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Autore: Riccardo Cascino
Il Cielo Nero
Fantascienza Distopico
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Il Cielo Nero

Il ratto era sfuggito ancora.
Con una velocità portentosa aveva attraversato la stanza e si era nascosto da qualche parte dietro a un groviglio di tubature.
Draak grugnì impotente. Pochi istanti prima l'aveva quasi sfiorato, ma per la seconda volta quel maledetto roditore gli si era volatilizzato davanti agli occhi. Come se non bastasse, la stanza era quasi completamente avvolta nell'oscurità e un continuo gocciolio impediva di ascoltare i piccoli movimenti dell'animaletto per riuscire a localizzarlo. Draak sbuffò, ma decise di non perdersi d'animo. D'altra parte, aveva fame.
Con la misera torcia che aveva in mano, cercò di illuminare la parete coperta dai tubi. Un odore acre di metallo e umidità permeava l'aria, ma l'olfatto gli confermava che doveva essere lì dietro.
Un movimento attirò la sua attenzione. Era la coda che stava tradendo il suo proprietario sbucando dall'ombra. Un ghigno compiaciuto comparve sul viso di Draak. La piccola mente della sua piccola cena non poteva rendersi conto di do-ver nascondere l'intero corpo. Nel fare questo pensiero, Draak aveva già estratto silenziosamente il suo coltello.
Trattenne il respiro e aspettò alcuni secondi. Poi fece un piccolo movimento di scatto col piede. Il ratto schizzò via, ma un istante prima di infilarsi in un buco, una lama fulminea lo aveva infilzato contro il muro.

Draak era in marcia da ormai quasi un'ora e lo stomaco gorgogliava prepotentemente, ma ci era abituato e sapeva tenerlo a bada. Sarebbe stato pericoloso rimanere in quella zona troppo a lungo; la conosceva piuttosto bene ma era meglio tornare verso casa. Là avrebbe potuto mangiare con calma e senza dover stare all'erta tutto il tempo. Aveva già sentito una serie di rumori distanti, ma aveva deciso di ignorarli e andare avanti.
In ogni caso mancava poco. La galleria proseguiva ancora un paio di chilometri ma a meno della metà trovò il buco nella parete e, al di là, il muro di roccia. Era alto una decina di metri ma lo scalò senza difficoltà. Arrivato in cima, diede un colpo d'occhio al ratto, legato e appeso con cura alla cintola vicino alla torcia; quindi proseguì infilandosi nella fessura della roccia.
Già pregustava la cena, mentre strisciava come un verme nel cunicolo.
Una volta qualcuno gli aveva detto che l'essere umano e il topo condividono oltre il novanta per cento del corredo genetico, ma in quel momento, pensò Draak, tra lui e la sua preda non vi era alcuna differenza. Per quanto improbabile, la scena poteva essere capovolta e lui poteva essere la vittima, trascinata da un essere mostruoso dieci volte più grande, pronta a essere mangiata. E non ci sarebbe stato niente di male. Nessuna ingiustizia. “La Natura è sempre imparziale” pensò Draak.
Strisciò per diversi minuti sulla pietra fredda. Notò con piacere che i rinforzi per le ginocchia che aveva cucito sui pantaloni stavano facendo il loro lavoro egregiamente, senza intralciarlo. Arrivato in fondo, spinse il pannello a protezione e sgusciò fuori.
Era arrivato al Crocevia Sud. Ce n'erano altri di “crocevia” nella zona sud della città, ma solo quello veniva chiamato Crocevia Sud. Da quel punto, conoscendo la strada, si poteva raggiungere decine di altri luoghi.
Il Crocevia Sud un tempo doveva essere stato una cisterna di qualche genere. Questa era tubolare, alta venti metri e larga cinque, con due scale a pioli malridotte e molti altri appigli che l'attraversavano internamente dalla cima al fondo, e nella sua storia, per chissà quali motivi, era diventata un tutt'uno con superfici di roccia e un alto muro di mattoni, residuo a sua volta di una stanza adiacente.
