Amanda
- Amanda, non lo prenderai come un vero e proprio appuntamento, spero. State solo andando a un convegno insieme. Un convegno, non un aperitivo! - Sistemo distrattamente sul tavolo gli innumerevoli fogli da firmare e guardo con la più dolce delle mie espressioni Carla, collega e compagna di sventure. - No, non fissarmi in quel modo. Lo sai che i tuoi occhi non hanno alcuna presa su di me. Prova a posarli sul tuo bellissimo dottore, magari otterranno un effetto diverso - . Mi lancia, ridendo, una palla di carta. - Carla, me lo sento. Sarà un convegno da ricordare - , esclamo con ottimismo. - Sì, sì... vedremo! - Mi rivolge uno strano sorriso, di quelli che ti fanno sentire poco considerata. Decido di non farci caso, consapevole di sbagliare, a volte, ma di riuscire perlomeno a sognare. La mia amica si allontana con il carrello delle medicazioni mentre io medito un piano per avere successo in quella che considero la mia unica occasione. Cerco il foglio dei turni e, per la ventesima volta dall'inizio del mese, confronto le mie giornate con quelle del dottor Gabriel Fondi: domani, finalmente, avrò modo di vederlo e di caricare i miei sensi grazie alla sua presenza. Percorro a passo svelto il lungo corridoio che separa le diverse sale visita dalle stanze dedicate alla degenza dei pazienti, assorta nelle mie sempre più frequenti riflessioni. Ripenso al sogno che mi accompagnata fin da quando ero bambina: indossare una divisa e aiutare gli altri. Una vita di sacrifici, questo è quello che mi è stato sempre detto, fin dall'inizio, ma io volevo conoscerli, questi sacrifici. La divisa la volevo indossare a ogni costo, senza nessun timore di sbagliare strada, e così ho fatto, precludendomi la famosa raccomandazione che mia madre avrebbe ottenuto dal suo - amico - funzionario di banca. - Amanda, allora diventa medico! - Mia madre ha tentato fino all'ultimo di dissuadermi, scontrandosi con le mie negazioni. - No, assolutamente! Io diventerò un'infermiera e sarò la migliore sul campo - . Beata ingenuità! Se potessi tornare indietro godrei di gambe riposate, maggior tempo a disposizione e un viso rilassato! Avevo appena compiuto sedici anni quando presi quella decisione, complici le fantastiche puntate dei telefilm sui medici, e a distanza di tredici anni posso dire, tralasciando per un momento il mio scarsissimo lato più umile, di essere arrivata abbastanza in alto. Sono coordinatrice infermieristica dell'Unità Operativa di Pronto Soccorso di un ospedale della mia città, Roma, che conta un bacino di utenza di trecento pazienti al giorno; ho un viso che trapela stress da ogni poro e delle fasi lunari maledettamente alternate. Gestisco la mia vita meravigliosamente bene o, perlomeno, tento di farlo: ho delle amiche - fuori di testa - , una famiglia nella media, con i suoi alti e bassi, e poi ho lui, Gabriel, l'uomo più affascinante della terra; anzi, che dico, della galassia! Sull'ultima parte ammetto di aver mentito: Gabriel non è mai stato mio, ma ciò non toglie che presto le cose potrebbero cambiare. Nel lungo cammino della mia piatta vita, da qualche giorno a questa parte l'unica fonte inesauribile di euforia è, senza ombra di dubbio, l'incontro che a breve avremo insieme. Dopo un anno di sguardi fugaci e unidirezionali, ossia da me a lui, il nostro appuntamento volgerà, sicuramente, in un post serata elettrizzante.
