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Autore: Alton Sinetti
Il Silenzio Di Artemisia
Giallo Investigativo
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Il Silenzio Di Artemisia

Era una notte lugubre, una di quelle in cui il cielo sembrava piangere lacrime infinite. La pioggia, sottile ma insistente, tamburellava contro i vetri appannati di un piccolo studio d'arte, nascosto in una viuzza secondaria di Firenze. L'aria era intrisa dell'odore acre di vernice fresca e solvente, un mix che impregnava le pareti ricoperte di schizzi e tele incompiute.
Clara Bellini, un'artista emergente di appena ventotto anni, lavorava in silenzio sotto la fioca luce di una lampada. Chinata sul cavalletto, concentrava tutta la sua energia in un quadro che stava prendendo vita con pennellate decise. Gli occhi le brillavano di quella passione che solo l'arte poteva darle, ma c'era anche una stanchezza latente, evidente nelle profonde occhiaie che incorniciavano il suo volto. Sul tavolo di fianco a lei, una tazza di caffè giaceva fredda accanto a un quaderno pieno di schizzi caotici e appunti frettolosi. Fuori, il vento gemeva tra gli spifferi della porta, producendo un sibilo acuto che si insinuava nello studio, avvolgendolo in un'aura di mistero e inquietudine.
All'improvviso, un cigolio ruppe il silenzio. La porta dello studio, che Clara era certa di aver chiuso, si mosse lentamente, rivelando una figura nell'ombra. Il cuore di Clara accelerò, i suoi occhi si spalancarono, e il pennello che teneva tra le dita iniziò a tremare. “Chi è lì?” chiese con una voce tesa, quasi sperando che fosse solo la sua immaginazione.
La figura avanzò di un passo, poi di un altro. Alla luce tenue della lampada, iniziò a delinearsi un volto familiare. Gli occhi di Clara si riempirono di timore, la mano libera corse a stringere il bordo del cavalletto come se potesse proteggerla. “Non dovresti essere qui,” sussurrò, cercando di mascherare la paura con un filo di autorità.
Nessuna risposta, un bagliore metallico apparve nella sua mano... il respiro di Clara si bloccò e, prima che potesse reagire, un grido soffocato le uscì dalle labbra mentre l'ombra avanzava rapida.
Il silenzio tornò a dominare lo studio, infranto solo dal continuo picchiettare della pioggia sui vetri.

L'indomani

Nel piccolo studio di Clara Bellini, ora un microcosmo di caos ordinato, agenti in divisa si muovevano tra i cavalletti e le tele, scattando foto e raccogliendo ogni frammento che potesse rivelare una traccia del colpevole. Sul pavimento, tra chiazze di vernice secche e cocci di vetro, il corpo di Clara giaceva immobile, una macabra opera d'arte.
Il caso venne affidato all'ispettore Marco Rossi. Rossi era un uomo di mezza età, con una fronte perennemente corrugata che rifletteva anni di preoccupazioni e casi irrisolti. La sua cravatta, mai perfettamente annodata, era un simbolo della sua vita frenetica e disordinata. I capelli brizzolati e gli occhi penetranti rivelavano un uomo che aveva visto troppo e che portava il peso delle sue esperienze con una dignità silenziosa. Nonostante l'aspetto trasandato, c'era un'intelligenza acuta e una determinazione incrollabile che lo rendevano un investigatore formidabile.
Rossi si chinò accanto al cadavere, osservando la scena con attenzione.
Una singola ferita al petto, precisa, quasi chirurgica. Non c'erano segni di lotta, né indizi evidenti che indicassero l'arma del delitto. Il volto di Clara era rimasto fermo in un'espressione di sorpresa e con gli occhi sbarrati che fissavano il vuoto.
Rossi si alzò e si passò una mano tra i capelli grigi, sospirando. “Un omicidio pulito,” mormorò, parlando più a sé stesso che agli altri. “Troppo pulito. Il bastardo sapeva esattamente cosa faceva.”
Un giovane agente con occhiali rettangolari e un'aria impacciata si avvicinò, tenendo un tablet tra le mani. “Abbiamo controllato le telecamere della zona, ispettore. Non c'è niente di utile. Nessun movimento sospetto, nessuna figura riconoscibile. Il killer deve aver pianificato tutto nei minimi dettagli.”
Rossi prese il tablet e scorse rapidamente le immagini sullo schermo. Strade deserte, ombre che passavano sotto i lampioni, ma nessun volto, nessun indizio. Era come se il killer fosse stato un fantasma.
Restituì il dispositivo al giovane agente, scuotendo la testa. “Un professionista,” mormorò. “Siamo di fronte a un maledetto professionista.” Poi si voltò verso il resto della squadra, “Chiamate Leonardo Marchetti,” ordinò con un tono che non ammetteva repliche. “Se c'è qualcuno che può aiutarci a capire che razza di mente malata ha fatto questo, è lui.”

