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Autore: Flola Gein
Sogni di libertà
Narrativa Contemporanea
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Sogni di libertà

Emma e il Mondo che non Comprende.

Emma aveva sei anni e una vita piena di colori. Il suo mondo, però, era diverso da quello degli altri bambini. La sua casa, che era grande e accogliente, si trovava in una città frenetica, dove i rumori e i colori erano sempre troppo veloci, troppo forti. Emma amava il suo piccolo angolo nel mondo, dove i suoi giochi, i suoi libri e i suoi animali la rendevano felice. Le piaceva guardare i pesci nuotare tranquilli nell'acquario o accarezzare il pelo morbido del suo coniglietto, ma c'era qualcosa che la rendeva diversa, qualcosa che nessuno riusciva a capire davvero.

Ogni volta che sua mamma le chiedeva di mettersi le scarpe per andare a scuola, Emma iniziava a piangere. Non riusciva a spiegare perché, ma il semplice pensiero di dover aspettare il momento giusto la faceva impazzire. E così, le lacrime scendevano copiose, anche se non c'era una ragione evidente. Il tempo, per Emma, non aveva senso. Non riusciva a comprendere quando fosse il momento di fare una cosa e quando un'altra. Voleva tutto e lo voleva subito.

Le sue sorelle maggiori, Sara e Marta, erano diverse. Loro capivano il tempo. Sapevano quando era il momento di giocare e quando era il momento di fare i compiti. Ma Emma, purtroppo, non sapeva. Non capiva cosa significasse aspettare. Non sapeva cosa fosse la pazienza. Eppure, in ogni altro aspetto della sua vita, era curiosa e vivace. Aveva una mente piena di idee, anche se a volte le sue parole non venivano fuori come le avrebbe volute.

A scuola, il suo mondo si sarebbe fatto ancora più difficile.

Le maestre non capivano, i bambini non sapevano come comportarsi con lei. Emma, però, non sapeva come spiegare. Non riusciva ad abbracciare, non voleva essere toccata, e non amava gli spazi affollati. Quando la giornata di scuola finiva, il ritorno a casa era un sollievo. Lì, nel calore della sua casa, poteva finalmente essere se stessa.

Ma ogni giorno, quando Emma si preparava ad affrontare il mondo, un nodo al cuore la assaliva. Non sapeva che cosa fosse, ma sentiva che qualcosa, nel suo corpo e nella sua mente, non andava come gli altri. E non sapeva che il peggio doveva ancora arrivare. La scuola, con tutte le sue regole, i rumori e gli sguardi curiosi, sarebbe stata una prova che Emma non era pronta a sostenere.

Ogni mattina, il suono della sveglia risuonava come un allarme nella mente di Emma. Era il segnale che il giorno doveva cominciare, ma per lei era solo un promemoria di ciò che l'aspettava: la scuola. I suoi genitori cercavano di incoraggiarla, ma le loro parole spesso suonavano lontane. "Emma, è solo un giorno di scuola," diceva la mamma, con un sorriso rassicurante. "Fai solo un respiro profondo e andrà tutto bene." Ma per Emma, quel "tutto bene" era un concetto astratto, qualcosa di difficile da afferrare.

La prima volta che varcò la soglia della sua nuova classe, un brivido di paura le percorse la schiena. I volti dei compagni la scrutavano, gli sguardi curiosi e a volte impazienti. I colori delle pareti sembravano mescolarsi in una danza confusa, mentre i suoni delle risate e delle chiacchiere si sovrapponevano in un caos assordante. Emma si sentiva come un pesce fuori dall'acqua, e il suo cuore batteva forte nel petto.

Durante il giorno, ogni piccolo cambiamento sembrava amplificarsi. Una sedia che scricchiolava, una risata improvvisa, o un compagno che la toccava per scherzo, la mandavano in crisi. I suoi insegnanti, pur volendo aiutarla, non riuscivano a comprendere il suo modo di percepire il mondo. "Emma, perché non parli?" le chiedevano. "Non è così difficile, basta rispondere." Ma per lei, le parole erano come pesci che nuotavano via, impossibili da afferrare.