***
Guardo continuamente il grande orologio attaccato al muro, aspettando che le lancette si avvicinino il più possibile al numero due, indicatore della fine del mio estenuante turno di lavoro. La mia attività di coordinatrice è meravigliosa se fatta con passione e professionalità, ma sfiancante quando ti addossa la responsabilità di riportare la quiete in un reparto dove, perlopiù, vige il caos. L'organizzazione dei turni, la copertura delle malattie, l'affiancamento dei nuovi professionisti, il rapporto con i medici, il supporto tecnico durante le procedure: tutto si riassume in un logorante e continuo su e giù per i corridoi. Nonostante ciò amo tutto questo, amo quello in cui ho sempre creduto e in cui mi sono battuta, dando a me stessa questa grandiosa opportunità di vita. Mi volto nuovamente verso l'orologio, sorridendo a quelle lancette che hanno appena annunciato la fine del mio turno. Controllo per l'ultima volta che tutto sia in ordine e che le consegne lasciate al turno successivo siano chiare, poi raggiungo la mia amica e, come ogni giorno, mi affretto a farle la mia proposta - indecente - . - Ci prendiamo un caffè al bar prima di andare via, Carla? - - Va bene, capo - . In linea di massima non ammetto repliche, considerando che venero il caffè nella stessa proporzione in cui gli antichi romani adoravano gli dèi. Risaliamo le scale, che dal piano interrato in cui è ubicato il pronto soccorso danno accesso al cortile interno dell'ospedale, e raggiungiamo uno dei due bar a gestione esterna. Apro distrattamente la porta, gustandomi l'aroma di caffè nell'aria, mentre continuo a conversare con Carla. Durante l'apertura trovo però una strana resistenza che mi costringe a guardare cosa ci sia dall'altra parte. - Ehi, bellezza! Si è accorta che mi ha sbattuto la porta in faccia? - Una voce tenta di farsi largo tra il caos delle tazzine battute tra di loro. Divento rossa per la vergogna, ritiro la porta verso di me e vedo lui: un uomo altissimo, spalle enormi e una divisa di ambulanza sporca del caffè che stava prendendo e che, probabilmente, devo avergli fatto rovesciare addosso. Tento di giustificarmi per lo spiacevole inconveniente: - Mi scusi, non so davvero cosa dire. Mi dispiace davvero - . - Be', potrebbe cominciare dal suo nome, ad esempio - . La sua strana richiesta mi coglie alla sprovvista, impedendomi di riuscire a formulare una frase di senso compiuto. Imbarazzata, guardo verso il basso, sperando di scomparire come il più grande illusionista di tutti i tempi. Mi sento quasi spogliare dal suo sguardo e non riesco proprio a tollerare questo senso di imbarazzo, non una come me! Carla mi sussurra all'orecchio: - Amanda, che colpo hai fatto. Che uomo! Affonda, ti prego, affonda! - Le rispondo bisbigliando un semplice - Finiscila - , mentre in realtà il mio occhio tenta di tradirmi, indugiando troppo su quel ben di dio che mi trovo di fronte. - La sua amica ha ragione. Dovrebbe affondare il colpo, signorina Amanda... - Io e Carla ci guardiamo sbigottite e paonazze, la stessa espressione assunta dai bambini quando vengono colti a fare qualcosa di sbagliato. Come ha fatto a sentirci? Lo sconosciuto ci guarda fiero e divertito, e accennando un saluto con la mano posa sui palmi di Carla la tazzina di caffè, costringendomi a tenere aperte porta e bocca contemporaneamente. Lo guardiamo allontanarsi, mentre il cuore comincia ad accelerare i battiti. Sarà per la misera figura o per altro? Chi sei tu? Da dove sei uscito? - Amanda? - , balbetta la mia amica, cercando di riprendere in mano la situazione. - No, non dire nulla. Lo so, ha il fondoschiena più bello di tutti quelli vagliati negli ultimi anni - . - Decisamente - . Rimaniamo a contemplarlo come se fosse il più bel Bronzo di Riace fino a quando Mario, il barista, riesce a conquistare la nostra attenzione. - Amanda, da quanto non vedi un uomo? Dalla preistoria? Piccola mia, bisogna correre ai ripari. Ci penso io, ho uno speed date pronto per te! Partecipo anche io e magari ci fidanziamo, non si può mai sapere - , annuncia orgoglioso e quasi urlando. Tutto il bar sembra interrompere qualsiasi attività per scrutare il volto della sfigata di turno. Ottimo! Buon fine giornata a me e domani sarà soltanto un altro giorno.
Chi sei tu?
- Hanno allertato la sala rossa. Tutta l'equipe si faccia trovare pronta! - Chiamo a raccolta i colleghi del mio turno assegnando, a ognuno di loro, un compito da svolgere. Questa è la mia routine, questo è ciò che riesco a gestire meglio, questo è quello che ho sempre voluto fare: mantenere in vita le persone, prendendomi cura di loro fino alla fine. Difficile? Sì. Tremendamente complesso. Ci sono giorni in cui vorrei piangere, sprofondando la testa tra i cuscini di casa, e giorni in cui non riuscirei proprio a smettere di gioire delle bellezze della vita. Non sono isterica, giuro, è semplicemente quello che gli specialisti chiamano burnout, ossia una delle tante sindromi che affligge i sanitari nel processo stressogeno al quale sono sottoposti. Dal canto mio, lo definisco semplicemente: statemi alla larga, oggi sono psicopatica. Mi ritrovo a essere la colonna portante dell'intero pronto soccorso, la