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Autore: Davide Girardi
L'intricato caso di Sarah Ibrahim
Giallo
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L'intricato caso di Sarah Ibrahim

Mi sveglio di soprassalto al suono del campanello. Sono le nove. Prima che possa chiedermi chi sia, mia madre, Ambra, entra nella stanza.
«Andrea, mettiti qualcosa addosso e vieni in soggiorno!» strilla.
«Io?!».
«Sì, tu! Chi altrimenti?».
«Perché? Neanche il sabato posso dormire in pace?!».
«Un Carabiniere chiede di te! Che hai fatto?».
«Niente!».
«Me lo auguro per te! Muoviti a cambiarti!».
«Sì, un attimo e arrivo».
«Ma allora non ci siamo capiti! Conosco bene i tuoi attimi. Vedi di darti una mossa. Non mi piace che tu faccia aspettare le persone».

Ambra chiude la porta e se ne va. Scendo dal letto con movimenti lenti e impacciati come un orso che si risveglia dal letargo. Per guadagnare tempo, mi vesto in sole due mosse: prima mutande e jeans, poi maglia e felpa. Ovviamente, il numero da ninja che avevo immaginato non si traduce in realtà. Tutt'altro. Mi trovo imbrigliato nei miei stessi indumenti e cado a terra come un sacco di patate. Per fortuna, Ambra se ne è andata altrimenti me ne avrebbe dette quattro. Dopo varie peripezie, sono finalmente pronto.
Mi precipito in salotto dove trovo un uomo distinto, sulla cinquantina, seduto sul sofà. Ha capelli castani dal taglio corto e ordinato, baffi chevron, occhi scuri e uno sguardo impenetrabile.
«Lei deve essere il signor Xamin» mi interroga.
«Sì, in persona» rispondo ancora assonato.
«Io sono il Comandante Russo, responsabile della caserma di Cassola. Se non le dispiace, vorrei farle alcune domande in merito al caso Sarah Ibrahim».
«Chieda pure quel che deve» dico con tono accomodante.
«Quando è stata l'ultima volta in cui ha visto la signorina Ibrahim?».
Mi siedo sul divano, cercando di ricordare: «Non saprei dirle con esattezza, sarà stato due anni fa. Eravamo amici d'infanzia, ma poi ci siamo persi di vista».
«Curioso» afferma sfiorandosi i baffi.
«La signorina Ibrahim ha cercato di mettersi in contatto con lei giovedì mattina, poche ore prima di sparire».
Un brivido mi attraversa la schiena e la mia voce si incrina leggermente mentre rispondo: «Quando ho visto la chiamata, ho pensato che Sarah si fosse sbagliata. Erano anni che non ci sentivamo. Perché avrebbe dovuto cercarmi proprio adesso?».
«È quel che mi chiedo anche io» commenta dubbioso. «Non ha proprio nessuna idea in merito al presunto motivo della telefonata?».
Scuoto la testa, sentendo il peso della responsabilità crescere. «Non saprei davvero. Come ho detto, non ci siamo sentiti per anni».
Russo annuisce pensieroso. «Beh, se le viene in mente qualcosa, anche il minimo dettaglio, non esiti a contattarmi».
«Certo, lo farò» esclamo facendo un cenno d'assenso.
Il Comandante si alza. «Bene, signor Xamin, la ringrazio per la sua collaborazione».
«Non c'è di che» rispondo accompagnandolo alla porta.

La volante dei Carabinieri scompare dalla mia vista e un senso di inquietudine mi assale. Se solo avessi risposto alla chiamata di Sarah, forse lei non sarebbe scomparsa. Ma come dice lo zio Bepi: “del senno di poi son piene le fosse”. Non posso cambiare il passato, ma posso agire nel presente.
Mi precipito al pc e apro Google Maps, posizionando il cursore di fronte alla casa di Sarah in Via Dante Alighieri numero 94. È qui che è stata vista per l'ultima volta. Finora, le indagini delle Forze dell'Ordine non hanno trovato indizi utili a chiarire cosa le sia successo. Sarah sembra essere scomparsa nel nulla, come se la terra l'avesse inghiottita senza lasciare traccia.
In un paesino dove tutti sanno tutto, non c'è alcun testimone: nessuno ha notato nulla di sospetto quel fatidico pomeriggio di giovedì 2 dicembre.
Sposto Pegman, l'omino giallo di Street View, qua e là sulla mappa e mi lascio sopraffare dalla nostalgia dei tempi in cui Sarah e io girovagavamo spensierati per il paese.
Decido di passare dalle parole ai fatti o, per meglio dire, dal virtuale al reale, e mi dirigo verso la casa di Sarah. Approfittando del clima mite e del tiepido sole autunnale, scelgo di percorrere la strada sterrata attraverso la campagna. Mentre avanzo tra la natura incontaminata, i miei pensieri fluiscono liberamente e la mia mente si acquieta. Ammiro il foliage delle querce, che dipinge un magnifico tappeto naturale con tonalità d'oro e bronzo, ascolto il crepitio delle foglie secche sotto i miei passi e assaporo il profumo delle castagne nell'aria.
Poi la strada di terra battuta termina, portando via con sé quell'atmosfera di serenità e leggerezza. Come risvegliatomi da un sogno, torno con i piedi per terra alla cruda realtà. Il cartello “VIA DANTE ALIGHIERI” segna l'inizio del mio viaggio. Ancora pochi passi e giungerò nel luogo dell'ultimo avvistamento. Il solo pensiero mi fa accapponare la pelle. Tutto a un tratto, vorrei tornare indietro per rifugiarmi nella mia gabbia dorata fatta di sogni e fantasie. Ma non posso farlo. Non posso permettere alle mie paure di avere la meglio su di me ancora una volta.
Alzo il capo e fisso la dimora dei Rossi dritta davanti a me. Ricoperta da erbacce e rampicanti, l'abitazione mostra segni evidenti di incuria. Le crepe sulle mura e la pittura sgretolata, conferiscono alla struttura un aspetto lugubre e decadente, che evoca la casa stregata di alcuni film di Alfred Hitchcock.
È il classico luogo dove un umano sano di mente non metterebbe mai piede. Eppure sto per varcare quella soglia. L'ansia mi avvolge come una nebbia fitta. Ricordo le parole rassicuranti del dottor Furlan: «Inspira profondamente, poi espira lentamente, liberando tutta l'aria che hai in corpo». Ripeto l'esercizio un paio di volte prima di suonare il campanello. Passa un minuto, ma non risponde nessuno. Decido di insistere, premendo il pulsante più a lungo e con maggiore determinazione. Mentre attendo, cerco di ricordare l'ultima volta in cui ho fatto visita a Sarah. È passato così tanto tempo che fatico a ricordarlo. Rifletto su come il nostro legame sia mutato nel tempo: da amici inseparabili a (quasi) estranei.
I miei pensieri vengono interrotti da un suono roco che riecheggia nell'aria: «Chi è?».

