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Autore: Vincenzo Capretto
Il volto dell'inganno
Thriller psicologico
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Il volto dell'inganno
Valsolda, Como, 1990. È notte. Una pioggia battente attenua le urla provenienti da un piccolo appartamento.
Un cane che abbaia, un neonato che piange, brevi passi veloci, due colpi di pistola.
Il silenzio piomba sul paese.

Dieci anni dopo siamo a Milano Tre, in una lussuosissima villa.
L'apparente tranquillità della famiglia Mariani è sconvolta dall'arrivo della tata, Greta Kuznetsova. Dietro un pallido sorriso si nasconde una donna cupa e misteriosa che inizia ad avere comportamenti sempre più strani.
Nulla sarà come prima, anzitutto per Beatrice Mariani, la padrona di casa. Beatrice, splendida donna viziata, proverà a essere mamma e moglie modello, ma le sue continue frustrazioni la porteranno a cedere al suo lato oscuro.
In quel vortice di pulsioni inarrestabili finisce anche il marito Alessandro, dirigente di una casa farmaceutica, che pur di raggiungere i suoi obiettivi di carriera appare disposto a tutto.

Un farmaco per la cura del cancro diventerà il simbolo della brama di ricchezza, in una lotta senza esclusione di colpi dove nessuno sarà immune alla seduzione del potere e dove tutti indosseranno una maschera: il volto dell'inganno.
Estratti dal libro
- Sei ingiusto a parlare così. Lo sai? - .
Alessandro lasciò il tavolo e risalì in stanza. Beatrice prese il cellulare in mano e piangendo iniziò a scrivere.
Passarono ore prima che il senso di colpa di Alessandro lo facesse tornare giù dalla moglie.
La solita storia, che ormai si ripeteva quasi tutti i giorni: cercava di tranquillizzarla, dicendole che la vita era così, che le tempeste andavano e venivano e, dopo ogni tempesta, tornava la pace; tutto tornava come prima, seppur modificato.
L'amore era un mucchio di emozioni che cadevano a gocce e il matrimonio un'idea – pensava Beatrice nel suo bel bagno quella sera, sorseggiando un mojito ghiacciato –, un'idea che aveva bisogno di due persone opposte e complementari per diventare una finzione funzionante.
Eppure ogni finzione aveva bisogno di qualche briciola di realtà. Così lei aveva bisogno di conoscere persone nuove, di fare altre esperienze, di modificare il suo paesaggio di sempre, cambiando l'angolo di veduta. Quelle erano le sue briciole di realtà. Che la facevano sentire viva.
Di nuovo sicura di sé.
Trionfante.

***
Durante la notte Beatrice sognò Greta più volte. Il suo sguardo le marchiava la mente. La immaginò in un cimitero pregare su una tomba. Tra un risveglio e l'altro la ritrovò ancora nei suoi sogni; la rivide in lacrime davanti al capezzale di un uomo, ma la scena che la terrificò fu vedere Greta impiccata nel suo salone. Non riusciva a spiegarsi questi macabri sogni. Forse l'aria misteriosa dell'ucraina, il suo travagliato passato, la sua freddezza l'avevano portata a materializzare nel suo inconscio la paura che in realtà la donna dagli occhi di ghiaccio le incuteva.
Nonostante la notte tribolata e i dubbi che la assalivano, qualcosa la spingeva a scegliere proprio la tata ucraina, inconsciamente anche l'opinione del marito l'aveva condizionata. Al risveglio chiamò il marito per annunciargli che in giornata avrebbe chiamato Greta Kuznetsova per offrirle il lavoro.
L'ucraina, ricevuta la telefonata della signora Mariani, si chiuse sotto la doccia. Dopo qualche minuto l'acqua impantanata sul piatto, sotto i suoi piedi, si colorò di rosso.
Rosso vivo.
Sempre più intenso.
Greta non era riuscita a trattenersi questa volta e con sadica lucidità aveva ripreso il macabro rito interrotto anni prima.
Un dolore lancinante prima, un piacere poi, le procuravano quei tagli lungo il suo corpo. Il piacere del nulla. O il piacere del dolore dove si annullavano i suoi mille altri dolori.
Aveva sempre sostenuto di meritare quella sofferenza.

