
Un'indagine del Tomba tra Milano e il lago di Como.
Punto lo sguardo sulla pila di libri firma che ingombra un lato della scrivania. Sbuffo, ma è arrivato il momento di metterci mano. Raccolgo la cartella in cima, l'appoggio sul pianale e la apro. Come sospettavo: subito un'informativa da leggere e controfirmare. Bussano allo stipite della porta. «Dottore, posso disturbarla?» Sollevo la testa. «Entra pure, Leardo, nessun disturbo.» Chiudo la copertina con un sospiro di sollievo. Oggi è in versione total black. Indossa jeans, felpa e Converse nere, il migliore accostamento cromatico per mettere ancor più in risalto la barba biondiccia, sempre più lunga e folta. Gliela indico. «Posso confessarti una cosa?» Si blocca. «Come, scusi?» «Non hai la fisionomia adatta per trasformarti in un hipster. Almeno, così ti vedo io.» Se la liscia tirandola un po' verso il basso. «Alla mia ragazza piace.» «Hai ragione pure tu. Dimmi, cosa volevi?» Si avvicina alla scrivania. «Di là c'è un padre che è venuto a presentare denuncia di scomparsa della figlia.» «Minorenne?» «No, ha ventinove anni, ma... ecco, mi ha dato delle indicazioni strane, confuse. Preferirei che lo sentisse anche lei.» «Da quanto tempo è successo?» «È qualche giorno che non la sente. È sparita da mercoledì sera, però lui non ne sapeva niente, gliel'hanno riferito.» Gli faccio cenno di andare. «Portamelo, e poi rimani qui.» Va in sala agenti e torna in compagnia di un uomo calvo, gli occhi lucidi, il volto arrossato. Veste un giaccone blu che fatica a contenere il ventre prominente. Mi porge la mano, la stretta è molle e umida. Gli indico la sedia. «Sono il vicequestore aggiunto Tombamasselli. Prego, si accomodi, signor...?» «Mi chiamo Colombo... Arrigo Colombo.» Ha un timbro di voce stridulo. Leardo mi porge la stampata della denuncia e si siede anche lui. Do una scorsa veloce. L'anno 2016 il giorno 10 del mese dierbmecid... porca miseria... dicembre... alle ore 9:15 innanzi alsottoscritto ufficiale... si è presentato... denunzia quanto in appresso... scomparsa di mia figlia Luce atunevva... avvenuta... commessa in un supermercato ruoferraC... basta così. Sbatto il foglio sul tavolo. «Dunque, signor Colombo, la persona scomparsa è sua figlia... Luce, giusto?» Annuisce. «Sì, ho solo lei. L'abbiamo avuta tardi, ormai pensavamo che la fortuna di diventare genitori non ci sarebbe mai più capitata.» La voce è proprio fastidiosa. «Appena saputo di essere incinta, mia moglie era già sicura che sarebbe stata una bambina. Il nome l'abbiamo scelto insieme.» Si passa una mano sopra gli occhi. Riprendo il foglio. «Leggo che ha ventinove anni e... risiede a Bresso, mentre lei... abita qui vicino, in via Serrani. Mi parli di questi ultimi giorni.» Si sposta in punta di sedia, gira lo sguardo da me a Leardo. Ha la fronte imperlata di sudore. «Signor Colombo, fa caldo qui dentro. Apra il giaccone, si appoggi allo schienale.» Ascolta il mio consiglio. Per slacciare i bottoni in fondo è costretto ad alzarsi. È vestito con un cardigan scollato grigio scuro dal quale spunta il colletto di una camicia bianca. Si risiede. «Forza, mi racconti.» «Ecco, Luce è uscita mercoledì sera con due amiche, mi hanno detto che sono andate in un locale in piazzale Susa... qui a Milano.» Deglutisce a fatica. «Leardo, porta dell'acqua per il signor Colombo, grazie.» Si dirige in corridoio, si avvicina al boccione, prende