
Nessuno ricorda l'esatto momento in cui tutto cambiò. Forse fu quando il cielo, senza preavviso, mutò colore, o quando le comunicazioni smisero di funzionare, o forse quando Teresa iniziò a pregare per il ritorno di suo marito. In quel torrido pomeriggio d'estate, un satellite fuori controllo teneva in scacco la piccola cittadina di Daisy. Le code all'emporio bisbigliavano alle spalle del claudicante Pat Severson, per la lentezza con cui riempiva i sacchetti della spesa. Qualcuno aveva inchiodato porte e finestre con assi di legno, e qualcun altro aveva preferito sedersi ai tavoli della locanda Field per ingannare il tempo. La vita si stava dipanando in un crocevia di scelte, intenzioni e possibilità. Erano giorni di inizi incerti e turbolenti addii. Sheldon lo sapeva. Randy lo sentiva nelle ossa. E mentre il vecchio Carrington mormorava di profezie dimenticate, in città giungeva qualcosa di inaspettato. * Randy guardò lo specchio, trattenne il respiro e infilò il perno nel quarto buco della cintura. Dal giorno in cui aveva dismesso i panni dell'assicuratore in erba per indossare la divisa cachi della contea, i fori a disposizione erano calati come il livello del fiume Radon. La causa stava nel fatto che Teresa non sbagliava un piatto e lui cedeva, senza opporre troppa resistenza, anche alle più piccole lusinghe della gola. Sorvolava sulla questione, confortandosi con il suo ottimo stato di salute, benché lo specchio lo guardasse con rimprovero. Aveva appena fatto ritorno dalla fattoria dei fratelli Cotton, dove una dozzina di maiali aveva abbattuto la recinzione e invaso la 104, la statale che portava a Dalton. Il suo “determinante” contributo era finito a gambe all'aria nella porcilaia. C'erano volute due docce per ripulirsi, e ancora sentiva l'odore nelle narici. Una cosa di poco conto, ma capace di togliere il buon umore. Daisy era un luogo tranquillo, un vero paradiso dove la maggior parte della comunità era sparsa sul territorio. Fattorie, ranch e allevatori si dividevano il grosso della contea mentre il resto, dopo una discussa iniziativa popolare del 1981, era gestito direttamente dall'amministrazione. Motivo per il quale si era reso necessario un precipitoso intervento il cui esito sarebbe stato destinato a diventare, almeno per qualche giorno, oggetto di chiacchiericcio fra i tavoli della locanda Field o in fila alle casse del supermercato. D'altronde, poco importava se avevi visto nascere la ferrovia o se il busto, sulle scale del municipio, portava il nome dei tuoi antenati: quando c'era di mezzo la divisa, il tiro al piccione diventava il nuovo passatempo. Teresa si affacciò alla porta della camera da letto con una tazzina di caffè tra le mani. «Tesoro, c'è la signorina Dell al telefono!» «Hai detto signorina?» Randy sollevò il braccio e si annusò l'ascella. «Passerotto, sono più che convinto che la “Signorina Dell” abbia come minimo un paio d'anni più di noi.» «Ma non è sposata! E finché a una donna non viene infilato l'anello al dito rimane comunque una signorina.» Non provò nemmeno a ribattere: ne sarebbe uscito sopraffatto, come sempre. La vista del caffè gli fece tornare il sorriso sulle labbra. «Confettino, passa la tazzina.» «Piano, che è bollente!» Erano state accortezze come quelle a farlo innamorare, la premura con la quale si era sempre presa cura di lui. Socchiuse gli occhi e mandò giù tutto d'un fiato. Teresa non fece in tempo a ripetersi, che un rivolo di caffè gocciolò sul polsino. «Pasticcione! Che cosa ti avevo detto? Adesso sei anche senza camicie, non ho ancora avuto tempo di fare il bucato.» «Oh porca... Sono queste tazzine, hanno qualcosa che non va.» Lei alzò gli occhi al cielo. «Sono le tue orecchie a non funzionare. Dammi qui!» Aveva inumidito il fazzoletto di saliva e ora sfregava con forza sulla macchia. «Teresa...» sospirò Randy, allungando l'ultima vocale, «sei il mio angelo custode. Non esistono donne come te in circolazione. Il Signore ha gettato lo stampo dopo il primo vagito.» «Puoi dirlo forte!» ribatté. «Guarda cosa hai combinato! Arrotola le maniche prima di uscire di casa.» «Agli ordini! Inizio a credere che sia sempre stata tu lo sceriffo. Come avrei fatto senza di te per tutto questo tempo?!» Teresa si fece rossa in viso. Erano lusinghe come quelle che l'avevano fatta innamorare. Gli diede una pacca sulla pancia e