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Autore: Barbara Ann Parker
Susan. La paura di impazzire
Thiller
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Susan. La paura di impazzire
Nel pieno della notte il tranquillo silenzio della casa, fu squarciato da un fortissimo rumore che fece balzare a sedere sul letto Susan. Spalancò improvvisamente gli occhi, respirando affannosamente uscendo a fatica da quel sonno pesante e privo di sogni, nel quale ogni notte sprofondava e che la lasciava spossata e per nulla riposata.
Con il cuore che le batteva nel petto così forte da coprire ogni suono intorno a lei, impiegò qualche attimo per capire quali fossero i rumori abituali che la circondavano per cercare di individuare quello che l'avesse svegliata così bruscamente.
I primi suoni di cui fu conscia furono quello della pioggia che batteva violentemente sui vetri e del vento che faceva frusciare le fronde degli alberi.
Realizzò che, come tante altre volte prima di quella sera, ciò che l‘aveva destata era stato un rumore diverso da quelli che in genere animavano la vecchia casa ed ai quali il suo orecchio era abituata. Ed il vento e la pioggia non erano così violenti da poterla svegliare.
La paura la paralizzò, rimase immobile nel letto per qualche secondo poi lentamente la razionalità della quale andava fiera ritornò a farsi strada in lei.
Fece un respiro profondo nella speranza di riprendere il controllo di sé stessa.
Rassicurata dalle tenui fiamme che brillavano nel grande camino di marmo bianco posto di fronte al letto, accese l'abatjour sul comodino. Da quando erano iniziati i problemi si era imposta di spegnare sempre ogni luce della camera.
La sua luce soffusa illuminò l'ambiente intorno a lei, consentendole di esaminare velocemente con un'occhiata la grande camera da letto in modo di potersi accertare che tutto fosse come doveva essere.
Subito il suo sguardo si posò sulla preziosa toilette, dove ogni sera si sedeva per spazzolarsi i lunghi capelli neri naturalmente mossi. Quel rituale serale per lei era diventato molto importante. La riportava ad uno dei pochi ricordi che aveva della madre, lei bambina seduta davanti alla toilette, la mamma che alle sue spalle le passava fra i capelli una morbida spazzola e la conversazione che sempre uguale si svolgeva fra loro:
- Ricorda Susan ogni sera cento colpi di spazzola renderanno i tuoi capelli splendenti. -
- Mamma ma proprio cento, sono tanti e mi si stanca il braccio quando non ci sei tu a farlo. -
Ridendo la mamma ogni volta le rispondeva: - Va bene piccola mia, facciamo venti colpi ma non di meno. Dei cento mi occuperò sempre io. -
Con uno sguardo intenso continuò a ispezionare con estrema attenzione ma sistematicamente l'ambiente intorno a lei.
La cabina armadio, dalla cui porta socchiusa filtrava la luce che durante la notte non veniva mai spenta, la dormeuse dove abitualmente si riposava il pomeriggio, le due poltroncine ai lati di un tavolino fine 800 colmo di libri.
L'ampio scrittoio, con le foto dei suoi genitori e sempre pieno di carte e documenti, l'ampia poltrona.
Tutto era in ordine. Perfettamente in ordine.
Le grandi porta finestre, che si affacciavano sul terrazzo che correva tutto intorno al primo piano della casa, erano ermeticamente chiuse, come sempre in quelle fredde sere di ottobre.
Ai loro lati cadevano delle splendide tende in seta cruda color oro antico, che Susan in quel periodo preferiva tenere aperte. Per la tensione in cui viveva, appena apriva gli occhi aveva la necessità di accertarsi di essere sola.
Non vedendo nulla che la potesse allarmare si alzò, prese la vestaglia di morbida lana, appoggiata sulla panca foderata di pelle che era ai piedi del letto, la infilò e si affacciò alla porta della sua stanza.
Una luce notturna illuminava fiocamente il lungo corridoio, il cui pavimento era interamente coperto da un prezioso Aubusson. Due piccole applique illuminavano il grande cassettone antico, con sopra un prezioso vaso della dinastia Ming, decorato in bianco e bleu cobalto e le due sedie della stessa epoca del cassettone poste ai suoi lati.
Anche lì tutto era tranquillo, sembrava non fosse accaduto nulla che potesse allarmarla.
Susan, rientrò in camera e afferrando la mazza da baseball che teneva sempre accanto al letto, si avventurò nel corridoio. Fece pochi passi e sentì un fruscio dietro di se, velocemente si girò su se stessa impugnando la mazza da baseball e pronta a colpire.
Ma non c'era nessuno.
Con grande attenzione si rigirò su se stessa e risentì il fruscio dietro di se. In modo quasi impercettibile girò la testa. Il corridoio era vuoto, completamente vuoto. Oltre a lei non c'era nessuno.
'Ma io ho sentito' pensò ' Ho sentito... o sto diventando pazza?'