Da quel punto, un faro era l'unica fonte luminosa, e la sua luce rimbalzava di parete in parete dissipandosi gradualmente. Qualcuno all'inizio doveva averlo allacciato alla rete elettrica della Superficie.
Draak scese sul fondo e imboccò il corridoio. Tra tutte le strade che partivano da lì, quella in particolare non portava apparentemente da nessuna parte e quello, anni prima, era stato uno dei motivi per cui l'aveva scelta. Scavalcò alcuni vetri rotti ben disposti in ombra, spostò una finta parete in polistirolo ed entrò nel suo piccolo rifugio.

Finalmente il ratto era cotto a puntino. Draak era uno dei più bravi a cucinare tra i suoi amici. I suoi piatti non erano mai bruciati e con le sue spezie riusciva a insaporire ogni pietanza. Mentre spolpava per bene una coscia, passò lo sguardo su tutta la stanza riflettendo su come concludere la giornata.
Vi erano alcuni libri, ma li aveva letti tutti, diverse armi da lubrificare e qualche indumento da rammendare. Tutto sommato, pensò, poteva considerare la sua tana confortevole. Di certo se la passava meglio della povera gente in superficie.
Nonostante tutto il tempo trascorso, talvolta gli capitava ancora di sentire sulla pelle l'angoscia del momento in cui erano arrivati, e di quando il mondo era sprofondato in un pozzo senza via d'uscita. Draak aveva dieci anni all'epoca ma se lo ricordava ancora molto bene. E chi no? Ora che ne erano passati dodici, si poteva considerare fortunato.
Lassù doveva essere calata la notte, ma faceva poca differenza. Aveva deciso come avrebbe concluso la giornata. Sapeva che il rischio di incupirsi prima di dormire sarebbe stato concreto, ma ogni tanto una breve escursione serale doveva farla. Doveva vedere per continuare a ricordare.

Andare in superficie era estremamente pericoloso, ma Draak conosceva una strada sicura. Dal Crocevia Sud si diresse nel condotto verso nord-est. Poi un passaggio tra le macerie, una galleria, un pozzo d'aerazione.
Si faceva largo nell'oscurità grazie alla sua torcia chimica, la sua fedele compagna. Non sarebbe durata ancora per molto, ma Draak portava sempre con sé delle ricariche. Ogni tanto c'erano altre fonti luminose a illuminare brevi tratti, tutte collegate da qualcuno in passato alla rete elettrica ancora attiva. Residui delle vecchie metropolitane, delle gallerie per il trasporto pubblico, dei sotterranei degli edifici. Raramente si trovavano anche dei generatori, ma ancor più raramente erano funzionanti o con i serbatoi pieni.
Arrivato sotto quello che un tempo era stato il Palazzo dei Commerci, entrò nel pozzo del montacarichi. Quel pozzo era stato una grande scoperta di un paio d'anni prima: permetteva di salire direttamente fino al tetto. L'aveva trovato lui stesso e supponeva di essere ancora adesso il solo a conoscerlo.
Si arrampicò fino in cima usando la scala a pioli; andava su dritta fino all'undicesimo piano. Lì, superando una porta di ferro, si accedeva al tetto. L'aprì di una fessura e sbirciò fuori con cautela. Il freddo penetrò tagliente. Non scorse nessuno, quindi spinse e uscì all'esterno.
Come sempre il panorama lo sorprese. L'aveva visto un migliaio di volte e non solo da quel tetto, ma era sempre come se gli rievocasse il ricordo della prima volta.
Novark si stagliava sterminata davanti ai suoi occhi. Era quasi totalmente al buio. In particolare lo era la zona in cui si trovava in quel momento. A qualche centinaio di metri verso nord, i punti luminosi aumentavano gradualmente, così come gli edifici distrutti o abbandonati lasciavano spazio a quelli abitati. In quella parte di città il vecchio edificio su cui si trovava Draak era uno dei più alti, ma all'orizzonte, parzialmente nascoste dalla foschia, s'intravedevano le grandi torri, un tempo simbolo della regione.
