
Davanti al tramonto.
Storia di Sammy.
La bufera aveva urlato tutta la notte, illuminando il cielo con le sue saette e gonfiando il mare, ma col sole tutto era sparito ed era tornata la calma ed il silenzio. Nel crepuscolo non restava che qualche straccio di nuvola che il tramonto incendiava di rosso e arancio con gli ultimi raggi di sole che squarciavano il cielo. Due donne, avvolte in calde coperte, se ne stanno sedute sulle poltrone del patio che guarda il mare. Nel silenzio della sera che si avvicina, sorseggiano una tisana bollente, sembrano immerse ognuna nei propri pensieri che volano via con le nuvolette di vapore che salgono leggere verso il cielo. I rumori e le voci della casa arrivano come da un pianeta lontano. Qualcuno ha attaccato a cantare e il vociare sta salendo d'intensità. ̶ Che matti! – sospira Lilia, girandosi verso la sua compagna, abbozzando un sorriso. L'altra risponde a malapena e continua a sorseggiare la bevanda fissando l'orizzonte lontano. Ritorna il silenzio tra di loro mentre cielo e mare si fondono in un'unica tavolozza colorata. Sul viso di Sammy scende leggera una lacrima, o forse è solo colpa del vapore che si condensa sulle lenti. La sua mano la sfiora appena, senza scacciarla del tutto, lasciando una sensazione di frescura lungo la guancia. La compagna la osserva di sottecchi e sorride col naso nella sua tazza. ̶ Mio padre amava restare a guardare il tramonto ̶ esordisce Sammy con lo sguardo fisso lontano. – Ricordo che quando ero bambina, tutte le estati andavamo sempre alla stessa spiaggia, e il pomeriggio si scendeva quando la folla sciamava verso casa. Allora ci sedevamo sulle nostre sdraiette e restavamo a guardare il tramonto. Se qualcuno di noi osava parlare, lui ci zittiva solo mettendo il dito sulla bocca. Quando l'ultimo raggio di sole scendeva in mare, si alzava, ci prendeva per mano e si tornava a casa. E sai cosa diceva? “Ogni tramonto è un miracolo che il buon Dio ci regala tutti i giorni e ci ricorda che un altro giorno ci aspetta, e di questo dobbiamo essere grati”. Lilia non risponde. Le tocca la guancia e ne sente la lacrima e lascia che quel ricordo non si infranga su una siepe di inutili parole. ̶ Ehi chicas... pensate di passare la notte lì? ̶ la voce di Blanca le scuote dal loro torpore. Sembra giungere da lontano insieme al chiasso ovattato della casa. Si guardano tra di loro e Lilia risponde: ̶ Restiamo ancora un po'... si sta troppo bene. ̶ Non vi raffreddate, però! – ribatte la voce mentre svanisce nel buio. Il silenzio ritorna sul patio. ̶ Forse... in effetti... si sente un po' di umido. ̶ Mmh... dici? Non troppo... ̶ risponde Sammy. Ancora silenzio. ̶ Quando mi trovo davanti a questo spettacolo – riprende Sammy – mi sembra di essere davanti ad un confessionale... mi viene di parlare di me... del passato... di tirare fuori le mie colpe, gli errori e prendermi una bella scrollata e qualche penitenza, ma non le solite due Ave Maria per essere fustigata per il male che ho fatto. ̶ Ma che stai dicendo? Vaneggi? ̶ dice Lilia ̶ e tu che male hai fatto? ̶ Qualcuno una volta mi ha dato anche dell'assas.... La parola resta sospesa. Due occhi sbarrati. Due occhi persi nel vuoto. ̶ Quando ero bambina avevamo un bel gruppetto nel nostro quartiere. Maschi e femmine senza distinzione. Facevamo giochi che piacevano a tutti, per esempio a pallone; io ero centravanti, sai... ero pure brava... ma le donne le mettevano sempre in porta... e a noi andava bene lo stesso – e sorride con un sospiro. – Giocavamo alla polizia, facevamo i poliziotti a turno, però i maschi erano più bravi a fare i ladri, e non sempre riuscivamo a prenderli, a meno che non erano loro che si facevano prendere. Quando poi erano più disponibili, si giocava con la corda, però erano loro a farci saltare... o a nascondino... te l'immagini? – si sofferma a quel ricordo dolce ma in fondo anche amaro. – E mò li trovavi! I maschi sono terribili... però così sexy... Quando siamo cresciuti sono cominciate le storielle tra di noi. Io mi sono innamorata di Vezio, perdutamente... cioè ero sempre stata innamorata di lui, ma lui non mi filava per niente. Era proprio carino, il più carino, per me, e si capiva già allora che era uno di quelli belli e maledetti ̶ e ride. – Ci mettemmo insieme, nel senso che facemmo coppia, e anche qualcun altro fece coppia; uscivamo sempre tutti insieme... una pizza... a ballare... o solo a spasso... vicino al mare... agli chalet a mangiare un