Vendetta
Si destò di colpo e trasse un lungo respiro. Gli era mancato a lungo il fiato, si era sentito soffocare e aveva fatto un sogno tremendo che, per quanto si sforzasse, non riusciva a rammentare. Aveva solo il vago ricordo di un qualcosa o di qualcuno che lo aveva scagliato in fondo a un pozzo, ove le pareti si erano rinchiuse su di lui stritolandolo. Si riscosse, sfregandosi gli occhi con la mano. Dalla finestra penetrava un soffio d'aria gelida, e un cielo sordo e grigio, ricoperto da scure nubi violacee, preannunciava un'alba tetra e opprimente. Al suo fianco una giovinetta circassa, completamente nuda, russava lievemente emettendo a tratti un suono come di bolle. Con un calcio violento la scaraventò fuori dal letto e si alzò in piedi coprendosi con un ampio mantello di morbida lana. Aveva tutto: donne, ricchezze, potere... che cos'era dunque quel malessere sordo che da qualche tempo lo opprimeva? Forse il pensiero di qualcosa che doveva essere fatto e che non riusciva a ricordare? Si affacciò alla finestra respirando a fondo e calmando lentamente il battito cupo e veloce del cuore. - C'è, forse, da qualche parte, un ignoto pericolo che mi minaccia? O un'importante missione che ho dimenticato di compiere? -Scosse il capo. Inconcepibile solo immaginarlo. Tutto ciò che gli era stato richiesto era stato fatto da tempo, e il superstizioso terrore generato dalla sua sola presenza era tale che nessuno, neppure i suoi antichi colleghi di un'epoca lontana, avrebbero mai osato sfidare la sua collera. Batté le mani e il vecchio Aristeo fece il suo servile ingresso recando, come di consueto, un recipiente con l'acqua tiepida per il lavaggio dei piedi del suo padrone. Il mago, seduto su di un basso sgabello, contemplò, pensoso, il vegliardo intento a versare con cura l'acqua e a sfregargli delicatamente i piedi: la schiena curva e ingobbita, i capelli bianchi e radi, gli occhi cisposi e arrossati, dallo sguardo assente, le spalle strette, le mani rinsecchite e nodose... cosa restava ormai dell'orgoglioso Aristeo, il potente generale di un tempo, un discendente dei diadochi, un uomo il cui potere era affine a quello di un Re e che aveva osato vietare il suo ingresso nel proprio territorio? Sorrise, ricordando con soddisfazione come si era divertito in quel tempo lontano. Aveva sfidato il divieto ed era entrato vistosamente e spavaldamente nella città, aveva permesso che le pattuglie di Aristeo lo imprigionassero e lo conducessero in catene di fronte all'orgoglioso satrapo greco, che gli aveva ingiunto di inginocchiarsi al suo cospetto. Era stato un momento di godimento estremo, quasi simile a un orgasmo sessuale: lui, un persiano, il discendente di un popolo sconfitto e umiliato, aveva guardato negli occhi il greco vincitore e si era impadronito della sua mente. I guerrieri e i dignitari presenti avevano assistito sbigottiti a un incredibile evento: il generale si era sollevato di colpo dal suo scranno, aveva ordinato di togliere le catene al prigioniero e gli si era gettato ai piedi baciandoglieli. Poi lo aveva condotto nei propri alloggi mettendogli a disposizione i propri beni, la propria sposa e le proprie schiave, divenuto ormai egli stesso schiavo della volontà del mago. Aristeo era uno dei pochissimi che aveva osato opporglisi e che era rimasto in vita, ammesso che, nel suo caso, si potesse parlare ancora di vita. Era il giocattolo del suo padrone che lo aveva sempre trascinato ovunque con sé, godendo nel costatarne l'inevitabile degrado. Anche ora, nella lussuosa villa a sud di Damasco, al greco era stato concesso di vivere in un minuscolo locale, quasi un porcile, senza alcun arredo e confinante con le stalle. Ora, il volto incartapecorito, gli occhi acquosi, la lunga barba incolta del vecchio e il suo sguardo vitreo non lo divertivano più. - Che cosa sarà rimasto nella mente di costui? Ricorda ancora qualcosa della sua gloria e della sua vita passata? Soffre, oppure non sente più nulla e nulla lo colpisce? Se così fosse, non mi divertirebbe più. Voglio fare una prova, voglio liberare la sua testa dal mio dominio e vedere quale sarà la sua reazione. Sì, voglio controllare... ora... ORA! Le mani di Aristeo smisero all'improvviso di lavare i piedi del mago. Il suo corpo s'irrigidì, mentre una lontana scintilla di coscienza ricompariva nel suo sguardo, sollevò lentamente gli occhi sul suo aguzzino, scosse il capo e si guardò intorno mentre un tremito convulso s'impadroniva del suo corpo. Poi un rauco strozzato urlo di rabbia sgorgò dalle sue fauci e le sue mani ossute si protesero artigliando la gola del nemico. Baldashar sogghignò soddisfatto, sollevò di scatto il ginocchio destro colpendo con violenza il mento del vecchio poi, mentre questi cadeva all'indietro, gli vibrò un calcio sul volto scaraventandolo come un sacco vuoto in fondo alla stanza. Il greco giacque immobile, mentre una macchia di sangue nerastro si allargava sotto il suo cranio che si era fracassato contro il basamento in pietra di una statua. Il mago