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Autore: Angela C.
Due mariti per Sveva
Romance
Lettori 201
Due mariti per Sveva

Sveva.

Luglio 2004, festa di fine anno
Sono seduta sul water e osservo basita la strisciolina del test che ho in mano, due astine rosa: positivo.
Non può essere! Non può essere vero, non può succedere a me! Una sola volta lo abbiamo fatto senza protezione, mi ha detto che sarebbe stato attento, non è possibile! Cosa farò ora? Come lo dirò a mamma?
Sento una stretta allo stomaco, ho la nausea, sto tremando, le lacrime iniziano a scorrere. “Stai calma Sveva e rifletti”, ma non funziona, sono in preda al panico, ho compiuto da poco diciannove anni e terminato il quinto liceo, ho tanti progetti: l'università, viaggiare, un lavoro importante. Devo trovare una soluzione.
«Sveva, sei ancora al bagno? Vieni, ho quasi finito il vestito per stasera, prova se ti va bene!»
Avevo quasi dimenticato la festa di fine anno! Ultima volta che saremo tutti insieme prima di partire per le città universitarie. Ma io non ho nulla da festeggiare. Devo dirlo a Piero, lui saprà cosa fare.
«Arrivo, mamma!» Ma prima faccio partire la chiamata.
«Ciao, amore mio!»
«Piero, ho bisogno di parlarti prima della festa di stasera, è una cosa importante.»
«Sono al bar vicino la villa comunale con gli altri, vieni, anche io ho una bellissima notizia da darti.»
Mi asciugo le lacrime, lavo il viso. «Mamma, torno tra mezz'ora e provo il vestito, ora devo andare un attimo in centro.»
«Aspetta, ci impieghi due minuti!»
Ma io sono già in sella alla bici e percorro più veloce della luce le stradine che mi portano al centro.
Piero è insieme agli altri compagni di classe, appoggiato al muretto della villa con una birra in mano, sono tutti allegri, come mi vede arrivare si sbraccia per attirare la mia attenzione.
È il più bello di tutti, lo amo da morire: capelli ricci neri incorniciano due occhi azzurro mare. Il cuore impazzisce ogni volta che lo guardo e stare tra le sue braccia è come volare, lui è tutto quello che posso desiderare, non ci lasceremo mai, abbiamo tanti interessi in comune e andremo alla stessa università: economia a Chieti.
Mi fermo a pochi passi dal gruppo, ci salutiamo, Piero si avvicina, mi abbraccia, ci sfioriamo un bacio rapido e ci allontaniamo.
Prendiamo posto su una panchina isolata per stare tranquilli, mi siedo in braccio a lui, mi accarezza i capelli e ci diamo tanti piccoli baci, ora non ho più paura, insieme sarà più facile.
«Cosa dovevi dirmi, amore mio?»
«Anche tu hai qualcosa da dirmi, hai detto, inizia tu e poi io.»
«Bene, la mia è una notizia fantastica: sono entrato alla Bicocca, andrò a fare economia a Milano, stamattina ho avuto la conferma, sono stato preso! Non è fantastico?»
Il cuore smette di battere. «Cosa? Ma non dovevamo restare a Chieti insieme? Dovevamo restare vicino casa per evitare grosse spese e non lasciarci mai!»
«Tesoro, ma non ci lasceremo mai, io vado a Milano e ci sentiremo ogni giorno, tornerò per Natale e ogni festa, tra noi non cambierà nulla!»
«Non puoi farmi questo, per favore non puoi partire, ora ho bisogno di te! Ho bisogno di averti accanto.» le lacrime scendono da sole inondando il volto.
«Ma cosa ti prende, sei impazzita? Avanti, non cambierà mai nulla tra noi, io devo pensare al mio futuro, alla mia carriera.
Sai cosa significa andare alla Bicocca? Che al termine del percorso universitario avrò la strada libera per un lavoro e tu mi chiedi di rinunciare? Non è amore il tuo, ma egoismo. Se mi amassi vorresti il meglio per me e non mettermi le catene. Dovresti concentrarti anche tu sul futuro, le scelte di ora ci condizionano per tutta la vita.»
Quelle parole mi colpiscono come uno schiaffo. Se gli confesso che sono incinta penserà che l'ho fatto apposta per costringerlo a restare. Mi asciugo le lacrime facendo leva sulla rabbia che mi sale dentro.
«Hai ragione, ti auguro di fare il percorso giusto per la tua carriera futura, non sarò io a esserti d'intralcio. Sono stata stupida a credere a tutte le tue belle parole, il tuo scopo era quello di avere una cretina con cui divertirti. Ti auguro di avere al tuo fianco sempre donne perfette come te, che ti amino meno della loro carriera lavorativa.»
«Che diavolo dici?» Mi prende per un braccio, io lo spingo e mi alzo, corro verso la bici appoggiata al lato della panchina.
Sento un suo amico chiedere: «Piero, cosa le hai fatto?»
«Nulla, è fuori di testa, ma le passerà!»
Non sento più nulla, sono già lontana, verso casa.
Entro e corro nella mia camera, sono una ragazza finita! Come posso fare ora? Certe cose si fanno in due, ma solo uno dei due ne pagherà le conseguenze, mio padre mi raccomandava sempre di stare attenta e io ho sempre promesso che l'avrei fatto, invece?
Mi ammazzerà ora che lo scopre! Mi tuffo sul letto e piango a singhiozzi, non mi accorgo di mamma che entra. «Cosa ti è successo Sveva?»
Mi scuote, mi volto asciugando con le mani il viso, lei si siede sul letto accanto a me, ha il vestito che dovrei indossare stasera tra le mani. «Non serve più quel vestito a meno che non lo metta per un funerale!»
«Chi è morto?»
«Nessuno ancora, ma credo che morirò io, anzi, era meglio se tornando a casa un'auto mi avesse investita!»
«Non dire queste parole neppure per scherzo, sei la nostra vita, senza di te non avrebbe senso, tu sei tutto quello che tuo padre e io abbiamo, siamo tanto fieri di te!»
«Mi dispiace mamma! Mi dispiace, non volevo capitasse, non so come sia potuto succedere, sono stata attenta, ma è successo! Papà ne morirà quando lo scoprirà e anche tu, vi ho deluso. Non volevo! Ve lo giuro!»
Mia madre mi osserva allarmata, non so se nel cuore già sappia, ma il suo sguardo è freddo. «Cosa hai combinato?» mi chiede asciutta.
Tiro fuori dalla tasca del jeans il test di gravidanza e glielo mostro.
Lei osserva la striscia con le due lineette e vedo il suo volto diventare rosso, delle lacrime scendono silenziose. «Come hai potuto Sveva! Ci fidavamo di te!»
«Lo so, mamma, lo so. Mi dispiace, non so cosa fare.»
Si alza dal letto, butta il vestito sulla sedia. «Questo non ti serve più, come farò a dirlo a tuo padre? Povero uomo, non si merita questo, abbiamo fatto tanti sacrifici e ora questo? Chi è quel bastardo?» urla, ora mi guarda accigliata e urla, l'ho delusa e ferita, non meritava di avere una figlia come me.
Mi metto a pancia in giù e ricomincio a piangere.
«Con chi sei stata? Avanti chi è il responsabile?»
«Nessuno! Non è di nessuno.»