Draak inspirò profondamente. Non era ancora inverno, ma di fatto era come se lo fosse sempre.
Alzò gli occhi al cielo. Era nero, senza stelle. La Nube era sempre lì. Draak si ricordava a malapena delle stelle. Avrebbe voluto averle guardate più spesso da bambino. Naturalmente le aveva viste infinite volte, come chiunque, ma rimpiangeva di non averle mai osservate con attenzione, facendo caso alla loro posizione nelle costellazioni, alla loro brillantezza. O addirittura interrogandosi sulle caratteristiche, sulla distanza dalla Terra. Forse, se si fosse soffermato a pensarci in un qualsiasi modo... forse ora il ricordo sarebbe stato più vivido.
Storse le labbra, rassegnato. Ma in fondo all'epoca era solo un bambino. Non poteva immaginare che un giorno non le avrebbe riviste, che non avrebbe rivisto neppure la Luna, se non in qualche vecchia foto ingiallita.
La Nube era lì. Era ancora lì come se ci fosse sempre stata, a oscurare il cielo. Invece era arrivata dal nulla, tra lo stupore e l'incredulità. Tra la sofferenza e la disperazione.
Draak riviveva ancora quei momenti, come tutti d'altra parte. Ne era certo. Ricordava che non vi era stato nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Cataclismi. Intensi terremoti si erano scatenati sulla terra mentre il cielo, così come lo si conosce, scompariva alla vista. Movimenti massicci della terra avevano interessato zone dai confini definiti, tralasciando completamente in certi casi quel-le adiacenti. Non si era neppure trattato di vere e proprie onde sismiche, ma piuttosto pareva che il terreno fosse stato compresso in un punto, espanso in un altro. Come fosse stato modificato con un intervento artificiale. Così le strutture all'interno delle zone colpite non erano semplicemente crollate: molto spesso si erano come fuse insieme, si erano compenetrate una con l'altra.
Draak si avvicinò al bordo. Il Kemeri Dhom, il Palazzo dei Commerci, si affacciava sulla grande piazza omonima. Si sporse in avanti per guardarla dall'alto come aveva fatto altre volte, ma in quel momento un lieve ma inaspettato senso d'ansia cominciò a insinuarsi tra i suoi pensieri.
Sgranò gli occhi. La piazza non c'era più. Oppure non si vedeva più. Eppure, non era buio pesto e neanche la foschia era abbastanza da ostacolare la vista. Non da così vicino. Si stropicciò gli occhi e si sporse, incredulo. Non era visibile niente: la scalinata, le vecchie aiuole delimitate dai muretti, le vetrine delle botteghe abbandonate. Solo oscurità, come se quel luogo fosse stato cancellato.
Forse era meglio scendere e andare vedere di persona. Anzi, forse doveva scendere.
Si girò su se stesso, ma una fortissima vibrazione lo fece vacillare. Si voltò ancora e guardò in basso. L'opaca tenebra si stava avvicinando e il fremito di prima stava aumentando di intensità. Allora comprese cosa stava accadendo.
Mentre la sua mente realizzava, iniziò a scorgere qualcosa nel buio che saliva lentamente. Fece alcuni passi indietro verso la porta. Ora l'ansia di prima era stata sostituita da un nodo alla gola.
La loro nave si sollevò oltre il tetto dell'edificio, generando una fortissima vibrazione nell'aria che si poteva sentire fin dentro le ossa. Non una luce la illuminava e il fatto che fosse nera ne impediva quasi completamente la vista. Era grande quasi come l'intera piazza e alta una dozzina di metri, ma più che la sua grandezza, era quel suono inconfondibile a far venire i brividi. Ora che la nave si stava librando a pochi metri da lui, Draak poté riconoscere le singole ondate. Penetravano nelle membra ed erano seguite da sinistri rumori metallici.