Tornando a casa, il peso della giornata la schiacciava. Le lacrime che tratteneva per tutto il giorno finalmente trovavano la libertà. La sua mamma, vedendo il suo viso solcato da lacrime, la abbracciava, ma Emma sentiva che non bastava. "Perché non riesco a essere come le altre bambine?" si chiedeva, mentre si rifugiava nel suo angolo di sicurezza, circondata dai suoi animali.

Qualche giorno dopo, mentre la sua maestra spiegava una nuova attività, Emma sentì un'altra ondata di panico. Non poteva più sopportare il rumore attorno a lei. Si alzò, senza pensarci, e corse verso l'uscita della classe.

La scuola, che doveva essere un luogo di apprendimento e scoperta, si era trasformata in un incubo per Emma. Ogni giorno era una battaglia, e ogni piccolo gesto che compiva sembrava sbagliato. Le maestre, con le loro richieste incessanti, non facevano altro che alimentare la sua ansia. "Emma, perché guardi fuori dalla finestra?" le dicevano. "Emma, perché non stai seduta? Non disturbare i tuoi compagni!" Le parole le ronzavano in testa come un insetto fastidioso, e ogni rimprovero le faceva sentire sempre più piccola e insignificante.

Ma c'era una cosa in particolare che la faceva star male: i suoi capelli. I lunghi capelli castani di Emma erano sempre stati una fonte di orgoglio per lei. Le piaceva giocarci, intrecciarli, lasciarli liberi di danzare al vento. Ma le maestre, con la loro ignoranza, avevano iniziato a farle odiare quella parte di sé. "Emma, non toccarti i capelli," le dicevano. "Devono essere legati, non puoi tenerli sciolti." Ogni volta che sentiva quelle parole, un pezzo del suo cuore si spezzava. Come potevano non capire che i suoi capelli facevano parte di chi era?

Arrivando a casa, Emma si sentiva sempre più distante. I suoi genitori, preoccupati per il suo comportamento, non sapevano come affrontare la situazione. Emma si chiudeva nella sua stanza, scrivendo pagine e pagine di rimproveri verso se stessa. "Perché sei così capricciosa? Perché non riesci a essere come le altre bambine?" Si sgridava, come se fosse colpevole di qualcosa che non aveva mai scelto. Le lacrime scendevano, e un odio profondo verso se stessa si faceva strada nel suo cuore. Iniziò anche a tirarsi i capelli, come se volesse punirsi per qualcosa che non riusciva nemmeno a comprendere.

Ogni mattina, il momento di andare a scuola diventava un'agonia. Emma si gettava per terra, supplicando i genitori di non portarla. "Per favore, non voglio andarci!" piangeva, mentre i suoi genitori, con gli occhi pieni di preoccupazione, cercavano di consolarla. Ma le parole non sembravano mai sufficienti. La mamma le sussurrava dolcemente che tutto sarebbe andato bene, ma Emma si sentiva imprigionata in un incubo senza fine.

Dopo giorni di angustia, i genitori di Emma decisero di chiedere spiegazioni alle maestre. "Cosa sta succedendo a nostra figlia?" domandarono, sperando di ricevere risposte chiare. Ma le maestre, con un'aria di superiorità, insistettero: "È solo una bambina capricciosa. Ha bisogno di disciplina." Quelle parole furono come un pugno nello stomaco per i genitori. Sapevano che Emma non era solo "capricciosa"; c'era qualcosa di più profondo che la torturava.

Con il cuore pesante, presero la difficile decisione di cercare aiuto da un medico. Volevano capire quale fosse il vero malessere di Emma, perché la loro bambina non poteva continuare a vivere in quel modo. Non sapevano ancora che questo viaggio li avrebbe portati a scoprire la verità su Emma, una verità che avrebbe cambiato le loro vite per sempre.


**Capitolo 2: Verso la Comprensione**

Le settimane passarono, e la situazione di Emma continuava a peggiorare. Ogni mattina era una lotta per alzarsi dal letto. La scuola, un luogo che avrebbe dovuto essere una nuova avventura, si era trasformata in un campo di battaglia. Le sue paure crescevano, e i suoi genitori sentivano di essere all'angolo, impotenti nel vedere la loro bambina soffrire.

