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Autore: Tommaso Poli
La casa di Zafferano
Romanzo di genere
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La casa di Zafferano
Si accende un sigaro. Tira fuori una bottiglia di whisky che si fa portare a posta dall'america, quel dannato whisky da 180 dollari a bottiglia.
- Non fumare in casa! Mi sembra di avertelo già detto. -
Gina odia l'odore del sigaro. Lo ha sempre odiato ma non è da molto che esprime il suo dissenso. Fino a qualche mese fa non diceva niente. Lasciava che Azelio si gustasse quel momento. Capiva che quello era un momento che gli serviva per rilassarsi un po', per ammorbidire i nervi. Gina ha sempre cercato di capire. Gina è una donna intelligente, colta, di quelle che in borsa hanno sempre un buon libro da leggere. Ha sempre pensato che il buon senso sia l'unica cosa che può salvare le famiglie, i matrimoni, il mondo.
"Allora non stavi dormendo..."
Azelio lancia quella domanda come una provocazione. Gina va verso il lavabo della cucina.
"Potevi anche mettere i piatti nella lavastoviglie."
"Potevi anche cucinare qualcosa."
Gina continua a guardare il muro davanti a lei. Non le è piaciuta quell'insinuazione.
"Guarda che anch'io lavoro. Che diritto hai più di me di trovare la cena pronta?"
Azelio sbuffa una nuvola di fumo, porta il bicchiere alla bocca. Si bagna appena le labbra. Non risponde. Sta in silenzio per un po'. Rimane fermo, con il suo sguardo paludoso, freddo, sperduto in un altro mondo. Utimamente gli capita spesso quando è a casa; galleggia in quella situazione frustrante, in qual mare di malinconia e solutidine, senza riuscire a venirne fuori. Avrebbe potuto aggrapparsi a suo figlio, a sua moglie, a quello che ha lì davanti a sé, e invece no, resta incagliato in quella risacca di pensieri. Rimane immerso in quella bolla. Si vede che da qualche tempo si sente fuori luogo fra quelle mura domestiche, inutile come una matita spuntata nella mano di un'artista.
"Ho un contratto importante fra le mani. Due baroni dell'alta finanza mi vogliono affidare parte del loro patimonio, mi vogliono nella loro squadra. Ho bisogno di tempo... di concentrazione. Devo studiare i loro asset finanziari..."
Ha lo sguardo questuante, mentre agita il bicchiere con un senso rotatorio, e il whisky si aggrappa al vetro per poi colare lentamente.
"Mi gioco la carriera, Gina, mi gioco la stima dei colleghi... mi gioco tutto."
Tira ancora dal sigaro. Il fumo gli nasconde la faccia. Ha le spalle un po' ricurve, chiuse sul petto.
"Ma tu cosa vuoi capire..." Il tuo lavoro è pulire il culo a dei mocciosi. Lo pensa senza avere il coraggio di dirlo.
"No, caro mio, sei tu che non capisci." Gina non si volta, dà ancora le spalle a suo marito, lo schernisce con una risata.
"Gina, non puoi biasimarmi. Non ti faccio mancare niente". Già. Non ti manca nulla, hai una casa, una bella macchina sotto il culo, l'abbonamento a una delle migliori palestre, vai dall'estetista e dalla parrucchiera ogni volta che ti pare... cosa cazzo vuoi?! Cosa cazzo mi rompi i coglioni?!
"Rivoglio il ragazzo che ho sposato." Sembra avergli letto nel pensiero.
Gina ripensa a quando si sono conosciuti. Erano entrambi all'università. Lei studiava scienze dell'educazione, lui economia e commercio. Un giorno vide un giovanotto con una maglietta dei Rolling Stones, quella con quel paio di labbra carnose e la lingua rossa, e un paio di Converse blu sbiadite e logore. Erano gli anni in cui Azelio attraversava il suo periodo di ribellione giovanile... aborriva le buone maniere, il conformismo, la società borghese alla quale apparteneva. Un giorno Gina gli si avvicinò con una scusa improbabile. Sì perché il primo passo lo fece lei. Suo padre gli mise quel nome a posta. Ginestra... È un fiore testardo, cresce sui cigli delle strade... ed è un fiore bellissimo. Sapeva già che sua figlia sarebbe stata così, caparbia e bellissima come quel fiore tenace. Passavano i pomeriggi in biblioteca, a studiare. Poi di soppiatto sgusciavano nello stesso bagno. Si stropicciavano un po' sotto i maglioni, e si saziavano di baci che sembravano promettere un futuro come quello delle favole. Tutti dicevano che erano una coppia perfetta, che era scritto da qualche parte nelle stelle che dovevano incontrarsi.
Oggi, Azelio vorrebbe risponderle che quel ragazzo non c'è più, che la vita è un gioco duro, fatto per chi sa digrignare i denti e assestare pugni sotto la cinta. Chi non ha ambizioni in questo mondo è inutile, occupa spazio e basta. Quello smidollato idealista non vive più dentro di lui, è morto insieme a tutte quelle idiologie urlate nei cortei dei centri sociali, alle lotte studentesche.