«Che significa? Devi dirmi il nome, andrò a casa sua subito!»
«No! Non ha un nome e non lo dirò mai, sono solo io la responsabile. Devo trovare io la soluzione.»
«Perché lo copri? Non capisci che la responsabilità è di entrambi, avrà una famiglia? Parla!»
«Puoi anche uccidermi adesso, ma non avrai mai un nome. Lui non esiste.»
«Meglio che esca da qui subito, prima ti uccido davvero con le mie mani!» esce sbattendo la porta e io resto sola con la mia angoscia.
Vivo in un piccolo paese in Abruzzo, qui tutto è sotto gli occhi di tutti, ognuno conosce la vita degli altri, quello che mi sta succedendo è una vergogna per la mia famiglia e appena si saprà in paese io sarò messa alla gogna come una ragazza di facili costumi. La mia famiglia, da una delle più amate, “papà collaboratore scolastico e mia mamma aiutante in una pizzeria al taglio dal giovedì alla domenica sera” si trasformerebbe in una famiglia che non ha saputo educare la loro unica figlia, saranno etichettati come delle persone irresponsabili e poco serie.
Vorrei solo sparire, vorrei che ora nella mia camera si aprisse una voragine nel pavimento e mi ingoiasse. Per quanto ci pensi non trovo una soluzione: andare all'ospedale a Chieti equivale a mettere i manifesti, siamo vicini e lì lavorano molte persone del mio paese. D'altro canto, avendo un bambino, lo condannerei a essere un bastardo ignorato e isolato, la mentalità evoluta che tutti vogliono far credere, qui non esiste, sarebbe il piccolo bastardo senza padre, io la povera puttanella ingenua, al massimo potrò sposare uno che non riesce a trovare moglie e dovrei sgobbare a fare la cameriera a vita.
Sono distesa sul letto a pancia in giù a stritolare il cuscino che assorbe le lacrime. Mi arrivano delle urla, è tornato mio padre, lo sento bestemmiare. Mia madre gli avrà raccontato tutto. È la prima volta che sento mio padre imprecare, lui è sempre paziente, lo amo da morire, non avrei mai voluto dargli un dispiacere simile, l'ho deluso e questo mi fa ancora più male.
Ho sempre cercato di essere una brava bambina, e lui era fiero di me, dei miei profitti scolastici. Mi sono diplomata con il massimo dei voti, lo ha riferito a tutti in giro, mi raccomandava sempre di stare attenta con i ragazzi che certi errori si fanno presto a commettere ma poi si pagano per la vita, l'ho sempre rassicurato, e invece?
Vorrei riavvolgere il nastro della mia esistenza, tornare indietro, non farei più una cosa simile, mi terrei lontana da ogni ragazzo e farei di tutto per non trovarmi in una situazione così angosciante.
Si apre la porta, entra mia madre sempre scura in volto. «Ho parlato con tuo padre, è davvero arrabbiato e deluso. Nessuno di noi si sarebbe aspettato da te una simile azione.»
«Mi dispiace mamma, mi dispiace davvero, io sono stata attenta, non so come sia potuto succedere e non avrei mai voluto darvi un dolore simile. Se potessi solo morire qui in questo istante lo farei.»
«Ma cosa dici? Alla morte non c'è rimedio, ora dobbiamo pensare a come rimediare al tuo errore, un grave errore. Tuo padre sta parlando con zia Aurora, ti manderemo lì. A chi chiede dove sei diremo che sei in vacanza da lei. Ti porterà in ospedale ad abortire, resterai lì una ventina di giorni, quando tornerai nessuno saprà nulla e tutto tornerà alla normalità.
Non mi piace l'idea di uccidere una creatura, ma che vita avrebbe qui in paese? Che futuro potresti avere tu? Saresti la povera ragazza con un figlio che nessuno vorrà mai e chi si prenderà cura del bambino quando andrai all'università? Credo davvero che l'aborto sia la soluzione migliore.»
Zia Aurora è la sorella di mio padre, non si è mai sposata, vive a Siena e ha un'agenzia assicurativa. Una donna molto aperta, è la ribelle della famiglia. Mio padre l'adora, e io spesso vado a farle visita durante le vacanze estive. Lei invece non ama molto venire da noi, dice che qui siamo indietro di trent'anni come mentalità.
Mamma non attende la mia opinione: hanno già deciso. Si volta apre la porta aggiungendo: «Tra due minuti scendi a cena.»
Quando arrivo, papà è seduto a tavola con la testa bassa, non solleva neppure uno sguardo. Il suo atteggiamento è una pugnalata per me. Mi siedo in silenzio, cerco di mandare giù qualcosa, mastico lenta e ingoio. Ho la nausea, sto troppo male. Mi alzo per tornare di sopra.
Passo di lato a mio padre e sussurro: «Mi dispiace molto papà, non volevo, non volevo te lo giuro!»
Lui non risponde, torno in camera, mi butto di nuovo sul letto e ricomincio a piangere.
Ripenso ai giorni belli trascorsi con Piero dove tutto era possibile, dove si sognava e il cuore era una campana a festa. Le sue braccia forti che mi tenevano stretta a lui, la sua bocca e i suoi baci mi facevano volare in alto. Avevamo fatto tanti progetti: finita l'università un bel lavoro, ci saremmo sposati, una casa tutta nostra e dei bambini. «Se arriverà una femmina la chiameremo Michelle, ti piace?» mi chiese una volta.
«Perché Michelle?»
«Ma come perché? È la mia canzone preferita dei Beatles.» La mamma gli aveva inculcato la passione per il gruppo britannico e lui faceva di tutto per trasmetterla anche a me.
Con lui è tutto così bello, mi manca da morire e non riesco a odiarlo.
Ci eravamo promessi che mai ci saremmo lasciati, per noi il futuro sarebbe stato bellissimo. Invece le parole che si dicono gli amanti sono scritte sui rivoli d'acqua di un ruscello che scorre veloce.
Come Piero, che ha già dimenticato le sue e io ora sono qui, sola con il cuore straziato di dolore. 
Capitolo 2 Piero
2022 Guai in agguato.
Esco dalla doccia e con i capelli bagnati torno in camera da letto, Azzurra è distesa nuda tra le lenzuola sonnecchia, il volto da bambina con un corpo da adulta: “non dovevo cedere alle sue avance! Speriamo non mi porti altri guai!”
«Azzurra, forza rivestiti che ti accompagno a casa!»
«No, stanotte resto con te, non voglio lasciarti amore mio!»
«Forza! Se tuo padre sospetta soltanto che stai qui con me, mi uccide.»
«Mio padre lo sa, gliel'ho detto io!»
Resto senza fiato, non posso credere a quello che ha fatto, come ha potuto? Nella testa si aprono vari scenari, già mi vedo al circolo con lui che mi viene incontro imbufalito e mi prende a pugni. O peggio, come cerco di varcare il cancello il mio badge non lo apre, e mi fa espellere dal circolo, lui ne è capace e io come giustifico che mi sono scopata la figlia? Dio Santo, mi ero ripromesso di non mettermi nei guai con le donne invece!
Respiro per riprendere il controllo ma la voce esce abbastanza alterata. «Cosa? Sei impazzita? Non dovevi farlo, ti avevo avvisata, lui fa parte della mia comitiva, giochiamo a tennis insieme, cosa succederà ora?»
