
Chi ha letto in anteprima questo racconto sperimentale mi ha suggerito di accompagnare i lettori, persino i più coraggiosi, all'ingresso del capitolo iniziale e di indicare a questi temerari come superare il cespuglio spinoso che apparirà davanti ai loro occhi. Essi dovranno necessariamente sciogliere quel groviglio, prima di procedere a una lettura che sia in grado di cogliere il significato autentico del testo che si intravede al di là. Mi ha consigliato inoltre di aggiungere questa prefazione. E così ho fatto. I primi, i pionieri della lettura hanno sofferto molto. Sarò pertanto Virgilio, per i prossimi. Tutto iniziò tempo fa, quando scovai un manoscritto anonimo che era stato dimenticato nel cloud. Lo lessi con molta attenzione perché avevo supposto che fosse stato scritto in codice. Per la verità confesso che persi molto tempo nel decodificarlo e poi con un filo di speranza azzardai che non fosse stato cifrato da un umano, piuttosto che fosse stato redatto da un'intelligenza artificiale nel suo linguaggio. Con tale nuova inquietante ipotesi in mente, lo studiai e analizzai non so quante volte ancora, quando all'improvviso compresi. Riportava un'idea primitiva che descriveva un nuovo mondo, un metaverso, e lo raccontava utilizzando un linguaggio senza sintassi, con un lessico non naturale per gli umani. Tuttavia doveva essere naturale per quell'intelligenza artificiale; un significato possibile del testo dipendeva infatti dall'accostamento dei caratteri e dalla reciproca posizione delle parole, piuttosto che dalla struttura delle frasi che le contenevano. Niente di umano, quindi. C'era anche altro, che non sempre appariva durante la lettura; me ne accorsi accidentalmente e mi creò molta confusione diventando la trappola in cui scivolai rapidamente. Ebbi infatti l'impressione che qualcosa di altamente viscoso si spargesse nei miei meccanismi di ragionamento, che una melassa avvolgesse la mia logica. Rimasi molto impressionato da quello che avevo letto e dalla tecnica di lettura che ero stato costretto a utilizzare per capire. Analizzai le quantità di diversità e distanza esistenti tra le parole e i caratteri affiancati e ne apprezzai gradualmente l'importanza. Apparve allora chiaro che quel documento era stato concepito paradossalmente per raccontare emozioni umane in tutte le infinite sfumature e combinazioni. E c'erano proprio tutte! Supposi, inoltre, che da qualche parte ci dovesse essere anche quell'intelligenza artificiale che aveva studiato gli umani e poi scritto il libro. Questo non mi sorprendeva. Classificai diligentemente le emozioni di cui si parlava nel manoscritto secondo rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa e disgusto. È noto che esse catturano il nostro orologio interno per poi manovrare secondo il loro arbitrio: oggi per domani, continuamente. Non possiamo sfuggire al loro meccanismo che dilata o comprime il nostro tempo percepito, quello che ci sentiamo passare addosso lentamente o velocemente e che non corrisponde mai a quello che vediamo sul quadrante dell'orologio. Le emozioni appaiono all'improvviso nel corpo e sul viso, miscelate insieme secondo infinite permutazioni. I sentimenti, come l'amore l'odio l'amicizia la nostalgia l'indifferenza che ne derivano nei momenti successivi, durano anche giorni interi o per sempre, variando di intensità e caratteristiche senza sosta. A quel punto mi venne l'ispirazione di trasformare la natura misteriosa di quel manoscritto nell'espediente narrativo di un nuovo racconto, allo scopo di sostenere l'interesse del lettore su di un tema molto complesso come la trasformazione e la percezione della trasformazione. Cioè del tempo che passa e che sentiamo passare. Dei nostri sentimenti che cambiano, in definitiva. Sentivo allo stesso tempo di non essere in grado di riportare accuratamente le emozioni che si trasformavano mentre venivano descritte nel vecchio tomo, a meno di non utilizzare lo stesso linguaggio, pressoché incomprensibile tuttavia adatto a raccontare di cose variabili, infinite e infinitesime. Con lunghe perifrasi del mio linguaggio naturale, quello che parlo e scrivo correntemente, forse avrei potuto avvicinarmi, ma non avrei raggiunto l'obiettivo. Mi ricordai infatti che l'infinità dei caratteri anche ripetuti degli alfabeti è sempre stata meno densa dell'infinità delle variazioni delle emozioni. Le vocali e le consonanti che sarei stato in grado di digitare sulla tastiera del computer per comporre le parole erano poche, pochissime, insufficienti anche se le avessi ripetute miliardi di volte, per poter codificare con precisione tutte le