gelato. Fu durante una di queste passeggiate in giro per Napoli che incontrammo i suoi genitori; conoscevamo i genitori di tutti noi, loro ci salutarono felici e contenti di vederci così belli e spensierati; lei mi guardò e il suo sguardo mutò per un attimo; gli occhi chiari, sorridenti fino a poco prima divennero gelidi per una frazione di secondo, mi trafissero e capii in quel momento che avevo una nemica. Nessuno sembrò accorgersi di niente e riprendemmo la nostra passeggiata. Nel frattempo ognuno di noi trovò una sua strada; qualcuno continuò gli studi, qualcuno iniziò a lavorare. Io ero di quelli che non avevano tanta voglia di studiare e mi trovai un lavoro di segretaria. Mio padre mi avrebbe voluta con lui, nella sua agenzia di viaggi, ma io volevo essere libera; i viaggi li volevo fare e non sognarli, organizzando quelli degli altri. Avevo ben presente mia madre sempre impegnata tutto il giorno, non la vedevamo mai, ma a lei faceva piacere tenere sotto controllo sia lui che gli affari. Ma io avevo altri progetti. Certo papà ci restò male, però mi capiva.... mi voleva troppo bene. Trovai lavoro in un piccolo atelier del centro storico. Mi ci trovai subito bene perché la padrona era giovane e mi prese subito in simpatia. Mi disse che con il mio personale avrei potuto fare la modella... peccato per l'altezza! Ma, a me, l'idea della modella non è che mi piacesse tanto. I vestiti preferivo vederli indossati. Nel giro di pochi mesi divenni la sua assistente e mi portava in giro con lei per sfilate ed eventi. Insomma ero più che soddisfatta, guadagnavo pure benino. Vezio continuava i suoi studi all'Agraria e sembrava che le cose filassero lisce. Poi un giorno arrivò nel posto dove ci vedevamo con il gruppo, tutto eccitato... raggiante... e annunciò che lasciava l'Università e andava ad Amsterdam a coltivare tulipani. Gli avevano proposto un contratto vantaggioso e lui non voleva perdere l'occasione; sarebbe partito al più presto. E cosi se ne andò. Il contratto era di un anno, ma lui contava di restarci di più; questo non lo disse ma lo conoscevamo bene tutti, Vezio era uno spirito troppo libero, e questa era l'occasione buona per andarsene da Napoli. Quell'anno per me fu uno strazio. Lui telefonava ogni tanto, io gli scrivevo qualche lettera parlandogli di quanto mi mancava, della mia tristezza; lui a volte rispondeva altre no, ma mi rassicurava, diceva che mi amava e che dovevo stare tranquilla perché lo faceva per noi. Non venne neanche una volta, perché il lavoro lo prendeva molto ed era sua intenzione farsi strada in quella azienda. Fu davvero dura. Gli amici mi erano vicini, ma naturalmente ognuno aveva la sua vita, però il sabato e la domenica si stava insieme, si organizzava sempre qualcosa. Poi un giorno, senza preavviso, me lo trovai davanti, fuori alla porta di casa. Fu una gioia immensa e non smettevo di abbracciarlo e baciarlo. Disse che aveva avuto un periodo di ferie e aveva intenzione di fare pazzie con me. Ma dal primo giorno io capii che qualcosa non andava. Era strano. Lui non era mai stato un gran parlatore, uno che raccontava, e quando io gli chiedevo del lavoro, di quello che aveva fatto, dove viveva, com'era la casa, se si era fatto degli amici, insomma curiosità normali dal momento che era stato fuori per tanto tempo, lui cambiava sempre argomento, non rispondeva mai, o diceva cose vaghe. Una volta parlando del nostro futuro, mi ricordo che passeggiavamo sul lungomare, gli dissi che quando sarebbe ripartito sarei andata con lui; lui si fermò di botto, mi guardò gelido, e continuò a camminare e lo sentii dire a denti stretti qualcosa come “gente di merda”. Allora capii che era successo qualcosa ma non ci fu verso di tirargli fuori la verità. Nemmeno con i suoi amici parlava o perlomeno così mi sembrava, perché nessuno di loro disse mai niente. Quando gli chiesi quando sarebbe ripartito mi disse che non mi dovevo preoccupare, che c'era tempo. E poi all'improvviso parlò di matrimonio. Stavamo seduti fuori agli chalet, e approfittando che gli amici erano tutti presenti, annunciò: “Io e Sammy ci sposiamo”. Io restai senza fiato e lo guardai sgranando gli occhi. Nessuno si accorse della mia meraviglia ma le mie amiche, loro sì, che si resero conto che era una sorpresa anche per me. Comunque ci demmo da fare. Fittammo un piccolo appartamento in una vecchia villa nella zona alta; ci era piaciuto subito perché aveva una grande terrazza con una vista spettacolare