«Cosa vuoi che accada, gli ho detto che siamo innamorati che stiamo insieme e che la differenza di età non conta, lui ci è rimasto un po' male... se ricordo bene ti ha chiamato “bastardo” ma deve abituarsi all'idea, noi due stiamo bene insieme e non ci lasceremo mai, vero orsetto mio?»
“Non ci lasceremo mai? Ma cosa le passa per la testa? Non mi ci vedo proprio a essere presentato in giro dal padre con l'appellativo: «Mio genero.» e che precisa: «Ha un anno più di me!» O seduti sul divano l'uno accanto all'altro, il padre e io a parlare di finanza mentre lei si lacca le unghie davanti a una serie televisiva.”
Continuo a chiedermi come diavolo ho fatto e finire in questa intricata situazione. «Sei pazza! Ci siamo visti sì e no tre volte, non si prendono decisioni simili così in fretta!»
Si alza nuda e si avvicina ad accarezzarmi come una gattina che fa le fusa. «Orsetto goloso, non è così, l'amore è un vortice che ti travolge e noi siamo stati travolti e ci ameremo sempre. Tu mi aiuterai a diventare una grande star e poi ti prometto che quando saremo sul red carpet uno a fianco all'altra, tutto il mondo ci invidierà!»
Le tolgo le mani di dosso. «Tu sogni troppo, hai appena iniziato a frequentare una scuola di teatro, ci vorrà un po' prima di sfilare sul red carpet. Tieni la testa a terra, hai fatto malissimo a dire a tuo padre che stiamo insieme, per me è solo svago, non sono pronto per una relazione a lungo termine, lo sai benissimo. Vestiti che ti riporto a casa.»
Lei si avvicina di nuovo e mi infila le mani tra i capelli. «Amoruccio, smettila, fai fare a me! Meglio che l'ho detto ora, così papà lo digerisce con calma e possiamo goderci la nostra libertà. Per quanto riguarda la scuola, devi sapere che spesso dei registi vengono a osservare le nostre lezioni e capita che propongano piccole parti se trovano un volto interessante. Io ho un volto interessante, tutti lo dicono, il mio unico difetto sono le tette troppo piccole!» piagnucola un po'. «Devo trovare il modo di pagare quel maledetto intervento il prima possibile, è vero orsetto che mi aiuterai? Sono la tua Ciccina, vero?»
Ecco che torna con di nuovo con quella stupida idea che devo pagarle un intervento estetico, così se il padre non mi taglia le palle prima lo farà dopo. La spingo di nuovo lontano da me. «Anche se tuo padre lo sa, vestiti, ti riporto a casa, muoviti!»
Uso un tono duro, mi danno sui nervi i suoi nomignoli, e ancora di più il castello che ha montato dopo che mi sono fatto accalappiare dalle sue mielose moine. Io sono da una scopata e via, dopotutto si strusciava con tutti sotto gli occhi del padre al circolo. Tra mille proteste finalmente si è vestita, la prendo quasi con forza. «Non farmi arrabbiare Azzurra, ho da fare, andiamo altrimenti ti chiamo un taxi, cosa preferisci?»
Fa il broncio come una bambina. «Orsetto cattivo sei ora! Va bene andiamo via, però dimmelo che sono stata brava, ti è piaciuto vero? Sono una bomba a letto!»
«Sì, sì, ma ora andiamo prima che la bomba non la metta tuo padre qui sotto.»
Afferro lo smartphone sulla sedia accanto al letto, uno sguardo veloce e vedo un messaggio.

Bastardo non ti vergogni scopare con una che potrebbe essere tua figlia! Se le farai del male ricordati che ti manderò al camposanto passando per la corsia preferenziale! Lei dice che vi amate, aspetto che tu la rispetti e ti prenda cura di lei, se pensi di fare una scopata e via questa volta ti sbagli! Non mi sei mai piaciuto ma questa volta hai scelto la donna sbagliata, prova a lasciarla... e non avrai modo di farlo di nuovo con nessun'altra. 
Impreco a voce alta. I miei timori sono diventati realtà, tiro un pugno sul comodino.
«Brutte notizie orsetto?»
«Smettila con questo cazzo di orsetto! Tuo padre mi ha detto che mi taglia le palle se mi vede ancora con te! Hai visto cosa hai combinato?»
«Non credo che abbia detto così, fammi leggere?»
«No! Smettila.»
«Papà tiene a me, ti avrà detto che non devi farmi del male e bla, bla, bla. Ma tranquillo lui lo sa che tu mi ami tanto e non mi lascerai mai.» Afferro la sua borsa sul letto, spingo Azzurra verso la porta. «Mi stai facendo male, non mi stringere così forte!»
Impreco e allento la presa, ma continuo a spingerla dentro l'ascensore. Non mi ero mai trovato in una situazione simile fino a ora eppure di donne ne ho avute. Dopo due matrimoni falliti ho promesso a me stesso che non avrei mai portato la stessa donna per due volte di seguito nel mio appartamento, invece questa mocciosa ha combinato un vero pasticcio, ora devo solo trovare il modo per farla allontanare da me.
Trascorro il peggiore fine settimana della mia vita, o forse ne ho trascorsi anche peggio con le mie ex. Mi sono inventato un impegno improrogabile e ho tenuto Azzurra lontana dal mio letto.
Non riesco a dormire la notte, mi rigiro nel letto fino all'alba.
Sul lavoro sono un disastro: ho risposto appena al saluto dei miei colleghi, ho rotto due matite mentre disegnavo un grafico per un cliente, ho rovesciato il portapenne nell'infilare dentro il tagliacarte. Il mio umore non migliora con il trascorrere delle ore soprattutto quando mi telefona il direttore generale dell'istituto di credito chiedendomi di recarmi da lui. Sbatto la cornetta nel chiudere la chiamata e mi domando cosa vorrà da me.
Il padre di Azzurra? Che abbia detto qualcosa su di me?
Appena dopo laureato sono entrato a lavorare per questo gruppo bancario. Ne ho fatta di gavetta. Sono partito come bancario ossia addetto allo sportello per poi diventare consulente finanziario e alla fine dopo tanto sono riuscito a farmi promuovere come direttore di filiale. Non è stato un percorso facile ma ho dato anima e corpo a quest'azienda, questa richiesta di incontro non porterà nulla di buono. Gli istituti di credito stanno ridimensionando il loro personale e molti dipendenti che sono andati in pensione non sono stati rimpiazzati a discapito dei colleghi.
Esco un'ora prima e per recarmi alla sede centrale che si trova nella zona più “in” di Milano. Il direttore mi accoglie con un sorriso amichevole e una stretta di mano, rispondo con vigore e sospiro per allentare la tensione.
«Dottor Mancini, si accomodi pure. Ma lo sa che è uno tra i migliori dipendenti che abbiamo!»
Lo osservo socchiudendo gli occhi, i suoi preamboli non mi piacciono, dopo le lodi arrivano sempre delle spiacevoli sorprese. «La ringrazio, ma non credo mi abbia chiamato per tessere delle lodi o mi sbaglio?»
«Ha ragione, ma volevo precisare che siamo orgogliosi di averla in squadra con noi. Grazie alla sua dedizione e competenza, la scelta di promuoverla direttore di filiale è andata su di lei. Lei sarà in nuovo direttore della filiale di Siena e sostituirà il collega che andrà in pensione.»