emozioni che avevo individuato nel manoscritto, combinate insieme dalle loro sfumature; e che mi stavano prendendo sempre di più. Non potevo scrivere frasi composte di un numero enorme di parole e nemmeno di caratteri, perché non potevano essere né così tante né così lunghe da rappresentare esattamente la totalità di quello che per empatia provavo in quei momenti. Non disponevo di caratteri, non abbastanza per descrivere tutte le possibili miscelazioni delle emozioni. Se l'avessi fatto, ci sarebbe stato il rischio che molto tempo dopo sarebbe potuto accadere che un lettore non avrebbe intuito quello che avessi avuto in mente molto tempo prima; piuttosto, ambiguamente egli avrebbe letto chissà cosa, secondo la sua interpretazione che avrebbe ritenuto sempre più necessaria e a cui si sarebbe aggrappato disperatamente. Si sarebbe fatto allora un'idea troppo personale del mio pensiero che dietro le quinte avrebbe sorretto quelle poche parole di pochi caratteri, spazi bianchi inclusi. No, non potevo farlo. Che disgrazia, con quelle limitazioni, non conoscere accuratamente cosa abbia in mente l'autore di un meraviglioso scritto! E se questo non venisse scritto meravigliosamente? E se fosse subito mediocre ma poi interpretato come ottimo, perché capito male dal lettore? O viceversa? Tutto è nella spiegazione che lui dà delle emozioni che legge (siamo nelle sue mani); e questi può essere limitato o geniale, intendendo al di qua o al di là del pensiero originale. Tanti lettori, tante interpretazioni, troppe. Così si perde l'autenticità e l'integrità del pensiero di chi scrive. Scrissi quel libro, finalmente. Cioè, questo! Successivamente, un autorevole comitato di lettura lo recensì (...un impianto sperimentale... la volontà sperimentale, tuttavia, è troppo sviluppata rispetto a quella narrativa... l'assenza di una vera trama... all'inizio può sembrare un'idea interessante, ma il continuo rivolgersi al lettore risulta faticoso) e notai che esso non aveva evidenziato che la trama rispettava una legge non-newtoniana e che perciò variava la sua viscosità in risposta allo sforzo di interpretazione che veniva applicato al significato da chi leggeva quel testo. Non si era accorto che era stato scritto intenzionalmente in tal modo! D'altronde questa era la stessa buca in cui ero cascato anch'io nel leggere il manoscritto ispiratore. (Era quello che appariva ogni tanto, la trappola). Cercavo di capire troppo e andavo avanti a gran fatica, sempre più spossato. Il motivo era il seguente: quando in un testo vige quella legge non-newtoniana, il pensiero autentico dell'autore potrebbe non arrivare al lettore poiché la trama reagisce con violenza a una lettura un po' impicciona, un po' critica e diffidente, diventando la trama stessa petulante e insistente. Il lettore insiste nel cercare di interpretare ciò che si discosta dal suo modo di pensare, da quello che ha sempre capito e a cui non rinuncia, e così si genera un circolo vizioso. È una legge conservativa che si può violare o rispettare inconsapevolmente. Mi sembrava in tutti i casi una bella idea, da mettere a protezione di un testo complesso e intricato che andava letto senza rendere necessario alcuno sforzo interpretativo, anzi impedendo quell'impegno. Così feci per il mio racconto. Suggerirò allora, proprio a te che stai leggendo in questo momento con audacia, come attraversare quel cespuglio senza farti male né affaticarti; ti darò una chiave di lettura per mezzo della quale potrai immergerti nel mio metaverso a cui ti stai pericolosamente avvicinando, al fine di viverlo con naturalezza sin dalla sua genesi così da non commettere il mio errore. Innanzitutto, sappi che il presente per me scrittore è il passato per te lettore, non appena ti troverai a leggere il mio testo che sto scrivendo; ancora, il futuro per me scrittore sarà il presente per te lettore, non appena avrai in mano il libro che avrò scritto. Dunque, nel passato sta il mio testo mentre nel presente sta il libro che hai acquistato; non antiteticamente poi, nel presente sta il mio testo mentre nel futuro sta il libro che acquisterai. Sembrerebbe ovvio. Lo è. Ricordati di oscillare tra questi due punti temporali di osservazione durante la lettura, poiché sono punti importanti del viaggio che il mio pensiero intraprenderà verso di te (da ora in poi per me che scrivo), o ha già intrapreso (ora per te che leggi). Dunque, riassumendo, ecco quello che devi fare. Dovresti tuffarti nel mio testo facendo poco sforzo di interpretazione, meglio se nessuno, altrimenti esso aumenterà la viscosità della sua trama e tu rimarrai impigliato tra