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Autore: Ester Righi
A sud dei nostri cuori
Narrativa
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A sud dei nostri cuori
Guido

S'è rotto lo specchio. Non proprio rotto in pezzi, solo una lunga crepa, doppia, per tutto il suo diametro, da perno a perno del meccanismo che lo fa ruotare.
È dalla parte che ingrandisce, quella che ti trasforma un banale foruncolo maturo in un vulcano pronto a eruttare e il pelo appresso in un ramo d'albero finito lì non si sa come.
Il fatto è che io con quello mi ci faccio la barba alla vecchia maniera, pennello sapone e rasoio a scatto, per intendersi, e vedermi la faccia così tagliata a metà, perfino stranita, non aiuta il tremore delle mie mani.
Nanninella s'inquieterà a saperlo e con la storia dei sette anni di disgrazie m'inonderà di parole e funesti presagi per i giorni a venire.
Fiumi di dicerie senza senso. In fondo è solo un pezzo di vetro variamente pittato per riflettere. A me scoccia solo perché, dovendomi occhieggiare sopra e sotto la crepa, farò più fatica a radermi.
Sulle cose io ci ho sempre ragionato e ancora ci ragiono, ma Nanninella no e più gli anni passano più reagisce di pancia, soprattutto se qualcosa si rompe o non si trova proprio.
Poi, certo, scivola anche lei nella dimenticanza, ma non sai se per rassegnazione o perché la memoria viene meno.
L'oblio è un balsamo per la pace dell'anima. Con Nanninella però dura poco e capita, - come fosse sotto effetto di un flash improvviso-, che se ne vada di stanza in stanza a cercar cose che non esistono più da tempo.
La vedi allora sbattere braccia disperate di qua e di là come fanno gli uccelli con le ali quando restano rinchiusi in qualche luogo.
Curiosa stagione la vecchiaia: fuori dalle necessità, anche vanitose, della giovinezza, ti consuma ugualmente il tempo nella quotidianità di gesti fattisi più lenti e ripetuti per smemoratezza.
E poi questo andare e tornare di pensieri su di una disordinata linea del tempo dove a farla da padrone non è tanto questo piccolo tondo specchio crepato, quanto uno scorcio d'estate dove, col corpo atletico dei vent'anni ancora umido per l'ultima nuotata, a mio padre dico: - Se vuoi, ti ripasso io la barba, alla vecchia maniera eh ... - ,
e gli sfioro carezzevole col dorso della mano la guancia, ancora, a tratti, irsuta.
- Non tengo più la vista di una volta - , risponde lui scostandosi con un residuo di orgoglio imbarazzato.
Poi si chiude in un quieto silenzio, lo sguardo che sembra voler forare la linea dell'orizzonte alla ricerca di non si sa cosa e ci si fa compagnia così, con la sola presenza.
Sono ultimo di quattro figli, ΄o piccirillo, quello cui si raccontano storie perlopiù inventate baloccandolo su ginocchia già stanche con una vecchia filastrocca: - Purecenella aveva nu' gallo e tutti e' juorni ci andava a cavàll e' portàv ùn' ambasciatèll vivà o' gallo e' Purecenella ".
I cinquant'anni che ci separano, io crescendo e lui invecchiando, hanno sempre più rarefatto il poco che abbiamo da dirci, ma sappiamo godere della reciproca compagnia a quel modo, sul terrazzo di casa.
Da lì, nel nostro paesino abbarbicato sulle rocce di un sud Italia dimenticato da tutti, si vede il mare.
C'è stridore di gabbiani intorno ed io non vedo l'ora di spiccare il volo come loro, diversamente da mio padre radicato da sempre nella sua terra fino a consumarvisi.
Ora poi, con la salute malferma, non gli rimane che stare seduto lì fuori, a braccia tese e mani incrociate sul pomo del bastone a osservare con ostinata fissità la linea di confine fra cielo e mare.
L'aria calda di fine giornata ci riempie le narici col profumo dolciastro e burroso della ginestra e anche della conserva che per tutto il giorno mammà ha imbottigliato, fra uno scottare e pelare di pummarole, insieme con le altre commari.
C'è ancora trambusto in cucina da cui proviene, ora, un nuovo sfrigolare e aroma d'aglio e rosmarino. Si appronta la cena e, nel vociare, sento le mie sorelle, madri di figlioli ormai grandicelli, che danno una mano. E poi mammà che grida: - E trasite tutti ΄na buona volta che sta pronto! - .