s'innervosì. Non era stata sua intenzione uccidere l'antico avversario; avrebbe invece voluto divertirsi ancora un poco con lui, godendo della sua rabbia e del suo inutile tentativo di ribellione e vendetta. - Questa calma, questa pace mi deprime. Non mi giunge notizia di conflitti o di potenti nemici con cui misurarmi. Nessuno dei miei oppositori è ancora in vita, anche quel dannato gran sacerdote di Babilonia che ebbe l'ardire di ferirmi è morto da qualche tempo. Dall'Egitto quell'idiota di Agatheos mi fa pervenire dispacci inutili, di cose senza senso, sperando di ottenere qualche altra ricompensa. Potrei ucciderlo, ma non ne avrei alcun vantaggio, e poi potrebbe ancora servirmi in seguito. Però, se non ricordo male, il suo ultimo messaggio riguardava un altro greco... anzi, no! Un siracusano. Per il grande Ahriman! Ecco qual'era ciò che m'innervosiva senza che riuscissi a ricordare: quel maledetto studioso la cui men-te si oppose nel sonno al mio condizionamento e anzi tentò di danneggiarmi! Ah, finalmente un'impresa degna di me. Mi vendicherò e farò di quell'arrogante individuo il successore di Aristeo! Devo dare subito disposizioni per la partenza, Alessandria mi attende. Gli ultimi raggi di un morente sole invernale illuminavano fiocamente la città. A dispetto della stagione invernale una tiepida brezza soffiava dal mare portando con sé profumo di alghe e di salsedine. Ombre cupe si allungavano per le strade, presaghe di quelle notturne, e i radi passanti affrettavano il passo verso le proprie case pregustando il cibo e il meritato riposo che li attendeva dopo una laboriosa giornata. Archimede aveva da poco salutato Filone, con il quale aveva fatto un tratto di strada insieme, e ora si trovava nei pressi del tempio di Iside. Dalla Tracia e da Atene erano ar-rivati due nuovi allievi e ancora una volta si era impegnato con loro nel calcolo della costante che definisce il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e quella del diametro di un cerchio. Avevano approfondito l'analisi arrivando fino alla ventesima cifra decimale, ma all'esame pratico si era notato che il numero 3,14 con le sole due prime cifre decimali era più che sufficiente. Nella biblioteca aveva anche parlato a lungo con Eratostene, che stava preparando uno studio sulle costellazioni e su tutte le storie e le leggende che le riguardavano. Aveva meditato di parlarne con il proprio padre: Fidia, che di quegli argomenti già conosceva moltissime cose. Immerso in questi pensieri solo in ritardo si avvide dell'alta minacciosa figura, incappucciata e avvolta in un pesante mantello nero, che sembrava attenderlo in fondo alla strada. Un ultimo barlume di luce fece brillare due occhi malevoli che, all'interno del cappuccio, sembrarono brillare di luce propria come gli occhi dei felini, emanando un'aura di sinistra potenza e malvagità. Memore degli avvertimenti di Cleoth e di AkAhmed, Archimede rallentò il passo portando la mano all'elsa della spada, ma un intenso dolore gli trafisse il capo mentre nella sua mente s'insinuava, potente, un comando: Adorami! Il mondo intorno sembrò dissolversi in una nebbia fitta punteggiata da minuscole macchie color sangue. L'Ank, la chiave della vita, ancora appesa al collo dello scienziato divenne quasi rovente emanando una lieve luminosità e proteggendo il siracusano. La mano di Archimede, tuttavia, non riusciva a estrarre la spada dal fodero mentre la sua mente razionale si riempiva di una furia simile a quella provata un tempo nella tomba del Faraone, e contrastava il comando sempre più pressante del mago: Adorami! Un'alta figura emerse improvvisa dall'oscurità alle spalle di Arcimede; uno dei nubiani, incaricati di proteggerlo, incoccò veloce una freccia nel suo arco da guerra mirando verso il petto del nemico. Questi sollevò, ieratico, una mano scheletrica. Un potente flusso di energia colpì l'arciere che si sentì trafiggere da una lama di fuoco puro e cadde esanime al suolo mentre dal suo arco scoccava un inutile dardo che si perdeva nel cielo. Thanatos ebbe un attimo d'incertezza: com'era possibile che il suo avversario opponesse tanta resistenza? Mai, in tutti i suoi scontri era successa una cosa simile, inoltre quella brevissima interruzione, che si era resa necessaria per eliminare l'arciere, aveva dato il tempo al siracusano di estrarre una strana lama scintillante che sembrava a sua volta opporsi come uno scudo ai suoi poteri magici. Infuriato il mago si concentrò, raccolse tutta la spaventosa forza della sua magia e la scaraventò come una valanga contro Archimede: Adorami! Sottomettiti! Serrando i denti, il siracusano cercò di dominare le martellanti ondate di dolore e i silenziosi comandi che gli sferzavano la mente. La mano che stringeva la spada tremò e le sue forze sembravano quasi sul punto di cedere quando, all'improvviso, la sofferenza cessò di colpo e la sua vista si schiarì: una figura si era improvvisamente frapposta tra lui e Thanatos, una figura le cui mani, protese, emanavano una possente energia azzurrina.