base che tutti considerano solida per sorreggersi, e, purtroppo, quando mi fermo e mi immedesimo in questa parte, penso: Sì, va bene, qualcuno supporterà me, invece, quando ne avrò bisogno? Questo pensiero dura solo un attimo, poi è sovrastato dal senso di responsabilità verso chi, da solo, non ce la può fare. Ed eccola qui, un'altra vita da salvare, priva o meno di coscienza, con quel suo angelo custode che si è distratto un attimo e ha rischiato di lasciarla andare via per sempre. Salvare. È sempre possibile salvare qualcuno dalla stretta della morte? Non mi considero un angelo sulla terra, essendo effettivamente sprovvista di ali, ma ce l'ho sempre messa tutta per non lasciare andare ogni creatura di Dio. Spesso ho dovuto ammettere la mia sconfitta, la nostra sconfitta, spiegare a persone sofferenti perché non ce l'abbiamo fatta. Tali sono i demoni che combatto ogni giorno. In questo frangente, tutto ciò che è possibile fare deve essere compiuto fino alla fine, azione dopo azione, tecnica dopo tecnica. - Iniziare la rianimazione! - Il dottor Fondi indica all'équipe ogni passo da ultimare. Per mia immensa gioia, e fortuna, è il suo turno di guardia e sì, lo so che non dovrei avere certi pensieri in questo momento, infatti non andrò oltre per non sentirmi in colpa. Devo ammettere, però, che la sua professionalità rende tutto più semplice; quest'uomo ha tutte le caratteristiche che lo rendono unico nel suo genere. La voce del medico risuona forte e autoritaria tra quelle degli operatori e sovrasta i suoni dei monitor. E quando tutto sembra finito è proprio lì che inizia la meraviglia della vita: il cuore riprende la sua attività. - Complimenti, ragazzi - . Il dottore ringrazia tutti e si asciuga il sudore con un movimento veloce. In questi brevi momenti che sembrano interminabili ognuno mette in ogni azione anima, corpo, fatica, disperazione, speranza e adrenalina. Un misto di emozioni che si interscambiano e che non si fermano mai nell'unico obiettivo comune: salvare quella vita. Fisso i miei colleghi con orgoglio e Gabriel, fiero e con lo guardo pieno di gioia, ricambia il mio sorriso. Ahimè, non riesco a distogliere gli occhi dai suoi, sopraffatta da un turbinio di emozioni senza fine. Non mi rendo neanche conto che, lentamente, il mio corpo ha preso a muoversi verso il suo, rendendoci, tutto d'un tratto, fin troppo vicini. Lo sento, quel brivido sulla pelle, quella voce nascosta nel profondo che sembra voler esplodere gridando: Prendimi ora, stringimi. Invece no, lui si allontana e il mio meraviglioso film mentale svanisce, lasciandomi come sempre quella fastidiosa sensazione di amaro in bocca. Perché non mi noti? Sotto questa divisa, i capelli sporchi, le occhiaie e le gambe non depilate c'è un'affascinante donna. Butto i guanti sporchi nello smaltimento e mi siedo al computer per scrivere i parametri rilevati. Un'ultima occhiata al perfetto fondoschiena del mio medico e via, la versione dattilografa prende possesso di me, continuando però a fantasticare.
***
La voce possente di un uomo, dall'altra parte della stanza chiusa, dissolve in un istante il mio sogno a occhi aperti. - Abbiamo un'emergenza! Uomo di quarant'anni accoltellato! - Sento il rumore di una barella che pur di entrare sfonderebbe la porta della sala rossa. - Perché non siamo stati avvertiti? - urlo paonazza, alzandomi di scatto dalla scrivania e facendomi strada verso il pulsante per aprire le porte. - Secondo lei avevamo il tempo di avvertire? - La voce maschile spezza le mie parole. Ringhio a quella risposta arrogante e mi mordo la lingua, per evitare conflitti e non sembrare troppo sgarbata. Self control, ragazza! La porta si apre lentamente mostrandomi lui. L'uomo del bar. Le braccia ricadono lungo i fianchi, spossata dalla fatica che la sua figura reca alla mia mente. Si può odiare una persona così profondamente, senza neanche conoscerla? I suoi modi di fare bruschi, accompagnati dalla potente voce, riescono fin troppo facilmente a urtare il mio sistema nervoso. Chi sei tu? mi ritrovo a pensare intensamente. - Io? Io sono Andrea! Che facciamo, caposala, rimaniamo a guardarci o procediamo? Anche perché sta occupando tutto il passaggio con quel fondoschiena enorme - . Avvampo, non credendo alle mie orecchie. Come si permette? E poi che fa questo tizio, legge nel pensiero? Maledetto sbruffone, cafone, arrogante e presuntuoso troglodita! Calmati, Amanda, ora sii seria e professionale, poi fuori di qui potrai tranquillamente sfogarti. Rifletto e con lunghi respiri cerco di ritrovare la lucidità, ormai persa dietro quella figura mastodontica. Mi volto verso l'équipe ancora presente in sala rossa, impegnata a prendere tutti i presidi utili del caso. - Ragazzi, preparate tutto! Ognuno di voi sa cosa deve fare. Chiamate il dottor Fondi sul cercapersone, è urgente! E tu... - Guardo con rabbia quell'uomo insopportabile. - Esci immediatamente da qui - , lo ammonisco. - Agli ordini, capo - . Strizza l'occhio e se ne va. Cerco di fingere una calma che ho ormai perso del tutto, conscia che i miei colleghi hanno bisogno di me. Adesso solo questo conta.
Sharon R
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