- Ma pure sordo ora? - . Il viso di Nanninella arriva all'improvviso a riempirmi la vista insieme con una zaffata di lavanda. Sta china su di me, lo sguardo preoccupato, la mano fresca sulla mia fronte. - Scotti - , dice, - Mica avrai la febbre ... -
Poi lo sguardo le cade sul piccolo specchio tondo e sulla crepa che lo attraversa e, stranamente, non dice nulla. Solo uno sguardo da me allo specchio e poi la sua mano che me lo toglie dal grembo per posarlo, con cura, sul tavolino.
Mi spinge ora Nanninella, spinge la carrozzella su cui sto seduto ormai da un mese. - Piccole ischemie, come minuscole rotture di circuiti - , è stata la spiegazione del dottore.
E Nanninella faceva sì sì, con la testa mentre lacrime tonde e grosse rotolavano sulle guance e poi finiva a modo suo: - Insomma non cammina e non ci sta più tanto con la testa, dottore - .
- Ma no, non proprio così; è come se a un tratto per un secondo o poco più si spegnesse l'interruttore della luce, un po' di confusione insomma e poi un equilibrio instabile, certo, e se si sente cadere è meglio che usi una sedia a rotelle, solo per sicurezza - .
- Un po' di confusione ... e la carrozzella - , ripeteva mesta, Nanninella.
- E la terapia con i farmaci, certo. Farò visite periodiche e poi si vedrà secondo l'andamento e poi riposo, riposo assoluto - , termina il dottore.
E le lacrime continuavano a scendere a Nanninella mia e la testa faceva sempre sì sì e tutto il suo bene sconsolato mi trafiggeva il cuore.
- Ma non senti che ti chiamo e dico che è pronto? - . C'è allarme nella voce, - non ce la fai a spingere da solo la carrozzella, ho capito - dice fra sé, sentendo le ruote scorrere a fatica e la vedo chinarsi a controllare che il freno non intralci.
- Sì sì, che ti sentivo, ma ci stava mammà! - .
- Mammà? - , ripete Nanninella che ora mi guarda da sotto in su, e pare non capire.
- Ma sì Nanniné e non fare quella faccia, lo so che mammà non ci sta cchiù, pensavo, ricordavo solo ... - .
- Ti provo la febbre e poi ceniamo! - , sbotta scrollando la testa come a cacciar via un pensiero molesto.
È ancora forte e svelta, Nanninella, e più giovane di me. Mi piace guardarla mentre sfaccenda per la casa.
Gli anni hanno finito con arrotondare la sua figura da eterna adolescente e sul petto le sono perfino spuntate due tardive e morbide pagnottelle.
Tiene i capelli ormai sale e pepe, corti corti, alla maschietta e ho perso il conto da quanto stiamo insieme.
Non ha voluto sposarmi, le è bastato un matrimonio, dice sempre. Nemmeno vive con me. Non fosse per questo mio periodo di malattia, starebbe a casa sua che è poi dall'altro lato del corso, quasi dirimpetto. Le piace vivere con l'idea di avere sempre un piede fuori di casa, libera da legami, insomma.
Dopo il mio guaio, però, s'è trasferita qui. Si è messa a dormire sul divano, per non disturbarmi. Eppure l'avrei sentita ancora con piacere respirarmi accanto, ma mi ha preso il viso fra le mani e guardato con quel suo sguardo intenso per dirmi: - Non farti idee Guido, sono passati gli anni della passione e devi riguardarti - .
Nanninella mia, ultimo grande amore dopo un divorzio, una convivenza e tre figlioli. Mi è sempre piaciuta la vita. Nei miei settantotto anni ho cercato di agguantarla al meglio di quel che potevo.
Donne, certo, anche se mi reputo un uomo fedele ma, a esser sincero, più per quieto vivere che per indole: le sceneggiate che seguono questo genere di torti mi scombussolano parecchio.
Mi è capitato, tempo addietro, di aiutare due amici sgamati da quel sesto senso femminile che da pochi indizi ti sventa il fattaccio.
Uno l'ho fatto medicare da un farmacista che conoscevo capace a suturare l'esito di una botta in testa.
- Potrebbe esserci una commozione - , aveva detto il farmacista vedendo Ciro in preda alla nausea; ma Ciro no, non ne voleva sapere di andare al pronto soccorso.
Era un avvocato matrimonialista conosciuto, l'ambiente era piccolo, avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni e se ne vergognava. Tanta scienza intorno ai matrimoni altrui non l'aveva salvato dal dover pagare conseguenze salate per il fallimento del suo.
Abile la moglie, perfino un po' perfida ma, quella pugnalata, non se l'aspettava proprio.
Si mormorava che fosse andata dalla rivale, - la giovane segretaria del marito -, un giorno che lui non c'era.
La signorina stava in un piccolo attico che affacciava sui tetti della città e che Ciro aveva affittato perché la loro storia non desse troppo nell'occhio. Era un nido d'amore grazioso sebbene di esigua metratura e ammobiliato con l'essenziale.
La moglie di Ciro aveva con sé le due figliole ancora molto piccole alle quali aveva prospettato un'estemporanea vacanza col papà e una nuova baby sitter.
Pare l'avesse presa da parte per dirle che quella storia le aveva scombussolato la vita, che i nervi non la reggevano più e che aveva bisogno di riposo e forse di ricoverarsi. Insomma, se lei amava davvero Ciro non poteva non aver cura in toto di lui e delle sue figlie.
Aveva baciato le bambine, - che non stavano più nella pelle per la novità e già curiosavano in ogni dove -, e aveva girato i tacchi senza lasciar spazio a replica.
La segretaria di Ciro poco pratica di bambini e ancor meno di ménage familiari, non ci aveva neppure provato a raccogliere il testimone.
All'età sua voleva vivere un sogno d'amore non farsi carico di una famiglia e, tempo un mese, Ciro era rimasto solo, senza segretaria e con due figlie in una casa troppo piccola avendo provveduto la moglie a cambiare serratura in quella coniugale.

Ester Righi

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