Resto a fissarlo interdetto, lui è già in piedi e allunga la mano con un fascicolo.
Questa è una comunicazione a cui non posso ribellarmi, né tanto meno contestarla. Questo trasferimento ha il sapore di una punizione. Sono a Milano da diciotto anni, prima come studente poi come lavoratore. Mi sento milanese più che mai, ma la mia situazione familiare: “divorziato senza prole” fa di me il candidato migliore. Mi consegna un plico con tutte le informazioni e tra dieci giorni dovrò essere nella mia nuova sede.
«Complimenti e auguri.» aggiunge con un sorriso allungando la mano, che io stringo accennando un tirato sorriso.
Cerco di fare buon viso alla comunicazione ma quando mi siedo dentro l'auto, impreco e do un pugno sul volante. Le nocche diventano rosse. Sono sicuro che il padre di Azzurra ci abbia messo una mano, so che conosce il direttore. A pensarci bene, d'altra parte forse non è una cattiva idea andare via da qui, non mi ha portato molta fortuna Milano. Ci sono anche aspetti positivi in questo: eviterò di incontrare anche le mie ex che mi guardano come se fossi un delinquente a piede libero.
La sera incontro Azzurra e le riferisco del trasferimento.
«Non puoi partire, non puoi accettare, chiederò a mio padre di intervenire, come faremo a vederci? Non puoi lasciarmi.»
Gli occhi sono allagati e mi strattona con vigore. La osservo, sarà una brava attrice un giorno, perché non credo sia sincera. «Cerca di calmarti, troveremo un modo per incontrarci, in fondo non vado poi così lontano.»
Il giorno successivo al risveglio trovo un messaggio sullo smartphone. 
Figlio di puttana, se hai chiesto il trasferimento per allontanarti da mia figlia, hai fatto male i conti. Ti caverò i denti uno alla volta se la vedrò piangere. Lei è il mio bene più prezioso e finché sarò in vita non permetterò a nessuno di farle del male. Voglio sapere che intenzioni hai!

Lancio il cellulare sul letto, impreco e cammino avanti e indietro per la stanza, mentre il cervello cerca di elaborare una soluzione, forse dovrei rispondere, ma cosa?
Lo smartphone squilla, lo prendo, è il padre di Azzurra, potrei non rispondere ma sarebbe peggio. «Pronto!»
«Ho visto che hai letto il mio messaggio, allora come la mettiamo?»
«Diego, ascolta, non ho chiesto io il trasferimento, è una vita che abito qui, non mi sarebbe mai venuto in mente di andare altrove, ma sai benissimo come vanno queste situazioni, non mi sono potuto rifiutare, ma come ho detto a tua figlia, cercherò di venire a Milano ogni fine settimana»
«Ti conviene rispettare la promessa, se vedrò soffrire Azzurra non avrò pietà di te, credimi!»
“Solo i primi tempi.” penso, ma taccio. Poi spero davvero di liberarmi di lei e di tutta la sua famiglia, non ho nessuna voglia di fare ogni settimana tre ore e cinquanta di andata e tre ore e cinquanta di ritorno.
Sospiro, poi gli dico di stare tranquillo che tengo molto a sua figlia, mentre in cuor mio spero che questo trasferimento mi allontani dai guai.

Dieci giorni dopo sono a Siena e varco la porta del mio nuovo ufficio.
Il vecchio direttore provvede alle presentazioni, una bella squadra: una decina di giovani in tutto. La filiale è situata in una parte centrale di Siena. Davanti c'è una piazza al cui centro si solleva una colonna con la lupa senese, e di fronte la chiesa di San Cristoforo i cui scalini sono gremiti di ragazzi. Qui intorno si snoda il centro storico e vitale della città, devo dichiararmi fortunato per dove sono capitato.
Siena mi piace molto, è meno caotica di Milano, somiglia a un grande paese, è tranquilla. Ho girato un po' per i vicoli del centro e già mi sento parte di essa, la gente è calorosa e accogliente.
Ho trascorso la prima settimana con molta serenità, i colleghi sono preparati e disponibili, venerdì è arrivato in un attimo.

«Piero, vuoi venire a fare uno spuntino.» Marco mi invita a pranzare con lui, abbiamo un'ora e un quarto per la pausa pranzo e terminiamo di lavorare alle sedici.
«Arrivo, ti ringrazio, non mi ero accorto dell'ora.»
Usciamo dall'edificio, giriamo l'angolo e vengo attratto da una ragazza accanto a una Ducati Panigale.
Indossa una divisa da motociclista con tanto di pantaloni e giacca che le fasciano il corpo magro, ha i capelli lunghi rossi. È uno schianto, almeno da dietro, infila la borsa dentro il bauletto, mette il casco e con agilità inforca la moto e parte scomparendo dalla mia vista. Siena promette bene, penso tra me e me.
Approfitto del weekend per visionare degli alloggi, alla fine opto per un piccolo trilocale ristrutturato da poco. Situato in zona centrale non molto distante dalla sede dell'istituto di credito, vicino a piazza Del Campo. Invio le foto ad Azzurra che mi tampina con i suoi continui messaggi, poi giro a zonzo. Siena la trovo una città molto elegante, credo che non sarebbe piaciuto viverci a nessuna delle mie ex, così prese dalla frenesia di Milano, al contrario io preferisco la tranquillità e il contatto con la gente.
Sono rilassato il lunedì quando mi reco a lavoro: cambiare ambiente mi ha giovato, o forse sono più tranquillo perché non devo guardarmi alle spalle e incontrare il mio passato.
Cinzia, una delle mie ex, me la trovavo quasi tutti i giorni al bar insieme al suo nuovo compagno; non faceva che criticare i giorni trascorsi insieme e mettere in risalto le differenze tra me e Luigi. Io non credo di meritarmi questo, da parte mia ho cercato di impegnarmi, ma la nostra convivenza era diventata davvero impossibile. Ogni decisione, ogni piccolo problema era un braccio di ferro e non facevamo che avvelenarci la vita. Se faccio un salto ancora più indietro mi rivedo prigioniero di un matrimonio che doveva essere meraviglioso, invece dopo solo tre mesi dall'uscita della chiesa era diventato un carcere: Federica era un tutt'uno con il suo lavoro, non aveva tempo per nulla e io ero solo un bersaglio per le sue frustrazioni.
Guardo fuori dalla finestra la gente che passa: coppie anziane mano nella mano, due ragazzi abbracciati con gli occhi lucidi, l'amore è quello? Come si può trovare la donna giusta, quella che ti fa stare bene? Una che ti aspetta la sera a casa per condividere le preoccupazioni della giornata, per bere una birra insieme al tavolino di un bar o solo per passeggiare in silenzio, perché non servono le parole per capirsi, ma bastano gli sguardi e i sorrisi.
Ecco sì, i sorrisi, da quando tempo non rido, ora che ci penso con nessuna delle donne con cui sono stato ho mai riso. Ogni inizio delle mie storie è stato bello: abbiamo condiviso la curiosità della conoscenza, ci siamo divertiti a inventarci momenti indimenticabili, ma poi il tempo ha consumato l'entusiasmo e siamo diventati come belve pronti a sbranarci per ogni contrasto.