Poi si alza. L'articolazione del ginocchio fa rumore, come di un legno che si spezza. Una vecchia ferita di quando giocava a calcio da ragazzo. Posa il bicchiere sul tavolo. Un ultimo tiro di sigaro e quel che rimane lo schiaccia nel posacenere. Si avvicina piano a Gina e le si ferma dietro. Le mette le mani sopra le spalle. Lei è piccola, e scalza sembra ancora più bassa. Le massaggia la schiena con movimenti languidi. Inizia a baciarle il collo. Lei abbassa la testa, si porta i capelli avanti. Lo lascia fare, poi rialza la testa e osserva il soffitto con lo sguardo precipitato in un vecchio rimpianto.
"Azelio, fermati." Prova a scrollare le sue mani di dosso.
"Eli, ti ho detto di fermarti." Era da tempo che non lo chiamava più così... Eli. Lui le sgancia la gonna, e la lascia scivolare per terra, leggera, come una foglia che fluttua nell'aria. Le abbassa le mutandine.
"Brutto bastardo, non pensare che una scopata mi faccia cambiare idea. Rivoglio il ragazzo che ho sposato!"
Azelio si abbassa i pantaloni. Ha voglia di farsi una scopata dura, di quelle che ti fanno godere e soffrire. Gina allarga le gambe, in modo arrendevole, facendo solo un po' di resistenza, tanto per non sentirsi del tutto complice. Lo odia. Ha deciso di accoglierlo come si accoglie un ospite sgradito. Poggia le mani sul bordo del lavabo. Vuole essere sottomessa. Lo lascia entrare. Sa già che quando sguscerà fuori si sentirà di nuovo depredata, svuotata di qualcosa. Perché lui fa così, entra nelle vite delle persone e si porta via qualcosa. Quando è entrato in quella di Gina si è portato via la sua verginità, si è accaparrato tutto il suo cuore, e adesso le ha portato via anche la felicità. Ci mettono tutta la foia che hanno in corpo. Hanno voglia di sentirsi sporchi, di sentirsi colpevoli. Per un momento avere l'illusione di riuscire riempire quel vuoto con gli umori del loro corpo. Ma sono già arrivati al punto di darsi fastidio. A volte si fanno senso, una specie di ribrezzo che si infila in un brivido, che si annida nel solco di una smorfia. Non bevono più dallo stesso bicchiere, non sopportano più l'odore della pelle sudata dell'altro. Qualcosa si è perso, disciolto piano, diluendosi in quelle serate silenziose, con la tv accesa, senza dirsi più niente. E allora pensano di metterci una toppa. Un'altra. La prima è stata Duccio. Li ha riavvicinati per un po'. Le poppate di notte, i pannolini pieni di cacca, le bizze al supermercato... gli ha dato l'illusione di essere di nuovo una coppia, una squadra. Ma quel legame è tornato a sciogliersi, come un nodo fatto male. Serve qualcos'altro. Forse serve una trasgressione, che faccia da scintilla e che riaccenda tutto, che riattizzi un fuoco quasi del tutto sopito. Alcuni loro amici hanno pensato di superare quello stallo facendosi l'amante. Infilarsi in un corpo al quale non devi niente. Entrare dentro un altro tempio e profanarlo con un coito furtivo, dissacrante. Un corpo che non ti appartiene, che non è tuo, che non ti spetta. Scopare altra carne, senza decenza. Scopare di nascosto, con l'assillo costante di essere scoperti con i pantaloni calati, ebbri di quell'immoralità oscena delle cose proibite. E godere a briglia sciolta, senza dare e senza pretendere niente di dignitoso, di umano. Appagati di quell'amplesso pagano e adultero, che ristora il corpo e che ti mette addosso la nostalgia delle persone che ti stanno aspettando a casa. Altri loro amici, invece, hanno pensato allo scambio di coppia. Lo avevano proposto anche a loro. Ma come fai a portarti a letto la moglie del tuo amico... con quale coraggio poi lo guardi negli occhi? Gina vorrebbe gridare. Vorrebbe buttare fuori quel piacere scadente. Vorrebbe vomitarlo come si vomita dopo un'indigestione. E allora mugola qualcosa che sembra più il pianto di un gatto rimasto sotto le ruote. Azelio le tappa la bocca con una mano.
"Zitta... "
Ha paura che Duccio li senta. Ginestra non riesce a stare zitta. Ansima. Grida ad Azelio di non fermarsi. Ha voglia di viversi quel momento. Non ha più voglia di raggiungere il piacere masturbandosi. Ha voglia di sentire il suo sesso a contatto con una carne che non sia la sua. Ha voglia di sentire il fiato di un uomo che le ansima alle spalle, ha voglia di saliva calda e collosa che le imbratta la faccia, la schiena. Ha voglia di regalare ancora piacere. La fa sentire di nuovo donna, di nuovo viva.
"Oh mio Dio!... oh mio Dio!"
Azelio le tappa di nuovo la bocca. Lei gli morde un dito. Vengono insieme, come succedeva quando erano una vera coppia.
"Ahi! ma sei matta?!"
In fondo era quello che voleva. Piacere e dolore.

Tommaso Poli

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