Non è colpa della corrente, allora. È quel cazzo di climatizzatore che non funziona! - Imprecò ad alta voce rivolto a sé stesso, alla cucina, al cane e a tutto il calore che stava riempiendo il bilocale. Tornò in camera, pronto a prendersela con quello stupido aggeggio tecnologico acquistato a sconto, in primavera. Prese il radiocomando, lo aprì e prelevò le due pile stilo. - Maledette. Terminate la vostra carica sempre al momento sbagliato - Asserì, gettandole per terra. Cane-Jo si alzò faticosamente sulle zampe e andò ad annusare quel rifiuto tecnologico che non inviava ai suoi recettori nessun buon odore di cibo. Leo prelevò da un cassetto altre due pile che teneva di scorta e riempì con esse lo scomparto del radiocomando, mentre una sensazione di sollievo gli accarezzava la mente e un rivolo di sudore faceva lo stesso con il suo collo. Il pelosetto gli andò incontro con la curiosità innata di un amico fedele. Leo appoggiò il pollice sul pulsante ON, aspettandosi di sentire il beneamato ronzio del produttore di aria fredda confezionata: l'illusione durò un secondo. Un solo secondo in cui l'aggeggio emise un suono rauco in fa diesis e un'ultima, cupa nota di disperazione, a conferma della fine di qualsiasi speranza. - Morto. Se lo vuoi sapere, questo fottuto marchingegno è morto. Finito. Andato! - L'uomo gettò il radiocomando sul letto e questi produsse un tonfo ovattato sulle lenzuola calde. La mosca appena scampata dalle fauci del cane andò a posarvisi, saggiando con le proprie antenne quella superficie di plastica che non le avrebbe mai regalato l'emozione di un lauto pranzetto. Cane-Jo lasciò la camera e diresse la sua attenzione al frigorifero in cucina che, rimasto aperto, emanava non solo un'immediata sensazione di freschezza, ma allettava i suoi recettori nasali con l'odore gradevole di carne, precisamente vitello tonnato. Nell'altra stanza, Leo bestemmiava con il pugno rivolto al muto marchingegno, la schiena sudata e il respiro affannoso. Prese dunque una decisione. Si armò di un cacciavite arrugginito che teneva sul comodino per i casi più disparati in cui ce ne fosse stato bisogno, agguantò la sedia girevole dalla scrivania su cui dormiva lo schermo di un computer, la posizionò sotto al climatizzatore e lo raggiunse montando su di essa. - Ora ti aggiusto io - Leo cominciò ad agire sulle viti con l'audacia di un guerriero pronto per andare in battaglia e la sciupata maestria di un elettricista ubriaco. Il cucciolone, intanto, deliziava la sua gola con il gelido sapore del vitello tonnato, che il frigo gli aveva appena dato in dono. Leo riuscì a svitare il coperchio del marchingegno e mentre lo teneva sospeso con una mano, con l'altra armeggiava all'interno di esso, cercando di capire dove stava il guasto. La sedia, nel frattempo, mandò un sibilo di avvertimento: le ruote si mossero di due centimetri sulle mattonelle e la seduta fece uno scricchiolio di protesta. Leo staccò un altro pezzo di plastica e gettò entrambi per terra, quindi considerò di lavorare con tutte le dita a sua disposizione. Il rumore dei pezzi di plastica nell'altra stanza generò soltanto un infinitesimo fastidio alle orecchie di Cane-Jo, che continuò a cibarsi del vitello tonnato come un vegetariano blasfemo che avesse rinnegato il suo credo. Leo tolse, finalmente, il filtro del climatizzatore e notò una grande quantità di polvere far bella mostra di sé. - Una quantità tale da impedire il normale flusso dell'aria e la conseguente rottura del sopracitato aggeggio. Ovvio - Disse il tecnico che era dentro di lui, rivolto al cane che, nella cucina, si stava dando da fare a risolvere, non tanto il problema del caldo, quanto quello del suo vasto appetito. La sedia su cui l'uomo stava in piedi, in precario equilibrio, si mosse di un altro paio di centimetri in direzione della scrivania, come un animale che avesse puntato la sua preda e le si stesse avvicinando meticolosamente, con l'intenzione di spiccare il balzo. Leo iniziò a ridere a crepapelle, consapevole di aver trovato il guasto e avere quasi sconfitto il nemico. - Siamo alla resa dei conti - Furono le ultime parole che pronunciò, un attimo prima di perdere aderenza con la sedia, che si era decisamente avventata contro la preda scivolando verso di essa a velocità sostenuta, con le quattro ruote che sembravano impazzite e lo schienale che pareva una bocca spalancata pronta a ingurgitare, se non l'intera scrivania, quantomeno lo schermo del computer sopra di essa. Leo ebbe solo il tempo per un barlume di pensiero in cui formulava la muta speranza di non farsi troppo male. Dopodiché, il suo breve volo terminò con un tonfo sul pavimento e il conseguente svenimento, provocato dall'avere sbattuto violentemente la testa sul comodino in legno massello, prezioso regalo di sua nonna. Cane-Jo finì l'ultimo boccone di vitello tonnato e si mise a leccare il piatto che lo conteneva. Questa operazione richiese un altro paio di minuti, dopodiché andò a vedere cosa cazzo era successo in camera.
Gianluca Piattelli
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