Forse l'amore è solo una prerogativa dei ragazzi. Mi tornano in mente i momenti del liceo, quando ero insieme a Sveva, ridevamo sempre per un non niente e sentivo la pelle d'oca quando ci sfioravamo. Quelli sono stati tempi bellissimi, chissà se lei ha trovato l'amore che cercava, se ha una famiglia e se sorride ancora!
Esco per la pausa pranzo, come volto l'angolo vedo la moto rossa della settimana scorsa, mi guardo intorno ma non vedo la ragazza che la guidava, mi sposto sul marciapiedi di fronte, più avanti c'è un bar, forse è lì?
Entro, il profumo del caffè invade la stanza affollata, mi avvicino al bancone e chiedo uno spritz, nell'attesa osservo i clienti seduti nei tavolini, della ragazza dai capelli rossi nessuna traccia.
Quando esco la moto non c'è più, uno sguardo all'orologio da polso sono le tredici meno cinque, più o meno l'orario della scorsa volta.
Sono davvero incuriosito.
Il giorno successivo alle dodici e quaranta esco e mi siedo sugli scalini della chiesa di San Cristoforo, mi confondo con gli altri, per non dare nell'occhio e chiamo Azzurra. Da qui vedo il parcheggio, intanto Azzurra parla, mi racconta delle lezioni di recitazione, del suo professore, dei suoi amici di università che non conosco, di cui non mi importa un accidenti, inizio a innervosirmi quando odo il rombo di un bolide; sollevo la testa: è lei.
La osservo mentre parcheggia, poi scende e si toglie il casco. Un signore parcheggia accanto a lei e mi copre la visuale, mi alzo in piedi, è di spalle, apre il bauletto, prende una borsa da passeggio e una busta di carta, mette dentro il bagagliaio il casco e si muove fino a entrare... in banca!
Metto giù lo smartphone, mi alzo e spedito torno verso l'istituto di credito, solo allora mi accorgo di aver chiuso la chiamata in faccia ad Azzurra, ma non importa, mi inventerò qualche scusa.
Entro nell'edificio, la cerco agli sportelli, ma prima di trovarla mi volto nel sentire una risata di una delle cassiere: Gaia ride alle lacrime, lei è lì.
Non mi avvicino osservo da davanti alla porta del mio ufficio, lei è di spalle: alta, magra, un sedere da sballo dentro quei jeans stretti e la t-shirt aderente non nasconde il seno florido che vedo solo di lato. Sul braccio sostiene la giacca di pelle, si muove con leggerezza, non so cosa stia dicendo, ma la cassiera dello sportello a fianco viene contagiata dalla risata. Sono così preso dalla scena che non mi accorgo di un signore davanti a me che mi parla.
«Scusi cosa ha detto?»
«Potrei parlarle un attimo in privato? È il nuovo direttore, giusto?»
«Sì, venga pure, si accomodi.» Mi sposto per aprire la porta e lo faccio accomodare, divago un attimo in attesa che la rossa finisca e passi qui di lato, ma è ancora lì e con sommo dispiacere entro nell'ufficio per relazionarmi con il cliente. Cerco di essere il più rapido possibile, ma quando mi libero la ragazza non è più dentro la banca.
Durante la pausa pranzo mi avvicino a Gaia e, tra una chiacchiera e l'altra, cerco di portare l'argomento sui clienti e ci infilo la domanda sulla rossa.
«Abbiamo parecchi clienti con i capelli rossi, non ho inquadrato quella a cui ti riferisci.»
«Quella ragazza che viene in moto?»
«Ah, Sveva! Lei è la migliore cliente che abbiamo, sempre allegra anche quando ha la giornata no! Ha un'agenzia di assicurazioni e viene tutti i giorni poco prima della chiusura a fare i versamenti degli incassi.»
Non capisco nulla di quello che ha detto dopo Sveva, quel nome per me rappresenta la nostalgia, sarà casuale, ma questa ragazza mi incuriosisce ancora di più. «Sveva? Ti ricordi per caso il cognome?»
«Certo, Sveva Savelli, la titolare dell'agenzia di assicurazioni.»
“Sveva, Sveva, lei è qui! L'ho cercata molte volte dopo quel pomeriggio di luglio, quando è fuggita in lacrime. Non ha più risposto alle mie telefonate e poi mi ha bloccato, a casa nessuno mi ha voluto dire dove fosse andata e, dopo la mia partenza per Milano, non l'ho più rivista!”
Il cuore batte come un tamburo. Sveva qui a Siena.
“Quanto tempo è passato: sarà sposata? Sicuramente: lei voleva una famiglia e dei figli. Chissà se si ricorderà ancora di me?”
Mi cade la tazzina del caffè tra le mani, il fragore della ceramica che sbatte sul pavimento mi scuote.
«Direttore, sta bene?»
«Scusate, che disastro! Sì, tutto bene, Gaia, puoi venire un attimo nel mio ufficio quando rientriamo? Devo chiederti un favore.» Le chiederò di mandarmi Sveva in ufficio, chissà come reagirà, spero di farle una gradita sorpresa, in fondo le ho voluto davvero molto bene.

Il giorno dopo, aspetto con ansia l'arrivo delle dodici e quaranta, questa è l'ora: Sveva verrà a versare gli incassi, resto chiuso nell'ufficio per non mostrarmi impaziente, ogni tanto osservo l'orologio. Bussano alla porta, sistemo la cravatta, mi liscio la giacca, apro bocca per dire “avanti”, ma la porta si apre, Marco si affaccia. «Niente pausa pranzo oggi?»
Cerco di camuffare la mia delusione. «Certo, arrivo, non mi ero accorto dell'ora.»
Sveva non è venuta. 
Capitolo 3 Sveva
Diciotto anni svaniti in un attimo
Esco dal mio ufficio con il casco sotto il braccio, mi avvicino alla scrivania di Ilenia, prendo la busta con gli incassi delle polizze, la distinta già compilata, poi mi rivolgo a loro a voce alta in modo che anche altri possano sentire. «Ragazzi, io vado, non ci vedremo prima delle diciotto stasera.»
«Vai da Sandro?» dice Ilenia.
«Sì, a dopo, se avete bisogno chiamate.»
«Ti invidio da morire, l'agriturismo di Sandro è bellissimo con quel casolare immerso nel verde dove i rumori della città sono solo un ricordo.»
«Mi raccomando, comunque resto sempre a disposizione.»
«Tranquilla, sai bene che questo ufficio andrà benissimo anche senza la tua presenza.»
Amo molto andare da Sandro, mi rilassa e posso abbandonarmi ai miei pensieri felici. Non sono riuscita a fare tutto quello che mi ero prefissa e sognavo da ragazza, ma ho imparato che nella vita bisogna essere ottimisti e trovare sempre il lato positivo in ogni situazione: “Se non puoi avere il sole, procurati almeno una buona lampada che illumini le tue giornate.”
Così ho convertito la mia vita, faccio tutto quello che mi fa stare bene.
Quando arrivo in banca ci sono pochi clienti, in genere mi fermo da Gaia, una giovane impiegata molto simpatica, se lei è occupata mi sposto da Mara, loro sanno già quello che devono fare, quindi passo la busta sotto il vetro e attendo la ricevuta.
«Sveva, ora dimenticavo, il nuovo direttore vuole parlarti, passa un attimo nel suo ufficio!»