Leonardo Marchetti

Leonardo Marchetti, un uomo di trent'anni, conduceva una vita che molti avrebbero definito perfetta. Nato in una famiglia facoltosa, la sua esistenza era circondata da lusso e raffinatezza ma ciò che rendeva unico Leonardo non era il denaro, bensì la sua mente. Aveva un talento innato per l'osservazione e la deduzione, un dono che aveva coltivato sin dall'infanzia. Era un investigatore privato, ma non uno qualunque: la sua fama lo precedeva, e veniva spesso chiamato a risolvere i casi più intricati, quelli che sembravano destinati a rimanere un mistero.
La villa in cui viveva, situata ai margini della città, rifletteva la sua personalità: elegante, ordinata e avvolta in un'aura di discrezione. Ogni dettaglio, dalle persiane di legno scuro alle tegole rosse del tetto, parlava di equilibrio e perfezione. L'interno era altrettanto impeccabile: un mix di design moderno e classico, dove i libri erano protagonisti assoluti. Le pareti dello studio, alte e maestose, erano rivestite di scaffali che parevano sfiorare il soffitto, ciascuno colmo di volumi disposti con una precisione maniacale.
Nonostante la sua giovane età, la figura di Leonardo trasmetteva autorità e sicurezza. Alto e snello, si muoveva con una grazia naturale che sembrava innata. I suoi occhi azzurri, freddi e penetranti, sembravano capaci di scrutare oltre ogni menzogna. La sua voce, bassa e controllata, aveva il potere di calmare o intimidire, a seconda delle necessità. Ma ciò che colpiva di più era la sua capacità di leggere le persone: bastava uno sguardo per cogliere dettagli che sfuggivano alla maggior parte degli individui.
Leonardo non lavorava per soldi. Non ne aveva bisogno. La sua unica vera passione era risolvere enigmi, svelare verità nascoste. Ogni caso rappresentava per lui una sfida intellettuale, una danza complessa in cui ogni mossa doveva essere calcolata con precisione. Era attratto dal mistero come una falena dalla luce, incapace di resistere al richiamo di ciò che era occulto.
Quel pomeriggio, sedeva nel suo studio, immerso nella lettura di un trattato di criminologia. La sua scrivania, rigorosamente ordinata, ospitava solo l'essenziale: un taccuino dalla copertina in pelle, una penna stilografica e una tazza di tè che sorseggiava lentamente. Un lieve bussare alla porta interruppe la sua profonda concentrazione. Era Maria, la domestica che lavorava per lui da anni. Con la sua presenza silenziosa e rassicurante, era diventata una figura indispensabile nella vita di Leonardo. "Signor Marchetti," annunciò con voce rispettosa, affacciandosi appena. "C'è l'ispettore Rossi al telefono. Dice che si tratta di un'urgenza."
Leonardo sollevò lo sguardo dal libro, lasciando che un silenzio deliberato riempisse la stanza per qualche secondo. Poi richiuse il volume con un movimento lento e misurato. "Passamelo," disse semplicemente. "Davvero un onore sentirla, ispettore Rossi," disse, “quale mistero richiede la mia attenzione questa volta?” Ascoltò in silenzio, il volto era privo di reazioni visibili, mentre Rossi gli spiegava brevemente il caso. Quando la conversazione si concluse, chiuse il telefono e lo consegnò a Maria. “Fai preparare la macchina,” ordinò con tono fermo. “Ho un caso da risolvere.”
Maria annuì e si diresse verso l'ingresso per informare gli inservienti.
Leonardo si concesse un istante, soffermandosi a contemplare il giardino dalla finestra. Le siepi perfettamente potate e i vialetti ordinati riflettevano l'ordine della sua mente. Ma dentro di lui, quella calma apparente aveva già lasciato spazio a una frenesia controllata: l'eccitazione di chi si prepara ad affrontare una nuova sfida.
Con passo deciso uscì dallo studio. Un nuovo mistero lo attendeva e lui non vedeva l'ora di iniziare le indagini.