Finalmente, dopo molte riflessioni e preoccupazioni, i genitori di Emma fissarono un appuntamento con un pediatra specializzato in neuropsichiatria infantile. Arrivarono all'ambulatorio con il cuore in gola, consapevoli che questo passo avrebbe potuto segnare un cambiamento importante nella vita di Emma.

La sala d'attesa era colorata e vivace, con poster di animali e giochi sparsi ovunque. Emma, però, non riusciva a concentrarsi su nulla. Si stringeva intorno al suo peluche, un coniglietto che portava sempre con sé, cercando conforto. La mamma le accarezzava dolcemente i capelli, ma Emma sentiva che quel gesto non era sufficiente a calmare la tempesta dentro di lei.

Quando finalmente fu il momento di entrare nell'ufficio del medico, Emma si sentì sopraffatta. La stanza era luminosa, con un grande tavolo e un sacco di giocattoli. Il dottore, un uomo gentile con un sorriso rassicurante, la accolse. "Ciao, Emma! Sono il Dottor Rossi. Come stai oggi?" chiese, senza forzarla a rispondere.

Emma non rispose subito. Invece, si rannicchiò nel suo angolo, abbracciando il coniglietto. Il dottore, notando la sua timidezza, iniziò a parlare con i genitori. "Raccontatemi di Emma e delle sue difficoltà," disse, mentre Emma ascoltava in silenzio.

I genitori espressero le loro preoccupazioni, raccontando delle crisi di pianto, della paura di andare a scuola e dell'odio che Emma sembrava provare per se stessa. "Sembra che la scuola sia un luogo di grande stress per lei," spiegò il padre, le mani tremanti. "Non sappiamo come aiutarla."

Dopo aver ascoltato attentamente, il Dottor Rossi si voltò verso Emma. "Posso fare alcune domande?" chiese dolcemente. "Volete giocare un po' insieme?" Emma alzò lo sguardo, incuriosita. Il dottore le mostrò un gioco di costruzioni, e lentamente, cominciò a coinvolgerla.

Mentre giocavano, Emma iniziò a rilassarsi. Le sue mani, che prima tremavano, ora si muovevano con maggiore sicurezza. Le parole del dottore fluivano in modo semplice e naturale, e per la prima volta, Emma si sentì vista, come se qualcuno stesse cercando di capire il suo mondo.

Dopo un po', il dottore si fermò e chiese: "Emma, perché non ci racconti cosa ti piace fare? Cosa ti rende felice?" Con sorpresa, Emma iniziò a parlare dei suoi animali, dei suoi disegni e dei giochi che amava. La sua voce era ancora timida, ma c'era una scintilla di vita nei suoi occhi.

Dopo la visita, il Dottor Rossi spiegò ai genitori che Emma mostrava segni di autismo, una condizione che influenzava il modo in cui percepiva il mondo. "Non è nulla di cui vergognarsi," disse con calore. "Emma è una bambina molto intelligente e creativa. Ha bisogno di un supporto specifico per affrontare le sfide che incontra."

I genitori di Emma si sentirono sollevati e allo stesso tempo ansiosi. Finalmente avevano una spiegazione, ma sapevano che il viaggio non sarebbe stato facile. "Cosa possiamo fare per aiutarla?" chiese la mamma, con la voce rotta dall'emozione.

Il dottore suggerì alcune strategie: un ambiente strutturato, attività che incoraggiassero l'espressione emotiva e, soprattutto, la pazienza. "Emma ha bisogno di tempo per adattarsi e trovare il suo ritmo," spiegò. "E, cosa più importante, ha bisogno di sapere che è amata e accettata per chi è."

Tornando a casa, Emma si sentiva un po' più leggera. Anche se il suo viaggio era appena iniziato, aveva finalmente trovato qualcuno che cercava di comprendere il suo mondo. I suoi genitori, pieni di determinazione, sapevano che avrebbero fatto tutto il possibile per supportarla.

E mentre il sole tramontava, Emma guardò il cielo e pensò che, forse, un giorno avrebbe potuto abbracciare non solo i suoi capelli ma anche se stessa..

Flola Gein

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