sul mare. Avremmo potuto fare tante magnifiche feste con i nostri amici. Lo arredammo in maniera semplice e piuttosto eccentrica, e quando la madre di Vezio salì a vedere quello che avevamo fatto, inizialmente sembrava tutta bella sorridente poi ad ogni passo la sua faccia era sempre più contrariata. Non disse una parola, o almeno si limitò ad un semplice “carino”. Ma a me non importava molto e neanche a Vezio, lui poco sopportava i commenti della madre. Ad una settimana dal matrimonio venne a prendermi all'atelier e mi portò al nostro chalet; “perché non ci prendiamo qualche giorno per noi?”, mi disse. Io non capivo. Ma come? Dobbiamo sposarci tra sette giorni, ci sono ancora tante cose da fare; “non m'importa. Voglio stare un po' da solo con te. Ce ne andiamo in costiera, un alberghetto sul mare, pochi giorni... ho bisogno di stare con te... da soli”. Lo guardai fisso. Ancora una volta gli chiesi di dirmi cosa gli succedeva; “niente, amore mio”, mi disse abbracciandomi, “voglio fare una pazzia con te. Che ne dici?” Come potevo dire di no a quegli occhi verdi, così dolci, che mi stavano supplicando? Tre giorni soltanto. Ce ne andammo col suo maggiolino giallo e ci fermammo in un albergo di fronte al mare. Furono tre giorni indimenticabili, un anticipo di luna di miele. Andammo al mare, a spasso per le stradine curiosando in tutti i negozietti; mi comprò quel bikini viola che conservo ancora, anche se non mi va più, e il mio vestitino di crespo bianco, te lo ricordi?, e un paio di infradito con tutte perline colorate. Se non lo fermavo avrebbe svuotato il negozio. Mangiavamo in un ristorantino sulla spiaggia e la sera restavamo a guardare le stelle per poi tornare in albergo a fare l‘amore fino all'alba, ma nei suoi abbracci, nei suoi baci, io sentivo ogni volta un addio. Quando tornammo ci stavano aspettando tutti talmente arrabbiati, intendo i nostri genitori, che forse ce le avrebbero suonate di santa ragione se non fossimo stati più che maggiorenni. La madre, naturalmente, non mancò di guardarmi col suo sguardo da inquisitore. Una vipera! Sicuramente pensava che era stata una mia idea. La mattina del matrimonio qualcuno mi chiamò all'alba. Era il suo testimone. Vezio non era a casa, forse era da me? Certo che no! Figurati se i miei l'avrebbero permesso. Cominciai a preoccuparmi. Il cuore accelerò i battiti. Più le ore passavano, più forte era la strana sensazione che qualcosa di brutto stava accadendo. Lo cercarono ovunque. Chiamarono tutti. Niente. Nessuno lo aveva visto. I suoi vestiti erano a casa... le sue borse... ma nessun segno... niente... nemmeno un biglietto... se n'era andato senza una parola lasciandomi sola... sola... non abbiamo più saputo altro. Quando la madre venne a prendere le sue cose nel nostro appartamento, mi guardò in faccia con quello sguardo gelido e schifato e mi disse: “vipera... la colpa è tutta tua... maledetta!”. Sammy tace. Lacrime silenziose scivolano lente tra i solchi delle sue rughe dolorose. ̶ Abbiamo continuato a cercarlo... abbiamo denunciato la sua scomparsa... lo hanno cercato... Michi telefonò ad Amsterdam e ... indovina? Lilia alza la testa di scatto. Sussulta a quell' “indovina“ e la fissa. ̶ Allora? ̶ Allora... dopo sei mesi si era licenziato... ed era rimasto là... solo... che aveva fatto? Cosa era successo? Nessuno sapeva niente. Nessuno lo conosceva... e così è scomparso... per sempre... svanito nel nulla... ̶ E tu? – le chiede Lilia. ̶ Io? Distrutta! Un inferno! Soprattutto perché mi chiedevo in ogni istante cosa avrei potuto fare... se avevo sbagliato qualcosa... forse dovevo essere più insistente... non lo so... E si mette le mani davanti al viso cercando di rigettare il pianto che vuole scoppiare. I secondi scorrono silenziosi poi Lilia rompe quella bolla di doloroso mutismo, e con decisione le dice: ̶ Tu non hai niente di cui incolparti le persone decidono da sole... prendono le loro decisioni autonomamente. Tu devi fare solo una cosa... regalare a te stessa il perdono. – E le sorride con dolcezza. L'abbraccia forte e finalmente si alzano e si avviano verso casa. Dietro le porte li aspetta il tepore della grande sala, col camino che scoppietta sul fondo, la musica allegra e le voci e le chiacchiere degli amici. ̶ Ehi, voi due... finalmente! – fa il coro dei maschietti. – Si mangia! Lilia si gira a salutare la notte che arriva e chiude la porta sul buio.
Anna Bonetti
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