Rimase paralizzato qualche istante a subire la scena, come il ramo di un albero che viene strattonato impotente dal vento. Tornato in sé, si fiondò dentro il pozzo del montacarichi.
Per scendere non era più necessario usare la scala. Afferrò uno dei cavi che penzolava dalla carrucola, al quale era stato agganciato un occhiello di ferro. Vi infilò un piede e si lanciò verso il fondo del pozzo. Un contrappeso all'altro capo del cavo schizzò verso l'undicesimo piano, incrociando Draak a metà.
Draak toccò il basamento con un tonfo. Doveva allontanarsi subito da lì. Iniziò a correre. Dal parcheggio sotterraneo avrebbe trovato l'ingresso della galleria da cui era arrivato. Vide però la scala che saliva al piano terra e si fermò.
Una terribile sensazione gli gelò il sangue nelle vene. Un bisogno. Doveva andare a vedere.
Salì le scale lentamente e attraversò le doppie porte d'emergenza. Si ritrovò nell'enorme atrio d'ingresso del centro e prese ad attraversarlo verso le porte a vetri che davano all'esterno. Le vibrazioni provocate dalla nave si percepivano anche lì. Doveva essere completamente impazzito, eppure era perfettamente consapevole di quello che faceva.
Uscì.
Quasi tutto il porticato era crollato, ma una sezione di colonnato era rimasta in piedi a reggere il nulla sopra di sé. Poté scorgere così la nave che si stava allontanando, sorvolando i palazzi dalla parte opposta della piazza come una macchia nera sullo sfondo nero del cielo. E in un attimo era tornato il silenzio.
Per un momento pensò che il pericolo fosse passato, ma dovette smentirsi subito. Vide qualcosa: due movimenti. Qualcuno, una figura incappucciata era nascosta nell'ombra, dietro una colonna a pochi metri da lì. E un'altra sagoma si era spostata con movenze da felino proprio in mezzo alla piazza. Un bambino. Un bambino con qualcosa in mano.
La figura incappucciata si voltò verso di lui di scatto. Solo i suoi occhi si scorgevano sotto il cappuccio. Occhi spalancati, turbati, confusi.
Ora, anche Draak era spaventato e istintivamente portò la mano sul manico del suo coltello. La figura lo fissò scuotendo il capo, ma era già troppo tardi. Un colpo fischiò poco sopra la testa di Draak. Il bambino aveva iniziato a correre nella sua direzione brandendo una pistola a impulsi. Ed era dannatamente veloce.
Draak si spostò dietro una colonna, ma non c'era tempo per valutare il da farsi: pensò solo che tornando nell'atrio sarebbe stato troppo esposto. Prese a correre più veloce che poteva verso il cumulo di detriti, mentre un altro paio di impulsi colpivano una colonna e una parete a vetri del salone d'ingresso, la quale esplose fragorosamente.
Arrivato dietro i detriti, vide quella che un tempo era stata una scala mobile che scendeva nella stazione della metro. C'era una speranza. Schizzò fuori dalla copertura e vi si fiondò facendo quattro gradini alla volta. Alla base della scala si voltò a controllare e urtò... qualcuno. Un cappuccio cadde sulle spalle. Era una ragazza. E qualcosa dietro di lui stava attirando il suo sguardo.
Il ragazzino si era fermato a metà scala brandendo la sua arma. Draak sapeva che non era un semplice bambino, ma rimase interdetto un istante. Prima che potesse arrivare alla fondina del coltello, la ragazza gliel'aveva già sfilato e lanciato in un unico movimento verso il collo del giovane, il quale si accasciò a terra.
Poi lei salì i gradini, recuperò il coltello dal collo insanguinato, e lo porse a Draak.
– Ti sei bloccato – disse.

Riccardo Cascino

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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