«La solita solfa, ogni volta che cambiate direttore. Sicuramente vuole propormi un investimento finanziario, glielo hai detto che io faccio i contratti per capitalizzare il denaro, e nessuno li fa a me!»
Ride e risponde: «No, meglio che glielo spieghi tu, così poi ti lascerà in pace, comunque vedila in quest'ottica, questo direttore è giovane, una volta che ha compreso, vivrai molti anni tranquilli prima di doverlo spiegare ancora a qualcuno!»
«Ecco, brava ti fanno bene le mie lezioni! Trovare sempre un lato positivo!» Ride. «Comunque ci andrò un altro giorno, oggi già sono in ritardo: pranzo da Sandro e cavalcata. È troppo bello fuori, per passare tutta la giornata in ufficio, vado a prendere la mia dolce metà e fuggiamo.»
«Va bene, divertitevi. A domani.»
Passo a prendere Michelle davanti al liceo e torniamo a casa, il tempo di prendere i bagagli, lasciare la moto in garage e sostituirla con l'auto. Possiedo un bellissimo SUV di grossa cilindrata, ho sempre avuto la passione per auto e moto. Ringrazio ogni giorno mia zia Aurora che mi ha dato la possibilità di poter proseguire il suo percorso lavorativo che mi permette di avere una vita al di sopra delle “righe” senza chiedere nulla a nessuno.
«Mamma, posso chiamare anche Daniele se, pomeriggio vuole raggiungerci?»
«Va bene, tanto lo so che se dico di no lo farai lo stesso!»
Ride e mi mostra il cellulare, muovendolo davanti agli occhi. «Lo avevo già avvisato! Lo accompagnerà il padre per le 15:30 e poi tornerà a casa con noi stasera.»
«Non riesci a stare senza di lui neppure un pomeriggio, ti ho proprio persa!»
«Non è vero, non mi perderai mai, sto' troppo bene con te, non esiste una mamma simile a te in tutto il mondo!»
«Come siamo sdolcinate oggi, cosa ti serve ancora?»
Ride osservando il paesaggio, le abitazioni si diradano per fare posto alla vegetazione, pochi chilometri ancora e su una piccola collina si intravede tra un pugno di alberi il casolare in pietra di Sandro.
«A “Doc” non lo hai avvisato che andavamo da Sandro oggi?»
“Doc”, come lo chiama lei, è il mio fidanzato Carlo, se posso chiamarlo fidanzato, o dargli altra qualifica.
«Lo sai bene che “Doc” sarà impegnato in qualche intervento estetico, con qualche facoltosa cliente. Poi lui odia i cavalli, quanto mai lo hai visto accompagnarmi in una cavalcata? Il massimo che mi concede è restare a smanettare con il PC seduto alla veranda.»
«Continuo a non capire, sai mamma! Tutti prima o poi decidono di andare a convivere, voi due invece siete molto atipici.»
«Tesoro, te l'ho ripetuto migliaia di volte, non siamo strani, siamo maturi. Nessuno di noi due vuole rinunciare alla propria indipendenza, il nostro rapporto va alla grande, ognuno a casa propria, ma quando occorre siamo insieme. Io sono sempre al suo fianco negli impegni mondani, lui fa lo stesso con me, ma siamo anche liberi di gestire la nostra vita come ci aggrada. Poi non ti bastano le serate che trascorriamo tutti insieme a casa?»
Scuote la testa ridendo: «Almeno glielo hai detto?»
«Ma no! “Doc” starà gonfiando le tette a qualche insoddisfatta. Lui si annoia da morire, per non dire che sbuffa sempre perché sente puzza di cavalli, meglio soli, ho voglia di serenità, le lamentele già le sento in ufficio.»
«Sai, mi chiedo spesso se Carlo sia l'uomo giusto per te, se è un bene che restiate insieme. Ci sono tanti uomini in giro, tu li accalappieresti solo passandoci davanti, perché non lo molli.»
«Ma sei matta Michelle, dove lo trovo uno che non rompe, che non ti sta appiccicato addosso e se ne frega di quello che faccio? Non ho bisogno di controllori, altrimenti prendevo un treno. La mia famiglia siamo tu e io e stiamo benissimo.»
«Ma quando io andrò via, tu resterai da sola.»
«Dove pensi di andare? L'università è sotto casa, il lavoro è già consolidato, hai un ufficio dell'agenzia che ti aspetta, credo che quando tu andrai via, al massimo sarà a dieci metri da me! Tesoro sono una donna di molte risorse, non c'è posto per la noia nella mia vita.»
Parcheggio sotto un albero e scendo dal SUV, aspiro a pieni polmoni l'aria fresca mentre Roger e Trisha, i due Border Collie di Sandro, si avvicinano a farci le feste.
Gli gratto la testa, Michelle abbraccia Trisha la sua preferita, e ci avviamo verso l'edificio. Maddie, per gli amici, Margherita per gli altri, la moglie di Sandro, è sull'uscio e scuote la testa nell'osservare la scena.
«Altro che cani da guardia, questi due sono ruffiani! Benvenute, forza, il cuoco ha preparato l'arrosto di cinta senese per Michelle.»
«Grande Alvaro! Posso andare in cucina a salutarlo?» domanda Michelle entrando.
«Certamente, non vorrei sentire quel brontolone che gli ho proibito qualcosa!» dà un bacio sulla guancia a Michelle prima di precederla in cucina.
La saletta del ristorante non è molto grande, una ventina di tavolini in tutto, alcuni sono già occupati, nell'aria si sente un profumo misto, tra sugo e arrosto, che ti apre lo stomaco.
Scelgo un tavolino vicino alla finestra che dà sul retro dell'abitazione, da qui si vedono i cavalli nel recinto. Il mio bel stallone, Pegaso, scorrazza sollevando piccole nubi di polvere, resto incantata a osservarlo con il pelo lucido e la criniera che ondeggia al vento, fino a quando uno dei camerieri non attira la mia attenzione appoggiando vino e acqua sul tavolino. Lo segue Michelle che rientra nella sala con un piatto pieno di salumi in mano, la osservo orgogliosa. Mia figlia è una bellezza rara nei suoi diciassette anni, alta più di un metro e ottanta, capelli ricci neri che incorniciano un incarnato di pesca, due occhi verdi di giada e labbra di fragola.
Quando penso che stavo per liberarmi di lei mi viene la pelle d'oca, come avrei potuto sopprimere una bellezza simile, lei è tutta la mia vita: in principio erano lacrime che hanno ceduto il posto ai sorrisi e all'amore. Non potevo essere più fortunata, un errore che si è trasformato in opportunità. «Golosa o astuta? Sei andata a lusingare Alvaro e ti ha dato solo quello che piace a te.» La prendo in giro, il nostro rapporto con il tempo si è trasformato da quello genitoriale a quello di amiche, il poco divario d'età ci porta a condividere molte scelte, se qualcuno ci osserva dall'esterno sembriamo sorelle o amiche, non figlia e madre.
Verso le quindici, faccio sellare il cavallo da uno degli stallieri e mi perdo tra le lande verdi della tenuta.
La prima volta che venni qui, ero poco più di una bambina, ero venuta in vacanza da zia Aurora, poi i miei genitori sono rientrati al paese e sono rimasta con lei. Non era passata un'ora dalla partenza dei miei che mi misi a piangere, volevo andare via, allora mia zia mi portò qui.