2

Raddrizzò le spalle, abbassò la mazza da baseball e girò per tutto il piano accendendo le luci, stanza per stanza, verificando che le imposte fossero chiuse e che nessun battente, lasciato inavvertitamente aperto da qualcuno della servitù, sbattesse.
Poggiandosi al corrimano, scese lentamente le scale, continuando la perlustrazione dell'immensa casa dove, per sua scelta, viveva sola.
Come già prevedeva non trovò nulla fuori posto, assolutamente nulla che avesse potuto provocare quegli strani e violenti rumori che ormai da più di tre mesi, ogni notte, anche per più volte, la destavano in maniera così brusca e violenta che lei in ogni occasione balzava a sedere con gli occhi sbarrati ed il cuore che le scoppiava nel petto.
La prima volta che era stata svegliata da quel terribile fracasso, per nulla impaurita e convinta che qualcosa lasciata fuori posto fosse caduta, si era alzata, aveva fatto il giro della casa per scoprire cosa fosse successo, ma non aveva trovato nulla che avesse potuto giustificare un suono così potente da interrompere il suo sonno.
Perplessa, la mattina seguente ne aveva parlato con Marta e Clive gli unici domestici sopravvissuti all'allontanamento che aveva fatto di tutti gli altri ricevendo solo assicurazioni: - Stia certa Signorina che quando andiamo via lasciamo tutto in ordine. Se poi non ha trovato nulla di rotto probabilmente sarà stato un brutto sogno. -
Probabilmente doveva essere stato proprio così visto che nelle notti successive Susan dormi tranquillamente.
Poi improvvisamente quegli episodi avevano cominciato a ripetersi notte dopo notte, e mai aveva trovato qualcosa che avesse potuto giustificare ciò che aveva sentito.
Susan aveva un carattere dolce e disponibile ma quando aveva stabilito di fare qualcosa difficilmente prendeva la decisione di accantonare tutto e andare avanti se non avesse risolto il problema.
Aveva deciso che doveva capire cosa disturbasse i suoi sonni e nei primi giorni quando la notte veniva svegliata, calma e tranquilla girava per tutta la casa. Poiché non trovava mai qualcosa che potesse giustificare quanto stava accadendo prese una decisione. La prima notte in cui sarebbe stata svegliata da quel fracasso si sarebbe seduta per tutta la notte in poltrona pronta a scattare al primo suono, certa che così avrebbe potuto risolvere il mistero.
E così fece.
Una notte appena il rumore si ripresentò si alzò velocemente cercandone la fonte, girando velocemente per tutta la casa.
Ma non trovò nulla.
Testardamente continuò notte dopo notte, poi con il nervosismo che iniziava a serpeggiare queste attese diventarono estenuanti.
Dopo varie ed infruttuose notti, in carenza di sonno e di riposo, decise che fosse il caso di rimanere a letto ed ignorare i suoni che la circondavano, visto che non si trovavano le tracce che avrebbero dovuto lasciare, voleva dire che erano suoni della casa.
Non aveva previsto le conseguenze della sua decisone. Rimanendo a letto, sentiva crescere in lei un'ansia spaventosa, che si ingigantiva nei momenti di silenzio in attesa di sentire nuovamente qualcosa. E in maniera del tutto imprevedibile si era insinuato in lei il terrore di vedere entrare qualcuno nella sua camera.
Terrore che lei sapeva essere irrazionale ma che non riusciva a frenare e che aumentava notte dopo notte.
Da quel momento, ogni volta che si svegliava le era diventato impossibile rimanere distesa a letto, doveva alzarsi e fare il giro della casa, controllare in ogni dove, anche se era cosciente che quasi sicuramente non avrebbe trovato niente fuori posto.
Le notti insonni iniziarono a susseguirsi una dopo l'altra, ogni tanto capitava che ne passasse una tranquilla ma erano così rare che spossata dalla mancanza di riposo, contro i suoi principi, era stata costretta a far ricorso a dei blandi induttori di sonno, che però sembravano non avere alcuna efficacia.
Le compresse erano veramente leggere e più che sedativi erano degli agevolatori del sonno.
L'ansia e la tensione pertanto avevano agile vittoria.
Le vane ricerche notturne e l'impossibilità di dare una spiegazione ed un'origine ai rumori, l'avevano tanto esasperata da portarla perfino a sperare di trovare un ladro durante una delle sue tante perlustrazioni della casa, almeno così l'incubo sarebbe finito e la sua vita sarebbe ripresa tranquillamente.
Con l'andare del tempo la mancanza di un regolare riposo notturno iniziò a farsi sentire: durante il giorno rimaneva intontita e rifiutava di riposare nel pomeriggio nella speranza di crollare la notte. Beveva qualche tazza di caffè durante la giornata per cercare di rimanere sveglia e molte tisane rilassanti la sera, prima di andare a dormire.
Sperava che così facendo qualcosa iniziasse a cambiare, era pronta a qualsiasi cosa la tranquillizzasse.
Era perfettamente conscia che ciò di cui aveva realmente bisogno, a prescindere dai sedativi, era semplicemente dormire serenamente.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, iniziò una routine che non cambiando mai cominciò a prostrarla.
Quella notte, dopo aver terminato l'ennesimo ed inutile controllo di tutti gli ambienti, mentre spegneva alcune delle luci che aveva acceso, arrivata a quel punto le faceva piacere che la casa fosse illuminata sapendo ormai di aver perso ogni possibilità di riposo, si diresse verso l'unica stanza di quell'immensa casa che sentiva veramente sua, la biblioteca.