Si tratta di Amanda Rossi, la madre affidataria di Sarah. Con il suo solito aspetto trasandato, si è affacciata alla porta, indossando pantofole di ecopelle rosa fenicottero, una vestaglia di cotone giallo canarino, e una pelliccia leopardata.
«Sono Andrea, posso entrare?» domando.
Amanda annuisce e mi fa accomodare in soggiorno. Mi guardo attorno. Tutto è come lo ricordavo: il disordine generale, la luce fioca e un'accozzaglia di odori sgradevoli. Sul pavimento sono disseminate crocchette per cane, il tavolo della cucina è cosparso di macchie di unto e il lavabo straborda di pentole e padelle incrostate. Sembra il set di Cucine da incubo, con l'unica differenza che qui non arriverà Cannavacciuolo a far regnare pulizia e igiene.
Il mio curiosare viene meno quando Rufus, il cane di compagnia di Amanda, un poco mansueto bulldog inglese, inizia a ringhiarmi contro. Mi allontano, ma Amanda mi rassicura: «Non c'è niente da temere. È un amorino il mio Rufus. Non farebbe del male ad una mosca» e nel frattempo lo prende in braccio, stringendolo al grembo con la stessa dolcezza con cui una neo-mamma stringe il suo bambino.
Amanda non potrebbe mai vivere senza il suo fidato compagno a quattro zampe. Lo porta con sé ovunque vada: dal supermercato al cinema, perfino al centro estetico. Anche se non ne ho la certezza, scommetto che dormano anche insieme.
Di tutt'altra natura, è la relazione tra Sarah e Amanda. Quest'ultima non si è mai dimostrata una madre amorevole nei confronti della sua unica figlia affidataria. Per quanto ricordi, non ho mai visto Amanda abbracciare Sarah, né tantomeno il contrario.
Le mie riflessioni si interrompono quando Amanda, schiarendosi la voce, mi rivolge la parola: «Mi fa piacere vederti, Andrea. Ma non credo che la tua sia solo una visita di cortesia. Se sei qui, deve essere per un motivo. Vuoi sapere cosa è successo a Sarah, vero?».
«Sì» esclamo.
«Purtroppo non ho molto da dirti. Giovedì stavo guardando la TV quando Sarah è uscita. Indossava una tuta beige, un giubbotto marrone e un paio di Converse bianche».
«Ti ricordi l'ora?».
«Saranno state le cinque, avevo appena finito di guardare Il Paradiso delle Signore».
«Sai dove fosse diretta?».
«No, Sarah non condivideva mai nulla della sua vita privata con me. Se ne andava senza dire niente, ma poi tornava sempre. Questa volta, però...»

Amanda scoppia in un pianto isterico. In tanti anni, non l'avevo mai vista preoccuparsi per Sarah, figuriamoci piangere per lei...

Cerco di consolarla: «Vedrai che le Forze dell'Ordine la ritroveranno».
«Lo spero tanto. Il nostro rapporto non è dei migliori, ma è pur sempre mia figlia. Non le farei mai del male».
«Certo. Non hai proprio idea di dove potesse essere diretta?».
«Non saprei. Di solito usciva per fare la spesa, pagare le bollette, o prelevare contante. Era lei ad occuparsi delle faccende domestiche: cucinava, lavava, stirava e faceva le pulizie».
«Mia mamma diceva sempre: “l'uomo che sposa Sarah farà una bella vita” » sdrammatizzo. «Scusa se te lo chiedo, ma Sarah aveva dei nemici?».
«No, lo escludo. Ha un caratteraccio: è testarda e ostinata, ma sa farsi voler bene. Ora scusami, ho bisogno di riposare. Le ultime quarant'otto ore sono state un inferno. Quindi se non ti dispiace...».
«Certo, tolgo il disturbo».

Una volta solo vengo assalito dai dubbi. Chi è veramente la signora Rossi? Perfida matrigna o madre benigna? Forse Amanda, come il buon vino, è migliorata con il tempo, o forse sta solo mettendo in scena una patetica farsa per sviare i sospetti. Troppo presto per azzardare una teoria. Quel che è certo è che la mia ricerca è appena iniziata, e non mi fermerò finché non avrò scoperto la verità.

Davide Girardi

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