Per la prima volta mi avvicinavo a un cavallo e non ebbi paura, mi mise in groppa e con l'aiuto di uno degli stallieri feci un piccolo giro dentro il recinto. La malinconia sparì e zia mi portò quasi tutti i giorni al maneggio, piansi solo quando mio padre mi venne a riprendere per tornare a casa due settimane dopo, non volevo andare via!
Ogni volta che raggiungevo zia per stare da lei per qualche settimana, mi portava qui e pian piano sono diventata una brava cavallerizza. Quando mi sono trasferita a Siena, questo posto è diventato il mio rifugio: questi alberi mi hanno vista disperare, hanno assistito ai miei tormenti e mi hanno tenuta compagnia quando ho impartito le prime lezioni a una piccola Michelle. Ora sono la cornice dei momenti più intimi e Pegaso è stato uno dei primi acquisti fatti con i miei risparmi.
Sandro lo tratta come un gioiello, è un magnifico Quarter Horse, elegante e possente, c'è tra noi un forte legame e mi fido di lui. Per il dodicesimo compleanno anche Michelle ha ricevuto per regalo il suo primo cavallo: Sirio.
Sandro glielo ha fatto trovare con un fiocco rosso al collo e lei si è talmente emozionata che ha pianto per un quarto d'ora. Mio padre che era presente alla festa l'ha presa in giro per tutta la giornata. «Ma che piangi, è vivo il cavallo, mica è morto!»
Sento un calpestio di zoccoli, mi volto indietro, Michelle e Daniele mi stanno raggiungendo.
«Mamma, ti perdi sempre!»
«Non è poi così grande la tenuta, non mi sono persa. Cosa volevate?»
«Voglio fare una corsa, dai, andiamo verso il percorso, così Siro si sfuria un po'!»
«Ah! Ecco, Sirio si deve sfuriare, dai, andiamo.»
Lo facciamo spesso andare sulla pista battuta e fare una gara, a volte trattengo Pegaso per dare la vittoria a Michelle, altre volte la straccio per insegnarle che le vittorie nella vita vanno conquistate con la determinazione e il sudore.

Settembre è giunto al termine e ci sta regalando delle bellissime giornate: fino a quando il tempo me lo permetterà preferisco spostarmi con la moto, anche per andare nei paesi limitrofi dove ho tre sub agenzie.
Mi avvio qualche minuto prima per recarmi in banca, devo fare la conoscenza con il nuovo direttore, anche se non ne ho molta voglia, con i precedenti ho sempre discusso per la questione degli investimenti. Le banche non vedono di buon occhio le assicurazioni che hanno ampliato i loro servizi e hanno pacchetti di investimenti molto vantaggiosi.

Entro in banca, consegno il plico con gli assegni a Gaia e le dico che, mentre fa le operazioni. io vado a fare la conoscenza del nuovo direttore.
Mi chiede di aspettare, mi annuncia, poi mi fa un ok con la mano, arrivo alla porta del direttore picchio e al suo “avanti” apro: è seduto alla scrivania, si alza con un sorriso sul volto e io resto pietrificata.

I capelli ricci neri luccicano al riflesso del sole che arriva dalla finestra alle sue spalle, i suoi occhi azzurri come zaffiri fissi su di me, il corpo ha lasciato le sembianze di un fanciullo: è più statuario, maturo e più affascinante che mai.
A grandi falcate si avvicina con un sorriso stampato in volto, non nasconde la gioia di avermi avanti, mentre io non riesco a respirare. Tutto a un tratto diciotto anni della mia vita sono spariti e tutta la rabbia che ho cercato di far evaporare ribolle dentro me. “Ecco il grande uomo con la sua formidabile carriera!”
«Sveva! Non hai idea che felicità poterti rivedere! Non riuscivo a crederci che fossi proprio tu, la vita ti riserva davvero delle belle sorprese, sono davvero contento.»
È arrivato davanti a me, allunga le braccia per cingermi, io con un gesto fulmineo mi sposto per non farmi toccare. «Davvero una bella sorpresa!» commento amara, lui mi osserva facendo sparire il sorriso dalla faccia.
«Ma cosa ti succede? Non sei contenta di vedere un vecchio amico?»
«Avrei preferito saperti molto distante da qui, a essere sincera. Comunque cosa vuoi che ti dica: auguri per il tuo incarico e scusami, ma devo andare.» Mi volto per uscire, lui mi prende per un braccio.
«Aspetta, mi piacerebbe parlare un po' con te, come stai, cosa hai fatto in tutto questo tempo, che università hai frequentato, come va il tuo lavoro? Sei sposata?»
Mi volto riducendo gli occhi a una fessura. «Non ti interessa la mia vita, non sono un'attricetta da quattro soldi che ama il gossip. Tu hai fatto le tue scelte anni fa, io le ho rispettate, ora stammi lontano, scelgo io gli amici di cui circondarmi e tu non ne fai, né ne farai parte.»
Esco e mi richiudo la porta alle spalle, tiro un sospiro profondo come se dentro quella camera non ci fosse ossigeno, di corsa arrivo allo sportello da Gaia, mentre mi passa la busta con le ricevute mi osserva accigliata, poi chiede: «Cosa è successo lì dentro, hai una faccia?»
«Avrei preferito non conoscere il vostro nuovo direttore.» rispondo secca. Mi incammino verso l'uscita, Piero è uscito dal suo ufficio e mi osserva torvo, io concentro lo sguardo davanti ai miei piedi, esco, non mi rimetto neppure il casco, salgo in sella alla moto e sparisco dalla sua vista. “Non è possibile, per diciotto anni ho cercato di far sparire il suo volto dalla mia mente, di cancellare ogni suo ricordo, lui non esisteva più! Ora è qui a due passi da casa mia, a dirigere la banca dove mi servo, a scavare nel mio passato a distruggere la mia serenità.”
Spingo la moto al massimo cercando di districarmi tra il traffico e mi dirigo verso la periferia della città, mi fermo appena le case si diradano, tra un casolare e l'altro, vicino a un campo dove ci sono delle mucche al pascolo. Spengo la moto, smonto e mi siedo a terra con le spalle appoggiate a essa, sto tremando ancora, delle lacrime spuntano con rabbia.
Diciotto lunghi anni per buttarmi dietro quei giorni bui, per sbiadire quel volto e concedermi una seconda vita.
Diciotto lunghi anni spariti in un attimo, lui è lì seduto su un muretto della piazza a dirmi che deve pensare alla sua carriera, che io sono un egoista a chiedergli di restare, che voglio mettergli le catene per tenerlo legata a me.
Io che vado via con il mio segreto, un fardello troppo pesante per una ragazzina che fino a qualche giorno prima pensava solo a quale rossetto abbinare al vestito, o come procurarsi un nuovo modello di cellulare.
Una ragazza che aveva investito tutto sui libri, e il peggiore ostacolo che le si prospettava nel suo prossimo futuro doveva essere solo un esame troppo complicato. Ma non avevo calcolato che ci sono errori che si commettono in due, ma si pagano da soli.
“Non capisco perché tu non voglia dire chi sia il padre di Michelle, a volte mi chiedo se lo ami così tanto e vuoi proteggerlo, o lo odi così tanto che non merita di sapere di avere una figlia.” Le parole che mia mamma ripete spesso ora fanno eco nel mio cervello. “Prima o poi il passato ritorna, perché ciò che fai nella vita non puoi seppellirlo e lo pagherai a caro prezzo.”