La scena del crimine

Leonardo arrivò allo studio di Clara Bellini poco dopo l'alba, mentre la città si svegliava sotto un cielo ancora plumbeo. La sua figura distinta si fece strada tra gli agenti in divisa, che si spostarono istintivamente per lasciarlo passare. Indossava un elegante completo scuro, impeccabile come sempre, e teneva in mano una piccola valigetta di cuoio nero. Ogni suo passo sembrava misurato, quasi teatrale, ma la sua espressione era gelida, impenetrabile.
Rossi lo attendeva accanto all'ingresso, con il solito nodo di cravatta disordinato e un'aria stanca. “Grazie per essere venuto, Leonardo,” disse, passandosi una mano sulla nuca. “Questo caso... è diverso. Non sappiamo da dove cominciare.”
Leonardo non rispose subito. Entrò nello studio senza esitazione e il suo sguardo iniziò immediatamente a vagare sulla scena. Nulla sfuggiva a quegli occhi acuti. Osservava, più che guardare, come se stesse leggendo un racconto scritto nei dettagli apparentemente insignificanti: il quadro incompiuto sul cavalletto, la tazza di caffè ormai fredda, la disposizione caotica ma intenzionale degli oggetti, e quella strana impronta di vernice, quasi nascosta, sul pavimento.
Si chinò accanto al corpo di Clara, che giaceva immobile in una posa priva di grazia, in netto contrasto con la bellezza della giovane donna. Il sangue si era raccolto in una pozza scura sotto di lei, ma non c'era disordine: tutto era sorprendentemente contenuto.
Leonardo esaminò la ferita con attenzione, avvicinando il volto senza toccare. “Un colpo netto al cuore,” mormorò. “Nessun segno di esitazione. Il killer sapeva esattamente cosa fare. È stato rapido, preciso... e calcolatore.”
L'ispettore Rossi si avvicinò, osservando la scena con un'espressione pensierosa.
“La ferita è una lacerazione penetrante al miocardio, causata da un'arma affilata e appuntita, probabilmente un coltello o un pugnale. L'angolo di penetrazione suggerisce un attacco diretto e deciso, con una profondità sufficiente a raggiungere il ventricolo sinistro, provocando un'emorragia interna massiva e immediata. L'assenza di segni di difesa indica che la vittima non ha avuto il tempo di reagire.”
Rossi annuì lentamente, assorbendo le informazioni. “Capisco. Quindi, stiamo cercando qualcuno con una conoscenza precisa dell'anatomia umana e una mano ferma. Un medico, un chirurgo, forse...”
Leonardo fissò il corpo di Clara, il suo sguardo pieno di determinazione. “Esattamente, ispettore. È un individuo pericoloso e va trovato quanto prima.”
Si alzò con grazia e si spostò verso il cavalletto. Il quadro incompiuto era un'esplosione di colori intensi: rossi e gialli violenti si intrecciavano a tonalità più scure, creando una tensione visiva che sembrava pulsare di vita propria.
Leonardo inclinò leggermente la testa, osservando ogni pennellata. Poi, tendendo un dito, si fermò su una sezione particolare, un dettaglio apparentemente di scarsa importanza. “Questa parte qui,” disse con tono neutro, “non si integra con il resto. È stata dipinta con una tecnica diversa. Le pennellate sono più rigide, meno fluide. Come se qualcuno avesse aggiunto qualcosa dopo.”
Rossi lo osservava con le sopracciglia aggrottate. “Stai dicendo che il killer ha modificato il quadro?”
Leonardo annuì lentamente, senza distogliere lo sguardo dalla tela. “È una possibilità. Ma la domanda più interessante è: perché? Lasciare un messaggio? Simbolismo? O un tentativo di depistaggio? Voglio un'analisi approfondita della vernice. Tutto, fino all'ultimo componente chimico.” Fece qualche passo indietro, continuando a scrutare la stanza come un predatore che studia la sua preda. “E voglio sapere tutto su Clara Bellini: i suoi amici, i suoi nemici, i suoi amanti, i suoi segreti. Ogni artista ha un'ombra che si nasconde dietro la luce della sua opera.”
Rossi incrociò le braccia e scosse la testa con un mezzo sorriso ironico. “Sai, Leonardo, a volte mi chiedo se non dovremmo indagare su di te. Hai un modo di guardare le cose che mette i brividi.”
Leonardo accennò un sorriso appena percettibile. “Forse è per questo che continuo a risolvere i tuoi casi, Marco.” Poi, tornando serio, aggiunse: “Abbiamo poco tempo. Il killer ha lasciato una traccia, ne sono certo. Ora dobbiamo solo trovarla.”
Con quella frase enigmatica, Leonardo si chinò di nuovo sulla tela, come se il segreto dell'intero caso fosse nascosto proprio lì, tra i colori e le pennellate.