i caratteri delle parole, tra le interlinee così come è accaduto ad altri prima di te e arriverai in ritardo alla fine, stremato e attonito. Potrebbero apparire addirittura dei significati non voluti né previsti da me; essi sono da considerare rumori e disturbi dipendenti dallo sforzo che infettano la melodia e l'armonia della composizione letteraria. Ma potrai leggere variando la velocità; quella sì; l'accelerazione e la decelerazione ti sono concesse. Variazioni di velocità di lettura, senza sforzo di comprensione: sì. E ti divertirai. Ti chiedo entusiasmo e fiducia. Là dentro, più avanti, oltre il cespuglio e tra i rovi tipografici, tempo e spazio sono frantumati, liberi di piroettare dentro un caleidoscopio insieme con tutte le emozioni, ma non dispersi. Ogni frammento che incontrerai è uno scenario temporizzato che le contiene e ce ne sono infiniti, per lo scrittore e per il lettore, per tutti. Ora mi chiedo, se uno stroboscopio dovesse inquadrare il mio metaverso, qualora stesse turbinando con tutti quegli scenari mentre disgraziatamente venissero sottoposti all'azione della forza interpretativa del lettore, come verrebbero interpretati quei fotogrammi illuminati? Nel modo in cui io avevo intuito quei frammenti? Non credo, purtroppo. Nel mio metaverso accadono fatti comprensibili ma nuovi, che ingannano ma convincono. Vedrai. Eccone alcuni, tra quelli ripresi dal manoscritto e che mi hanno incuriosito particolarmente: il caso dello scrittore con il suo lettore, del libro con le sue parole, dei significati illimitati nei loro contenitori limitati, del conteggio delle cose infinite, della diversità con le sue componenti sempre uguali, dell'amore ingegnoso che libera dalla sofferenza, del ricordo di noi che svanisce, della fine di tutto. Quei fatti erano non inspiegabilmente legati insieme nel tomo, erano molto interconnessi e sono stati mantenuti tali nel mio racconto. Anzi, soltanto nel mio espediente letterario, per essere precisi. Tu che sei impaziente ancora davanti a queste righe, a questo punto sei stato informato; tuttavia non credo che nel mio metaverso tu sia pronto a leggere, a emozionarti e ad apprezzarlo come dovresti. Poiché mentre leggi per capire, e questo accade anche per tuo vizio, di solito escludi pezzi di testo, li salti, deformi parole, aggiungi pause e addirittura supponi arbitrariamente significati non previsti, allo scopo di interpretare con forza e in anticipo come finisca la storia, cosa pensi l'autore. È presunzione, la tua. No! Là dentro, dove ti stai avvicinando, non potrai più farlo, altrimenti ti opporresti a quella legge, violandola. Invece, leggere velocemente il testo che inizia nel prossimo capitolo, scivolando discreti sulle sue parole, farà apparire significati diversi che se si leggesse lentamente cercando di scrutare l'inesistente struttura sintattica con le parole che questa tenterebbe di imbrigliare. Ma quelli non sono rumori! Puoi stare tranquillo, poiché la variazione della velocità, cioè l'accelerazione e la decelerazione durante la lettura ravviveranno frequenze diverse e saranno responsabili di legittimi significati del testo, previsti; non ti farà violare quella legge e ne catturerai in tutti i casi il composito pensiero autentico e retrostante a condizione, ricorda, di non applicare alcuno sforzo interpretativo. Sarà come guidare un'auto su una strada ricoperta di barre posizionate trasversalmente equidistanti tra loro e si variasse la velocità: sentirai suoni più gravi andando piano e più acuti altrimenti. Analogamente, è come se le barre fossero posizionate a determinate distanze progressivamente diverse tra loro, e si andasse a velocità costante. Questo accadrà quando leggerai le mie parole. Leggi il seguito allora senza cautela, altrimenti troverai reazioni lungo la trama, già dopo l'ingresso. Non c'è Newton ad aiutarti. So che dovrai andare contro la tua natura se vorrai raggiungere il nucleo integro del mio pensiero, in quel metaverso dove tutto è fermo senza struttura, dove ogni variazione manovra il tempo per sgretolare il suo ritmo incessante richiudendolo nello spazio circostante. Va' contro natura, una volta tanto! Alla fine, quasi un premio per te, troverai la diversità dei colori, dei profumi, dei suoni, degli odori e dei sapori. Là c'è anche il tuo infinitesimo. Sto pensando che forse sarebbe stata necessaria anche una metaprefazione. Solo ora infatti mi accorgo che quel manoscritto progettava un vero e proprio attacco all'immaginazione e che anche tu dovresti saperlo. Ma è troppo tardi per te che leggi. Lo farò nella prossima edizione. Promesso!
Digital Twin
|