un bicchiere di carta e lo riempie. Torna facendo attenzione a non rovesciarselo addosso. Lo porge a Colombo che lo svuota per metà con una sorsata. L'appoggia sul bordo della scrivania. «Va un po' meglio?» «Sì, grazie.» Fruga in tasca, estrae un fazzoletto e si deterge la fronte. Da quanto ho capito la ragazza è scomparsa dalla notte di giovedì; è sabato mattina e non abbiamo ancora fatto un passo in avanti: non c'è altro tempo da perdere. «Dunque... eravamo rimasti alla serata in un locale con due amiche. Lei com'è venuto a saperlo e da chi?» «Me l'ha detto una di loro, Carla.» «Bene, quindi lei conosce questa Carla.» Prendo un appunto. Fa di no con l'indice. «Veramente... non sapevo che fosse un'amica di mia figlia.» Ma che sta dicendo? Mi sporgo verso di lui. «Guardi che così non ci sta aiutando. Se non vi conoscevate, come ha fatto a essere contattato da lei?» «Mi ha chiamato dal cellulare di Luce.» Sposto lo sguardo su Leardo, aveva ragione a dirmi che il racconto era strano. Scuoto la testa. «Signor Colombo, mi scusi ma non riesco a seguirla. Mi spiega perché questa Carla ne era in possesso?» «Mia figlia aveva lasciato la borsa sulla sedia. Si è allontanata, le sue amiche pensavano fosse andata in bagno come aveva detto. Ma da quel momento nessuno l'ha più vista.» Mette la mano in una tasca del giaccone, estrae un telefonino con la cover bianca. «Ecco, questo è il suo.» È un Nokia, un modello di qualche anno fa. «Intende il suo di Luce?» Annuisce. Leardo prende un fazzoletto di carta dalla scatola che tengo sulla scrivania. «Me lo dia, per favore.» Colombo mi guarda come a chiedere l'autorizzazione. Leardo glielo afferra, preme il pulsante di accensione e lo schermo s'illumina. «Dottore, non richiede il PIN. Sono già dentro, ma ha la batteria ormai a zero.» Bene, almeno una cosa è a posto in mezzo a questa confusione. «Quindi lei si è incontrato con Carla. Quando?» «Ieri sera a Bresso, davanti al portone di casa di mia figlia.» Mi sto stancando di tirargli fuori le parole di bocca. «Senta, mi aiuti a capire meglio. Prima riesco a farmi un quadro generale della situazione e prima partiamo con le ricerche.» Si tampona il sudore, sta grondando. «Sono entrato in casa sua, ho visto che era tutto in ordine. Ci sono ritornato stamattina, pensavo... no, speravo di trovarla. Ho chiamato Tommaso, il suo fidanzato, abita a Novate Milanese. Mi ha detto che è una settimana che non la vede e non la sente: hanno litigato. Allora sono venuto qui di corsa.» Leardo si porta una mano tra i capelli, scuote la testa. Intercetta il mio sguardo, capisce il messaggio senza bisogno che apra bocca. Si alza e si dirige a passo svelto in sala agenti. Colombo lo indica. «Dove sta portando il telefonino?» Mi osserva con espressione preoccupata. «Intanto che si ricarica la batteria verifichiamo il contenuto. Le chiamate fatte e ricevute, i messaggi, le chat... lì dentro può esserci una traccia per capire cos'è successo a sua figlia.» Mi sorge un dubbio. Scorro un paio di righe della denuncia e non trovo ciò che sto cercando. Alzo il foglio. «Qui sopra non è stato chiarito da quanto tempo Luce non vive più con voi.» Oscilla la mano aperta su e giù. «Saranno... quattro anni.» «Tommaso, il fidanzato, di cognome?» «Galletti, Tommaso Galletti.» Prendo nota. «Si frequentano da molto?» «Si conoscevano già quando abitava ancora con noi.» «Glielo devo chiedere: è andata a vivere da sola a causa di contrasti tra di voi?» Alza le braccia come a volersi difendere. «No, no, assolutamente no.» Attendo che mi informi del motivo della scelta di sua figlia. Niente da fare, devo sempre sollecitarlo. «Ascolti, sono notizie importanti per indirizzare le indagini. Eventuali dissapori, litigi, vecchi rancori sono elementi da non sottovalutare.» Mi osserva con gli occhi sbarrati. «Non starà pensando che noi... noi... è la nostra unica figlia, le vogliamo un bene dell'anima. Ma che va a pensare?» Tossisce, afferra il bicchiere e lo svuota. È evidente quale sia lo stato d'animo che lo porta addirittura a equivocare quanto gli sto chiedendo. Per il momento non mi può più essere d'aiuto, ma un'altra cosa mi preme saperla. «Si ricorda se ieri sera il letto di sua figlia fosse rifatto oppure no?» Aggrotta le sopracciglia. «Il letto? Sì, era a posto. Ah, ho capito cosa vuole sapere. Adesso che ci penso, anche stamattina era intatto. Allora nemmeno stanotte è tornata a casa.» Abbassa la testa come se non fosse in grado di reggere il peso di quella eventualità. «Guardi che non è detto che sia così. Potrebbe essere rientrata tardi e poi uscita prima del suo arrivo.» Mi accorgo di non avere usato un tono convincente. «Mi ascolti, ci mettiamo subito al lavoro, per il momento abbiamo quanto ci serve per iniziare.» Alza una mano per interrompermi. «Io... che cosa posso fare?» Prendo un profondo respiro. «Ho esperienza in situazioni del genere e, mi creda, capisco benissimo ciò che sta passando. C'è solo una cosa che posso consigliarle: torni da sua moglie e fatevi forza.» Solleva le spalle. «Mia moglie sarà già in chiesa a pregare.» Non è il caso di dirgli che non sarà il loro Dio a far tornare Luce a casa viva e vegeta, soprattutto se non si è allontanata di sua spontanea volontà. Mi alzo. «Ho il suo numero di telefono. La chiamo non appena ci sono novità, ora vada. Ah, mi scusi, un'ultima cosa. Ha una foto recente di Luce? Mando un agente a prenderla.» Si alza anche lui, infila una mano in tasca. «Mi stavo dimenticando, mi perdoni. Tenga... sapevo che poteva servirvi.» La prendo. La ragazza è seduta a un tavolo apparecchiato. Ha i capelli castani, gli occhi scuri infossati e il naso sottile. Con la testa piegata di lato e le braccia conserte fissa l'obiettivo sorridendo. Carina, non assomiglia per niente a suo padre. Ci picchietto sopra un dito. «Che occasione era?» Colombo si passa una mano sulla fronte. «Quest'anno, a Pasqua. Vede, dottore? Trascorre le festività con noi, viene tutte le settimane a trovarci.» Mi rivolge uno sguardo che è una supplica. Si gira, incassa la testa tra le spalle e se ne va trascinando i piedi. Appoggio la foto sulla scrivania, prendo il bicchiere di carta e lo getto nel cestino. Leardo torna da me. «Dottore, ho rintracciato Carla, l'amica. Abita in zona Niguarda, meno di mezz'ora ed è qui.» «Ottimo. Tu sai cosa fare con quel telefono. Dai, all'opera, siamo già fin troppo in ritardo.» Mi avvicino alla finestra: il cielo è terso e illuminato dal sole che però non scalda. Stamattina eravamo un grado sottozero, adesso non ce ne saranno molti di più e per i prossimi giorni dovrebbe andare avanti così. Mi riscaldo le mani sopra il calorifero. Torno alla scrivania. Anche se con poca voglia, riapro il libro firma.
Massimo Bertarelli
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