***
Beatrice cercò di rimanere sveglia il più possibile e l'unico modo che conosceva era pensare a cose che la rendevano irrequieta. Lei quella sera avrebbe voluto fare l'amore con Alessandro, con il trasporto di una volta, e avrebbe voluto cercare di fargli capire che la donna che aveva tra le braccia era meglio di qualunque altra distrazione esterna. Gli avrebbe voluto raccontare anche di quello che la notte, sempre più spesso, stava accadendo nella loro casa.
Erano le 3.30 quando un colpo sordo e continuo la distolse dai suoi pensieri. Guardò suo marito che, dai respiri profondi e regolari, sembrava che avesse trovato la pace con il sonno. Poi la cuccia di Kiko, pensando che fosse lui il responsabile. Ma il piccolo terrier dormiva soavemente.
Il rumore continuava. Sembrava provenire dal piano di sotto.
Beatrice si fece coraggio, s'infilò la vestaglia e uscì dalla stanza. Attraversò il corridoio che portava alla scalinata, non prima di controllare se Leonardo stesse dormendo.
Con un passo quasi impercettibile scese la lunga scala di legno che portava in salone. Un tremore le attraversò il corpo quando a metà scala intravide una sagoma all'angolo del camino.
- Chi c'è?! - disse con un filo di voce.
La sua domanda non ebbe risposta.
Continuò a scendere le scale, ma iniziò a guardarsi in giro nella speranza di trovare qualche oggetto per difendersi. Il respiro affannoso. Le gambe tremolavano. Avrebbe voluto chiamare Alessandro, ma ormai era così vicina a quell'ombra che non ci pensò più.
Un colpo di vento fece aprire un'anta della finestra. Il sangue nelle vene di Beatrice si gelò quando la luce proveniente dall'esterno rivelò la figura.

***

Greta aveva provato a non farsi più del male dopo la morte del padre; purtroppo le sue voci interne la tormentavano, la istigavano a punirsi.
La valigia, con il suo passato, i suoi ricordi, le sue emozioni e passioni, era diventata un nuovo mezzo di condanna.
Lei aveva sempre creduto di meritare quelle sofferenze e se lo ripeteva ogni qualvolta guardava il suo riflesso dopo aver aperto il baule. Le piaceva definirsi una - ragazzaccia - nata per penare e far penare. Pensava a questo mentre finiva di prepararsi nella sua stanza per iniziare una nuova giornata.
Era sull'uscio della porta quando qualcosa la richiamò. Si abbassò sotto il letto, mise la mano nella valigia e tirò fuori uno strano simbolo russo. Lo portò alle labbra e lo baciò.
Con rispetto e devozione.

***

Era sera.
Alessandro aveva avuto un'altra pessima giornata; continuava a pensare alla conversazione avuta qualche settimana prima con Ricardo e non riusciva a prendere sonno. Aveva bisogno di parlare con qualcuno delle sue preoccupazioni, di quello che gli passava per la testa e del grosso mattone che portava nello stomaco. Il peso di quegli anni nella JiRo, delle ore piccole e del sangue sputato per arrivare ai primi gradini di una lunga scala che portava al vertice. Era certo che meritasse di più di quanto riconosciuto, o meglio, ricevuto, perché la riconoscenza alla JiRo era come l'ossigeno su Marte, pressoché inesistente. Per non parlare del fatto che Ricardo continuava a trattarlo come se fosse uno scolaretto. Chi si credeva di essere? Be', aveva i soldi, il potere, una casa farmaceutica di un certo prestigio, si rispose. Prestigio cui lui, Alessandro, aveva contribuito non poco.
Sbuffò. Queste preoccupazioni stancavano la mente, impedivano al pensiero di essere libero e concreto. Tuttavia ciò che gli premeva era il rapporto con Beatrice e tutto quello che ci girava intorno; Leonardo, famiglia, casa, parenti... Greta.
Era presto per le autoconfessioni, pensò. Da persona pratica qual era, doveva concentrarsi sulle questioni più urgenti. Poteva parlarne con sua moglie, lei una volta era stata una buona ascoltatrice. - Una volta - , sembrava l'inizio di una storia, o qualcosa di così lontano che non riusciva a ricordarsi il momento esatto dell'accadimento delle cose.
Alessandro si voltò; Beatrice era sdraiata accanto, sul loro letto, a leggere una rivista di moda. Sembrava non prestasse la minima attenzione a lui e, ancor meno, all'espressione che portava sul volto. Ma non era vero. Alessandro la conosceva bene, sapeva che lei era brava a non farsi sfuggire certe sfumature nelle persone e non poteva di certo trascurare ora la sua peculiarità. L'impressione del marito era che la dolce metà stesse aspettando che vuotasse il sacco, perciò lui stava lottando contro l'impulso di non farlo. Ci fu un lungo momento di esitazione, che lo mise a disagio. Poi un'illuminazione, la prima scintilla di qualcosa che stava nascendo come un gioco bizzarro, e che poi avrebbe assunto le dimensioni di un piano ben architettato. Alessandro però non poteva sapere dove l'avrebbe portato quella singolare intuizione, e non poteva di certo calcolare le conseguenze. L'importante era che lui ne uscisse indenne. Più forte... e più ricco.

***
Un raggio di sole colpì le palpebre di Beatrice. Aprì gli occhi. Dolorante. Proprio nel bassoventre. Come se fosse stata appena deflorata. Eppure si sentiva rilassata, completa, appagata. La stessa sensazione che si prova dopo un bel sogno. Capiva che le era capitato qualcosa di meraviglioso, ma non era in grado di capire cosa.
Le faceva male la testa. Aveva la bocca asciutta. Come quando beveva qualche bicchiere di troppo. Non sapeva dove si trovasse. Chiuse gli occhi per alcuni secondi e poi li riaprì, provava a riprendere le misure della realtà. Le bastò girare la testa verso la sua destra per ritrovarsi.
***

Vincenzo Capretto

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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