
Esistono donne che si svegliano con calma, fanno colazione con un'aria rilassata, leggono un paio di pagine di un libro e affrontano la giornata con serenità. E poi ci sono io. Sono Giulia Martini, ho trentotto anni, due figli, un marito che vedo meno del postino e una perenne sensazione di essere in ritardo sulla vita. Lavoro come responsabile marketing in un'azienda che pretende l'impossibile, ho una casa che sembra un campo di battaglia post-apocalittico e un carico mentale che mi tiene compagnia come un'amica invadente. Fisicamente? Ho L'aspetto tipico di una madre in affanno: capelli castani raccolti in una coda che ormai è più uno stile di vita che una scelta, occhiaie perenni che nemmeno il miglior correttore riesce a nascondere e un guardaroba pieno di vestiti che "prima o poi tornerò a mettermi". (Spoiler: mai.) Ogni giorno mi ripeto che dovrei trovare un equilibrio tra lavoro e famiglia. E ogni giorno fallisco miseramente. Ore 6:55 – l'inizio della catastrofe Se il lunedì fosse una persona, sarebbe uno di quei tizi odiosi che sorridono mentre ti dicono che sei stressata perché "non sai organizzarti". Mi sveglio con il cuore in gola. Ho la sensazione di essermi dimenticata qualcosa (cosa poi, è un mistero fino a quando non apro gli occhi). Mi tiro su a sedere nel letto. La casa è insolitamente silenziosa. Troppo silenziosa. E questo è già un brutto segno. Dov'è il caos mattutino? Dov'è Emma che urla perché "i calzini grattano"? Dov'è Tommy che sbuffa perché non vuole andare a scuola? Controllo il telefono. 7:00. Sette. Zero. Zero. Panico. Salto giù dal letto come una pazza. Sarei dovuta alzarmi prima per preparare tutto, ma il sonno mi ha tradita. Corro in cucina e cerco disperatamente di preparare una colazione decente. Apro il frigo: vuoto. O meglio, pieno di cose inutili: un pezzo di formaggio dal colore sospetto, un vasetto di yogurt scaduto e una bottiglia di latte che ha visto tempi migliori. «Perfetto,» borbotto. «Stamattina i miei figli mangeranno... aria.» Mentre cerco di capire se posso trasformare tre biscotti rotti in una colazione, sento un urlo agghiacciante dalla cameretta di Emma. Ore 7:10 – la crisi esistenziale di Emma Entro nella sua stanza e la trovo sotto le coperte, rannicchiata come un piccolo koala depresso. «Emma, amore... che succede?» Lei tira fuori un occhio lacrimoso. «Oggi non posso andare a scuola.» Okay. Già Sentita. «E perché?» Drammatica pausa. Poi, con il tono di una che sta annunciando un evento catastrofico, Emma dice: «perché oggi c'è ginnastica. E io ho le gambe corte.» Come, scusa? «Le gambe corte?» Ripeto, cercando di non farmi prendere dal panico. Lei mi fissa disperata. Ha Le lacrime agli occhi. «Sì! Sofia ha le gambe lunghe e corre veloce! Io arrivo sempre ultima!» Ah. Ecco Il problema del giorno. Mi siedo sul bordo del letto. «Tesoro, non è vero che chi ha le gambe lunghe corre più veloce. Anche chi ha gambe corte può essere bravissimo nello sport!» Emma incrocia le braccia. «Tipo chi?» Oddio. La mia mente fruga tra ricordi di sportivi famosi, ma non trovo nessun nome adatto. Tutti quelli che mi vengono in mente hanno almeno due metri di gambe. Emma mi fissa. Capisce che sto improvvisando. «Vabbè,» sospira, «allora oggi resto a casa.» «No, oggi tu vai a scuola.» Dieci minuti di trattative. Tre lacrime. Una promessa di pancake nel weekend. E finalmente Emma è vestita. Ma la battaglia non è finita. Ore 7:30 – il mistero del figlio adolescente Mentre cerco di chiudere Emma nel giubbotto come una salsiccia sottovuoto, vedo passare Tommy, quattordici anni, l'entità silenziosa che una volta era mio figlio. Troppo silenzio. «Tommy!» Lo chiamo mentre si infila in bagno. «Hai fatto colazione?» Silenzio. «Tommy?» «Mmh.» «Mmh sì o mmh no?» Lui sbuffa e apre la porta. Ha l'aria di un panda assonnato. «Non ho fame.» Respiro. Devo restare calma. «Mangia almeno un biscotto.» «Boh.» E sparisce. Il lunedì mattina con un figlio adolescente è un'esperienza mistica. È come cercare di parlare con un'entità aliena che comunica solo con monosillabi. Ore 7:50 – il marito-fantasma e il carico mentale Sono già sudata e stanca morta. Ed è in quel momento che compare Andrea, mio marito. Fresco di doccia. Camicia stirata. Sorriso rilassato. «Buongiorno!» Dice con entusiasmo. Lo fulmino con lo sguardo. «Buongiorno un corno. Puoi aiutarmi con Emma?» Lui si china e la bacia sulla testa. Non intendevo così. «Ah, Giulia,» aggiunge, mentre si infila la giacca. «Per domani mi servirà la camicia azzurra stirata. Hai tutto sotto controllo?» Sotto controllo?!! Mentre lui esce sereno come se fosse nel trailer di una pubblicità di caffè, io corro come una pazza, lanciando giacche, cercando lo zaino di Emma e ricordandomi all'ultimo secondo che oggi Tommy ha educazione fisica e ha bisogno di una maglietta pulita. Ovviamente non ne ha neanche una. Frugo nel cesto della biancheria sporca e trovo una maglietta “quasi pulita”. «Tommy, metti questa!» Gli urlo. Lui la guarda come se gli avessi passato una carcassa di animale morto. «Mamma, questa è sporca.» «Non è sporca, è... vissuta.» Mi guarda con odio. Ma non ha alternative.