3

Era una grande stanza dalla pianta quadrata, il caldo colore del parquet proseguiva nelle due grandi strutture di legno alte fino al soffitto, che occupavano due intere pareti e che traboccavano letteralmente di libri.
Un grande Kirman dai tenui colori pastello occupava quasi tutto il pavimento.
Davanti ad una delle grandi librerie, spiccava un pesante tavolo rettangolare di cristallo con una moderna poltrona ergonomica, sul tavolo un computer e una stampante di ultima generazione.
Stranamente in quella stanza, gli elementi che la componevano pur essendo così diversi fra loro, si armonizzavano perfettamente.
Davanti al grande camino che occupava una intera parete accanto alla porta d'ingresso si trovavano due vecchie poltrone. Più volte sia i domestici che il maggiordomo le avevano consigliato di sostituirle, stonavano in un ambiente così lussuoso. Ma lei testardamente non solo le aveva lasciate lì, ma le aveva fatte rifoderare in un tessuto chiaro che dava luce all'ambiente.
Una delle due poltrone era stata la preferita di suo padre e non se ne sarebbe mai sbarazzata. Lì aveva appreso le prime mozioni di matematica e di archeologia, li in braccio al padre ascoltava rapita i suoi racconti storie avventurose e di scoperte incredibili. Lì era iniziato il suo amore per la cultura.
Nel grande camino, per un preciso ordine della giovane donna, sia d'inverno che nelle fredde sere d'estate ardeva sempre un fuoco scoppiettante. Più che aver bisogno del suo calore era il suo riverbero a farle compagnia e a riscaldarle l'anima.
Sempre con il padre aveva deciso come sistemare alcuni degli splendidi manufatti di varie epoche di cui era ricca la casa. Dopo lunghe discussioni in cui il famoso archeologo aveva ascoltato con estremo interesse ed attenzione il parere della sua giovane figlia, avevano deciso di far costruire delle teche di cristallo. Discretamente illuminate, sistemate ad arte sull'ultima parete di quella magnifica camera erano per Susan un forte collegamento sia con la sua famiglia che con il passato dei paesi dai quali provenivano. Non di rado, infatti, incuriosita da una storia raccontata dal padre, o da un suo ricordo, era andata a sfogliare libri di archeologia e storia per studiare usi e costumi di un popolo a volte, spesso, già estinto.
Alle spalle delle poltrone si trovava un lungo e comodo divano a forma di elle foderato dello stesso tessuto delle poltrone. Morbidi cuscini dai colori brillanti, sparpagliati disordinatamente sul divano e sulle poltrone, favorivano una comoda seduta.
Ogni sedia o spazio libero nella stanza era letteralmente ricoperto da libri. Libri di ogni tipo, si spaziava dalla saggistica alla narrativa, dall'archeologia al teatro.
Dallo stato di consunzione di molte copertine, si capiva che alcuni erano stati letti molte volte e facilmente si intuiva che non erano stati catalogati affatto. La loro disposizione più che seguire un ordine ben definito, rispondeva ai gusti e le esigenze di chi li leggeva.
Dopo un'attenta riflessione, ne scelse uno fra quelli che amava di più e che in una notte piovosa come quella si intonava meglio al suo stato d'animo. Andò nella grande cucina sempre rifornita per ogni sua necessità a prendere un bicchiere di latte caldo con dei biscotti, sua panacea per ogni male.
Tornata nella biblioteca, si accomodò in quella che era stata la poltrona preferita dal padre e che ora era diventata la sua, sia per i ricordi che portava con sé sia perché essendo molto ampia, la accoglieva come in un abbraccio.
Si avvolse nel pile che era sempre poggiato sulla spalliera della poltrona, sospirando rassegnata a passare lì la notte, come aveva già fatto per tante altre prima di quella.
La solitudine faceva ormai parte integrante della sua vita.

Barbara Ann Parker

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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