Le prime scoperte

Le indagini si mossero rapidamente. Rossi e il suo team iniziarono a scavare nella vita di Clara Bellini, setacciando ogni aspetto del suo mondo: relazioni personali, amicizie, collaborazioni artistiche e qualsiasi segreto che potesse essere rimasto nascosto. Nel frattempo, Leonardo decise di visitare l'appartamento della giovane artista, sperando di trovare qualcosa che gli agenti, con il loro approccio metodico ma spesso limitato, avrebbero potuto trascurare.
L'appartamento di Clara era un piccolo loft situato in una zona centrale della città, dove ogni angolo sembrava impregnato della sua personalità. Le pareti erano tappezzate di quadri, alcuni terminati, altri abbozzati, mentre il pavimento era disseminato di schizzi su fogli volanti, pennelli e barattoli di vernice. L'aria era satura di un lieve odore di trementina, come se Clara fosse lì, ancora intenta a lavorare.
Leonardo si mosse lentamente nella stanza, con il passo silenzioso di un esploratore in un territorio inesplorato. Le sue dita, coperte da guanti, sfiorarono un cavalletto, un blocco di schizzi, una lampada dalla luce calda. Ogni oggetto sembrava raccontare una parte della vita di Clara. Sul tavolo centrale, tra pennelli sporchi e una tazza vuota, trovò un comparto segreto. Il comparto era abilmente nascosto sotto un falso fondo del tavolo, quasi impercettibile a un occhio non allenato. Con delicatezza, Leonardo fece scorrere il pannello laterale, rivelando un piccolo vano nascosto. All'interno, avvolto in un panno di velluto, c'era un quaderno. Era diverso dagli altri, più consumato, con pagine dense di scritte e annotazioni. Sfogliandolo con attenzione, si imbatté in una lista di nomi: circa una dozzina, scritti a mano in caratteri piccoli e ordinati. Alcuni erano barrati, ma cinque di essi erano stati cerchiati con una penna rossa. Uno dei nomi catturò immediatamente la sua attenzione: ‘Matteo Rinaldi'.
Leonardo si fermò, fissando il nome come se stesse cercando di estrarne un significato nascosto. Era un nome che non gli diceva nulla, ma il modo in cui era stato cerchiato, con la linea rossa marcata più volte, sembrava suggerire un'urgenza, o forse un conflitto.
Prese il quaderno, lo mise in una busta per prove e lo ripose nella sua valigetta. Dopo un ultimo sguardo all'appartamento, si fermò davanti a un quadro che non era ancora stato completato. Le linee erano dure, nervose, quasi rabbiose. C'era qualcosa di strano in quell'opera, un'emozione che non aveva trovato sfogo. Leonardo inclinò la testa e si permise un breve momento di riflessione. Poi uscì, lasciando il loft e i suoi segreti ancora per metà celati.
Tornato in questura, consegnò il quaderno a Rossi. "Questo potrebbe essere importante," disse con la consueta calma. "Matteo Rinaldi. Voglio sapere chi è e cosa lo lega a Clara."
Rossi sfogliò rapidamente le pagine, fermandosi sul nome. "Non è un nome che mi suona familiare. Ma se Clara lo aveva evidenziato così, c'è un motivo." Guardò Leonardo con una punta di curiosità. "Secondo te, è un testimone o un sospettato?"
Leonardo alzò appena un sopracciglio. "Dipende da cosa troviamo su di lui. Ma ho imparato una cosa, Marco: in casi come questi, i nomi non sono mai solo nomi."
Rossi annuì e ordinò al suo team di cominciare a indagare su Matteo Rinaldi. Leonardo, nel frattempo, aprì il quaderno e lo osservò di nuovo. Ogni nome, ogni appunto, era un indizio che aspettava di essere decifrato. Ma una domanda continuava a ronzargli nella mente: perché proprio Matteo?

Alton Sinetti

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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