Ho fatto un errore, ma non mi sento di aver sbagliato così tanto, ogni volta che guardo gli occhi di bosco di Michelle, che la vedo sorridere, penso di aver fatto la scelta giusta.
Ero salita su quell'autobus con il cuore in frantumi, sotto gli occhiali da sole nascondevo occhiaie per notti insonni e lacrime amare, durante il tragitto il sedile al mio fianco venne occupato da una giovane mamma. Aveva con sé un bimbo di pochi mesi, lo stringeva amorevole al suo petto e i suoi occhi erano luminosi, adorava quel piccolo essere e, nell'accorgersi della mia curiosità, mi spinse a prenderlo in braccio. Era morbido e profumava di talco, le sue piccole labbra ciucciavano un immaginario capezzolo, gli occhi aperti di un azzurro intenso mi osservavano come se leggessero dentro la mia testa. “Come puoi disfarti di un mio simile? Come puoi decidere tu che un altro come me non possa mai vedere il mondo? Ti senti forte perché tu puoi decidere della vita altrui senza chiedere il suo parere?”
«Gli piaci, non smette di osservarti e vedi come ti sorride. Non è un bambino facile, non ama molto gli estranei, ma tu evidentemente sei speciale.» affermò la mamma. «Ti piace questa ragazza? Vero che è carina?»
Con l'indice gli accarezzai la guancia morbida e mi sorrise di nuovo, lui sapeva, il suo sguardo era di condanna: mi faceva sentire sporca e in colpa. Quel viaggio non era di piacere, ma conduceva un essere indifeso a una condanna a morte che avevo pronunciato.
Con la sua manina mi prese il mignolo della mano e lo strinse con forza.
«Lo hai proprio conquistato, i bambini credo abbiano un istinto tutto loro che li guida verso chi avere fiducia.» La mamma gli accarezzava la testolina ispida, ma lo lasciava tra le mie braccia, il piccolo dopo un po' chiuse gli occhi per dormire. «Vuoi darlo a me, è piccolo ma è pesante?»
Mi domanda, ma io scuoto la testa. «No, posso tenerlo ancora un po'? È così dolce.»
Lei annuisce e sorride.
Restò a dormire tra le mie braccia per più di mezz'ora, poi la madre con dolcezza lo riprese a sé. 
Capitolo 4 Piero
Confusione
Gaia mi annuncia l'arrivo di Sveva, mi liscio la giacca e raddrizzo il colletto della camicia, passo la mano tra i riccioli ribelli.
Quando la porta si apre, lei è davanti a me, bellissima più di come la ricordavo. Il suo corpo è diventato meno spigoloso, si è riempita sinuosamente sui fianchi e il seno che era appena accennato ora è ben pronunciato e sodo, si intravede dall'apertura della camicia chiara. I jeans fasciano le sue gambe tornite, il volto liscio e levigato incorniciato dai capelli tinti di rosso, le stanno molto bene, sembra ancora più dolce e i suoi occhi verdi risaltano come pietre preziose.
Mi manca il fiato e il cuore impazzisce a vederla, sono davvero contento di averla ritrovata. È stata la mia prima vera amica, era più brava di me a scuola, ma non si è mai tirata indietro a dare una mano quando qualcuno ne aveva bisogno. Spesso studiavamo insieme a casa sua o mia: era paziente, disponibile, allegra e adorabile.
La parte di lei che apprezzavo era la sua sottile ironia, il suo caparbio modo di prendere la vita, mai troppo sul serio, riusciva a trovare sempre una soluzione a ogni problema e tutto diventava facile. Ricordo quando le diedi il primo bacio, frequentavamo il quarto anno al liceo, era un giorno di primavera e dovevamo ripassare vari capitoli di storia. Sveva mi disse che era troppo bello per restare dentro, prendemmo i libri e andammo al parco, aveva portato dentro la borsa un plaid, lo stese a terra e ci sedemmo sopra.
Iniziammo a ripetere a turno i vari pezzi, lei amava il periodo napoleonico, mentre io le guerre d'indipendenza in Italia. Ero affascinato da Mazzini e Cavour, dalle loro idee liberali.
Lei disse: «Ti piace Cavour perché ti rappresenta, vorresti un mondo di persone libere, ma non sarà mai così perché il popolo vuole una guida, un essere forte per potersi immedesimare.»
«In futuro allora potremmo contare su di te, per poter guidare come un despota il nostro paese?» le risposi ridendo.
«Scemo, che c'entro io!» e mi diede una spinta, e io me la portai dietro prendendola inaspettatamente per il braccio, lei mi cadde addosso e i nostri visi erano così vicini che non dovetti fare altro che sollevarmi quel pochino per sfiorarle le labbra.
È stata la prima ragazza che ho baciato, la sua bocca sapeva di vaniglia e fragola, le sue labbra erano così morbide e lei così desiderabile.

Lei è qui ora.
Mi alzo dalla sedia, le corro incontro, dentro di me sentimenti contrastanti, ma devo abbracciarla.
Sveva è davanti a me e sembra tutto surreale, mi avvicino i suoi occhi sono freddi, si sposta, mi evita, non capisco perché non trovi piacevole e meraviglioso questo incontro, ci siamo ritrovati, due amici così lontani da casa che hanno condiviso gli anni più belli della loro vita.
Le spiego che vorrei solo essere suo amico, forse teme che la sua vita attuale sia in pericolo, ma non è così, non la metterei mai in imbarazzo. Averla ritrovata è come aver riaperto una finestra per far rientrare i profumi familiari che sicuramente mancano a entrambi.
Non è facile vivere lontano dagli affetti, anche se quando si è ragazzi tutto sembra eccitante, ma dopo le distanze sembrano ampliarsi e i giorni diventano anni, quando incontri un volto conosciuto con cui hai condiviso un percorso della tua vita ti

Angela C.

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Patrizia Rinaldi Patrizia Rinaldi si è laureata in Filosofia all'Università di Napoli Federico II e ha seguito un corso di specializzazione di scrittura teatrale. Vive a Napoli, dove scrive e si occupa della formazione dei ragazzi grazie ai laboratori di lettura e scrittura, insieme ad Associazioni Onlus operanti nei quartieri cosiddetti "a rischio". Dopo la pubblicazione dei romanzi "Ma già prima di giugno" e "La figlia maschio" è tornata a raccontare la storia di "Blanca", una poliziotta ipovedente da cui è stata tratta una fiction televisiva in sei puntate, che andrà in onda su RAI 1 alla fine di novembre.
Gabriella Genisi Gabriella Genisi è nata nel 1965. Dal 2010 al 2020, racconta le avventure di Lolita Lobosco. La protagonista è un’affascinante commissario donna. Nel 2020, il personaggio da lei creato, ovvero Lolita Lobosco, prende vita e si trasferisce dalla carta al piccolo schermo. In quell’anno iniziano infatti le riprese per la realizzazione di una serie tv che si ispira proprio al suo racconto, prodotta da Luca Zingaretti, che per anni ha vestito a sua volta proprio i panni del Commissario Montalbano. Ad interpretare Lolita, sarà invece l’attrice e moglie proprio di Zingaretti, Luisa Ranieri. .
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