Ore 8:15 – la corsa contro il tempo Finalmente siamo in macchina. Partiamo. Cinque Minuti dopo, Emma urla. «Mammaaaaaa!» Freno di colpo. Mi manca un battito. «Cosa?» «Abbiamo dimenticato lo zainetto di ginnastica!» Io... Chiudo gli occhi per un secondo. Solo uno. Ma non serve a nulla. Sento il peso della giornata, della settimana, del mese intero sulle spalle. Respiro. Devo decidere: torno a casa e arrivo tardi al lavoro o la convinco che non è poi così grave? «Emma, oggi facciamo una cosa speciale: niente ginnastica. Ti scrivo un biglietto e diciamo alla maestra che oggi non puoi fare sport.» Lei mi guarda sconvolta. «Ma mamma! Se non faccio ginnastica oggi, domani sarò ancora più lenta!» Questa bambina mi farà impazzire. Arrivo in ufficio in ritardo. Mi siedo alla scrivania, guardo il calendario e realizzo che è solo lunedì. Sopravvivrò fino a venerdì? E soprattutto, riuscirò a evitare che la presentazione di marketing si trasformi in un disastro cosmico? L'ufficio è il mio secondo campo di battaglia. Se a casa combatto con figli urlanti, calzini che grattano e marito-fantasma, al lavoro mi trovo a gestire scadenze impossibili, riunioni interminabili e un capo che crede che le madri abbiano superpoteri. E oggi non fa eccezione. Sono appena arrivata in ufficio, in ritardo di dodici minuti. Che sarebbero potuti essere solo cinque, se il semaforo sotto casa non fosse progettato per farmi perdere la pazienza ogni mattina. «Ciao Giulia!» Francesca, la mia collega e migliore amica, mi intercetta subito. È l'unica persona al mondo che sa quanto io sia sempre sull'orlo di una crisi di nervi e trova il modo di farmela prendere meno sul serio. «Dimmi che almeno oggi va tutto bene,» dico senza fiato, mentre appoggio la borsa e accendo il pc con la stessa ansia con cui si innesca una bomba. Francesca mi guarda con un sorriso tirato. Oh No. «Dunque» esita. «Stefano ti ha inviato una email e ti sta cercando.» Stefano. Il mio capo. Quello che misura tutto con grafici e report, tranne lo stress dei suoi dipendenti, e che, se potesse, farebbe riunioni anche nei sogni. Sento un brivido. «Perché mi cerca?» Chiedo con un filo di voce. «Non lo so, ma non sembrava... rilassato.» Bellissimo. Esattamente ciò di cui non avevo bisogno. Entro nell'ufficio di Stefano con il cuore che batte più forte del necessario. Spero di non aver dimenticato nulla. O peggio, di non aver fatto qualche errore madornale che mi costerà la carriera. Lui è seduto alla scrivania, in giacca e cravatta perfettamente abbinata, con un'espressione indecifrabile. «Giulia, accomodati.» Quando un capo dice ‘accomodati' in questo tono, significa che sta per buttarti giù da un burrone. Mi siedo. «È tutto pronto per la presentazione? Il cliente ha fretta di vedere risultati entro domani.» Lo guardo per un secondo di troppo. Cosa? «Per domani ???» sussurro tra me e me. «...Hai detto qualcosa?» Se solo sapesse che stamattina ho dovuto minacciare una bambina di sei anni per farle mettere i calzini.
S. Bellese
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