trattenne un sorriso. «Vai, vai, ha l'aria di essere importante.» «Più importante di un satellite che sorvola le nostre teste?» «Non ci voglio pensare. La sola idea mi terrorizza.» «Non dirlo a me passerotto. Ho ancora due fattorie da visitare e, con quello scherzetto dai Cotton, mi tocca saltare il rinfresco in mio onore.» «Caro, non c'è bisogno che tu vada a rimpinzarti alla locanda. Non stasera, ti ho preparato il polpettone!» «Il polpettone alla Byron? Quello con...» «L'uvetta» annuì Teresa, curvando le labbra verso il basso. «Il tuo preferito.» «Ehi, ehi, ehi, stai tranquilla, andrà tutto bene.» «Come fai a dirlo? Ancora non sappiamo dove andrà a finire.» «Perché è tutta colpa di Washington. È sempre colpa di Washington. Fanno le cose di nascosto e quando si cacano addosso lanciano l'allarme. Vedrai che finirà nell'oceano come tutte le altre volte.» «Se è così allora perché tutta questa apprensione?» «Bocconcino, è solo per cautela. Cosa pensi succederebbe se la cosa venisse presa sotto gamba? E se qualcuno se lo ritrovasse dritto nel fienile?» Teresa sospirò. «Per fortuna non abbiamo un fienile!» «Vedi? Non c'è di che preoccuparsi, adesso fammi rispondere prima che la “signorina” Dell festeggi il secolo.» Randy sapeva che c'era una buona dose di verità in quelle parole e non poteva fare a meno di chiedersi se la cosa fosse in qualche modo collegata alla mancanza di segnale della rete mobile, che ormai si prolungava da oltre ventiquattro ore. «Margaret?! Sono in ascolto. Mmm, mmm, sì... cos'è successo? Cosa? E come avrebbe fatto? Sarebbe apparso come un fantasma?» Il rantolio nervoso dell'aspirapolvere lo costrinse ad appiattirsi alla finestra sul giardino. Il cielo si faceva scuro e un'insolita tinta arancio gocciolava sulle foglie dentellate del grande olmo. Spostò l'attenzione dalla conversazione alle lancette sulla parete. Una manciata di minuti alle 17:00. Troppo presto perché il cielo mostrasse le cicatrici. Si interrogò se quel fenomeno fosse la conseguenza di un evento atmosferico straordinario, un'eclissi o roba del genere, e se addirittura, in qualche modo, non ci fosse dietro lo zampino di Washington. Il che avrebbe significato che la storia del satellite fuori controllo nascondeva qualcosa di molto più serio. «Allora facciamo così! Manda Sheldon, dovrà iniziare prendersi qualche responsabilità. Devo ancora passare a controllare le fattorie dei Carver. Finito con loro torno in ufficio.» Gettò un ultimo sguardo oltre la finestra e lentamente se ne tornò davanti lo specchio, fischiettando come era solito fare quando non voleva soffocare in una mente affollata di pensieri. In un qualsiasi altro giorno sarebbe stato sedotto dalla tentazione a verificare di persona, ma era consapevole di dover iniziare a prendere le distanze. Sottrarsi al senso del dovere. Abituarsi alla sensazione che certe cose ormai non lo riguardassero più. La vita del “giorno dopo” lo attendeva e avrebbe fatto meglio a escogitare un modo tutto nuovo di impegnare le giornate a venire, e poi c'era quella strana cosa del cielo alla quale non riusciva a sottrarre pensiero. L'aspirapolvere aveva smesso di rantolare. «Che succede?» urlò Teresa dalla cucina. «Come dici, Passerotto?» Chiuse il rubinetto e, con le mani ancora bagnate, lo raggiunse. «Dicevo, cos'è successo di così importante?» «Ahh, scocciature. Un aereo in partenza da Dalton si è trovato, proprio davanti, un vagabondo che passeggiava sulla pista. L'ha mancato per un soffio.» «Oh santo cielo!» «Sono rimasti tutti a terra. Qualche malumore, ma stanno bene. Hanno bisogno di qualcuno che dia una mano. Ho mandato Sheldon.» Lei si portò una mano sulla guancia. «Speriamo!» Nell'intimo lo sperava anche lui. Il codino della cravatta si rigirava tra le dita grassocce, ribelle come i suoi sospetti su Washington, impigliandosi tra le punte sul petto. «Aspetta, faccio io.» Teresa strinse il nodo della cravatta, ma non troppo, e con l'angolo del grembiule lucidò per l'ultima volta la stella di metallo. «Devo ammettere che mi sento un po' impacciato» sospirò Randy. Aveva una pancia enorme per la sua statura. Gli usciva dai pantaloni, strozzata dalla cintura nera di cuoio. Teresa posò una mano sulla pancia, leggera come il respiro. «Colpa mia, ho usato solo un po' troppo amido»
Morris Insogna
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