Baldashar indietreggiò, confuso e atterrito. Che cosa stava succedendo, e chi era quella persona risplendente che riusciva a intravedere solo vagamente? Come nel suo sogno, qualcosa o qualcuno lo stava scagliando in fondo a un pozzo: Il pozzo fetido e oscuro del suo intelletto e della sua magia nera malata che si contorceva serpentina e sembrava rinchiudersi su di lui. Comprese che, per non essere stritolato e ucciso, doveva rinnegare e annullare il suo corrotto potere. Non c'era più tempo e non aveva ormai quasi più scampo: con le ultime agonizzanti forze evocò l'immagine di Ahriman e la respinse ripudiandola. Un tepore limpido e puro lo invase, iniziò come un fresco ruscello di montagna per trasformarsi in un torrente tumultuoso. Le immagini delle innumerevoli persone che aveva ucciso comparvero e lo guardarono con disprezzo prima di dissolversi lentamente come fumo al vento. Poi si rivide giovinetto, i primi insegnamenti, il suo primo ingresso tra i sacerdoti di Babilonia, la serenità e la dolcezza del culto di Ahura Mazdā il creatore, il Dio del bene. Calde lacrime scesero dai suoi occhi nei quali si spense la luce diabolica che ormai da anni li infiammava, poi un'invincibile spossatezza lo fece afflosciare in terra privo di sensi.
Archimede si riscosse, sentì sfiorarsi il volto da una lieve carezza, poi due morbide labbra si poggiarono sulle sue con un caldo bacio. Ancora tremante rinfoderò la spada e abbracciò la sua donna la cui potenza aveva annullato i poteri di uno dei più pericolosi maghi esistenti. Frastornato, si guardò intorno; AkAhmed, sorridente, gli fece un cenno di saluto con la mano e si chinò a soccorrere l'arciere nubiano che si stava lentamente riprendendo. - Ancora una volta mi hai salvato, mia meravigliosa creatura. - mormorò lo scienziato, - quell'essere infernale è Thanatos, vero? - - Era Thanatos, ora non più, - rispose Cleoth - ora è solo Baldashar, i suoi poteri malefici sono scomparsi per sempre, così come i suoi ricordi. Quando si risveglierà, tornerà a essere un semplice sacerdote e seguirà la strada che il suo nuovo Dio gli indicherà. Tu, come sempre, sei stato bravissimo. Credo che poche persone al mondo avrebbero saputo resistere e contrastare le sue facoltà come hai fatto tu. - - Io? Bravissimo? Tu, solo tu, sei stata in grado di annullarlo e sconfiggerlo! Non riuscirò mai a meravigliarmi abbastanza delle incredibili doti di cui disponi e della straordinaria fortuna che mi hanno concesso gli Dei facendomi innamorare di te. - Abbracciati, guardandosi teneramente negli occhi, si avviarono verso l'accogliente ingresso del tempio. Ak-Ahmed, con espressione soddisfatta li vide scomparire all'interno e sorresse l'arciere nubiano ancora sofferente e traballante sulle gambe. - L'amore e il bene hanno vinto ancora una volta -pensò, - sia lode a Iside, la madre luminosa. --------------------- Sinossi Magie, avventure, misteri nella più splendida e progredita città dell'antico Egitto: Alessandria. Una avvincente storia di maghi, di guerre, di duelli, di tradimenti, di intrighi, di scienziati, e soprattutto la narrazione di un grande romantico amore; arricchita da molti personaggi realmente esistiti e reinterpretati dalla fantasia. E poi... mitici Dei egizi, mummie di remoti Faraoni che tentano di risorgere, un antichissimo popolo, gli Hyksos, che ritorna da un lontano passato e da una città sepolta. Uno scienziato guerriero e una sacerdotessa che si oppongono al sacrilego progetto di un potente Dio oscuro. Il tentativo suicida di un generoso sacerdote che vorrebbe... ma lo saprete leggendo il libro, che si conclude con la difesa di Siracusa, una tra le più floride e potenti città della Trinacria, dal feroce assalto dei romani, ostacolati dalle incredibili invenzioni belliche di uno dei più grandi scienziati del mondo: Archimede.
Sergio Bertoni
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